venerdì 26 aprile 2019

CHI EMANO´ L´ORDINE DI ASSASSINARE IL DUCE?

Chi emanò l’ordine di uccidere sbrigativamente Mussolini?
di Maurizio Barozzi
giovedì 1 luglio 2010

            Dopo decenni di indagini e ricerche inerenti l’assassinio proditorio di Mussolini e Clara Petacci, il sottoscritto ha conseguito la ragionevole consapevolezza che la “storica versione”, la vulgata tramandata da W. Audisio, è palesemente falsa perchè il Duce venne ucciso  tra le 9 e le 10 del mattino del 28 aprile 1945 nel cortile di casa De Maria in quel di Bonzanigo e la Petacci intorno alle 12 dello stesso giorno nel prato di un viottolo poco più avanti.
Non staremo qui a riportare le testimonianze, le osservazioni, gli studi peritali e altro, che comprovano quanto appena affermato. Lo abbiamo fatto spesso, su queste stesse pagine (vedi anche: M. Barozzi, “Fine di una vulgata” in http://fncrsi.altervista.org/fine_vulgata.htm e il testo base di Giorgio Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini”, Saggiatore 1996).
Detto questo però dobbiamo anche aggiungere che per quanto riguarda i mandanti, ovvero coloro che emanarono dietro le quinte i precisi ordini operativi, per arrivare a questa sbrigativa uccisione, a parte quanto accertato sull’operato di Luigi Longo e dei comunisti, non vi è alcuna certezza, ma soltanto delle ipotesi sia pure abbastanza attendibili.
Buio pesto anche sui due possibili nomi degli assassini, ipotizzati in una coppia di sparatori, con mitra e pistola, in base agli studi su la possibile dinamica balistica di quella “fucilazione” che riscontra traiettorie eterogenee e distanzialità nei colpi che attinsero Mussolini.
In mancanza di prove e documentazioni precise, a nostro avviso finite negli inaccessibili archivi statunitensi, britannici e vaticani, dovendoci basare su di una letteratura in argomento palesemente contraddittoria e superficiale, su una pletora di testimonianze e memoriali dove non c’è alcuna certezza della loro attendibilità e su pochi altri elementi veramente concreti, ogni individuazione dei mandanti rimane nel campo delle ipotesi possibili, ma non dimostrabili.
A complicare ancor più la faccenda c’è poi il fatto che Mussolini era desiderato morto da più di una componente nemica, tanto che già nella registrazione di una conversazione intercontinentale del 29 luglio 1943, tra W. Churchill e D. Roosevelt, quando il Duce si trovava da pochi giorni nelle mani di Badoglio, questi due campioni di “umanità” discutevano tra loro sulla opportunità o meno che Mussolini arrivasse vivo ad un eventuale processo e si trovarono perfettamente d’accordo che forse sarebbe stato conveniente che “morisse” durante la detenzione (vedi: A. De Felice Il gioco delle ombre, in www.alessandrodefelice.it).
In effetti, proprio come ebbe a scriverci un importante storico, considerando le ultime vicissitudini del Duce, dalla sera del 25 aprile fino alla cattura:
<<La figura di Mussolini sembra essere caduta nella triangolare Savoia, SOE (il servizio segreto inglese, n.d.r.), PCI, tela del ragno (una vedova nera senz'altro) venduto, anzi passato, di mano in mano. La tela triplice permea tutta la 52a Brigata Garibaldi (i partigiani che lo catturarono a Dongo e poi nascosero a Bonzanigo, N.d.A.) che riproduce al suo interno il triangolo...
E’ ovvio e pleonastico  ricordare due convitati di pietra assieme alla piovra a 3 teste di cui prima:
1) OSS; 2) Karl Wolff (che agisce da piazzista alla mostra dell'acquisto dei vertici fascisti)>>.
Quindi, per riassumere, possiamo dire che Mussolini:
- lo volevano morto gli inglesi, per nascondere la compromettente intesa intercorsa con Churchill al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, una intesa che una volta svelata, avrebbe rivoltato tutta l’interpretazione storiografia della seconda guerra mondiale, squalificato il britannico agli occhi del mondo e complicato la politica internazionale degli inglesi nel dopoguerra (per il Carteggio Mussolini – Churchill, rimandiamo ai nostri articoli: M. Barozzi, “Gli scottanti contenuti del carteggio Mussolini Churchill”, Rinascita 1 settembre 2009  e “10 giugno 1940 le vere motivazione della guerra italiana”, Rinascita 10 giugno 2010).
- Lo volevano morto gli americani, per gli stessi motivi di nascondere importanti documentazioni riguardanti Roosevelt, nonostante che apparentemente e ufficialmente asserivano (ma non facevano niente in proposito!) di volerlo catturare per processarlo e umiliarlo,.
- Lo volevano morto i sovietici, visto che Stalin voleva tenere nascoste certe “intese segrete” con l’Italia, risalenti fin dal 1924 (praticamente, avevano preservato, fino al 1941, l’Italia da attentati delle cellule comuniste, gli unici attentati infatti furono quelli dei massoni e di Giustizia e Libertà), ma voleva anche nascondere certi “sondaggi”, avvenuti nel primo semestre del 1943, quando Italia e Urss si approcciarono per verificare le possibilità di far uscire i sovietici dalla guerra.
- Lo voleva morto la Massoneria e l’Alta Finanza che, idealmente, lo consideravano il loro peggior nemico. Consorterie queste trasversalmente presenti nella Resistenza, nella RSI e negli Alleati.
