giovedì 28 marzo 2019

COME L´ECONOMIA USA PROVOCO´ L´ATTACCO GIAPPONESE


Come l'economia di guerra USA provocò l'attacco giapponese


di Robert Higgs

Molte persone vengono ingannate dalle formalità. Per esempio, suppongono che gli Stati Uniti entrarono in guerra contro Germania e Giappone solo dopo che queste nazioni dichiararono loro guerra nel dicembre del 1941. In realtà, gli Stati Uniti erano in guerra molto prima di questa dichiarazione, una guerra con diverse forme.
Ad esempio, la marina militare americana aveva l'ordine di "sparare a vista" ai convogli [tedeschi] – a volte anche contro navi britanniche – nell'Atlantico del Nord, nel tratto dove passavano le spedizioni dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, anche se gli U-boat tedeschi avevano l'ordine di astenersi (e si astennero) dal cominciare attacchi contro le spedizioni statunitensi. USA e Gran Bretagna avevano accordi di intelligence, sviluppavano assieme armamenti, facevano test militari combinati e altre forme di cooperazione militare.

L'esercito statunitense cooperava attivamente con l'esercito britannico nelle operazioni di combattimento contro i tedeschi, ad esempio, quando avvistava i sottomarini tedeschi allertava la marina inglese così poi gli inglesi attaccavano. Il governo degli Stati Uniti si impegnò in molti modi per fornire assistenza militare ad inglesi, francesi, e sovietici che stavano combattendo i tedeschi. Il governo americano fornì armamenti ed assistenza, tra cui aerei e piloti, anche ai cinesi che erano in guerra con il Giappone. L'esercito americano si impegnò attivamente nel pianificare assieme agli inglesi, ai paesi del Commonwealth Britannico e alle Indie Orientali Olandesi future operazioni militari contro il Giappone. Molto importante fu il fatto che il governo americano si impegnò in una guerra economica, con misure sempre più stringenti, che portò il Giappone in una situazione molto difficile, che le autorità statunitensi ben compresero, li spinsero ad attaccare territori statunitensi e li forzarono a cercare di assicurarsi quelle materie prime essenziali nel Pacifico sulle quali americani, inglesi e olandesi (governo in esilio) avevano posto l'embargo.

Roosevelt aveva già portato gli Stati Uniti in guerra contro la Germania nella primavera del 1941 – una guerra su scala minore. Da allora aumentò via via la partecipazione militare statunitense. l'attacco giapponese del 7 dicembre gli permise di aumentare notevolmente la partecipazione ed ottenere una dichiarazione di guerra. Pearl Harbor viene rappresentata come la fine di una catena di eventi, con il contributo americano che riflette una strategia formulata dopo la caduta della Francia... Agli occhi di Roosevelt e dei suoi consiglieri le misure prese ad inizio 1941 giustificarono la dichiarazione di guerra tedesca contro gli Stati Uniti – una dichiarazione che non arrivò con disappunto... Roosevelt disse al suo ambasciatore in Francia, William Bullitt, che gli Stati Uniti sarebbero sicuramente entrati in guerra contro la Germania, ma dovevano aspettare un "incidente", e che era "fiducioso che la Germania ce lo avrebbe dato"... Stabilire una testimonianza in cui il nemico avesse sparato per primo era la tattica perseguita Roosevelt... [Alla fine] pare abbia concluso – correttamente, come poi risulterà – che sarebbe stato più facile provocare un attacco giapponese che uno tedesco.

L'affermazione che il Giappone attaccò gli Stati Uniti senza nessuna provocazione fu... tipica retorica. Funzionò perché il pubblico non sapeva che l'amministrazione aveva previsto che il Giappone avrebbe risposto con azioni militari alle misure anti-giapponesi prese nel luglio del 1941... Prevedendo la sconfitta in una guerra contro gli Stati Uniti – e in maniera disastrosa – i leader giapponesi provarono disperati negoziati. Su questo punto molti storici sono da tempo concordi. Nel frattempo, sono venute fuori le prove che Roosevelt e Hull avevano costantemente rifiutato ogni negoziato.... il Giappone... offrì compromessi e concessioni che gli Stati Uniti contrastavano con crescenti richieste... Fu dopo aver appreso della decisione che giapponesi sarebbero entrati in guerra contro gli Stati Uniti nel caso i negoziati si sarebbero "guastati" che Roosevelt decise di interromperli... Secondo il procuratore generale Francis Biddle, Roosevelt auspicava un "incidente" nel Pacifico per portare gli Stati Uniti nella guerra europea.

Questi fatti come numerosi altri che puntano nella stessa direzione non sono nulla di nuovo; molti di questi sono disponibili al pubblico già dagli anni '40. Fin dal 1953, chiunque abbia letto una raccolta di saggi molto documentati sui vari aspetti della politica estera degli Stati Uniti alla fine degli anni '30 e inizio '40, pubblicati da Harry Elmer Barnes, che mostravano i molti modi in cui il governo degli Stati Uniti sostenne la responsabilità dell'eventuale ingresso del paese nella Seconda Guerra Mondiale – mostravano, in breve, che l'amministrazione Roosevelt voleva portare il paese in guerra e di come lavorò d' astuzia su vari sentieri per arrivarci, prima o poi sarebbe entrato in guerra, preferibilmente in modo da riunire l'opinione pubblica nel sostenere la guerra facendo sembrare gli Stati Uniti una vittima di un’ aggressione senza provocazione. Come testimoniò il Segretario di Guerra Henry Stimson dopo il conflitto, "avevamo bisogno che i giapponesi facessero il primo passo."

