giovedì 27 ottobre 2022

RIVOLUZIONE IDEALE!

RIVOLUZIONE IDEALE!

La rivoluzione è soprattutto una sostituzione di uomini. Poiché l’idea è l’uomo, le idee non si sostituiscono senza sostituire gli uomini. La rivoluzione opera esclusivamente sull’uomo; tutte le rivoluzioni sono state provocate dal bisogno di tornare all’uomo, alla responsabilità dell’uomo, anche se lungo la strada, si sono talvolta risolte in un rafforzamento della inumanità e irresponsabilità degli istituti. Gli istituti vitali, entro cui l’uomo è libero sono la conseguenza dell’uomo, dei diversi uomini e non viceversa. Quando gli istituti raggiungono una forza tale che l’uomo ne è imprigionato, si ha la conservazione cioè la sistemazione delle maggioranze sulle minoranze, il soffocamento di queste come determinanti della storia. La rivoluzione che non crea gli uomini nuovi, nuovi come incarnazione dell’idea nuova, non è rivoluzione. Inutilmente essa rimuoverà gli istituti. Ma d’altra parte rinnovare gli uomini pretendendo di calarli nei vecchi istituti è imprigionare il nuovo spirito nelle vecchie fortezze.
La rivoluzione è un’idea che esplode attraverso una fede. In principio gli uomini non conoscono la nuova idea ma hanno fede nel loro istinto rivoluzionario: più tardi appare la necessità imperiosa che gli uomini nuovi sappiano il nome della loro fede. La prima spinta è data dalla fede, ma la vera rivoluzione è fatta dall’idea che rovescia l’idea precedente. L’idea nuova non è però tale se non incarnata da uomini nuovi. La rinnovazione ideale operata dagli stessi uomini del passato è un assurdo: l’idea è l’uomo. L’idea senza un carattere che la affermi è pensiero puro, esercitazione inerme e inane. La rivoluzione è anzitutto una rivolta contro la civiltà esistente e pertanto non può accettare lo stato di cose contro il quale è nata. È sempre almeno un tentativo di sostituire civiltà a civiltà, di agire sull’universale. Una rivoluzione che non aspiri all’impero della sua idea, una rivoluzione circoscritta dai confini nazionali entro cui è nata, non è ideale, ma solo assestamento di forze meramente materiali nell’ambito della vecchia idea. Non è rivoluzione quella che si ferma alla potenza nazionale, in quanto la potenza nazionale è conseguibile sotto tutti i regimi e non sposta, per sè stessa, una riga della civiltà nella quale è conseguita. Vi può essere infatti, una rivoluzione senza potenza nazionale, agente sull’universale prima che sul nazionale. La rivoluzione che non porta alla nuova civiltà è un colpo di stato più o meno accordato con la situazione esistente, specie di forza materiale insopprimibile che baratta la sua forza contro il riconoscimento e la legalizzazione del passato che essa concorre a perpetuare nel presente : riconoscimento e legalizzazione antistorici perchè la rivoluzione si legalizza da sè. La rivoluzione è creduta l’eccezione della storia, la insopprimibile illegale rivolta che si legalizza col tempo. Al contrario essa è la necessità della storia e soprattutto la sua anima, che impedisce l’ingiustizia di una legalità perpetuata oltre le cause che l’hanno determinata. Essa è l’antitesi della codificazione e della sistemazione di uno stato di cose che per la legge di gravità politica, tende man mano verso il basso, verso l’identità con la materia: pur essendo idea cioè spirito, trova la forza bruta necessaria allo scoppio materiale, nel disagio in cui soffre un popolo, una classe, una categoria. La rivoluzione senza sangue è un assurdo. Sostituire uomo a uomo significa versare il sangue della civiltà che tramonta e di quella che nasce. Se certe presunte rivoluzioni non avessero usato lo spargimento di sangue per difendere la conservazione di cui sono costituite, si potrebbe affermare che le rivoluzioni si misurano col sangue. Non esiste una rivoluzione che nasca per limitare la libertà : la rivoluzione è sempre volontà di fare un passo avanti sulla via della libertà dell’uomo. Ogni tanto l’uomo si scrolla di dosso le catene di una libertà diventata oppressione, e cerca di marciare più spedito. Il grido di rivolta può degenerare nel sibilo di frusta dell’aguzzino, ma il motivo unico è la liberazione. 

* * *

La Rivoluzione Fascista è originale, cioè apre una nuova civiltà. Pertanto non continua nessuna rivoluzione precedente nè la Rivoluzione francese in particolare che è l’ultima grande rivoluzione, la cui civiltà sia degna d’essere combattuta. Tagliando la testa a un privilegio non più in grado di guidare la storia, ma responsabile di una irresponsabilità di fronte al popolo, la Rivoluzione dell’89 sopprime il principio ereditario del sangue, privo di forza, incapace di trasmettere una forza che appare conquistata se non conosciuta dal popolo. Ma il numero non governa: qualcosa deve sostituire la scaduta aristocrazia e la formula costituzionale, voluta dal popolo, inventata dalla borghesia per garantirsi da un’eventuale accusa di responsabilità, sale i gradini di un comando inanimato, il comando della legge. La borghesia immagina una società economica addossando alla politica, caratteristica delle aristocrazie, il dolore e la sofferenza delle plebi : una società economica basata su un « contratto » vicendevole degli individui con amministratori delegati a turno. Naturalmente chi ha maggior cumulo di interessi in tale società avrà il diritto di amministrare. La grande parola della Rivoluzione francese è infatti: sostituire al governo degli uomini l’amministrazione delle cose. L’uomo essendosi emancipato dall’autorità nell’uguaglianza non ha bisogno di governo ma di amministrazione per le sue materie. È il grande levarsi della materia organizzata che pugnala, con la costruzione dell’economia, la sua eterna nemica: la politica, la nemica terribile di ogni divisione, di ogni autonomia contro lo spirito. Mancata l’aristocrazia, poiché la società ha necessità di un tetto sotto cui riparare la paura di bivaccare all’aperto con sopra un cielo diventato sconosciuto e ostile; la borghesia raccoglie l’eredità materiale, meno quella ideale, meno la responsabilità. Si appropria individualmente dei mezzi materiali aristocratici, mezzi per il governo, facendone il fine individuale e personale, la materia di un nuovo principio ereditario che investe la proprietà affermandola come assoluto politico e storico. Il popolo, per legge fisica tradotta in aspirazione ideale, si precipita nel vuoto lasciato dalla borghesia. La Rivoluzione fascista è invece il governo degli uomini che si sostituisce all’amministrazione delle cose. È l’affermazione della politica come suprema totale responsabile della storia, la quale ha una nuova originale preminenza sulla vita. La società non più economica ma politica, non è basata sul « contratto », il quale non essendo veramente sociale provoca il problema sociale; ma sulla gerarchia degli uomini, al sommo della quale sono i detentori, per incarnazione, dell’autorità, del comando. Del comando responsabile dell’uomo che si sostituisce all’irresponsabilità della legge particolare, presunta enciclopedia della vita, dei suoi diritti meno i suoi doveri. Infatti il comando opera, la legge difende.
La Rivoluzione fascista è l’affermazione dell’intervento politico nello stesso periodo storico in cui il fallimento della democrazia col suo Stato astratto ed assente, ha chiamato imperiosamente un caotico ed affrettato intervento statale d’una ampiezza tale in quantità, da dimostrarsi irrimediabilmente assurdo. Perchè l’intervento fascista non è quello che cancella l’individuo nello statalismo facendo della nazione una impresa economica, ma eccita e dirige l’individualità e l’iniziativa dell’uomo, proclamando la nazione una impresa politica. La Rivoluzione fascista, malgrado quella assicurazione della vita borghese che è la costituzione, reputa la borghesia responsabile delle attuali sofferenze dei popoli e pertanto ricaccia la borghesia nei ranghi del popolo, dal quale e solo dal quale può nascere la nuova aristocrazia, eterna forza di vero comando. La gerarchia è fra gli uomini, non fra le diverse quantità delle cose degli uomini, quale volle la maggioranza irresponsabile per garantire l’autorità del numero e la legge della materia, col loro facile destino. La Rivoluzione fascista è l’uomo che riprende, dopo secoli di remo coatto, il timone della storia. 

(Edgardo Sulis, “Rivoluzione Ideale”, Firenze, 1939, pp. 33 / 39)

                                                                                                                                          

                                                                                                                                             

venerdì 21 ottobre 2022

Ancora sulla matrioska del potere

Ancora sulla matrioska del potere

Marcello Veneziani

Un tempo si credeva che una vittoria elettorale avrebbe cambiato il corso delle cose, anche in modo radicale, soprattutto se a vincere era un leader e una forza di opposizione. Ma nella prima repubblica, chissà perché, quella svolta non accadde mai e mai si fuoruscì dalle formule di governo precedenti, salvo lievi passaggi o scosse d’assestamento; c’erano spostamenti piuttosto modesti di consensi e di alleanze, non tali da generare un cambiamento di assetto o un nuovo baricentro. Era impensato immaginare che i partiti-regime potessero da un giorno all’altro cedere il potere e andare all’opposizione.

Da un po’ di anni, invece, siamo entrati nella democrazia dell’alternanza, a tendenza bipolare, e i cambiamenti di scenario e di maggioranza sono stati possibili ed effettivi: dai trionfi di Berlusconi e del centro-destra all’ascesa rapida, come la discesa, di Renzi, all’exploit dei grillini, diventati primo partito solo cinque anni fa. Più qualche purgatorio tecnocratico e un valzer di alleanze il cui risultato era sempre il partito democratico al potere. Comunque, col voto era ed è  possibile ribaltare gli assetti parlamentari e dunque governativi.

Però più passano gli anni e più si restringe l’arco dei cambiamenti possibili attraverso nuove maggioranze e nuovi governi. Perché ogni governo nasce già imbottigliato dentro un ferreo sistema che non consente margini di manovra.

