Quanto sopra
scritto mi ha ispirato l’articolo che segue, iniziando con un grido, alto e
forte: ALTRO CHE ARTICOLO 18!
ITALIA
REPUBBLICA SOCIALIZZAZIONE
CORPORATIVISMO,
SOCIALIZZAZIONE. LA MARCIA DEL FASCISMO VERSO LO STATO NAZIONALE DEL LAVORO.
SOCIALIZZAZIONE E
STATO CORPORATIVO I passaggi fondamentali
per giungere al Manifesto di Verona
di Filippo Giannini
"La
Socializzazione non è se non la realizzazione italiana, romana, nostra,
effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto
unico dell'economia, ma respinge la livellazione di tutti e di tutto,
livellazione inesistente nella natura umana e impossibile nella storia"
(Mussolini - 14 ottobre 1944)
Il teorico e storico
della dottrina cattolica, Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo
studio e all'insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini
nell'ultimo decennio della sua vita "fu quello di far entrare il corporativismo
nelle imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell'impresa a
partecipante alla gestione e alla proprietà e quindi ai risultati economici
della produzione”. E aggiunge: "Durante la RSI ... fu emanato un decreto che
prevedeva la socializzazione delle imprese. E' stato questo, sostanzialmente, il
messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E' un messaggio in perfetta
armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre radicalmente
avversa sia al capitalismo sia al social-capitalismo. In quest'ultimo messaggio
mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico”.
L'idea di un
"socialismo effettuabile" sorse in Mussolini già nel 1914, quando uscì dal
Partito Socialista, "organismo" velleitario e ciarliero e la sviluppò
nell'immediato primo dopoguerra.
Nel 1919, Mussolini
parlando, agli operai della "Dalmine" che avevano occupato le fabbriche e
innalzato le bandiere tricolori anziché quelle rosse e continuato a lavorare
sotto la guida dei tecnici, fra l'altro dichiarava che "il lavoro doveva essere
conquista, vittoria di uomini liberi. Voi non siete più salariati ma
compartecipi, corresponsabili nella produzione”.
In questo dopoguerra
è stato scritto e detto che l'idea di Mussolini della Socializzazione "fu solo
un tardivo espediente per ingannare le masse lavoratrici". E' una delle tante
menzogne, fra le mille e mille, di un regime corrotto e inetto terrorizzato di
dover affrontare un serio confronto con il Governo che lo ha preceduto.
Tutta l'attività del
Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e leggi di chiare
finalità sociali all'avanguardia non solo in Italia ma, addirittura, nel mondo.
Quelle leggi, di cui
i lavoratori italiani ancora oggi ne godono i privilegi, sono quelle volute da
Mussolini nei suoi vent'anni di Governo. Qualsiasi confronto con quanto fatto
dai Governi di questo dopoguerra, risulterebbe stridente.
Citerò solo alcune
di quelle leggi o decreti, quelle, cioè che ritengo più rappresentative,
ricordando che prima del fascismo nello specifico campo legislativo c'era il
vuoto più assoluto:
Tutela lavoro
donne e fanciulli (R.D. 653 - 26/4/1923);
Assistenza
ospedaliera per i poveri (R.D. 2841 30/12/1923);
Assicurazione
contro la disoccupazione (R. D. 3158 - 30/12/1923);
Maternità e
infanzia (R.D. 2277 - 10/12/1925);
Assicurazione
contro la TBC (R.D.2055 -27/10/1927);
Esenzioni
tributarie famiglie numerose (R.D.1312 - 14/6/1928);
Opera
nazionale orfani di guerra (R.D. 1397 - 26/7/1929);
INAIL
(R.D.264 - 23/3/1933);
Istituzione
libretto di lavoro (R.D. 112 - 10/1/1935);
INPS
(R.D.18274/10/1935);
Riduzione
settimana lavorativa a 40 ore (R.D. 1768 - 29/5/1937);
ECA (R.D. 847
- 3/6/1937);
Assegni
familiari (R.D. 1048 - 17/6/1937);
Casse rurali
e artigiane (R.D.1706 - 26/8/1937);
INAM (R.D.
318 - 11/1/1943);
Da tutto ciò si
evince il motivo per cui i governi che seguirono nel dopoguerra, per evitare un
democratico confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e
varare quelle leggi antidemocratiche e lesive al libero pensiero, quali le
“Leggi Scelba”, “Legge Reale" e "Legge Mancino".
Su questo argomento
torneremo in un prossimo futuro e rientriamo prontamente in tema ricordando
l'enunciazione mussoliniana “andare verso il popolo", trasformata poi nel
più sociale "stare con il popolo".