Al momento, comunque, 70 anni dopo questi eventi, probabilmente non c' è un americano su 1000, anzi 10000, che abbia una vaga idea di questa storia. La fazione pro-Roosevelt, pro-americani, pro-Seconda Guerra Mondiale è stata così efficace che in questo paese l'insegnamento e la scrittura popolare sono totalmente dominati dalla visione che gli Stati Uniti si siano impegnati in una "Guerra Buona".

Alla fine del XIX secolo l'economia giapponese iniziò una rapida crescita ed industrializzazione. Dal momento che il Giappone ha poche risorse naturali, molte delle sue industrie in rapida crescita dovevano fare affidamento sulle importazioni di materie prime, come carbone, ferro, acciaio, stagno, rame, bauxite, gomma, e petrolio. Senza un accesso a queste importazioni, molte delle quali provenienti dagli Stati Uniti o dalle colonie europee del Sudest Asiatico, l'industria giapponese si sarebbe arrestata. Tuttavia, impegnandosi nel commercio internazionale, nel 1941 i giapponesi avevano costruito un' economia industriale piuttosto avanzata.

Allo stesso tempo, costruirono un complesso militare industriale per supportare una marina ed un esercito sempre più potente. Queste forze armate permettevano al Giappone di proiettare il suo potere in diverse zone del Pacifico e dell'Asia Orientale, comprendendo la Corea e il nord della Cina, proprio come gli Stati Uniti che usarono la loro industria in espansione per la realizzazione di armamenti che proiettarono il dominio statunitense nei Caraibi, America Latina, ed anche in paesi lontani come le Filippine.

Quando nel 1933 Franklin D. Roosevelt divenne presidente, il governo degli Stati Uniti cadde sotto il controllo di un uomo a cui non piacevano i giapponesi e nutriva un affetto per i cinesi dato che, hanno ipotizzato alcuni scrittori, i suoi antenati si erano arricchiti con il commercio con la Cina. A Roosevelt non piacevano neanche i tedeschi in generale, e particolarmente Adolf Hitler, e propendeva per favorire gli inglesi nelle relazioni personali e negli affari. Non prestò molta attenzione alla politica estera, finché il suo New Deal non cominciò ad esaurirsi nel 1937. In seguito si affidò molto alla politica estera per soddisfare le sue ambizioni politiche, come il suo desiderio di essere rieletto ad un terzo mandato senza precedenti.

Quando la Germania cominciò il riarmo e la ricerca del Lebnsraum (spazio vitale) in maniera aggressiva, alla fine degli anni '30, l'amministrazione Roosevelt collaborò con Francia e Gran Bretagna per contrastare l'espansione tedesca. Dopo che la Seconda Guerra Mondiale iniziò nel 1939, questa assistenza statunitense crebbe molto, includendo misure come il cosiddetto accordo dei cacciatorpedinieri e il programma dal nome ingannevole Lend-Lease. In previsione dell'ingresso in guerra degli Stati Uniti, il personale militare inglese e americano formulò piani segreti di operazioni congiunte. Le forze americane cercavano di creare un pretesto per giustificare l'ingresso in guerra, cooperando con la marina britannica, attaccando gli U-boat tedeschi nel nord dell'Atlantico, ma Hitler non abboccò all'esca, negando così a Roosevelt il pretesto che voleva gli Stati Uniti a tutti gli effetti un paese belligerante – una belligeranza che trovava l'opposizione della maggioranza degli americani.

Nel giugno 1940, Henty L. Stimson, che aveva servito come Segretario alla Guerra durante il mandato di William Howard Taft e come Segretario di Stato sotto Herbert Hoover, divenne ancora Segretario alla Guerra. Stimson era un leone anglofilo, faceva parte dell'elite del nordest, e non aveva nessuna simpatia per i giapponesi. A supporto della politica delle porte aperte con la Cina, Stimson favorì l'uso di sanzioni economiche per ostacolare l'avanzata giapponese in Asia. Il Segretario del Tesoro Henry Morgenthau e il Segretario dell'Interno Harold Ickes appoggiarono con forza questa politica. Roosevelt sperava che queste sanzioni avrebbero spinto i giapponesi a fare un errore avventato attaccando gli Stati Uniti, trascinando in guerra anche la Germania, dato che Germania e Giappone erano alleati.

L'amministrazione Roosevelt, mentre respingeva seccamente le aperture diplomatiche giapponesi per armonizzare le relazioni, imponeva una serie di sanzioni economiche sempre più stringenti. Nel 1939, gli Stati Uniti conclusero il trattato commerciale con il Giappone del 1911. "Il 2 luglio 1940, Roosevelt firmò l'Export Control Act, che autorizzava il presidente a concedere o negare le esportazioni di materiali di difesa essenziali." In base a tale autorità, "il 31 luglio, le esportazioni di carburante e lubrificanti per motori d' aereo, ferro e acciaio furono ridotte." In seguito, dal 16 ottobre, con una mossa contro il Giappone, Roosevelt decretò l'embargo "di tutte le esportazioni di ferro e acciaio non destinate alla Gran Bretagna e alle nazioni dell'emisfero occidentale." Alla fine, il 26 luglio 1941, Roosevelt "congelò gli asset giapponesi negli Stati Uniti, ponendo fine alle relazioni commerciali con il Giappone. Una settimana dopo Roosevelt vietò le esportazioni dei carburanti che ancora avevano mercato in Giappone." Inglesi e olandesi dalle loro colonie nel sudest asiatico seguirono a ruota, ponendo l'embargo alle esportazioni con il Giappone.