- Lo desiderava morto il Re che paventava venissero fuori le sue responsabilità nella guerra, dove il Savoia, che deteneva tutti gli interessi finanziari della Corona nelle banche di Londra, aveva condiviso,  eccome,  la decisione di entrare in guerra.
- Morto, infine, non dispiaceva neppure ai tedeschi del generale Wolff, che lo avevano tradito con i loro accordi di resa con gli Alleati, conseguiti alle spalle degli italiani.
Ed ovviamente lo volevano immediatamente morto le componenti più estremiste della Resistenza, quali i comunisti, gli azionisti, i socialisti come Pertini, ecc.
Resta difficile stabilire, senza concrete documentazioni, a chi può farsi risalire l’ordine di morte, perchè è anche probabile che vi fu una segreta concomitanza di azioni e interessi, mentre l’esecuzione dell’assassinio venne assunta dai comunisti, gli unici, in quel momento ed in quelle località del comasco, in grado di agire alla svelta, avendo tra l’altro il Duce nelle proprie mani.
Ci sarebbe poi da delineare i giochi del Vaticano, in massima parte in sintonia con quelli degli americani, in virtù dei sottili fili, soprattutto di ordine finanziario che lo legavano all’Alta Finanza e alla massoneria d’oltre oceano, nonchè una sorda e occulta “guerra” tra inglesi e statunitensi per il controllo dell’Italia, controllo che finì per passare nelle mani USA determinando la fine della monarchia, la riesumazione della mafia (divenuta “cosa nostra” sui due continenti) e l’accordo di potere DC governo - PCI opposizione (con ritagli di potere in ambiti locali).
La situazione resta quindi ingarbugliata e per aiutare a raccapezzarsi in qualche modo vediamo di riassumere ed illustrare almeno le decisive posizioni degli inglesi e degli americani.
GLI INGLESI
E’ indubbio che gli inglesi erano interessati alla soppressione immediata di Mussolini a causa del famoso Carteggio e della possibilità che un Mussolini in vita li chiamasse sul banco degli accusati.
Tra le tante indicazioni per il tipo di responsabilità inglese, quella di Renzo De Felice, resta la più attendibile. Lo storico, infatti, ebbe a sostenere che Mussolini venne ucciso dietro ispirazione inglese. Si riferiva a Max Salvadori Paleotti, un ufficiale italo inglese di collegamento con il CLNAI che al momento dell’arresto di Mussolini, fece presente ai dirigenti ciellenisti che loro potevano disporre della sorte del Duce fino all’arrivo delle truppe alleate e conseguente amministrazione AMG. Praticamente un sottile invito ad eliminarlo alla svelta. Per l’esecuzione di Mussolini, invece, il De Felice indicò un gruppo di partigiani comunisti milanesi.
Molti hanno ampliato questo ruolo degli inglesi, ipotizzando dei misteriosi killers, agenti segreti di sua Maestà, a Bonzango, ma oltre a non avere alcuna prova in merito, costoro non considerano che, a meno non ci fossero stati portati dagli stessi partigiani che avevano in mano il Duce, non era certo facile per gli inglesi, individuare in poche ore il nascondiglio segreto dove, forse prima delle 5, era stato nascosto il Duce ed arrivarci senza determinare la reazione armata dei due custodi.
In ogni caso il nipote di Renzo De Felice, lo storico Alessandro De Felice ha rivelato che un giorno imprecisato tra il novembre del 1989 e la primavera del 1990, presso la Fondazione Feltrinelli, ebbe una fugace confidenza dall’allora senatore Leo Valiani che gli raccontò, pregandolo poi di non farne menzione, quanto segue: <<La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così…, Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!>> (A. De Felice: “L’assassinio di Mussolini i documenti scomparsi e il ruolo di Dowing street”, CSS Catania).
Oggi che sappiamo che il Valiani, oltre che membro del Comitato Insurrezionale antifascista era anche un “agente” in servizio del SOE, la sua confidenza assume uno spessore notevole.
Acquisito quindi un  ruolo di “ispiratori” e “promotori”, se vogliamo “mandanti” da parte dei britannici per l’uccisione del Duce, occorre però aggiungere che tutta questa strategia omicida è comunque molto più ambivalente di quanto possa sembrare.
L’immediatezza di una esecuzione del Duce, infatti, pur desiderata dagli inglesi, se necessaria e inevitabile, per non correre rischi o avere complicazioni, nel caso lo avessero preso i partigiani (come infatti è poi accaduto), forse non era opportuna se invece fosse finito in mano alle loro Special Force. In questo caso gli inglesi lo avrebbero sicuramente ucciso, ma non prima di averlo interrogato assieme alla Petacci, perchè la sua morte immediata poteva risultare una complicazione che avrebbe costretto, come costrinse, gli inglesi e Churchill in particolare a darsi da fare fin verso la metà degli anni ’50 per recuperare ogni carta compromettente.
Sappiamo per certo che il 10 maggio 1945, Churchill scrisse al Feldmaresciallo H. Alexander in Italia, per invitarlo ad ordinare una inchiesta sulle morti di Mussolini e della Petacci. L’esecuzione della donna la definì proditoria e codarda. Ora il fatto che Churchill, che in altra precedente occasione, si era rallegrato che il “bestione” (come lo definì) finalmente era morto, se la prendesse tanto, fa sospettare proprio che erano stati infranti dei patti e degli accordi precedentemente presi, con gravi complicazioni per il recupero programmato dei preziosi documenti.