Come figurare questo sistema? Come una matrioska. Avete presente la bambolina russa che dentro di sé ne ha un altra più piccola, e poi ancora un’altra e un’altra, di dimensioni sempre più ridotte? Beh, il potere oggi è una matrioska. Quando hai vinto le elezioni, superando tutti i fuochi di sbarramento, le campagne e le manovre e le demonizzazioni, gli agguati e le sorprese giudiziarie, non devi illuderti di avere le chiavi del potere. Anche se eri outsider, oppositore radicale, alternativo, magari populista e sovranista, alla fine devi entrare nella matrioska, di cui sei – da neonata al governo– la bambola più piccola.

Dunque, la bambola del governo è dentro la bambola degli assetti istituzionali, la presidenza della repubblica, la magistratura, la burocrazia, i poteri contabili e collaterali. Quel potere, a sua volta, è dentro l’unione europea, i suoi vincoli di bilancio, la sua corte suprema e le sue direttive, il reticolo delle sue norme e dei suoi divieti. E ancora, la bambola europea è dentro la bambola atlantica, vale a dire il potere militare della Nato, l’influenza del Pentagono e della Casa Bianca, i vincoli internazionali. E la bambola atlantica è dentro un sistema economico-finanziario transnazionale, una rete globale di mercato e di controllo, di comunicazione e di indirizzo. Senza dire che la matrioska deve tener conto di una serie di bambole extra-istituzionali, agenzie di rating, colossi social e mediatici, cupole sovranazionali, centri di pressione, sistemi di sorveglianza e di monitorizzazione. Insomma il potere è come una matrioska, e la bambola non può andare per conto suo, non ha autonomia e indipendenza, è dentro, compressa, in quella serie di involucri istituzionali e funzionali, di oligarchie e di obblighi, in un sistema che non si può scardinare.

E’ per questo che chiunque vada al governo non potrà essere difforme rispetto ai cerchi concentrici in cui è compreso, vorrei dire imprigionato. Anzi ci va solo se giura fedeltà a quei poteri, economici e militari, europei e atlantici, occidentali e globali, e a quella serie di entità che sovrastano lo stato “sovrano”. Altrimenti non vi accede, o salta dopo pochi mesi: può perfino succedere che nonostante tutti i cedimenti, le accortezze, le rassicurazioni di non voler far saltare il banco e la matrioska, poi accada comunque qualcosa che in breve tempo azzeri l’anomalia, rimetta le cose a posto e rimandi a casa gli importuni outsider.

Al di là delle intenzioni, dei propositi, delle capacità di chi vince, la trafila è quella e una volta entrati nel ruolo di bambola, con tanto di investitura, devi poi accettare l’incorporazione in bambole più grandi di te, accettando il sistema delle matrioske che risponde all’Ordine Globale. Certo, ci possono essere margini di azione al suo interno, tra gli interstizi e le linee di confine; ci possono essere imprevisti, alleanze ed eventi sorprendenti che rimettono in gioco i palinsesti e ci può essere il carattere, la creatività, la capacità di giostrare dei protagonisti, che può dar luogo a qualche modifica degli esiti. Ma parliamo di ipotesi non probabili e probabilmente non decisive, semmai marginali e occasionali.

E’ un atto di sfiducia preventiva, di pessimismo apocalittico a priori? No, è saper guardare in faccia la realtà tenendo i piedi ben saldi sulla terra e non sulle nuvole. Poi fatta questa premessa, stabilita la ferrea legge delle matrioske, e ben compresa la situazione in cui ci troviamo, e i relativi rapporti di forza, possiamo pur sempre confidare che qualcosa possa pur muoversi e mutare, qualche segnale ci possa essere, qualche tentativo di riassestare la baracca si possa verificare, soprattutto se qualcosa avviene anche in altri paesi e nello scenario mondiale.

Auguriamoci infine che la previsione sia sbagliata, che il ragionamento testé fatto sia infondato e che avevamo sottovalutato la forza prorompente della realtà, il fattore sorpresa e la capacità dei singoli rispetto al sistema. Sperar non nuoce, dopo aver realisticamente detto quali sono le premesse e i punti di partenza. Ma è difficile, sempre più difficile, cambiare il mondo attraverso la politica.

(Il Borghese, ottobre)

                                                                                                                                                       

mercoledì 12 ottobre 2022

L’UNICA VERA “MINACCIA” …CHE FA RIFLETTERE!

L’UNICA VERA “MINACCIA” …CHE FA RIFLETTERE!

Un video che fa riflettere - Biblioteca del Covo

Cari lettori, in risposta all’insulso teatrino mediatico pre e post elettorale che specula indegnamente (come di consueto avviene da 76 anni nella repubblica delle banane italy-ota!) su di inesistenti ma “immancabili” minacce politiche fasciste, mettendole pretestuosamente in relazione a forze partitocratiche che invece sono pienamente iscritte e facenti parte interamente del Sistema pluto-massonico antifascista, vi invitiamo a riguardare con attenzione ed a meditare su questo video che abbiamo realizzato tempo addietro. Poiché esso nulla ha perduto del suo significato, essendo il frutto di una amara constatazione di fatto e di una nostra particolare riflessione più che mai attuale, proprio alla luce di quanto oggi stiamo subendo tutti quanti in qualità di cittadini italiani, nel frangente epocale della reiterata stagione delle “emergenze perenni”… l’altro ieri del “debito pubblico”, ieri “sanitaria” ed oggi di quella “energetica”!

LA MINACCIA

Un video che ha impressionato favorevolmente anche soggetti al di fuori delle coordinate ideologiche che “IlCovo” rappresenta, ma che persino all’interno del panorama informativo non conforme al pensiero dominante, sebbene estraneo alla concezione fascista, è stato definito letteralmente “UN VIDEO CHE FA RIFLETTERE” e pertanto meritevole di essere visionato. Dunque, diffondiamo questa consapevolezza e riflettiamo ancora una volta sul vero senso dell’unica reale “Minaccia” da cui il Sistema dominante sul piano degli ideali politici si sente perennemente intimorito!

IlCovo

*NB: il video può essere divulgato (cosi come tutto il materiale prodotto dall’associazione) esclusivamente per i fini propri stabiliti da chi lo ha creato e che ne detiene la paternità e i diritti, ovvero l’Associazione culturale apartitica “IlCovo-studio del Fascismo Mussoliniano”. A questo proposito, l’Associazione declina ogni responsabilità che esuli dal fine pedagogico-formativo che sta a fondamento di ogni sua attività.

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AUTORITA’ E GERARCHIA NELLO STATO FASCISTA!

Autorità e Gerarchia nel Fascismo - Biblioteca del Covo

“La gerarchia fascista è fondata tecnicamente sull’ordine e sulla disciplina e spiritualmente sulla fede e sul consenso del popolo… la gerarchia fascista è sostanzialmente democratica, nel senso che tutto il sistema fascista deve necessariamente basarsi sul consenso del popolo”.

Non intendiamo soffermarci a lungo nell’esposizione dell’essenza dello Stato Fascista (qui). Vogliamo, invece, soltanto mettere in rilievo i lati spirituali dell’essenza dello Stato attinenti soprattutto al sistema autoritario e gerarchico affermatosi con il Fascismo. Per individuare questa essenza autoritaria e gerarchica dello Stato Fascista bisogna partire dall’esame della dichiarazione prima della Carta del Lavoro: 

“La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. E’ una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato Fascista”.

Il Fascismo concepisce, dunque, la Nazione non come una nuda esistenza naturale, bensì come una realtà morale che viene creata dagli uomini, giorno per giorno, con il loro continuo, indefesso lavoro. Un popolo si erge a Nazione, se sente profondamente la propria storia e lavora sempre per edificare la Patria; se crea la volontà attiva e dinamica indirizzata costantemente al raggiungimento degli ideali comuni. La Nazione, nella concezione fascista, non è geografia o storia o fatto compiuto o interesse contingente della collettività, ma missione, sacrificio, programma sempre da compiere. L’unità nazionale non esiste in un tempo determinato, ma ha le sue radici nel passato e nel presente e si protende orgogliosamente verso l’avvenire; la Nazione è l’unità riassuntiva della serie indefinita delle generazioni. La Nazione è un’anima, una persona, una volontà possente, consapevole dei suoi fini, che non sono quelli di ciascun cittadino particolare, né tanto meno della massa o somma totale degli individui viventi nel suo territorio, ma sono esclusivi ed indivisibili. A creare la Nazione concorrono il divino, la morale, la forza intima dell’evoluzione organica, la volontà del popolo. La Nazione ha una volontà, un’anima, un modo di essere ed una passione nel mondo.