Roosevelt e i suoi collaboratori sapevano che stavano mettendo il Giappone in una posizione insostenibile e che il governo giapponese per tentare di sfuggire alla morsa sarebbe potuto entrare in guerra. Avendo decriptato il codice dei diplomatici giapponesi, i leader americani sapevano, tra le altre cose, che il Ministro degli Esteri Tejiro Toyda aveva comunicato il 31 luglio all'ambasciatore Kichisaburo Nomura che "Le relazioni commerciali ed economiche tra Giappone e paesi terzi, guidati da Inghilterra e Stati Uniti, sono diventate spaventosamente tese da non poter essere più sopportate. Di conseguenza, il nostro Impero, per salvare la sua stessa vita, deve prendere delle misure per assicurarsi le materie prime dei Mari del Sud."

Dato che i crittografi americani avevano decodificato anche i codici della marina giapponese, i leader di Washington sapevano che le "misure" giapponesi includevano un attacco a Pearl Harbor. Ma non diedero queste informazioni ai comandanti nelle Hawaii, che avrebbero potuto fronteggiare l'attacco o almeno prepararsi. Che Roosevelt e i suoi generali non abbiano suonato l'allarme ha perfettamente senso: dopo tutto, l'attacco imminente era quello che cercavano da tempo. Come confidò Stimson nei suoi diari dopo l'incontro del Gabinetto di Guerra del 25 novembre, "La questione era di come avremmo potuto manovrarli [i giapponesi] per farli sparare per primi senza danneggiarci troppo." Dopo l'attacco, Stimson confessò che "il mio primo sentimento fu di sollievo... la crisi era venuta nel modo che avrebbe unito il nostro popolo."

Fonte:Come Don Chisciotte





domenica 24 marzo 2019

CRIMINI COMUNISTI UNO

la bandiera del disonore e dell'infamia

La  Volante Rossa  
   



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Puro comunismo di ottima qualità Stalin
 
raccomandato a tutti quanti lo desiderano
 
I personaggi sotto indicati garantiscono il prodotto al 100%
 
Non si accettano restituzioni





Mao Tse-tung  Friedrich Engels  Karl Marx  Josif Stalin  Lenin















Antonio Gramsci Lev Trockij Karl Liebknecht Rosa Luxemburg Salot Sar detto Pol Pot
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I crimini in Unione Sovietica

Analisi dei crimini della dittatura di Stalin.

Le principali fasi della repressione in Unione Sovietica: fucilazione di decine di migliaia di persone imprigionate senza essere state sottoposte a giudizio e massacro di centinaia di migliaia di operai e di contadini insorti fra il 1918 e il 1922; deportazione ed eliminazione dei cosacchi del Don nel 1920; carestia russa del 1921-1923, che ha provocato la morte di 5 milioni di persone; assassinio di decine di migliaia di persone nei campi di concentramento fra il 1918 e il 1930; deportazione di 2 milioni di kulaki (o presunti tali) nel 1930-1932; sterminio di 6 milioni di ucraini nel 1932-1933 per carestia indotta e non soccorsa (Holodomor); eliminazione di quasi 690 mila persone durante la grandi purghe del 1937-1938; deportazione di centinaia di migliaia di polacchi, ucraini, baltici, moldavi, bessarabi, tedeschi, tatari, ceceni e ingusci negli anni fra il 1939 e il 1945.

La stima complessiva delle vittime è di 20 milioni.

Resto del mondo comunista

Cina Corea del Nord Cuba Vietnam Laos
Le stime attribuiscono le seguenti vittime ad altri paesi comunisti (o retti da regimi influenzati da ideologie di matrice comunista): Cina 65 milioni di vittime, Cambogia 2 milioni, Corea del Nord 2 milioni, Vietnam 1 milione, Europa dell'Est 1 milione, Africa 1.700.000, Afganistan 1.500.000, America latina 150 mila, partiti comunisti non al potere 10 mila.

Complessivamente queste stime conducono a un totale di quasi 100 milioni di vittime.

 

Perchè questi morti non sono ricordati?
Si commemora giustamente le vittime dell'olocausto nazista!
Si commemora giustamente tante altre vittime!
Se non bastano 100 milioni per essere ricordati a che cifra devono arrivare?