In questo senso è anche alquanto importante la testimonianza riportata nel libro “Confesso che mi sono divertito”, T.Pironti editore, 2007, scritto da Maurizio Valenzi, ebreo italo tunisino, già sindaco di Napoli e ex senatore del PCI, morto a 99 anni. Valenzi era giunto a Napoli alcuni mesi prima dell’arrivo di Togliatti (marzo 1944), al fine di mettere in piedi l’organizzazione logistica del PCI, di fatto garantita e finanziata dai Servizi inglesi (tramite il capitano Renè MacKey, amico di vecchia data). Ebbene, nel 1994 Valenzi ritrova MacKey, arrivato all’età di 93 anni. Renè gli mostra un foulard di seta verde con la scritta credere obbedire combattere, e gli racconta che lo trovò nella casa di Giulino di Mezzegra ventiquattro ore dopo l’esecuzione di Mussolini e la Petacci. Significativamente gli dice: <<Peccato, noi inglesi li volevamo vivi. In compenso sono tornato a Londra con un baule colmo di documenti>>.
Considerando tutto questo è quindi molto probabile che quella mattina del 28 aprile 1945 a Bonzanigo nella casa dei contadini De Maria, dove Mussolini e la Petacci erano nascosti, giunsero alcuni partigiani comunisti che entrarono a brutto muso nella camera dei prigionieri, ne conseguì un trambusto, l’imprevisto del ferimento del Duce e la conseguente sua soppressione nel cortile dello stabile. Importanti testimonianze (soprattutto quella di Dorina Mazzola di Bonzanigo e quella di Savina Santi, la vedova di Guglielmo Cantoni, Sandrino uno dei guardiani del Duce in casa dei De Maria a Bonzanigo) e rilievi dinamico balistici, sul vestiario, ecc., concordano su questa dinamica, confermata indirettamente anche dal fatto che si dovette poi allestire una messa in scena, con tanto di finta fucilazione di due cadaveri davanti allo storico cancello di Villa Belmonte per “aggiustare” e presentare al meglio una esecuzione in “nome del popolo italiano”.
Gli inglesi, impegnati nella ricerca delle documentazioni e del Duce stesso, furono preceduti e dovettero accettare le modalità di quella morte sbrigativa, del resto da loro stessi ispirata.
GLI AMERICANI
La favoletta degli americani impegnati a catturare Mussolini da vivo è inattendibile. Il modo di procedere degli americani fu del tutto superficiale. Essi avevano alcune missioni impegnate nella ricerca del Duce, tra le quali la più vicina ai luoghi interessati era quella del capitano Emilio Daddario giunto appositamente dalla Svizzera. E proprio il Daddario, guarda caso considerato un elemento non certo campione di efficienza, era stato incaricato di arrestare il Duce. Ebbene il tardo -pomeriggio del 27 aprile l’americano se la prese comoda, procedendo prima a recuperare il maresciallo Graziani arresosi a Cernobbio, poi accettò a Como la resa del generale tedesco Hans Leyers e dei suoi uomini. Quindi trasportato Graziani a Milano firmò anche, a notte inoltrata, il famoso lasciapassare in inglese per Walter Audisio, alias colonnello Valerio, incaricato dal CVL di recarsi a Dongo per prelevare Mussolini e gli altri fascisti prigionieri. In pratica, lento pede Daddario si mosse talmente male da far venire il sospetto che, in realtà avesse ben altre segrete disposizioni.
Scrive lo storico Alessandro De Felice nel suo “Il gioco delle ombre” già citato:
<<“Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini: gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di catturare l’ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera”>>.
Ed ancora, A. De Felice, espone meglio tutta la situazione:
<<...è necessaria una premessa legata alla caccia anglo-americana verso il Duce: la sua morte è uno dei primi esempi di operazioni sporche che caratterizzano le azioni dello spionaggio stile Cia (anche se qui, nel caso della soppressione fisica del Duce e della Petacci, trattasi dell’intelligence britannico) nel ventesimo secolo. Tre diverse unità si lanciano alla ricerca dell’ex Presidente del Consiglio fascista.
La prima è la 34ª Divisione Usa – unità celere - guidata dal Generale Browne Bolty e diretta a Como. Vi è poi una seconda unità formata da ex-fascisti passati agli ordini del governo monarchico del Sud ed organizzata dal Luogotenente di Cadorna a Como, Colonnello barone Sardagna. A Lugano Donald Jones dell’Oss, appresa la notizia dell’arresto di Mussolini, ordina a due suoi agenti di andare immediatamente a Como per il trasferimento dei poteri al CLN e per prendere in custodia il Duce, ammesso, e non concesso, che Allen Dulles volesse veramente vivo il leader repubblicano-sociale e non fosse, invece al servizio a sua volta dell’intelligence britannica interessata alla soppressione fisica dell’ex-dittatore socialrivoluzionario italiano.
I due agenti dell’Oss sono il Capitano Giovanni Dessy... e Salvatore Guastoni.
Vi è una terza unità comandata dal Maggiore Usa Albert William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la notte del 27 aprile ’45 con il compito militare, avuto dalla Vª Armata, di prendere Mussolini vivo. Vi è un altro agente del Cic, John MacDonough, che è un emissario della 1ª Divisione corazzata americana, il quale manda a Sardagna un messaggio volto a trasferire Mussolini a Blevio, un paesino della riva orientale del lago poco distante da Como. “Quella sera, al posto di confine di Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l’ordine di attendere l’arrivo di altri ufficiali dell’OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano” (P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce. In Momenti e protagonisti dell’Italia fascista, National Archives di Washington, M. Tropea Editore, Milano, 2001)>>.