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I principi essenziali
dell'ordinamento corporativo sono espressi e ordinati nella "Carta dei Lavoro"
che vide la luce il 21 aprile 1927.
"La Carta del
Lavoro" trasportava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per
immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro
erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.
In un articolo di
fondo apparso alcuni anni or sono su "Il Giornale d'Italia", fra l'altro
si legge: <La nascita dello Stato Corporativo rappresentò il tentativo di
superare i limiti del cosiddetto Stato Liberale e l'incubo dello Stato
Sovietico. Il secondo conflitto mondiale infranse l'esperimento in una fase che
era già cruciale a causa dell'isolamento internazionale provocate dalle sanzioni
e dall'autarchia>.
Il Diritto
Corporativo tende a porre l'Uomo al centro della Società postulando dei
principii di cui ne cito alcuni ritenendoli i più caratterizzanti e avvalendomi
dello studio del Dott. Sebastiano Barolini:
-
Ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa;
-
Partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa;
-
Partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali onde evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
-
Intervento dello Stato attraverso suoi funzionari immessi nei Consigli di Amministrazione allorquando le imprese assumono interesse nazionale a maggior difesa dei lavoratori
-
Diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;
-
Diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale di contro all'appiattimento collettivista ed alle concentrazioni capitaliste;
-
Edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la previdenza sociale, l'assistenza gratuita alla maternità e all'infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l'assistenza agli anziani, i dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via dicendo;
-
Eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia da se, altrettanto deve valere per i conflitti sociali ed evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;
-
Abolizione dei sindacati di classe ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
-
Attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale che toglie ai latifondisti le terre incolte, le rende produttive e le distribuisce in proprietà gratuita ai contadini poveri.
Questi enunciati,
che risalgono ai primi anni '30, non sono che il logico sviluppo di quelli
formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente nel
"Manifesto di Verona". (1)
Come logica
successione di questo processo che, come abbiamo visto, partì nel lontano 1914 e
giunse ad approdare alle "Leggi sulla Socializzazione" nella Repubblica
Sociale Italiana.
Sin dalla seduta del
Consiglio dei Ministri del 27 Settembre 1943 (quindi a pochissimi giorni dalla
sua liberazione), Mussolini fra l'altro dichiarava che <la Repubblica avrebbe
avuto un pronunciatissimo contenuto sociale> e il 29 settembre ancor più
esplicitamente: <(la Repubblica Sociale Italiana avrebbe avuto) un carattere
nettamente socialista stabilendo una larga socializzazione delle aziende e
l'autogoverno degli operai>.
La Socializzazione
era uno strumento per una più ampia trasformazione dello Stato così come era nel
pensiero fascista: socializzare l'economia per socializzare lo Stato.
Questo pensiero può
risultare più chiaro leggendo uno stralcio della Relazione che accompagnò il
Decreto Tarchi, Ministro dell'Economia: <(...) la civiltà tende ad un nuovo
ciclo, e quel nuovo ciclo nel quale l'uomo riassumerà il ruolo di protagonista
della propria storia e del proprio destino in funzione della sua personalità
estrinsecantesi in attività concrete sociali, cioè nel lavoro. Sotto tale
profilo l'affermazione programmatica che riconosce il lavoro come soggetto
dell'economia (...)>.
Ecco allora prender
forma la dottrina della società come era intravista da Saint Simon, da Owen, da
Mazzini, concezioni vilipese dal Bolscevismo ma ben focalizzate dal
"socialismo effettuabile" di Mussolini e riportate nel "Manifesto di
Verona" e ufficializzate nella dichiarazione programmatica del 13 gennaio
1944 e nel decreto legislativo dell'11 febbraio seguente.
La Borsa di Milano,
che era ben vitale nella Repubblica Sociale, il 13 gennaio, all'annuncio dei
provvedimenti sulla Socializzazione, determinò il giorno dopo la caduta
dell'indice generale da 854 a 727 punti. Dopo un periodo di stasi, quando il 13
febbraio furono emanati i decreti di Socializzazione, l'indice generale scese a
567 punti, poi però, ad iniziare da marzo riprese a salire fino a toccare, il 6
giugno 1944 il ragguardevole livello di 1745 punti (2).
Certamente il Paese
che sopportava oltre quattro anni di disastrosa guerra e diversi mesi di lotta
intestina, ben difficilmente poteva attuare in tempi rapidi un così ambizioso
progetto di trasformazione dello Stato. Progetto, però, che, come disse
Mussolini a Milano "qualunque cosa accada, è destinato a germogliare”.
Giustamente l'avvocato Manlio Sargenti ha recentemente rilevato: <Purtroppo
questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che
costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia
recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni
dell'idea del Fascismo e della Repubblica Sociale>.