per
non
dimenticare


BUDAPEST, 23 OTTOBRE 1956


23 ottobre 1956. A Budapest migliaia di manifestanti scendono in strada in segno di solidarietà con l’immensa protesta di operai e studenti Polacchi repressa col sangue un mese prima. Viene abbattuta la statua gigante di Stalin nel parco municipale.
Il numero uno del Partito Comunista, parla alla radio: insulta gli studenti e gli operai e respinge le loro richieste. Poi ordina alla polizia politica di sparare sulla folla ammassata davanti al palazzo della radio: muoiono in 12. I manifestanti si impadroniscono delle armi di decine di poliziotti che non oppongono resistenza. Nella notte i blindati della 92ma divisione dell'Armata Rossa entrano a Budapest. Il 25 ottobre, inizia la rivolta in altre dieci città, cinque radio clandestine trasmettono nel paese, vengono distribuiti giornali clandestini e sono costituiti alcuni consigli di fabbrica.
31 ottobre.I blindati si ritirano dalla capitale. Mosca invia finti negoziatori che, per guadagnare tempo, assicurano che l'Armata Rossa sta lasciando il paese. Invece dopo quattro giorni i carri armati sovietici entrano a Budapest, la gente si difende con armi leggere e bottiglie molotov. I combattimenti continuano fino al 9 dicembre. Il 12 dicembre, quando viene istituita la legge marziale, i lavoratori proclamano uno sciopero generale, che durerà fino al 13 gennaio, quando viene decisa la pena di morte contro tutti gli scioperanti.
Il 20 marzo, il primo ministro si reca a Mosca a rendere omaggio all’intervento sovietico. Il 27 aprile firmerà gli accordi di "stazionamento temporaneo" delle truppe sovietiche in Ungheria. vi resteranno ancora trentadue anni.


Quando la Morte arriva cantando: "BANDIERA ROSSA".
 

Devastazioni e Stragi di massa nascosti per 50 anni!
 
Lenin e Stalin




La loro mascotte


Il vero colore del comunismo: "il rosso sangue"   


Questi uomini sono gli artefici dell'ideologia che ha causato centinaia di milioni di morti !

Adesso sono scomparsi, ma i loro diabolici ideali ancora continuano ad uccidere.

 

domenica 17 marzo 2019

VOGLIA DI GUERRA

Voglia di guerra

GIUSTIZIA KILLER E AMBIGUITA' GUERRA-OPERAZIONE DI POLIZIA

Nello scacchiere mondiale gli USA  (imitati da Israele) giocano sempre di più sull'ambiguità fra diritto e uso della forza, fra operazione di polizia e atto di guerra, fra esercizio della giustizia e assassinio.
Annullando nella pratica le norme più elementari del diritto, la Casa Bianca ci riporta indietro di molti secoli, riproponendo la barbarie della propria idea di giustizia. Persone sgradite al governo di Washington vengono accusate senza prove di certi reati, condannate a morte con una semplice dichiarazione, e l'esercito degli Stati Uniti si ritiene in diritto di intervenire nel territorio di qualunque paese del mondo per eseguire queste condanne a morte, anche uccidendo anche migliaia di altre persone innocenti.
  • 1980. Un tentativo di abbattere l'aereo su cui viaggia il presidente libico Gheddafi, operazione nella quale sono coinvolti aerei USA e della NATO, si conclude con l'abbattimento di un DC9 Itavia con 81 passeggeri a bordo. Dopo oltre vent'anni la magistratura sta ancora indagando sui fatti, lottando contro i depistaggi messi in atto dalla NATO per impedire che si faccia piena luce sulla  tragedia.
  • Dopo un attentato contro alcuni militari americani in Germania, gli USA accusano, senza prove, il presidente libico Gheddafi, bombardano Tripoli e Bengasi facendo molte vittime civili. Concentrando alcuni  attacchi sulla sua residenza, tentano di uccidere lo stesso Gheddafi, colpendo a morte una sua giovane figlia.
  • Durante la guerra del Golfo del 1991, gli USA tentano disperatamente di uccidere Saddam Hussein, e questa ossessione li spinge a colpire diversi obbiettivi civili (Amiria).
  • Nel corso dell'intervento in Jugoslavia del 1999 viene bombardata l'abitazione del presidente Milosevic.
  • L'intervento in Afghanistan del 2001-2002 viene giustificato col tentativo di uccidere Bin Laden e i membri di Al Qaeda, accusati, senza prove, di essere gli esecutori degli attentati dell'11 settembre in USA (solo successivamente Bin Laden rivendicherà gli attentati). I Talebani vengono sterminati solo perché, prima di consegnare Bin Laden, chiedono - come farebbe qualunque governo - che vengano fornite le prove della sua colpevolezza. Il Mullah Omar, per il semplice fatto di essere leader dei Talebani, ricercato con tutti i mezzi per l'uccisine immediata, è obbiettivo (mancato, sembra) di innumerevoli missili e bombe teleguidate.
  • Il 4 novembre 2002 Saed Sunian al-Harthi, presunto membro di Al Qaeda, individuato nello Yemen dalle telecamere di un aereo teleguidato  Predator viene ucciso, assieme a cinque persone che viaggiano con lui, lanciando un missile “Hellfire” che  incenerisce la loro auto.
L'assassinio senza prove e senza processo, e con coinvolgimento di altre persone innocenti, è diventato una prassi normale per gli USA.
Anche la pratica di intraprendere azioni militari di attacco senza che vi sia una dichiarazione di guerra, consente agli Stati Uniti ogni abuso. Il riconoscimento dello stato di guerra o meno, è essenziale ai fini del diritto penale. Per il giudice, chi uccide è un assassino in tempo di pace, non lo è invece il combattente in guerra, da qualunque parte stia.
Maestro di criminale doppiezza è il governo israeliano: soldati di Tel Aviv quasi ogni giorno attaccano città palestinesi uccidendo sia uomini in armi che civili (persino un giornalista italiano): per quelle stragi ma non vengono giudicati. Quando invece gli stessi soldati catturano palestinesi accusati di avere sparato o messo bombe, o di detenere semplicemente armi, li consegnano ai tribunali che li giudicano come criminali comuni.
I prigionieri catturati in Afghanistan sono com­battenti, peraltro di una nazione aggredita. Secondo le norme del diritto internazionale non possono neppure essere interrogati, e alla fine del conflitto, devono essere liberati. Invece sono stati trasportati nella base USA di Guantanamo, tenuti in condizioni inumane (perennemente con i piedi legati, in gabbie individuali,  all'aperto, totalmente isolati dagli altri e dal resto del mondo, interrogati e probabilmente torturati. Ven­gono giudicati da uno speciale tribunale militare senza che alcuno possa tute­lare i loro diritti ele­mentari (non vengono riconosciuti loro né le tutele dei prigionieri di guerra, né quelle dei criminali comuni). Tuttavia uno dei  prigionieri, John Walker Lindh, essendo di nazionalità americana, è stato separato dagli altri, portato in patria, e giudicato - con una certa clemenza - da un normale tribunale civile.
Gli attentati dell'11 settembre 2001 sono stati presi a pretesto dal governo americano per sospendere, in caso di persone sospettate di terrorismo internazionale, ogni garanzia giuridica, e avviare arresti e detenzioni coperte da segreto.
Ma peggiore sorte è toccata a circa 3000 Talebani catturati a Mazar-I-Sharif: prima sono stati dalle forze speciali USA interrogati e torturati con percosse per indurli a fornire informazioni su Al Qaeda; poi, da reparti di una milizia locale afgana  ma alla presenza di diversi militari americani, sono stati rinchiusi per diversi giorni in container; e in parte lasciati morire di fame, disidratazione o mancanza d'aria, in parte passati per le armi e sepolti in una grande fossa a Dasht Leile