Se poi consideriamo il modo di operare di Guastoni a Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata con lento pede Daddario: il Guastoni perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come se più che altro la sua preoccupazione fosse quella di evitare che il Duce, isolato a Menaggio, possa ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como. A dimostrazione di questo basta leggere alcuni stralci di “La cronaca degli avvenimenti che condussero alla cattura di M.” scritto il 1 maggio 1945 proprio da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla ignobile resa dei comandanti fascisti presenti in città:
<<... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati (...). Da una parte quindi vi era l’assoluta necessità di bloccare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) .ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza attorno a Mussolini (...).
Questi erano i veri intenti che avevano gli agenti americani, altro che catturare Mussolini vivo!
Marino Vigano, valente ricercatore storico, preciserà:
<<Per di più, a Jones (Donald Jones viceconsole a Lugano, n.d.r.), vennero date istruzioni di "stare alla larga dal Duce>> (M. Viganò “Mussolini, i gerarchi e la <fuga> in  Svizzera 1944-‘45”, in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno 2001).
Da quanto riportato traspare quindi un ambiguo operare degli americani: ufficialmente le loro missioni si muovevano per catturare Mussolini vivo, ma in realtà dietro evidenti ordini segreti dell’ultimo minuto, lasciavano campo libero a chi voleva ucciderlo immediatamente.
Oltretutto alcuni ritengono che anche gli americani erano alla caccia di Mussolini per sopprimerlo alla svelta e forse furono proprio i loro agenti ad ucciderlo.
Questa ipotesi nasce dal fatto che le scottanti documentazioni in mano al Duce contenevano anche una parte importante di carteggio tra Mussolini e F. D. Roosevelt. Effettivamente Mussolini nella seconda metà degli anni ’30 aveva cercato approcci in tutte le direzioni, al fine di mantenere uno stato di equilibrio in Europa  che gli consentisse di perseguire i propri disegni geopolitici. In una certa ottica anti inglese, anche gli Stati Uniti, dove tra l’altro vivevano moltissimi immigrati italiani che avevano un loro peso, potevano essere utili a questa strategia. Ma Roosevelt non era altro che una pedina in mano a precise consorterie d’alta finanza, che miravano al dominio mondiale e quindi questa carta si vanificò ben presto, anzi l’americano diede avvio, con ogni mezzo ed enormi sovvenzioni, alla ricerca atomica per fini esclusivamente bellici e nel 1939 realizzò anche il famoso gigantesco piano di riarmo “sui due oceani” con chiari scopi guerrafondai. Quindi scheletri negli armadi Roosevelt ne aveva eccome, anche se forse non della stessa dirompente importanza di quelli di Churchill (del resto Roosevelt era poi morto quindici giorni prima di Mussolini).
Sul ruolo diretto degli americani nella morte del Duce, per la serietà dello studioso e per la gran messe di notizie, aneddoti e informazioni di cui è in possesso,  occorre accennare alla tesi formulata dallo scrittore, saggista e già presidente dell’Istituto di studi poundiani, professor Antonio Pantano.
Secondo Pantano nella morte di Mussolini ci entrò l’Oss di J. J. Angleton, anche su imput del pro-segretario di Stato Vaticano monsignor Giovanni Battista Maria Montini «assecondato dal suo fido Togliatti» (vedesi: A. Pantano: Ezra Pound e la Repubblica Sociale Italiana, Ed. Pagine, 2009, e A. Bertotto: Mussolini ucciso dagli 007 americani?, Rinascita 7 giugno 2008).
Effettivamente i veri ruoli del futuro Papa, uomo vicino ad ambienti d’Alta Finanza statunitense e di Togliatti (al servizio di Mosca, ma con i piedi in due staffe in virtù di particolari intese con gli inglesi), devono ancora essere denunciati dagli storici e quindi la tesi di Pantano non è poi tanto peregrina. Del resto J. J. Angleton, capo del controspionaggio USA in Italia, si serviva della rete d’informazioni che aveva messo in piedi la Santa Sede, un servizio d’Intelligence che in quegli anni era diretto dal «pio» monsignor G. B. M. Montini.
Ma anche qui, come per gli inglesi, per una esecuzione diretta di Mussolini da parte di agenti americani, le prove, inghiottite negli archivi Anglo – Usa – Vaticani, non si trovano e più che delle ipotesi non possiamo fare.
Interessante infine l’acuta osservazione di Antonio Pantano: a Piazzale Loreto i CombatFilm (il LUCE degli USA) profuse circa 12 cineprese (i famosi operatori Houston, Wyler, Capra, Hitchcock, Visconti assistente). Ebbene, le installazioni e i "tralicci/piattaforme" elevati furono predisposte dalla sera precedente. Ergo gli americani ben sapevano che Mussolini morto ammazzato sarebbe stato portato in Piazzale Loreto e si premunirono, come al solito, per le documentazioni - spettacolo che erano usi imbastire.