Prima di chiudere il
lavoro e concludere, ritengo importante citare gli articoli che sono di base
della nostra lotta politico-sociale, articoli che, ovviamente a oltre ottanta
anni dalla loro promulgazione, possono essere ritoccati lì dove è necessario ma
il cui spirito deve rimanere inalterato.
-
Art. 9) base della Repubblica Sociale Italiana e suo soggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
-
Art. 10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.
-
Art. 12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale), le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione dell'equa ripartizione degli utili tra il fondo e la riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori (...).
Gli articoli non
menzionati sono certamente meritevoli di essere ricordati, ma motivi di spazio
mi inducono a citare quelli essenziali che da soli caratterizzano lo spirito di
base del "Manifesto di Verona"; e sempre per tirannia di spazio
sono costretto a rinunciare ad un dovuto commento anche degli articoli
menzionati.
L'attuazione della
"Legge sulla Socializzazione" trovò enormi difficoltà causate sia dagli
industriali, per ovvi motivi; dai tedeschi timorosi che la resistenza passiva da
parte degli industriali avrebbe potuto danneggiare la produzione bellica; da
parte dei comunisti, che ormai plagiavano i lavoratori, timorosi che la
Socializzazione li scavalcasse a sinistra.
Questa situazione di
stallo persistette sino a quando Concetto Pettinato, che Mussolini stesso aveva
definito "la nostra più importante mente giornalistica”, creò un caso clamoroso.
Un suo articolo, pubblicato su "La Stampa" (di cui era direttore) del 21
giugno 1944, dal titolo: "Se ci sei batti un colpo", diede una sferzata al Capo
della RSI e lo costrinse a mettere in atto quelle Leggi sulla Socializzazione
che, come abbiamo visto, erano già approvate in sede legislativa ma rimaste
inoperanti.
Mussolini ruppe gli
indugi e autorizzò il Decreto del giugno '44 e l'entrata in vigore del Decreto
del febbraio precedente.
A causa della
drammatica crisi che attraversava il Paese, Mussolini ritenne opportuno attuare
la Socializzazione per gradi; iniziando dalle imprese editoriali.
La situazione stava
precipitando, ma nelle imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento
della produzione. A dicembre 1944, Nicola Bombacci programmò una serie di comizi
e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondadori
traendone sorpresa ed emozione. A seguito di ciò inviò una lettera a Mussolini
nella quale, fra l'altro scrisse: "Ho parlato con gli operai che fanno parte del
Consiglio di Gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa
loro missione dato che gli utili dopo questi primi mesi è di circa 3 milioni”.
La guerra ormai
volgeva alla fine e, come ha scritto Amicucci ne "I 600 giorni di Mussolini":
<Mussolini voleva che gli angloamericani e i monarchici trovassero il nord
d'Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli
operai decidessero, nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le
conquiste socialiste raggiunte con la RSI>.
Proprio a questo
scopo il 22 marzo 1945 il Consiglio dei Ministri decise che si procedesse entro
il 21 aprile alla Socializzazione delle imprese con almeno 100 dipendenti e un
milione di capitale.
Per ripagare il
grande contributo avuto dai grandi industriali, i comunisti che controllavano
appieno il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 25 aprile 1945,
proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato "l'olocausto
nero", ripeto, come primo atto ufficiale fu l'abolizione della "Legge sulla
Socializzazione". E l’operazione fu condotta proprio dal padre di Enrico
Berlinguer. Non lo sapevate? D’altra parte fu legittima difesa, in quanto
i Berlinguer erano ricchissimi proprietari terrieri.
Così era iniziata la
grande beffa a danno dei lavoratori.
Quanti di voi
conoscevano quanto riportato?
1) Questi principi rivoluzionari che avrebbero posto in discussione i "diritti
acquisiti" costrinsero tanti "potenti della terra", a coalizzarsi per ostacolare
il processo mussoliniano prima imponendo le Sanzioni, obbligandoci poi alla
guerra, quindi "inventandosi" il "25 luglio", l'8 settembre ed infine i massacri
del secondo dopoguerra allo scopo che di quelle idee non rimanesse più traccia.
Paradossale è che di questo diabolico progetto la grossa finanza si avvalse
proprio di quella classe che ne sarebbe stata lesa: la classe dei meno abbienti.
E l'inganno continua!
2) Solo per
conoscenza storica il 6 giugno, alla notizia dello sbarco angloamericano in
Francia, si verificò il crollo della Borsa del 30% chiudendo, però, l'anno
borsistico il 2 agosto 1944, al buon livello di 1219 Punti.
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