DISPREZZO PER GLI ACCORDI  INTERNAZIONALI

 L'amministrazione Bush ha denunciato e boicottato un'infinità di convenzioni e importantissimi accordi internazionali. Non è solo il Protocollo di Kyoto sull'ambiente ad essere stato denunciato dagli Stati uniti.
  1. Nel dicembre 2001 gli Stati Uniti si ritirano ufficialmente dal Trattato sui missili antibalistici del 1972, distruggendo un accordo storico. Per la prima volta nell'era nucleare gli Usa rinunciano a un importante accordo sul controllo degli armamenti. 
  2. Convenzione sulle armi biologiche e tossiche del 1972, ratificata da 144 paesi tra cui gli Stati Uniti. Nel luglio 2001 gli Usa abbandonano una conferenza a Londra in cui si discuteva un protocollo del 1994, finalizzato a rafforzare la Convenzione provvedendo a ispezioni sul posto. A Ginevra, nel novembre 2001, il sottosegretario di stato John Bolton afferma che "il protocollo è morto" e contemporaneamente accusa Iraq, Iran, Corea del Nord, Libia, Sudan e Siria di violare la Convenzione, ma senza fornire prove o formulare accuse specifiche. 
  3. Accordo delle Nazioni Unite per mettere un freno al traffico internazionale illegale di armi leggere, luglio 2001: gli Stati uniti sono l'unico paese a opporsi. 
  4. Aprile 2001. Gli Stati uniti non vengono rieletti a capo della Commissione dell'ONU sui diritti umani, dopo essersi sottratti per anni al pagamento delle quote dovute alle Nazioni Unite (tra cui le attuali quote di 244 milioni di dollari) - e dopo aver costretto l'ONU ad abbassare la quota del budget spettante agli Usa dal 25 al 22%. (Nella commissione per i diritti umani, gli Usa sono virtualmente gli unici a opporsi alle risoluzioni che sostengono l'accesso a costi ridotti ai farmaci per l'Hiv/Aids, che riconoscono una alimentazione adeguata come diritto umano fondamentale, e che chiedono una moratoria sulla pena di morte.) 
  5. Trattato sul tribunale penale internazionale da insediare all'Aia per giudicare militari e leader politici accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Firmato a Roma nel luglio 1998, il trattato è stato approvato da 120 paesi, con sette voti contrari (tra cui quello degli Stati uniti). Nell'ottobre 2001 la Gran Bretagna diventa la quarantaduesima nazione a firmare. Nel dicembre 2001 il senato americano aggiunge un emendamento a una proposta di legge per stanziamenti militari in base alla quale il personale militare Usa non ricadrebbe sotto la giurisdizione del proposto tribunale penale internazionale. 
  6. Trattato per il bando delle mine terrestri, firmato a Ottawa nel dicembre 1997 da 122 paesi. Gli Stati Uniti si rifiutano di firmare insieme a Russia, Cina, India, Pakistan, Iran, Iraq, Vietnam, Egitto e Turchia. Il presidente Clinton respinge il trattato, sostenendo che le mine sarebbero necessarie per proteggere la Corea del Sud contro l' "enorme vantaggio militare" della Corea del Nord. Clinton dichiara che gli Stati uniti aderiranno all'accordo "in seguito", nel 2006. Bush sconfessa questa dichiarazione nell'agosto 2001. 
  7. Protocollo di Kyoto per ridurre il surriscaldamento globale, 1997. Il presidente Bush lo dichiara "morto" nel marzo 2001. Nel novembre 2001 l'amministrazione Bush snobba i negoziati di Marrakesh (Marocco), finalizzate a rivedere l'accordo, soprattutto annacquandolo in un vano tentativo di ottenere l'approvazione degli Stati Uniti. 
  8. Maggio 2001. Gli Stati Uniti si rifiutano di incontrare i paesi dell'Unione europea per discutere, anche ai più bassi livelli di governo, lo spionaggio economico e la sorveglianza elettronica di telefonate, e-mail e fax (il programma Usa Echelon che ancora oggi continua a spiare qualsiasi forma di comunicazione esistente). 
  9. Maggio 2001. Gli Stati Uniti si rifiutano di partecipare ai colloqui sponsorizzati dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico a Parigi, sui modi per reprimere i paradisi off-shore finalizzati all'evasione fiscale e al riciclaggio del denaro sporco. 
  10. Febbraio 2001. Gli Stati Uniti si rifiutano di unirsi ai 123 paesi impegnati a bandire l'uso e la produzione di mine e bombe anti-persona. 