NAZIONE E STATO

La morale individuale non basta a sé stessa, ma raggiunge il suo perfezionamento nella vita comune, la cui forma superiore è data dalla Nazione. Nella Nazione si realizzano le aspirazioni politiche del popolo attraverso lo Stato. Al concetto dello Stato concepito come l’insieme degli individui il Fascismo ha opposto l’idea dello Stato-Nazione, ossia dello Stato come volontà e persona, cosciente dei propri fini e dei propri mezzi e tesa nell’affermazione nel mondo della propria autonomia come centro di attività consapevoli, essenzialmente morali, ispirate ad un santo ideale. Lo Stato-Nazione è al disopra degli interessi particolari e trascina l’individuo a sentire come suo l’interesse generale ed a volere come volontà generale. Lo Stato è anche sostanza etica e come tale è la base dell’individualità e personalità umane, è la coscienza di ogni cittadino che si realizza internamente come coscienza nazionale che trova nell’attività politica e nella forma giuridica la sua dinamica concretezza. A creare lo Stato concorrono, nella serie successiva degli avvenimenti della storia, il divino, la filosofia, la forza organica, la volontà del popolo. Lo Stato è un organismo speciale, che non è l’assieme dei cittadini che in esso vivono, perché ha bisogni ed interessi che non sono quelli dei singoli e perché ha una volontà, un’anima, un modo di essere ed una posizione nel mondo. Lo Stato è una istituzione risolventesi né in una pluralità di individui, né in una lunga serie di rapporti intercedenti fra gli individui. Esso ha una struttura che assorbe tutti gli elementi che lo compongono; è una unità ferma e permanente; ha una esistenza tutta a sé, in modo che non può perdere la sua identità. Lo Stato è l’individualità di un popolo capace di sentire se stesso nella propria continuità e nell’opposizione con gli altri popoli; nella coscienza dello Stato-Nazione sono egualmente vivi i morti e i non nati, coloro che iniziarono la sua storia e quelli che la compiranno. Mentre lo Stato Liberale non si è preoccupato del problema del lavoro ritenendo questo come una prestazione volontaria del cittadino e disinteressandosi dello sviluppo enorme che esso andava assumendo e del pericolo politico rappresentato dalle Associazioni che andavano sorgendo, lo Stato Fascista ha affrontato appieno il problema sociale non con la lotta, bensì assorbendo nel proprio seno ed elevando a propri organi le Associazioni dei produttori. Il sindacalismo ribellista e così sboccato nel corporativismo collaborazionista e lo Stato Fascista ha assunto a principio essenziale della sua vita la corporatività: può così parlarsi di Stato Fascista Corporativo. Lo Stato Fascista Corporativo, Ente morale, economico e giuridico che non ammette contro di sé altre forze pari o limitatrici, con il ricomporre i disgiunti elementi sindacali nell’unità corporativa, ha superata ogni antitesi di classe, dovendosi subordinare ogni questione economica alle esigenze supreme della Nazione, ed ha provveduto alla tutela della solidarietà sociale ed all’assistenza delle varie categorie produttive. All’uopo si va creando un originale ordinamento che, basato sul potere sovrano, intelligente e onniveggente dello Stato Fascista, trova nelle Corporazioni gli organi di unità, di difesa e di sviluppo delle forze spirituali ed economiche del popolo italiano. Questo principio corporativo ha influenze decisive anche nel campo squisitamente costituzionale poiché impone il concetto della partecipazione dei cittadini-produttori al potere politico dello Stato in diretto rapporto al concreto contributo che si porta al corpo sociale. Le categorie professionali debbono intervenire alle attività politiche secondo l’importanza delle loro funzioni economiche nello Stato e le persone singole debbono intervenire in tante categorie quante sono le funzioni economiche che espletano nello Stato. Gli individui vanno fatti compartecipi alla vita politica proporzionalmente alla loro importanza intellettuale ed economica nella vita dello Stato. Si avrà, così, uno Stato forte, lo Stato Unitario, che ha una sola volontà e che, grazie al principio corporativo, ha tutte le attività e gli interessi ben controllati ed indirizzati al supremo bene della Nazione. Questa corporatività dello Stato Fascista precisa ancora meglio l’eterno concetto che lo Stato è anche ordinamento giuridico e che pertanto lo Stato Fascista, come tale, ha un’essenza speciale che può essere individuata nel principio autoritario.

ESSENZA AUTORITARIA DELLO STATO FASCISTA.

Chi rappresenta e sintetizza la coscienza di tutto il popolo è lo Stato, il quale, nella concezione fascista, è l’unico creatore del diritto, nella sua manifestazione concreta di fatto ovvero di evento. Lo Stato manifesta la sua volontà ed agisce a mezzo del diritto, espressione della vita, delle forze e delle idealità dello Stato. A differenza, però della concezione liberale, come già abbiamo rilevato, secondo la quale fine supremo dello Stato è la creazione del diritto, secondo il Fascismo il diritto è l’espressione della volontà dello Stato, è il mezzo con il quale lo Stato mantiene la coesione fra le varie forze sociali e attua i propri fini. Il Fascismo supera l’anarchica concezione della pluralità degli ordinamenti giuridici secondo la quale ogni unione di più uomini, per qualsiasi scopo associati, possa creare il diritto. Il Fascismo riporta in auge il principio classico dell’assoluta statalità del diritto, poiché ritiene che soltanto un ente essenzialmente etico e completamente sovrano com’è lo Stato, abbia la spiritualità e la forza necessarie per creare il diritto con le sue inconfondibili caratteristiche di superiore moralità e di possibilità piena di coazione. Qualità necessaria, indispensabile del diritto è, dunque, la statalità. Ciò, però, non importa, come si sosteneva sostanzialmente dalla concezione liberale che il potere legislativo debba essere esercitato da un solo organo. Secondo il Fascismo, invece, la funzione legislativa viene svolta da vari organi statali, in base al rispetto di ben fissate formalità. Dunque non pluralità di ordinamenti giuridici, ma nemmeno unicità di organo legislativo. Bensì un solo ordinamento giuridico, quello statale, e più organi statali preposti all’emanazione del diritto. Il diritto risiede nella corrispondenza fra le esistenti forme istituzionali ed i complessi bisogni di quel determinato popolo in quel determinato momento storico. Il diritto è il prodotto spontaneo ed organico dell’evoluzione sociale e dei vari elementi di cultura che si accumulano lentamente presso i singoli popoli. Il diritto interpreta lo spirito popolare, sia nel suo contenuto puramente ideale, sia nella sua tensione verso lo sforzo, la lotta, il progresso, la conquista. Il diritto, che è un ordine coercibile dell’attività umana, è fondamentalmente fondato sulla giustizia, in quanto questa e in modo indissolubile legata allo spirito popolare attraverso il principio trascendentale della socievolezza umana. Il diritto, in quanto fondato sulla giustizia, principio essenzialmente etico, non rappresenta un ordine condizionale, ma un ordine assoluto che ha nella sua trascendentale immanenza il proprio fine e trova nella morale le sue vere origini. Lo Stato, unico creatore del diritto, presenta il massimo di unità di fronte a tutti gli altri aggruppamenti. Lo Stato mira a diffondere e far valere nel mondo i principi etici e di civiltà che esso incarna, adempiendo cosi alla propria missione storica. Nello Stato l’ordinamento giuridico è collegato con l’ordinamento del potere. Il diritto è il volere dello Stato e proviene dai vari organi statali. Il volere generale, ossia il diritto, è il volere stesso dei singoli individui nella loro essenza sociale, volere concepito nel suo valore universale e nello stesso tempo concreto, volere che è prima etica e poi diritto ancora prima di concretizzarsi in norme concrete regolanti atti esterni. Infatti la volontà umana, concretatasi nel diritto, non può essere concepita astrattamente nella sua nuda forma esteriore di puro meccanismo di formule e comandi indifferenti, di semplice tecnicismo di costruzioni, bensì dev’essere precisata come la regola generale di condotta, ispirata al principio universale di coordinazione. Tale regola raggiunge la sua piena armonia sociale solo per mezzo degli ideali etici della giustizia coordinatrice. L’ordinamento giuridico risulta, dunque, dall’insieme degli elementi psichici, i quali inducono gli uomini al credere in determinate “verità” e ad accettare, di conseguenza, certe norme comuni di condotta. I bisogni, i sentimenti, le idee, gli atti volitivi degli uomini possono svilupparsi ed armonizzarsi nello Stato a mezzo dell’ordinamento giuridico. Queste idee e questi atti hanno carattere propulsivo e regolatore nel guidare l’attività sociale, presiedendo altresì, ai generali criteri disciplinatori della coordinazione e reciproca subordinazione degli individui. Si ha, così, una comune unità, spontanea, impulsiva, dettata da una comune “credenza”. Questa “credenza” è frutto, più che di elaborati ragionamenti logici ed esaurienti dimostrazioni dialettiche, di una quasi spontanea opinione, di un profondo convincimento, affermatosi rigoglioso nelle coscienze degli individui, direttamente connesso con il loro carattere ed il loro modo di pensare e sentire. Questa “credenza” è fondata sulla coscienza umana che è personale e sociale, è essere e divenire. Si ha un processo di convincimento spontaneo; si afferma nelle coscienze una “credenza”, senza bisogno di discussione, la quale ha la forza della fede e forma le idealità collettive che rappresentano la fusione delle coscienze individuali, la sintesi di tutte le aspirazioni. Queste idealità sociali, che sono la sintesi dei sentimenti della personalità, della coordinazione e della reciproca conseguente subordinazione, non sono formazioni stabili, ma in continuo dinamico movimento, trovando la loro base di formazione nel “potere politico” dello Stato e la loro estrinsecazione nella funzione legislativa statale attraverso l’ordinamento giuridico. La norma giuridica deve, dunque, armonizzarsi con la vita, riflettendone le idealità. Ed eccoci alla formazione tecnica della norma giuridica, compito questo degli organi della funzione legislativa, chiamati ad ordinare i vari rapporti, le varie tendenze, le varie aspirazioni, i vari ideali, i vari stati di cultura, le varie categorie economiche, ispirandosi all’indirizzo politico dello Stato dettato dal potere politico. Questo indirizzo politico si basa soprattutto sul principio corporativo, dal quale sostanzialmente dipendono l’etica e l’economia fascista e al quale si ispira tutta l’azione dello Stato Fascista, fondata pertanto su di un sistema organico-gerarchico. Gli organi della funzione legislativa sono, quindi, chiamati a ricercare i rapporti da regolare e ad elaborare le varie norme trasformandole in leggi. Nella formazione della legge ha per tanto assoluta prevalenza la “capacità” oltre che la perfetta comprensione spirituale di coloro che detengono sia il potere politico che la funzione legislativa. Questa “capacità” deve essere “individuale”, ossia dettata dal valore dell’individuo e dalle sue attitudini e possibilità a comprendere le tendenze e le aspirazioni umane, e “sociale”, cioè dettata dal valore che lo Stato sa dare all’indirizzo politico. La capacità presuppone quindi “autorità”. Questa “autorità” viene determinata da idee e sentimenti di superiorità, da credenze in forze di ordine superiore, da necessità di convivenza, da abitudini di disciplina e ubbidienza. Eccoci così alla logica assoluta preminenza del potere politico su tutte le altre funzioni dello Stato. A questo punto è bene chiarire che l’interferenza del “potere politico” sulla “funzione legislativa” va considerata non come sostitutiva bensì essenzialmente come ispirativa e correttiva, non potendo detta funzione legislativa essere ridotta ad un semplice settore di tecnica esecuzione della suprema volontà del potere politico; gli organi statali nell’esplicazione della funzione legislativa rappresentano, quindi, soprattutto, la volontà, i sentimenti, le aspirazioni del popolo, pur dovendo, sempre, detti organi, ispirarsi, nell’emanazione della legge, all’indirizzo politico dettato dai supremi organi del “potere politico”. I componenti del “potere politico” sono la personificazione dello Stato, la realtà statale. Essi, con il sussidio della psicologia sociale, debbono ricercare le aspirazioni della coscienza generale, appunto per creare quello stato d’animo favorevole della collettività, quella credenza necessaria per ogni istituzione politica e quindi giuridica; debbono sapere costituire la coscienza giuridica dello Stato. Ora, chi impersona questo “potere politico” o meglio chi impersona questa coscienza giuridica statale, chi dà le direttive per la concretizzazione come fatto e come evento della volontà dello Stato? Secondo gli enciclopedisti la volontà statale nascerebbe da un libero contratto liberamente stipulato fra tutti i componenti della società, contratto non soltanto voluto dai singoli, ma imposto ad ognuno da ineluttabili necessità materiali: i principi ineluttabili delle armonie naturali dominerebbero ogni gruppo sociale ed imporrebbero questi contratti sociali fondati sulle varie necessità e sui bisogni adattati nel tempo e nel luogo. Ma questa concezione enciclopedica non convince non solo e non tanto perché è difficilmente concepibile che un contratto possa creare un supremo Ente creatore e regolatore della personalità e della volontà statale e del diritto, ma anche e soprattutto perché non indica i modi e i mezzi per la libera stipulazione di detto contratto sociale né detta indirizzi e sistemi definitivi per la scelta degli interpreti supremi della volontà dei singoli cittadini stipulanti. Sono più di cento anni che questo sistema contrattualistico — che peraltro trova raffronti e attuazioni, sia pure incompleti, anche in tempi lontani e in paesi i più vari — ha trovato le concretizzazioni più perfette possibili in quanto direttamente ispirate ai principi contrattualistici e tecnicamente attrezzate nei sensi voluti dai teorizzatori enciclopedisti, eppure i fini raggiunti sono tutt’altro che soddisfacenti e le crepe che si rivelano dappertutto ne dimostrano ad abundantiam le incompletezze e la inconsistenza.