                                                                                                                                           

domenica 21 aprile 2019

IL FASCISMO ITALIANO

Il fascismo italiano



di ·

Prima di passare dall’esame di alcuni interpreti a quello delle principali interpretazioni, sarà il caso di dare un rapido sguardo ai movimenti fascisti, in modo che la materia – per così dire – non ci sfugga dalle mani.
I movimenti fascisti che dan forma al complesso fenomeno del «Fascismo» sono i seguenti:

1) il Fascismo italiano. Il 23 Marzo 1919 Mussolini fonda a Milano i «Fasci di combattimento» con un programma ad un tempo nazionale e sociale. I primi «Fasci» – espressione di ex-combattenti, ex-socialisti e sindacalisti rivoluzionari – si evolvono lentamente verso posizioni di destra fino alla fine del 1920. Da questo momento, stanche di due anni di violenze socialiste culminate nell’occupazione delle fabbriche, masse crescenti della borghesia piccola e media incominciano ad affluire nel «Fascismo». Dilaga nella valle del Po il fenomeno dello «squadrismo» – reazione di ex combattenti e proprietari soprattutto della nuova borghesia agraria contro il terrorismo delle leghe rosse. Le squadre – finanziate dagli agrari e tollerate dal governo – dilagano in tutta l’Italia settentrionale e centrale. Portato dall’onda dello squadrismo padano, Mussolini si sposta su posizioni di estrema destra e fonda il Partito Nazionale Fascista (Novembre 1921).
Confluiscono nel Fascismo:
a) gli ex-combattenti, oltraggiati dai socialisti per il loro passato militare e delusi dalla debolezza del governo al tavolo della pace;
b) gli studenti, attratti dagli ideali nazionalisti e dalla speranza di una «Italia più grande»;
c) la media e piccola borghesia, spaventata dagli scioperi e dalle violenze dei socialisti;
d) gli agrari, i piccoli proprietari e fittavoli minacciati dai rossi di confische e collettivizzazioni.
L’ascesa del Fascismo si compie sullo sfondo della crisi delle altre forze politiche:
1) i liberali, incapaci di adeguarsi alla nuova era dei partiti di massa;
2) i socialisti, tentati dalla violenza ma incapaci di fare la rivoluzione;
3) i cattolici, incapaci di accordarsi sia coi liberali che coi socialisti.
Il 28 Ottobre 1922 – di fronte all’imponente concentrazione di squadre fasciste su Roma -, il Re incarica Mussolini di formare un governo di coalizione. In sostanza, il Partito Nazionale Fascista conquista il potere per:
a) l’ntraprendenza, la giovinezza e il coraggio degli squadristi lanciati contro le organizzazioni di sinistra;
b) la complicità della polizia e dell’esercito che ne condivide gli ideali patriottici;
c) l’appoggio finanziario di buona parte delle forze economiche che vogliono il ritorno all’ordine e la cessazione degli scioperi;
d) la neutralità di gran parte della vecchia classe liberale ostile ai socialisti e ai cattolici e sensibile agli appelli all’ordine e al patriottismo di Mussolini.
Così, un po’ con la violenza, un po’ col consenso, il Fascismo va al potere in un contesto che in un primo momento resta quello della monarchia parlamentare. 
Resistono più a lungo contro il Fascismo:
1) gli operai di talune zone industriali rigorosamente inquadrati dal Partito Comunista.
2) vaste masse cattoliche legate al Partito Popolare.
3) personaggi e istituzioni della vecchia classe dirigente (Il Corriere della Sera, La Stampa) e ambienti industriali che temono lo spirito rivoluzionario del Fascismo.
La crisi seguita all’uccisione di Matteotti e l’abbandono del Parlamento da parte dei deputati dell’opposizione permettono a Mussolini di incominciare la trasformazione della democrazia parlamentare nello stato fascista. Una serie di trasformazioni – le ultime delle quali perfezionate nel 1938 – portano:
a) allo scioglimento dei partiti politici e alla loro sostituzione con il Partito Fascista concepito come il partito di tutto il popolo italiano;