  11. Settembre 2001. Gli Stati Uniti si ritirano dalla Conferenza internazionale sul razzismo, che riunisce 163 paesi a Durban, Sudafrica. Il pretesto è che è "unilaterale" e "contro Israele". 
  12. Luglio 2001. Piano internazionale per un'energia più pulita: il gruppo G8 dei paesi industrializzati (Stati uniti, Canada, Giappone, Russia, Germania, Francia, Italia, Regno Unito): gli Usa sono l'unico paese a opporsi. 
  13. L'imposizione di un boicottaggio illegale nei confronti di Cuba, che attualmente sta diventando ancora più aspro. Nell'ottobre 2001, per il decimo anno consecutivo, l'Assemblea generale della Nazioni Unite approva una risoluzione che chiede la fine dell'embargo Usa, con 167 voti a 3: Stati uniti, Israele e le isole Marshall. 
  14. Trattato sul bando totale dei test nucleari. Firmato da 164 paesi e ratificato da 89 paesi compresi Francia, Gran Bretagna e Russia. Firmato dal presidente Clinton nel 1996 ma rigettato dal senato americano nel 1999. Gli Stati uniti sono uno dei tredici paesi che non hanno ratificato il trattato, tra quelli che hanno armi nucleari o programmi sull'energia nucleare. Nel novembre 2001, gli USA impongono un voto nel Comitato dell'ONU sul disarmo e la sicurezza per dimostrare la loro opposizione al trattato sul bando dei test. 
  15.  Nel 1986 la Corte internazionale di giustizia dell'Aja dichiara gli Stati Uniti colpevoli di violazione del diritto internazionale per "uso illegittimo della forza" in Nicaragua, attraverso i suoi interventi e quelli del suo esercito per procura, i contras (una guerra dell'amministrazione Reagan con 30 mila morti, centinaia di villaggi cancellati e 1 milione 350 mila profughi su una popolazione di 3,8 ml. di abitanti). Gli Usa rifiutano di riconoscere la giurisdizione della Corte. Una risoluzione delle Nazioni Unite che chiede l'osservanza della decisione della Corte viene approvata per 94 voti contro due: Stati Uniti e Israele.
  16. Nel 1984 gli Stati uniti lasciano l'UNESCO e cessano i loro versamenti al budget dell' United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization in seguito al progetto New World Information and Communication Order (Nwico) finalizzato a ridurre la dipendenza dei media mondiali dalle big four: le agenzie Ap, Upi, France Presse, Reuters. Gli Usa accusano l'UNESCO di "limitazione della libertà di stampa", di cattiva gestione e di altre cose ancora, nonostante il voto di 148 contro uno a favore del progetto Nwico nell'ONU. L'UNESCO termina il progetto Nwico nel 1989. Nonostante questo gli Stati Uniti si rifiutano di rientrare. Nel 1995 l'amministrazione Clinton propone di rientrare; la mossa viene bloccata dal Congresso e Clinton non insiste sulla questione. Alla fine, nel febbraio 2000, gli Stati Uniti pagano una parte degli arretrati alle Nazioni unite, ma escludono l'UNESCO, agenzia in cui non sono più rientrati. 
  17. 1989. Protocollo opzionale al Patto internazionale dell'ONU sui diritti civili e politici, finalizzato all'abolizione della pena di morte e contenente una norma che bandisce la condanna a morte per coloro che hanno meno di 18 anni. Gli Stati Uniti non firmano né ratificano il protocollo, e si auto-esonerano dalla norma predetta, diventando uno dei cinque paesi che ancora condannano a morte i minori (con Arabia saudita, Repubblica democratica del Congo, Iran, Nigeria). La Cina ha abolito questa pratica nel 1997, il Pakistan nel 2000. 
  18. Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, che copre un'ampia gamma di diritti ed è monitorato dal Committee on Economic, Social and Cultural Rights. Gli Stati Uniti hanno firmato nel 1977 ma non l'hanno ratificato. 
  19. Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, 1948. Gli Stati Uniti l'hanno infine ratificata nel 1988, aggiungendo svariate "riserve" col risultato che per giudicare se un qualunque "atto nel corso di conflitti armati" costituisce genocidio, bisogna consultare obbligatoriamente la Costituzione americana e il "consiglio e consenso" del senato. Le riserve sono rigettate da Gran Bretagna, Italia, Danimarca, Olanda, Spagna, Grecia, Messico, Estoni

  20.  