Autorità e Gerarchia nel Fascismo - Biblioteca del CovoQuali sono le ragioni della incompletezza ed insufficienza delle concezioni contrattualistiche dello Stato e del diritto? Esse sono profonde e portano senz’altro nell’intima essenza dell’uomo. Queste dottrine mancano proprio lì dove esse credono di trovare il proprio sostegno e la propria base granitica. Invece di essere fondate sulle armonie naturali, esse sono contro la parte più spirituale della natura umana. Può anche essere ammesso il concetto di una libera associazione di uomini fondata sul contratto sociale; può anche essere ammesso, per ipotesi, un gruppo sociale nel quale i singoli componenti abbiano stipulato un accordo in base al quale siano riusciti ad ottenere il massimo possibile di libertà personale. Basterà questo alla natura degli uomini? Noi riteniamo per fermo di no. Oltre che verso la libertà l’anima umana anela anche verso la fede; la storia di tutti i tempi e di tutti i popoli ce lo insegna. Questa fede non si concretizza soltanto nella fede religiosa, ma si estrinseca altresì nell’amore per la propria famiglia e per il proprio lavoro, si manifesta nell’amore per lo Stato e nella fiducia transcendentale in esseri umani superiori che sanno fare vibrare le più intime corde dell’anima umana e sanno costituire un capace, autoritario potere politico. Questa tendenza non è da schiavi, bensì è un’aspirazione ideale verso l’ascetismo ed il superamento di se stessi. Ed eccoci alla libera naturale adesione di tutti i componenti del gruppo Sociale alla volontà degli incarnatori del “potere politico” che riescano a sollevare l’anima umana verso le supreme vette spirituali distaccandola dai concetti materialistici. Le cosiddette « armonie naturali » impongono fatalmente queste situazioni sociali di superamenti spirituali. Vi sono i periodi più o meno lunghi nei quali la carne domina lo spirito, la materia si impone all’anima, ed allora si affermano le concezioni contrattualiste e gli uomini si affannano disperatamente per creare norme giuridiche e quindi Istituti, che, senza un generale nesso connettivo morale, consentano il massimo benessere individuale con il minimo sacrificio fisico possibile. Poi questi periodi materialistici sono superati; gli uomini sentono la vacuità dei beni materiali e tendono disperatamente in alto, chiedendo a Dio il pane spirituale per le loro anime. Ed allora da alcuni uomini scaturisce come un fluido che li sopraeleva, nella conoscenza ed estimazione della collettività, in un alone di forza, di attrazione e di obbedienza. Questi uomini sanno esprimere in modo perfetto e inarrivabile le comuni credenze, i comuni modi di pensare e sentire: essi sono come le voci vere della coscienza collettiva. Allora vediamo i popoli, nauseati da un periodo più o meno o lungo di materialismo, tendere verso mete spirituali ed essere presi appieno dalla riverberazione etica e spirituale di questi esseri eletti, i quali creano nei popoli un superiore spirito di proselitismo e devozione. E questo spirito li innalza in concezioni ideali distaccandoli nettamente dai beni materiali della vita. Mentre la suprema tendenza contrattualistica, l’ideale enciclopedico, è il raggiungimento dello « stato di natura », che rende — checché si possa sostenere in contrario — l’uomo schiavo delle forze fisiche della natura, invece l’ideale della concezione autoritaria dello Stato è il superamento dell’uomo, il suo dominio sulle forze fisiche della natura, il suo compenetramento nello spirito divino, attraverso l’obbedienza e la devozione verso l’eletto, che interpreta per il popolo l’anima e la volontà di Dio. I periodi degli esseri eletti, incarnatori del potere politico, guardati ed ubbiditi dagli uomini con il fervore della fede e con una soggezione che è più vicina alla devozione che all’ubbidienza, sono fatali nella storia dei popoli e segnano ineluttabilmente, checché possa affermarsi in contrario, i periodi aurei, di splendore, i periodi che vengono tramandati dalla storia e fissati nella pietra come epoche eroiche che indicano il continuo progredire e perfezionarsi dei popoli e degli Stati. Oggi, appunto, l’Italia Fascista, offre un esempio meraviglioso, solare di questa verità: la divina potenza del Duce che si impone ad ogni anima ed ogni intelletto. Gli italiani sentono profondamente che il Duce interpreta il loro pensieri, i loro sentimenti, le loro aspirazioni. E’ la volontà, è il pensiero del Duce che dettano all’Italia ed al mondo i fini rinnovatori e universali del Fascismo, creatore di un nuovo diritto: l’eterno diritto di Roma. Precisati questi concetti che fissano e giustificano l’inizio degli Stati Autoritari, con particolare riguardo allo Stato Fascista Corporativo, dobbiamo precisare che proprio nel periodo iniziale occorre fissare le norme costituzionali che consentano vita duratura alla nuova forma statale. Partendo dalla premessa che occorre superare il materialismo elezionistico delle concezioni liberali, ma tenendo anche conto che in genere gli esseri eletti non si succedono senza soluzioni di continuità ma si presentano nella storia a distanza di secoli, bisogna fissare una Costituzione e creare delle leggi che diano vita ad un sistema statale autoritario e gerarchico, cioè fondato sulla forza coattiva degli organi legiferanti e sulla perfetta precisazione delle competenze e dei reciproci rapporti dei vari organi fra di loro e nei riguardi del popolo: il tutto coordinato e guidato dai sovrani organi del “potere politico”. Potrà così sul serio affermarsi che lo Stato Fascista Corporativo, attua appieno il concetto dell’autogoverno del popolo attraverso il principio corporativo; ossia detto Stato consente che tutte le istituzioni statali siano realizzate dalle varie categorie dei cittadini-produttori, rispondendo da una parte alle aspirazioni, idee e interessi del popolo e attuando dall’altra un sistema selettivo gerarchico per cui i supremi dirigenti dello Stato, che si enucleano dal seno del popolo, siano in grado di conoscerne i desideri e di saperne attuare il benessere. Da questa nostra premessa riesce appieno comprensibile il concetto ispiratore della legislazione che va creando il Fascismo in tutti i campi dell’attività umana, legislazione ispirata a sani concetti sociali i quali tengono stretto conto delle necessità e dei desideri del popolo, legislazione basata su di una perfetta scala gerarchica fra i vari organi dello Stato emanatore del diritto.

LA GERARCHIA FASCISTA.