b) alla graduale esautorazione del Parlamento e alla sua definitiva sostituzione (1938) con una Camera dei Fasci e delle Corporazioni quale rappresentanza del Partito e delle categorie produttrici;
c) alla costituzione delle squadre d’azione in Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel 1923, come forza armata accanto all’Esercito;
d) alla introduzione di una legislazione speciale contro i nemici dello Stato Fascista con pene che vanno dal confino alla pena di morte;
e) allo scioglimento dei sindacati e all’abolizione del diritto di sciopero con la promulgazione della Carta del Lavoro che prevede l’istituzione di corporazioni e la mediazione dello stato nelle controversie tra padroni e lavoratori;
f) alla creazione di enti pubblici per l’intervento nell’economia che, insieme a numerose forme assistenziali – esprimono una concezione dello Stato non più neutrale ma desideroso di tutelare il cittadino e le iniziative economiche di interesse comune;
g) alla mobilitazione dei giovani nelle organizzazioni ginniche e paramilitari, con la relativa costruzione di campi sportivi, piscine, etc.
Dall’alleanza del movimento fascista con le forze conservatrici (la monarchia, l’esercito, a cui – dopo la Conciliazione – si aggiunge anche la Chiesa) prende forma il Regime Fascista, strettamente legato alla persona del Duce del Fascismo – Mussolini – la cui politica personale diventa la politica del Regime e dell’Italia.
Questa politica persegue i seguenti obiettivi interni:
a) lo smorzamento degli spiriti più rivoluzionari del movimento fascista e il ridimensionamento delle personalità più forti e più indipendenti (Farinacci, Arpinati, Balbo).
b) L’affermazione sempre più netta della personalità del Duce al di sopra di tutti gli organi del partito e dello stato e la riduzione del Partito Nazionale Fascista a un organo di mobilitazione di massa più che di discussione politica.
c) lo stretto controllo della stampa e della radio quali strumenti di indottrinamento dell’opinione pubblica.
A questa tattica politica, si sposa una propaganda volta a valorizzare i seguenti ideali:
a) l’esaltazione dello stato-nazione come portatore della tradizione della antica Roma e d’una propria eticità e validità spirituale. Questa esaltazione della romanità e della eticità dello stato trovano pertanto un limite nel rango riconosciuto alla Chiesa dopo il Concordato.
b) la rivendicazione dei valori morali e militari, come anche della esaltazione della terra, della prolificità, dei valori contadini e guerrieri contrapposti a quelli cittadini e tendenti a rivendicare il tipo del contadino rispetto a quello del «borghese».
c) la apologia di tutte le forme di rischio e di ardimento con la diffusione dello sport e dell’istruzione pre-militare e la valorizzazione di ogni manifestazione di audacia collettiva (la «trasvolata atlantica» di Balbo, etc.).
Alla tecnica del governo dittatoriale e alla propaganda di massa, si uniscono talune direttive fisse di politica estera che sono:
1) l’aspirazione a dare al popolo italiano uno spazio vitale adeguato alla sua importanza e al numero dei suoi abitanti;
2 ) la tendenza a una revisione delle clausole del Trattato di Versailles a favore delle nazioni più sfortunate (l’Ungheria, in un secondo tempo la Germania e la stessa Italia);
3) la polemica con le nazioni troppo ricche in territori e in colonie (la Francia e l’Inghilterra) con la conseguente creazione di un forte esercito e d’una forte marina in grado di mettere in discussione il predominio anglo-francese nel Nordafrica e nel Mediterraneo.
Questo indirizzo di politica estera porta dapprima alla conquista della Etiopia e poi a un riavvicinamento con la Germania – unica nazione in grado di mettere in discussione il predominio anglo-francese in Europa. La conquista dell’Etiopia, lo stesso intervento nella guerra di Spagna che si risolve in un successo dei «nazionali», porta al Fascismo il massimo della popolarità. L’0pposizione si può considerare distrutta – e ciò non solo per i mezzi repressivi, relativamente miti – ma per l’abile propaganda e i successi del Regime.