sabato 9 marzo 2019

17 MARZO 2019, 158° DELL’UNITA’ D’ITALIA

17 MARZO 2019, 158° DELL’UNITA’ D’ITALIA

Il 17 Marzo 2019 è la data in cui ricorre il 158° anniversario dell’unità d’Italia e sarà festa nazionale.
Dalla “Notte tricolore” di Roma ai festeggiamenti di Bari e di tutte le città italiane.
Lo sarà per tutti?
Certamente lo sarà per coloro che non hanno remore di natura separatista motivate da un cinico e becero egoismo e di natura razzista ancora più stupida visto che il cuore della cultura italiana, sia per tradizione che per collocazione attuale non sta certamente al nord dove alligna il movimento della Lega che è l’unica forza ostile all’unità d’Italia.
Tanto per chiarire, chi scrive è nativo di Torino e quindi la nostra non è una difesa d’ufficio del meridione, ma dell’italianità perché per noi tutti gli italiani sono fratelli dal Brennero a Lampedusa.
Certo, ci sono dei fratelli che hanno dei difetti e noi non manchiamo di segnalarli ed anche di rinfacciarli, ma con lo spirito con il quale lo rinfacceremmo in famiglia, con rabbia, ma con affetto e soprattutto con la voglia di vedervi porre rimedio perché li consideriamo il nostro stesso sangue!
Non consideriamo invece nostri fratelli tutti coloro che non si riconoscono nell’Italia unita, dai “crucchi” dell’alto Adige ai leghisti della cosiddetta Padania, realtà esistente solo nelle menti bacate di Bossi e dei leghisti dato che tra un piemontese ed un veneto non ci sono più affinità, né ci sono maggiori differenze culturali che tra un lombardo ed un abruzzese o tra un emiliano ed un pugliese!
Certo, a fare leva sull’egoismo e sull’ignoranza si trovano sempre dei clienti anche perché “la madre dei cretini è sempre incinta”, ma non a caso essi sono una minoranza tra la totalità degli italiani così come sono minoranza, seppure consistente, anche al nord dove hanno le loro radici.
Ma non guastiamoci il fegato con il raglio di quattro asini e pensiamo invece a fare festa per ricordare che, dopo secoli di divisioni volute dalla chiesa e delle grandi potenze straniere, finalmente, per i sacrifici, l’intelligenza, la tenacia e l’amore di tanti patrioti di tutti i ceti sociali, l’Italia è tornata ad essere una terra di fratelli sotto un’unica bandiera!
Il sangue che Piemontesi assieme a Siciliani, Lombardi assieme a Campani, Veneti assieme a Pugliesi, Emiliani assieme a Calabresi hanno poi versato in nome dell’Italia nelle varie guerre in Patria ed all’estero sono un cemento che nessuno potrà mai frantumare e che resisterà alle chiacchiere idiote di coloro che il 17 Marzo non festeggeranno!
Per noi la Patria italiana è quella:
Della stessa Storia
Di un’unica Cultura (che gli anti-Nazionalisti non conoscono per colpa della loro ignoranza)
Di Macchiavelli, Michelangelo,Volta, Marconi, Pirandello, Dante, Giotto, Vivaldi, Lorenzo de’Medici, Fermi , Croce, Verdi, Puccini, G.Cesare, Cavour, S.Francesco, Leonardo da Vinci, Claudio Abbado, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.
Degli Alpini, dei legionari della X°Mas, dei soldati di Torino e di Catanzaro che insieme combatterono e morirono nel nome dell’Italia, sul suolo della comune Patria e d in terre sconosciute ed estranee.
Della stessa lingua, della stessa cultura che derivano da un’unica matrice e che tutti ci affratella al di là delle differenze di credo religioso o politico e che all’estero ci fa sentire come appartenenti ad una comunità, che ci fa sentire affini tra di noi più che con coloro che Italiani non sono.
Dell’unità di gusti, di emozioni, di cielo, di colori, di sapori di quanto insomma ci fa sentire a casa se siamo qui ed estranei se siamo all’estero.
Dell’orgoglio provato nel pensare di essere conterranei di uomini che hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo della civiltà umana.
Ecco perché noi il 17 Marzo festeggeremo con orgoglio e con commozione il 150° anniversario dell’unità d’Italia, magari dimenticando, per carità di Patria, che quei comunisti che oggi girano con la coccarda tricolore, negli anni 50 e 60 ci aggredivano quando noi sventolavamo quello stesso tricolore nei nostri cortei!
Alessandro Mezzano
                                                                                                                                                      