Anzitutto abbiamo la gerarchia delle fonti del diritto. Ma non di sola gerarchia agli effetti del diritto deve parlarsi a proposito degli organi statali, bensì tutta l’attività statale va, grazie al Fascismo vivificatore, gerarchizzandosi. Lo Stato Autoritario, mentre mira a rivalutare appieno le supreme autorità statali sganciandole dell’influsso di assemblee numerose irresponsabili e sottoposte alla possibilità di pressioni deleterie, intende organizzare un sistema gerarchico perfetto fondato sulla responsabilità degli organi inferiori nei confronti degli organi superiori, sul controllo degli organi superiori su quelli inferiori e sul consenso effettivo del popolo. Si tratta di un sistema gerarchico democratico cioè di una scala di posti gerarchici non riservati a categorie speciali o caste precostituite, bensì aperte liberamente a tutto il popolo. Certo ogni inizio porta inesorabilmente con sé molte scorie e incrostazioni del vicino passato. Così, specie sul campo economico, ancora può parlarsi di due specie di gerarchie: quelle di diritto e quelle di fatto; e può affermarsi come il sistema corporativo, sebbene sia sulla buona strada e abbia fatto passi veramente giganteschi, ancora non sia riuscito del tutto ad attuare il concetto gerarchico fascista del dominio della politica sull’economia. A ciò deve aggiungersi che ogni inizio di nuovi sistemi costituzionali offre infinite possibilità di errori e storture, specie, poi, quando si tratti di sistemi come quelli autoritari che, per essere sostanzialmente antielettivi, hanno in se stessi il pericolo di sboccare nell’abolizione di ogni controllo dal basso, con l’accontentarsi esclusivamente del generale consenso del popolo, ottenuto “a priori” una volta tanto, senza alcuna conferma a “posteriori”. Già nei precedenti capitoli ci siamo occupati delle sostanziali garanzie sulle quali basare ogni scelta di gerarchi nonché dei continui controlli dall’alto e delle possibilità periodiche da parte del popolo di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso sull’attività dei più importanti organi lello Stato; qui vogliamo soltanto ribadire ancora una volta il principio che lo Stato Autoritario Fascista — fondato soprattutto sulla grande conquista moderna della certezza del diritto e perfetta conoscenza del dovere — deve offrire ad ogni cittadino piena possibilità di tutela contro ogni atto arbitrario da parte dei gerarchi preposti ai vari organi ed enti statali. Quindi precisatasi ormai la struttura costituzionale fascista, fondata essenzialmente sui salutari principi dell’autorità e della gerarchia, due problemi — che sembrano soltanto pratici ma che hanno una fondamentale importanza sull’effettiva riuscita di tutto il sistema ideologico — si presentano al Regime Fascista per una soluzione benefica: il sistema di scelta dei gerarchi e i modi di manifestazione del consenso da parte del popolo. Pur dovendo necessariamente riconoscere che si sono verificati errori non lievi e storture, possiamo con soddisfazione e fede affermare che il Fascismo sta sul serio affrontando questi problemi e non è lontano il giorno in cui si potrà affermare che la nuova struttura costituzionale creata dal Regime Fascista risolva appieno i predetti due imperativi. Sulla soluzione che sarà data al problema del consenso del popolo e del controllo dal basso ci siamo già, sia pure brevemente, soffermati nei capitoli dedicati alla forma costituzionale generica di Stati Autoritari. Nel successivo capitolo di questo libro ci occuperemo, invece, delle manifestazioni concrete del sistema gerarchico fascista.

(estratto da “Principi di Diritto Fascista – AUTORITA’ E GERARCHIA”, Roma, 1940, Edizioni “Il Diritto Fascista”, pp. 69 – 83)

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VERA OPPOSIZIONE CATTOLICA E COSTRUZIONE DELLO STATO NAZIONALE POPOLARE! …invito alla riflessione politica rivolto ai cattolici ortodossi

Eterna lotta - Biblioteca del Covo

Ringraziamo il professor Aurelio Porfiri per averci chiesto un contributo originale rivolto a suscitare una riflessione politica sull’attuale momento storico, da pubblicare sul suo blog che si ispira alla Tradizione Cattolica (qui). Nell’accogliere il suo invito, abbiamo voluto rivolgerci direttamente ai cattolici ortodossi nella nostra qualità di fascisti, invitandoli a considerare gli elementi problematici di fondo dell’attuale sistema politico dominante. E’ possibile scaricare il testo dell’articolo in formato Pdf. digitando QUI! 

IlCovo

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In questi tempi di grandi contrasti e sofferenze, l’attenzione dei cittadini viene dirottata dalle istituzioni su un evento che, ciclicamente, assume aspetti peculiari ma sempre molto problematici: le elezioni. Tralascio il fatto che la “Repubblica italiana” non si è dotata nemmeno di una vera legge elettorale, oltre che di una chiara normativa che preveda l’obbligo della consultazione popolare nel momento in cui venisse a mancare una maggioranza di governo (ormai una costante!), ammesso che di vero “governo” (con tutto ciò che implica tale istituzione essenziale) si possa parlare. Invito perciò il lettore a riflettere non tanto su elementi transeunti, quanto sulle radici politiche dei problemi che attanagliano la cittadinanza intera ed in specifico i veri Cattolici.

La Vera Opposizione Cattolica

Questi ultimi anni di vero cataclisma Morale e Sociale, hanno portato alla ribalta l’assenza di un elemento politico tanto nominato quanto realmente misconosciuto: l’Opposizione. Questo termine, in regime demoliberale, configura una parte della cittadinanza, che in modo passivo e indiretto, avendo “votato” un partito o un gruppo di partiti, dovrebbe essere messa in condizione, a mezzo di essi, di esercitare un “controllo” sullo svolgimento dell’attività di Governo della “maggioranza” uscita presumibilmente vincitrice delle “elezioni politiche”. Tale è “l’opposizione” parlamentare in regime liberale democratico e come tale viene percepita dalla popolazione; che, se ancora non dovesse essere soddisfatta, per “opporsi ulteriormente”, può domandare il permesso alle pubbliche autorità di utilizzare la “piazza” allestendo manifestazioni (sovente eterodirette!), con la speranza che attraverso tali eventi si riesca a far pressione politica sugli stessi partiti seduti in parlamento. Sorge spontanea però una domanda: che reale capacità di controllo è concretamente possibile esercitare da parte dei cittadini che si “oppongono” in tal modo? Di fatto le vie “canoniche” previste dall’ordinamento demo-liberale non permettono ai cittadini alcuna possibilità effettiva né di controllo, né di verifica, né di reale partecipazione popolare al governo della res publica, men che meno nel caso italiano. Poiché non vi è nessun vincolo di mandato politico per i parlamentari e non vi è nessuna possibilità di scegliere realmente un politico, delegato direttamente dalla cittadinanza che lo vota, al di fuori delle liste preparate dai partiti, a loro volta preventivamente autorizzati nella loro stessa esistenza dalle istituzioni. Inoltre non vi è nessuna possibilità popolare di proporre indirizzi politici al parlamento, poiché la “Repubblica” è dotata esclusivamente di referendum abrogativi di leggi esistenti (che tra l’altro non impongono che esse possano esser ridiscusse sotto altra forma), e nel caso di modifiche che vertono la stessa costituzione – documento di già altamente problematico e criticabile in ogni suo punto, sia nella sostanza che per i modi in cui è stato varato (1) – il parlamento, con una maggioranza di 2/3, può operare in totale autonomia, come ha già fatto per l’introduzione del pareggio di bilancio. Anche in questo caso, la cittadinanza non solo non è rappresentata nella sua presunta “volontà”, ma non è nemmeno indirettamente coinvolta, perché i parlamentari che approvano le modifiche possono tranquillamente appartenere a gruppi trasversali della presunta “maggioranza” tanto quanto alla cosiddetta “opposizione”. La situazione concreta, che non è ascrivibile esclusivamente al “sistema Italia” (sebbene decisamente più problematico di altri), è di concreta “separazione” tra “classe politica” e volontà attiva della cittadinanza. Tale separazione effettiva, genera inevitabilmente un sistema di tipo oligarchico e lobbystico, dove non sono gli interessi Morali e Materiali della Cittadinanza organicamente intesa (declinati precisamente in questo ordine!) ad essere attuati, bensì quelli dettati da coloro che “governano”. Il motivo principale di questa sperequazione, risiede intrinsecamente nel tipo di Sistema Politico. Avendo legato il Governo alla “Maggioranza”, tale legame genera caos endemico, cioè, non relativo a qualche problematica di tipo giuridico o pratico, ma costitutivo del sistema demo-liberale in sé. Giacché quanto perora una “maggioranza” parlamentare non corrisponde a quel che perora la “minoranza”, elevando a Sistema la divisione del corpo politico-sociale nazionale, nel quale è contemplato esclusivamente il suddito atomizzato e slegato dagli interessi della collettività, che resta concretamente alla mercé del potere delle lobby, che di fatto gestiscono interamente la politica. Tale è la modalità del processo politico che vede la cittadinanza coinvolta nelle rappresentazioni elettorali, alla quale viene dato ad intendere di poter così sperare che in seguito ad esse, chissà quando, non si capisce concretamente come né da chi, le proprie istanze possano essere portate “in parlamento” e forse discusse! Per tale motivo, in questi anni di disastro politico, sociale, economico e sanitario, non si è potuta formare nessuna vera “opposizione” alla deriva tirannica in atto. Perché la cittadinanza non conosce il significato del termine, né le modalità summenzionate. La “opposizione” che è formalmente consentita nel sistema demo-liberale, non può generare nessun cambiamento, perché la cittadinanza non è tutelata da alcuna rappresentanza Gerarchica, Integrale, Sostanziale, Nazionale e Popolare; la Nazione non è più formata, rappresentata e tutelata dallo Stato, poiché l’abolizione dello Stato Nazionale data 1945 e non inizia affatto con la nascita dell’Unione Europea, che rappresenta solo l’esito intermedio per arrivare a quello finale dell’abolizione totale delle Identità nazionali e popolari (2).