Sostengono il Fascismo soprattutto:
a) i giovani, educati dal Partito e cresciuti nel nuovo clima di mobilitazione sportiva e di entusiasmo nazionale;
b) i ceti medi, soddisfatti della stabilità politica ed economica del Regime;
c) il clero, abbastanza contento della politica di conciliazione del Fascismo verso il Vaticano;
d) i militari e la monarchia, sensibili al nuovo prestigio acquistato dall’Italia in Europa;
c) vaste frange dei ceti popolari conquistati dal «populismo» mussoliniano e dalle istituzioni assistenziali create dal Regime.
Così, all’opposizione attiva contro il Fascismo restano solo alcuni intellettuali e poche migliaia di operai indottrinati dal Partito Comunista clandestino. 
Peraltro, il Patto d’Acciaio – con il conseguente profilarsi d’una nuova guerra -, le leggi razziali e una troppo invadente propaganda «anti-borghese» portano larghe frange dei ceti medi e della Chiesa cattolica ad una posizione di critica e di ripensamento.
Questa posizione di critica e di riserbo si accentua con l’entrata in guerra alla quale il Fascismo è spinto:
a) dalla logica stessa della sua dottrina dell’espansione e dello spazio vitale;
b) dalla affinità ideologica e politica con la Germania nazista;
c) dalla necessità di trasportare sul piano internazionale quella lotta contro il mondo delle democrazie e della borghesia capitalistica che – insieme col bolscevismo russo – è il contraltare del Fascismo.
L’intervento viene attuato da Mussolini in un momento favorevolissimo (la Francia è fuori giuoco e l’Inghilterra non è in grado di difendere Malta e l’Egitto), ma l’incertezza e l’inettitudine della classe politica e militare vengono presto alla ribalta in modo catastrofico.
La guerra mette rapidamente allo scoperto le debolezze del Regime:
a) il compromesso tra Mussolini e le forze conservatrici ha lasciato intatta la vecchia classe dirigente con la sua tendenza al carrierismo e al compromesso (Badoglio, etc.);
b) il Partito mortificato da troppi anni di conformismo non è in grado di animare efficacemente alla lotta il popolo italiano;
c) la propaganda è più nazionalista, patriottarda, che «fascista» e non basta a illustrare il significato ideologico e geopolitico della guerra rivoluzionaria e continentale della Germania.
Così, dopo le prime sconfitte – e poi con l’invasione del territorio nazionale – si sfalda l’unità della Monarchia col Fascismo e della classe dirigente conservatrice col movimento fascista. Il nazional-fascista si scinde, e la parte «nazionale» – ossia più genericamente borghese e conservatrice – cerca un’uscita qualunque dalla guerra. Ciò conduce al 25 Luglio e all’8 Settembre.
La Repubblica Sociale Italiana e il nuovo Partito Fascista Repubblicano rappresentano una specie di «ritorno alle origini». Peraltro, i 18 punti di Verona e la Legge sulla socializzazione delle imprese costituiscono delle motivazioni affatto secondarie del nuovo Fascismo, la cui vitalità è da ravvisarsi nella difesa dell’onore militare e nel fascino che esercita ancora su una parte della gioventù italiana.
Il Fascismo italiano è stato il paradigma degli altri fascismi. ll partito unico, le organizzazioni giovanili, l’ordinamento corporativo della economia, la milizia di partito hanno servito da modello agli altri movimenti fascisti – a cominciare dal Nazionalsocialismo. 
Peraltro, proprio il Fascismo – che aveva ideato lo «stato totalitario» – non lo attuò mai. 
Dietro alla facciata del Partito Nazionale Fascista – organizzazione di massa dal carattere sempre più accentuatamente dopolavoristico – il Regime rimase una dittatura appoggiata a una monarchia. La milizia, nata come guardia armata della rivoluzione, non assurse mai, come le SS, ad armata di partito, ma rimase una mera appendice dell’esercito.
Così Mussolini non aveva del tutto torto quando osservava nella Repubblica Sociale che «non vi era mai stata una rivoluzione fascista: l’Italia è prima una monarchia, e tale è rimasta dopo».