domenica 3 marzo 2019

LO SCHIAVISMO IN SOMALIA FU VIETATO DAL FASCISMO

Lo schiavismo in Somalia fu debellato dal primo governatore fascista

L’8 dicembre 1923, quando il de Vecchi sbarcò a Mogadiscio, molte zone della Somalia erano ancora soggette allo schiavismo praticato da diversi clan ai danni dei clan più deboli e piccoli.
Il de Vecchi con decisione volle porre fino a questa barbara usanza di sfruttamento degli esseri umani.
Ma il suo intervento creò subito alcuni attriti: “Non veniamo da lei a nessun costo poiché lei ha rotto il patto che c’era tra noi. Tutti i nostri schiavi sono fuggiti e passati dalla sua parte e lei ha dato l’ordine di liberarli – scriveva il 12 marzo 1924 il capo dei Galgial Bersane, Scek Agi Assan Bersane, al Residente italiano di Mahaddei – Quest’azione non ci rende felici. Secondo la nostra legge, noi possiamo mettere i nostri schiavi in prigione e sottoporli a lavoro forzato. Per il Profeta e per tutti i Santi, noi siamo buonissimi Mussulmani. Il governo ha le sue leggi e noi abbiamo le nostre; noi non accettiamo nessuna legge se non la nostra. La nostra legge è la legge di Allah e del Profeta; noi non siamo come altra gente, lei non ha mai visto la nostra gente arruolata come Gogles, nessuna delle nostre donne è passata dalla sua parte. Ora, se lei ci rimanda tutti i nostri schiavi, sia quelli che si sono uniti a voi prima che quelli che sono venuti successivamente, scortati da 30 o 40 Gogles, e fa tutto ciò che le stiamo chiedendo, va bene. Se lei non lo fa, noi non veniamo da lei come richiesto nella sua lettera. Noi rispettiamo tutti i Mussulmani e il governo, ma non quelli che sono in guerra con noi. Lei conosce la natura dei suoi assoggettati. Perché ha fatto questo ai nostri schiavi? Se ha bisogno di tranquillità tra i suoi assoggettati, ci faccia questo favore, altrimenti sarà ritenuto responsabile di quanto accadrà. Se verrà nella nostra terra a farci guerra, noi ci difenderemo con ogni mezzo come abbiamo fatto contro i Darvisci. Allah ha detto ‘Un piccolo gruppo può combattere e sconfiggere un grande gruppo’. Il mondo sta per finire, mancano solo 58 anni alla fine. Noi non vogliamo stare al mondo, è meglio morire in seno alla Legge Islamica. Tutti i Mussulmani sono un unico corpo compatto.”
Dunque in Somalia un nuovo ordine andava creandosi con l’avvento del fascismo, contro l’oppressione dei forti, che avrebbe creato una nuova stabilità sociale per un miglior destino di quei clan sottomessi e schiavizzati. Non c’è dunque da meravigliarsi se fra i somali ve ne fossero, non pochi, che passarono con piacere dalla parte del Governo.
Però è interessante notare come “lo stile e la sostanza della lettera sono in totale contrasto con il carattere della lotta nazionalista e anti-colonialista attribuita a questo religioso negli anni ’70 dal regime militare somalo. Lo Sheikh sembrava più preoccupato per la perdita dei suoi schiavi che per altre considerazioni. Rivendicava il diritto di sfruttare e disumanizzare altri esseri umani nati liberi come lui in nome della religione.”(2)
Lo Sheikh Hassan fu sconfitto e “i ribelli somali presto furono convinti che i pochi possono essere sconfitti dai molti.”(3)
Il capo ribelle fu catturato il 4 aprile e condannato a trent’anni di prigione dal Tribunale Regionale del Uebi Scebeli, secondo le regolari leggi della magistratura per gli ordinamenti delle Colonie, redatte prima dell’avvento del fascismo e mai modificate. Morì di malaria il 28 gennaio 1927 nella prigione centrale di Mogadiscio.
Chi dunque in tempi recenti parla di schiavismo italiano in Somalia non solo tace questi documenti ma anche fa finta di non ricordare che gli italiani, storicamente, sia ben chiaro, non hanno mai avuto tradizioni di schiavismo di sorta e che questa prassi venne portata avanti negli anni, come per esempio durante la conquista dell’Etiopia, quando il Generale De Bono, come primo atto in quelle terre promulgò, il 3 ottobre 1935, l’abolizione della schiavitù nel Tigrè.
Non va inoltre dimenticato che in Africa la tratta degli schiavi era il commercio più lucrativo che ci fosse e che per secoli aveva scoraggiato qualunque altra forma di commercio e che la sua iniquità fu una tarda scoperta della coscienza europea cristiana e l’abolizione della stessa un mero interesse commerciale inglese. Nel XVIII sec. i piantatori delle Indie occidentali, che per le loro piantagioni di zucchero si servivano di manodopera servile, iniziarono a portare con sé in Inghilterra i loro schiavi domestici divenendo un facile bersaglio per gli attacchi dei Cristiani più radicali. Nella legge inglese siccome non era previsto nulla che assomigliasse alla schiavitù, nel 1772 Lord Mansfield, a capo di un piccolo gruppo di pressione, composto soprattutto da cristiani evangelici, ebbe la sua prima vittoria attraverso una implacabile campagna contro il traffico inglese di schiavi, che arrivò più tardi anche nei territori britannici d’oltremare colpendo così l’istituto della schiavitù.
Fu così che nel 1807 il Parlamento inglese votò una legge che dichiarava illegale il traffico degli schiavi per tutti i sudditi britannici, imponendo per decreto, quattro anni dopo, multe altissime per chi seguitasse in quel commercio, sancendo così il termine della loro tratta degli schiavi.
Ma una volta abbandonata la schiavitù, l’Inghilterra si diede subito a reprimerne tale pratica da parte delle altre nazioni, non certo per pura filantropia ma per semplici ragioni commerciali: la soppressione sul piano internazionale di tale esercizio, prima che potessero svilupparsi scambi regolari fra l’Africa e l’Europa, fu dovuta a prevenire la concorrenza che avrebbe messo in crisi i loro commerci.
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di Alberto Alpozzi – © Tutti i diritti riservati
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