In questo assetto, che la semplice Umana Ragione già deve respingere come inaccettabile per la gestione della Res Publica, vi è poi la “nuova Questione Romana”, inaugurata di fatto dall’avvento del “nuovo regime Demo-Liberale” post bellico, gestito in loco integralmente da istituzioni extra-nazionali (e anti-nazionali) in cui è evidente la longa manus della Massoneria internazionale. Il Cattolico Romano, in modo del tutto innaturale e in costante contraddizione con il Magistero Perenne e infallibile della Chiesa di Roma, è divenuto parte integrante, fondamentale, irrinunciabile, del nuovo regime Liberale Democratico, non soltanto nell’ex “bel Paese” ma nell’intero mondo. Si è consumata, dunque, la metamorfosi satanica dal Cattolico al Democristiano. Non è questa la sede per dibattere la genesi e l’identità del democristianismo. Basti però riferirsi al Magistero chiarissimo del santo Papa Pio X, che nella sua Notre Charge Apostolique, (3) ne tratteggia con lucidità l’identità e l’incompatibilità sostanziale (e non solo accidentale, come molti fanno credere cercando una quadratura del cerchio inesistente) col Cattolicesimo Romano. Sicuramente, poi, il Concilio Vaticano II ha rappresentato il “fattore scatenante” della diffusione globale di tale “pestilenza dell’anima”. In realtà, come mostra il documento papale succitato, la sovversione anti-critstica e anti-civile inizia con la diffusione delle idee liberali in Europa e nel Mondo. L’esempio più eclatante di tale democristianismo in relazione all’Italia è il Partito Popolare (presente nella assemblea della Unione Europea!) di Don Luigi Sturzo. Con la sua opera, il Sacerdote siciliano ha posto le basi imprescindibili per l’assetto odierno del Liberalismo Cristiano Democratico nostrano, che storicamente tanta parte ha nei mali che affliggono la Nazione. Il Partito Popolare è perfettamente speculare al Movimento Sillon, oggetto del magistero di Papa Sarto. Di fatto, si tratta di un movimento social-progressista, che usa la religione come “Cavallo di Troia” per arrivare alla “sintesi hegeliana” politico-sociale demo-liberale. In base a ciò, siccome l’Uomo è uno e inscindibile, il cittadino “credente”, muterà in modo “graduale”, divenendo di fatto un “protestante”, proiettando la visione dell’eresiarca Lutero in tutti gli ambiti della sua vita, facendo “naturalmente” sottostare la religione alla “ragione politica” individualista demoliberale. Seguendo gli sviluppi di tale processo politico, il Cristianesimo demo-liberale è divenuto gradualmente il vero “sacramento di redenzione” al posto della Croce del Nostro Signore Gesù Cristo, perché il democristiano si sente sempre “assolto” dalle “contingenze”, che soltanto lui può cercare di “equilibrare”, dovendo “rispettare e obbedire” a tutte le posizioni presenti nella Società, perché non farlo sarebbe, secondo lui, una “violenza” verso l’individuo. E il suo “dio” non vuole “violenza”, definendo arbitrariamente come tale tutto ciò che il democristiano decide essere tale. Dunque siamo in presenza di due assurdi logici e dottrinari: dove chi si definisce “Cattolico” è invece un democristiano, che risulta essere stato fondamentale per arrivare alla società distopica in cui viviamo; dove i “Cattolici”, in realtà democristiani, attraverso la loro “opera” nefasta hanno di fatto equiparato “Dio a Mammona”. La domanda vitale che a questo punto dobbiamo necessariamente porci in coscienza ed alla luce di tale consapevolezza è : in base a codeste considerazioni, quale dovrebbe essere la logica Azione politica esercitata dai veri Cattolici? La risposta è data dallo stesso San Pio X, ma prima ancora dalla Dottrina Cattolico-Romana: Opposizione Vera! Ovviamente, tale opposizione non può essere declinata secondo le modalità demoliberali, perché per poter esser reale, deve essere Opposizione al Liberalismo-democratico in quanto tale, poiché intrinsecamente incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo, quindi con la Dottrina Cattolica. Se il Cattolicesimo non fosse stato sostituito dal democristianismo, i Cattolici avrebbero costituito un fronte unitario di opposizione integrale, tale da rifiutare di partecipare direttamente al regime demoliberale parlamentare. Invece, grazie al popolarismo di matrice sturziana, si è fatto passare il parlamentarismo quale quintessenza del “dovere civico” del “buon cittadino” presumibilmente cattolico e dunque si è declinato il “rifiuto a collaborare con esso” quale astensione da un “dovere morale” ed atteggiamento inerte di fronte ai problemi della società. Invece le cose stanno esattamente all’opposto!

Costruzione dello Stato Nazionale e Popolare

Dunque, la “nuova Questione Romana”, a differenza di quella felicemente risolta con il Trattato e il Concordato Lateranense dell’ 11 Febbraio 1929 (4), è stata archiviata al modo liberaldemocratico. Come ebbe a scrivere il giurista fascista e cattolico Carlo Costamagna… “I termini del problema mutarono con l’avvento delle rivoluzioni individualiste. La soluzione negativa che prevalse durante il secolo XIX col «separatismo», secondo la formula «libera Chiesa in libero Stato», implicò l’atteggiamento dell’indifferenza, autorizzato, come si è detto poc’anzi, dalla svalutazione razionalista dell’esperienza religiosa. Significato ostile ebbe invece il metodo del «giurisdizionalismo anticonfessionale», adottato alla fine del secolo scorso da alcuni regimi socialdemocratici (Francia, Portogallo) e diretto contro le manifestazioni di qualunque organizzazione confessionale della religione”…(5). Al giorno d’oggi, seguendo il chiaro ragionamento di Costamagna, siamo al terzo “stadio” dell’aberrazione liberaldemocratica, quello del “giurisdizionalismo anticonfessionale anti-cristico” e ci siamo arrivati “grazie” all’apporto determinante del democristianismo, che eleva la “volontà popolare” non, per dirla con Papa Sarto, a mero strumento contingente che sia a valle della Regalità Sociale del Nostro Signore Gesù Cristo, e quindi della inscindibilità della Legge dello Stato dalla Legge di Dio, che garantisce il “Bene Comune” a credenti e non credenti; ma a “nuovo dio di carta straccia” della Società, assoggettata di fatto alle oligarchie plutocratico massoniche sataniche che manovrano occultamente tutti gli scenari politici economici e sociali! In un contesto come questo, non c’è nessuno stupore in merito alla discussione o approvazione di leggi rivoltanti ed antiumane, quali possono essere quelle sul suicidio assistito, quella sull’ aborto, e via proseguendo di aberrazione in aberrazione. Per il Cattolico Romano, rimasto tale (cioè ortodosso!), si impone una scelta morale irrinunciabile: l’opposizione vera e attiva mediante il rifiuto a collaborare a qualsiasi titolo con tale ignobile impalcatura distopica. Invece, nello stesso ambito del Cattolicesimo “ortodosso”, si accetta, di fatto, anche se “turandosi il famoso naso”, di partecipare a tale esecrabile sceneggiata, pensando in qualche modo (quale?) di poter contribuire a “porvi un argine”. L’illogicità di tale affermazione è data dalla realtà stessa: è impossibile abbattere un sistema, accettandolo ed operando in base a quanto esso prescrive. In una passata intervista ai Giuristi Cattolici, intervista che purtroppo non ebbe il risalto che meritava, si affermava quanto segue: “…Bisogna tener presente che lo Stato moderno è nato basato sull’affermazione della libertà di coscienza, che ha portato a costituire il potere politico come unica fonte di moralità… lo Stato separato dalla Chiesa tende anche a negare la presenza della fede nell’educazione o nella vita sociale. Da ciò deriva il dinamismo con cui il liberalismo scristianizza, come si vede in un mondo in cui i paradigmi della modernità forte si dissolvono in un discorso di matrice nichilista… bisogna distinguere, con la retta filosofia e la dottrina cattolica, tra libertà “di” coscienza e libertà “dalla” coscienza. La seconda, che la Chiesa difende, non è altro che il riflesso della legge morale oggettiva inscritta nella coscienza, in tutte le coscienze. La prima, invece, che è quella della cultura moderna e quella che si è imposta, presuppone la rivendicazione di un’autonomia morale soggettiva. Le conseguenze politiche di questa distinzione non sono di poco conto, perché la libertà “di” coscienza porta all’individualismo esasperato, che si risolve in una visione del diritto positivo come pura forza e presuppone il concetto di libertà negativa, cioè la libertà senza regole. Affermare che tutte le concezioni morali e religiose hanno diritto di cittadinanza, con l’unico limite che gli atti che ne derivano non danneggino altri, implica sostenere che ciascuno può, nella sfera privata, fare ciò che più gli piace… Bisogna tuttavia tracciare una distinzione parallela a quella che abbiamo proposto sulla libertà di coscienza. C’è anche un’obiezione “di” coscienza e un’obiezione “della” coscienza. E allo stesso modo, la prima risulta estranea e contraria alla cultura cattolica, mentre la seconda non solo è accettabile, ma può risultare anche obbligatoria in funzione delle circostanze. Per questo, attualmente si sente parlare molto di obiezione di coscienza. Ed è positiva quando presuppone il rifiuto di leggi fondamentalmente ingiuste, anche se spesso implica una certa ambiguità, per il contesto delle affermazioni politiche in cui si formula e che non sempre discerne chiaramente l’obiezione “della” coscienza dall’obiezione “di” coscienza. Per questa ragione, la vera resistenza di fronte alle ingerenze da parte dello Stato deve essere accompagnata dall’autentica affermazione della dottrina politica cattolica. E’ questa che sostiene che lo Stato (o meglio, la comunità politica) è uno strumento dell’ordine che si fonda su una costante morale, così che quando si prescinde da questa non solo si rifiuta quello che potremmo chiamare lo “Stato cattolico”, ma è lo “Stato” stesso a scomparire. Non capita però frequentemente di ascoltare questo tipo di affermazioni nel mondo cattolico contemporaneo, forse perché è stato “inghiottito” (anche in modo incosciente) dalla cultura liberale” (6). Questo “inghiottimento” innaturale, può essere combattuto dalla salutare medicina del Costituzionalismo espresso da esponenti filosofici, politici e religiosi, che hanno creduto e operato per la Costruzione di uno Stato realmente tale, ossia quello Nazionale e Popolare messo in cantiere dal regime di Benito Mussolini, ovverosia fondato su “una costante Morale”, legata inscindibilmente alla Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e alla Giustizia “per tutti” che da essa deriva: si tratta del Costituzionalismo espresso da teorici ufficiali del Partito fascista quali Alfredo Rocco, Carlo Costamagna, Sergio Panunzio, Giuseppe Bottai, Armando Carlini, Michele Federico Sciacca, Emilio Bodrero, non ultimo Carlo Alberto Biggini, solo per fare alcuni nomi, con relative monumentali Opere politico-giuridiche (7). Così dicendo, non si vuole “santificare” un “tipo di regime” che, come tutte le opere degli uomini, ha espresso elementi positivi e negativi. Si tratta invece di conoscere, studiare e applicare uno specifico tipo di costituzionalismo: quello espresso dalla Dottrina del Fascismo (8), che ovviamente non rappresenta il “male assoluto” dipinto dall’anticristianesimo militante, ma un punto di riferimento imprescindibile della Civiltà italiana, che in quanto tale è veracemente cattolico romana.

Stefano Fiorito – Associazione Culturale “IlCovo” – Studio del Fascismo.

NOTE 

1) Cfr. : https://bibliotecafascista.org/2022/02/19/la-civetta-di-minerva-batte-le-ali/ e qui:

2) Cfr. : https://bibliotecafascista.org/2016/05/07/rsi-lo-stato-legittimo/

3) Qui: https://www.museosanpiox.it/sanpiox/lettera-notre-charge-apostolique.html

4)Cfr. : https://bibliotecafascista.org/2022/02/10/la-conciliazione-luce-e-potenza/

5) Qui: https://bibliotecafascista.org/2016/04/20/costamagna-il-soggetto-dello-stato-fascista/

6) Qui: https://it.zenit.org/2009/10/16/accompagnare-l-obiezione-di-coscienza-con-la-dottrina-politica-cattolica/

7) Qui: https://www.lulu.com/spotlight/pirainofiorito

8) Qui: https://bibliotecafascista.org/2021/01/12/dottrina-fascista-atto-di-vita/

 

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UNA VERA COSTITUENTE PER L’ITALIA!

Costituente Fascista - Biblioteca del CovoCarissimi lettori, il titolo di questo articolo getta luce su di una questione che, come Associazione “IlCovo”, rappresenta uno dei pilastri della nostra critica politica. Di recente, come abbiamo ricordato (es: qui), se ne sta discutendo sempre più negli ambienti della cosiddetta “contestazione” sovranista, sebbene inevitabilmente in modo edulcorato, all’insegna di un fumoso riformismo, nell’ottica per noi palese di assorbire e cancellare determinate istanze, secondo quanto attuano da decenni tutte le “quinte colonne” ben infiltrate dal Sistema di potere vigente, proprio perché ad un certo momento, risulta inevitabile che taluni argomenti nodali (i proverbiali “nodi che vengono al pettine!”), posti in risalto da chi muove la propria critica su basi storiche, senza personalismi né secondi fini di sorta come è nostro costume, prendano piede e si diffondano tra la gente, con grande scorno dei “Pupari” e dei “pupazzi” del Sistema dominante!

Ma perché riferirsi in modo specifico, al cosiddetto “Manifesto di Verona” del Novembre 1943? (1) Per due motivi essenziali che di seguito veniamo subito ad illustrare: 

I°) Il “Manifesto di Verona” in senso lato NON E’ AFFATTO il programma politico contingente di “un partito”, tantomeno LO E’ in senso stretto del Partito Fascista Repubblicano, meno che mai di un gruppo politico di Destra o Sinistra di uno Stato antifascista.

Queste affermazioni potranno sembrare strane o contraddittorie solo per coloro che si sono “abbeverati” e credono alle varie “vulgate storiografiche antifasciste”, che purtroppo sono state diffuse ed inculcate a forza nella popolazione, spadroneggiando indisturbate per decenni. Difatti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo la carneficina subita dai fascisti “sconfitti”, l’assorbimento e cancellazione del consenso tributato al Governo di Mussolini, che pure era ancora ben presente nella popolazione, doveva avvenire con vari metodi, che abbiamo ricordato in più casi (es: qui). A livello politico, nel clima postbellico della neonata repubblica antifascista a trazione “Atlantica”, l’idea di spaccare la coesione ideologica interna a ciò che restava del Fascismo, creando a tavolino due “correnti”, una di “destra” ufficialmente “filo-atlantica” e presidenzialista, l’altra di “sinistra”, ufficialmente contestatrice dell’atlantismo e socializzatrice, ha contraddistinto permanentemente il mondo politico che proclamava apertamente la propria provenienza dal regime mussoliniano (o che come tale verrà sempre qualificato dalla stampa antifascista!), contribuendo con ciò in modo determinante a minare nell’opinione pubblica l’immagine ideologicamente unitaria dell’edificio filosofico-politico precedentemente diffusa in venti anni di regime fascista. Come abbiamo specificato nelle nostre ricerche (vedi qui), la tattica dei cosiddetti neofascisti missini, riferendosi al Fascismo come ad un movimento politico anti-ideologico inquadrabile nel sistema Liberale, ovvero, portatore di “correnti” che, secondo la loro fallace interpretazione, “soltanto il “Capo carismatico” era stato capace di “mantenere unite” per motivazioni meramente tattiche e “pragmatiche”, rese molto più semplice il loro già programmato assorbimento istituzionale nel nuovo Stato antifascista. Il cosiddetto “neofascismo”, creatura politica dei vincitori del secondo conflitto mondiale (al pari di tutti i partiti italiani!), nonché strumento DA SEMPRE utile per garantire gli equilibri già stabiliti a Yalta, è stato fondamentale anche in questo ambito. Il Movimento Sociale Italiano, creato proprio per stabilizzare tali equilibri, sfruttò ampiamente questo “doppio profilo” in modo spregiudicato, usando le proprie “correnti interne” di volta in volta sia per puntellare il partito di maggioranza di Governo, la Democrazia Cristiana, che facendo finta contemporaneamente di contestarlo. Ma in relazione al tema principale oggetto di questo nostro scritto, ci pare peculiare il riferimento che tutto il MSI, anche se principalmente nella sua “ala sinistra contestatrice”, aveva nel “Manifesto di Verona”. Infatti, quella che per l’opinione pubblica verrà sempre dipinta da Giornali e Televisioni come la “Destra”, si auto-definiva comunque da sempre come “sociale” (Movimento Sociale…), proprio perché vantava l’eredità del Manifesto e della REPUBBLICA di Mussolini, che era SOCIALE e ITALIANA, dunque Fascista. Invece, chi dall’interno di quel partito contestava tale linea, denunciando il tradimento di quell’eredità politica, però, lo faceva ugualmente sempre in base a quel “Manifesto”, attaccando la condotta politica della “dirigenza” del MSI qualificata come puntello dell’atlantismo, volendo utilizzare come “cavallo di Troia” proprio alcuni principi Sociali fascisti, che si diceva di voler perseguire concretamente e non soltanto in modo propagandistico. La paventata rivendicazione del fondamento “Sociale” del Fascismo (che sfociava non poche volte in veri e propri appelli al Socialismo!) da parte della “sinistra neofascista”, in contrapposizione con la “destra”, fu così non meno deleteria e funzionale nei riguardi della cosiddetta “strategia della tensione” rispetto al contraltare istituzionale rappresentato dalla “dirigenza” (emblematica al riguardo la vicenda di Vincenzo Vinciguerra, qui). Il risultato politico voluto ed ottenuto da chi manovrava gli equilibri  dell’intero arco partitico italiano, fu in questo caso quello di sgretolare l’Identità Fascista e di fagocitare il cosiddetto neofascismo nel Sistema di potere dominante, ideologicamente a traino dei due “blocchi” egemonici, USA ed URSS, con le rispettive “correnti” di “destra” e di “sinistra”, in tutto uguali agli altri gruppi politici istituzionali dell’arco parlamentare, sebbene tenendo sempre ad assumere esteriormente una patina di radicalità. Esattamente quello che ancor oggi avviene nel barcollante teatrino della pseudo-politica italiana, sebbene nomi e sigle siano mutate nel corso dei decenni ed il giochino sia ormai ampiamente sbugiardato, mettendo così a nudo la natura di quella che è una vera e propria “repubblica delle banane” senza alcuna sovranità e sottoposta all’arbitrio di poteri sovranazionali (qui). Proprio sulla base della interpretazione falsa che il “Manifesto di Verona” rappresenti il programma di un partito (per giunta “di sinistra”!) e che il Partito Fascista in quel frangente storico avesse “abbracciato” o fosse “ritornato” su di una linea politica di “sinistra”, si è riusciti a puntellare per decenni la “macchina dell’elettoralismo” post-bellico, coinvolgendo sia sul versante “destro che sinistro” quel consenso che prima era stato del Fascismo! Anche per questo motivo, oggi, come ieri, durante le immancabili “tornate elettorali”, utili solo a dare ai cittadini l’impressione menzognera di conservare un imprecisato potere decisionale nel processo politico, torna in voga la caccia ai “fascisti”, definendo come tali da parte dei media del Sistema, tutta una serie di soggetti politici che ideologicamente col Fascismo non hanno nulla a che vedere, ma casomai, ne rappresentano la diretta negazione con la loro stessa esistenza finalizzata esclusivamente a legittimare il moribondo baraccone liberal-democratico e le sue divisioni fittizie del corpo politico e sociale! (qui) Tutto ciò, ovviamente, mantenendo sempre quel “doppio profilo”, istituzionale e ufficioso che caratterizza da sempre tutti gli pseudo gruppi politici italy-oti, in virtù del quale è stato possibile puntellare per oltre 70 anni la “macchina del consenso” manipolato di cui sopra. Di fatto, tale architettura politica non è MAI cambiata, e lo schema si ripete ciclicamente dal 1946! 

II°) Il “Manifesto di Verona” in linea generale rappresenta il necessario preambolo alla vera Costituente popolare e sovrana e il suo fine riguarda l’odierna situazione nazionale italiana.

Certamente il Manifesto conserva tutti i tratti di una traccia di idee da sviluppare ulteriormente, principii che presuppongono la conoscenza del pregresso sviluppo politico ideologico e normativo del Partito Fascista e che si radicano nel Costituzionalismo Statuale proprio della Dottrina Fascista attuata fino al 1943 (ne abbiamo parlato qui), la cui eredità doveva proseguire nella forma della Repubblica Sociale Italiana. Sicuramente, all’interno dei punti  di cui esso è composto, si ritrovano tanto temi ideologici-cardine del Fascismo (sebbene essi non esauriscono affatto la Dottrina Fascista dello Stato!) aventi valore assiomatico ed irrinunciabile, così come evidenti temi politici contingenti che attengono all’evento bellico globale che fungeva da cornice storica di quel particolare frangente nel quale vennero elaborati, dunque suscettibili di cambiamenti e modifiche in ragione della mutabilità degli eventi. Uno di questi punti è palesemente il numero 7, in cui si trova la classificazione degli Ebrei quale “Nazione” in guerra contro l’Italia e pertanto considerati quali “nemici” “per la durata del conflitto”. Ma, esattamente al contrario di quanto viene propagandato in modo tanto ossessivo quanto pretestuoso dalla vulgata antifascista, proprio quell’articolo fa intendere chiaramente come tale status fosse contingente insieme alla relativa qualifica, entrambi aventi un vincolo legato ad un particolare evento storico, ambedue destinati pertanto a decadere con la fine delle ostilità (tema di cui abbiamo già scritto appositamente, es. qui). Innegabilmente, poi, se si vuol comprendere come sia stato possibile riuscire a degradare la concezione organica del Fascismo in una forma più o meno radicale di “Stato Sociale”, altrimenti detto Welfare State, va riconosciuto che la causa risiede nell’assolutizzazione forzata dell’articolo 12 del “Manifesto di Verona”, indebitamente trasformato in “punto cardine del programma di UN partito”, con ciò decontestualizzandone il contenuto tanto a livello ideologico che storico-politico. Ovviamente riconoscendo che tutto questo non sarebbe potuto accadere se taluni di coloro che avevano avuto rapporti col “regime Fascista”, non avessero contribuito essi stessi a frantumarne l’unità ideologico-dottrinale, generando così la “transizione morbida” verso il correntismo di “destra e sinistra” congeniale alla repubblica antifascista a trazione anglo-americana. Tuttavia quel che contraddistingue davvero in modo peculiare il “Manifesto di Verona” rivelandone l’intima essenza, venne specificato direttamente da Benito Mussolini, nello storico discorso tenuto al Teatro lirico di Milano il 16 Dicembre del 1944: “Nel mese di Ottobre (1943) fu da me elaborato e riveduto quello che nella storia politica italiana è il “manifesto di Verona”, che fissava in alcuni punti abbastanza determinati il programma non tanto del Partito, quanto della Repubblica.” (2) Dunque, viene autorevolmente confermato dallo stesso Duce che non di “programma di partito” si tratta, bensì di “programma della Repubblica”, più specificamente – come campeggiava persino nei titoli dei quotidiani del periodo e viene specificato ulteriormente nel punto 18 dello stesso documento – di un preambolo alla Assemblea Costituente. Proprio il “Congresso Fascista di Verona”, doveva confermare le linee politiche guida della ventura Assemblea Costituente, di cui gli articoli del Manifesto da esso approvato rappresentano le basi iniziali per la Costituenda Repubblica Fascista. In virtù di tali caratteristiche il Manifesto NON PUO’ assumere oggettivamente i caratteri di “programma di partito”, perché non gli sono propri. In proposito, va specificato che nell’esporre una serie di indirizzi di carattere politico e sociale, risulta indubitabilmente inoppugnabile che essi PRESUPPONGONO quale loro fondamento filosofico, morale e politico il contenuto della Dottrina del Fascismo, assunta integralmente a valore fondamentale di riferimento della Costituzione della Repubblica (che resta Fascista!), senza voler affatto sostituirsi ad essa dando vita a nuove teorie politiche. In breve, il Manifesto di Verona, espunto da tutto ciò che aveva esclusivamente a che fare con le contingenze belliche del particolare momento storico in cui venne elaborato, per quel che invece concerne i principi etici, politici e sociali generali che esso esprime, mostra tutt’ora la propria vitale attualità, proprio perché  in assoluta continuità ideologica con gli assiomi dottrinali ufficiali del Fascismo, incentrati sulla peculiare concezione Spirituale ed organicista che ne contraddistingue la visione del mondo (qui). Invece, anche in virtù della manipolazione attuata da parte delle istituzioni politiche della repubblica antifascista, di cui il neofascismo è parte integrante, essa ha potuto perseguire l’obiettivo della “strategia della tensione permanente” finalizzata a dividere il corpo politico e sociale della Nazione, avvalendosi della propria interpretazione distorta e occultando fino ad oggi persino il più reiterato dei messaggi politici di quel documento, che manifesta chiaramente quella che da 79 anni costituisce LA PIU’ IMPELLENTE NECESSITA’ STORICA DELL’ITALIA, ossia, di convocare una VERA ASSEMBLEA COSTITUENTE SOVRANA, che ancor oggi attende di essere indetta, coinvolgendo TUTTO il Popolo Italiano, nel momento in cui esso sarà davvero Libero!

Dunque, il “nodo gordiano” da sciogliere per essere davvero cittadini liberi e “Sovrani”, è quello di attuare la Sovranità Statale-Nazionale nel solco della nostra CIVILTA’, che è Romana e Cristiana, che nell’attuale situazione politica in cui versa la Nazione italiana, nessun pretestuoso ricorso ad elezioni fasulle, nessun partito, gruppo, associazione o “sindacato” quinta colonna del Sistema pluto-massonico globalista vigente, potrà mai recidere, essendo tutti costoro solo tentacoli di un potere criminale e satanico. Riuscirà solo IL POPOLO ITALIANO finalmente risvegliatosi dall’incubo distopico in cui è stato precipitato da un’accolita di farabutti prezzolati (qui), riuscirà alla luce del Costituzionalismo espresso dalla Dottrina del Fascismo e dalla Fede che deve ritrovare, riuscirà nel solco della vera identità espressa dal “Manifesto di Verona”!

IlCovo

NOTE

1) Testo integrale dei 18 Punti del Manifesto del Congresso del P.F.R., del 14 novembre 1943:

IN MATERIA COSTITUZIONALE E INTERNA

  1. – Sia convocata la Costituente, potere sovrano di origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l’ultimo re traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il capo.
  2. – La Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni amministrative comprendendo i rappresentanti delle province invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero. Comprenda altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati per minoranze; quelle degli italiani all’estero, quelle della magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione.
  3. La Costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino – soldato, lavoratore e contribuente, il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione. Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunciarsi sulla nomina del Capo della Repubblica. Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine dell’autorità giudiziaria. Nell’esercizio delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza.
  4. – La negativa esperienza elettorale già fatta dall’Italia e l’esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concili le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei Ministri da parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezioni di Fascio, salvo ratifica, e nomina del Direttorio nazionale da parte del Duce) sembra il più consigliabile.
  5. – L’organizzazione a cui compete l’educazione del popolo ai problemi politici è unica. Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell’idea rivoluzionaria. La sua tessera non è richiesta per alcun impiego od incarico.
  6. – La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti le leggi è rispettato.
  7. – Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

IN POLITICA ESTERA

  1. Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l’unità, l’indipendenza, l’integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla natura, dal sacrificio di sangue e dalla Storia, termini minacciati dal nemico con l’invasione e con le promesse ai governi rifugiati a Londra. Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra un’area insufficiente a nutrirli. Tale politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali :
  2. a) eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro continente;
  3. b) abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;
  4. c) valorizzazione a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni delle risorse naturali dell’Africa, nel rispetto assoluto di quei popoli, in specie musulmani, che come l’Egitto sono già civilmente e nazionalmente organizzati.

IN MATERIA SOCIALE

  1. – Base della Repubblica Sociale e suo soggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
  2. –  La proprietà privata, frutto del lavoro del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.
  3. – Nell’economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall’interesse singolo per entrare nell’interesse collettivo, appartiene alla sfera d’azione che è propria dello Stato. I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche devono venire gestiti dallo Stato a mezzo di enti parastatali.
  4. – In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente, attraverso una conoscenza diretta della gestione, all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori.   In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali commissioni di fabbrica, in altre sostituendo i consigli di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato. In altre ancora in forma di cooperativa parasindacale.
  5. – Nell’agricoltura, l’iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l’iniziativa stessa viene a mancare. L’esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione tra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell’economia agricola. Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l’impulso necessario.
  6. – E’ pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive, individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni.
  7. – Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale assorbendo l’istituto esistente e ampliandone al massimo l’azione provvede a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da affermare il principio generale che l’affitto, una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto, costituisce titolo d’acquisto. Come primo compito, l’Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie.      
  8. – Il lavoratore è iscritto d’autorità nel sindacato di categoria, senza che ciò impedisca di trasferirsi in altro sindacato quando ne abbia i requisiti. I sindacati convergono in un’unica Confederazione che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici. Essa si denomina Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti. I dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore. Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime fascista in un ventennio restano integre. La Carta del Lavoro ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l’ulteriore cammino.
  9. – In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso l’adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perché il provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci cooperativi, spacci d’azienda, estensione dei compiti della “Provvida”, requisizione dei negozi colpevoli di infrazioni e loro gestione parastatale o cooperativa, si ottenga il risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al risanamento del mercato. Quanto al mercato nero, si chiede che gli speculatori, al pari dei traditori e dei disfattisti, rientrino nella competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di morte.
  10. – Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare col popolo. Da parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi, domani: ributtare l’invasione schiavistica della plutocrazia anglo-americana, la quale, per mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita degli italiani. V’è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere.

2) Benito Mussolini, Opera Omnia, vol. XXXII, p. 130