Brani tratti dal libro postumo Il fascismo come fenomeno europeo, cap II (pp. 37-42).

TRATTO DA: CENTRO STUDI

lunedì 15 aprile 2019

UNA SCIA DI SANGUE INFINITA!

Quando la Morte arriva cantando: "BANDIERA ROSSA".
              



UNA SCIA DI SANGUE INFINITA

Questo è  l'elenco provvisorio dei religiosi massacrati barbaramente dai partigiani durante le

"radiose giornate"
DON GENNARO AMATO - Parroco di Locri (RC), ucciso nell'ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista di Caulonia.
DON ERNESTO BANDELLI - Parroco di Bria, ucciso dai partigiani slavi a Bria il30/4/45
DON VITTORIO BAREL - Economo del seminario di Vittorio Veneto, ucciso dai partigiani il 26/10/44
DON DUILIO BASTREGHI - Parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3/7/44 dai partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto.
DON CARLO BEGHE' - Parroco di Norvegigola (Apuania), sottoposto il 2/3/45 a finta fucilazione dai partigiani, che gli produsse una ferita mortale.
DON FRANCESCO BONIFACIO - Curato di Villa gardossi (TS), catturato dai comunisti slavi ed infoibato l'11/9/46.
DON LUIGI BORDET - Parroco di Hone (AO), ucciso il 5/3/46 perché aveva messo in guardia i parrocchiani dalle insidie comuniste.
DON LUIGI BOVO - Parroco di Bertipaglia (PD), ucciso il 25/9/44 da un partigiano comunista.
DON MIROSLAVO BULLESCHI - Parroco di Monpaderno (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23/8/47 dai comunisti slavi.
DON TULLIO CALCAGNO - Direttore di Crociata Italica, fucilato a Milano il 29/4/45 da partigiani comunisti.
PADRE CRISOSTOMO CERAGIOLO - Cappellano militare decorato al V.M., prelevato il 19/5/44 da partigiani comunisti e ritrovato cadavere in una buca con le mani legate dietro la schiena.
DON FERRUCCIO CRECCHI - Parroco di Levigliani (LU), fucilato all'arrivo delle truppe di colore grazie a false accuse dei comunisti locali.
DON ANTONIO CURCIO - Cappellano dell'11° Btg. bersaglieri, ucciso il 7/8/41 a Dugaresa da comunisti croati.
PADRE SIGISMONDO DAMIANI - Ex cappellano militare, ucciso dai comunisti slavi a S. Genesio di Macerata l'11/3/44.
DON AURELIO DIAZ - Cappellano della Sezione Sanità della divisione Ferrara, fucilato a Belgrado nel gennaio 45 da partigiani titini.
DON ADOLFO DOLFI - Canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28/5/45 a torture tali che lo portarono alla morte l'8 ottobre successivo.
DON GIUSEPPE DORFMANN - Fucilato nel bosco di Posina (VI) il 27/4/45
DON VINCENZO D'OVIDIO - Parroco di Poggio Umbricchio (TE), ucciso nel maggio 44 sotto accusa di filo fascismo.
PADRE GIOVANNI FAUSTI - Superiore generale dei Gesuiti in Albania, fucilato il 5/3/46 insieme ad altri religiosi rimasti ignoti, solo perchè italiani.
PADRE FERNANDO FERRAROTTI - Cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso da partigiani comunisti nel giugno 44 a Champorcher (AO).
DON GREGORIO FERRETTI - Parroco di Castelvecchio (TE), ucciso da partigiani comunisti slavi ed italiani nel maggio 44.
DON SANTE FONTANA - Parroco di Comano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 16/1/45.
DON GIUSEPPE GABANA - Della diocesi di Brescia, ucciso il 3/3/44 da un partigiano comunista.
DON DOMENICO GIANNI - Cappellano militare in Jugoslavia, prelevato la sera del 21/4/45 dai comunisti e ucciso dopo tre giorni.
DON GIUSEPPE LORENZELLI - Priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27/2/45 dopo essere stato obbligato A SCAVARSI LA FOSSA.
DON FERNANDO MERLI - Missionario della Cattedrale di Foligno, ucciso il 21/2/44 presso Asissi, da comunisti slavi istigati da altri comunisti italiani.
DON ANGELO MERLINI - Parroco di Flamenga (Foligno), ucciso dagli stessi assassini il medesimo giorno, presso Foligno.
DON ARMANDO MESSURI - Cappellano delle suore della Sacra Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto il 18/6/44.
DON GIACOMO MORO - Cappellano militare in Jugoslavia, fucilato dai titini a Micca di Montenegro.
DON ADOLFO NANNINI - Parroco Cercina (FI), ucciso il 30/5/44 da partigiani comunisti.
PADRE SIMONE NARDIN - Dei benedettini olivetani, tenente cappellano dell'ospedale militare Belvedere in Abbazia di Fiume, prelevato da partigiani slavi nell'aprile 45 e trucidato dopo orrende sevizie.
DON LUIGI OBID - Economo di Podsabotino e San Mauro (GO), prelevato dai partigiani ed ucciso a San Mauro il 15/1/45.
DON POMBEO PERAI - Parroco dei SS. Pietro e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16/6/44.
DON VITTORIO PERKAN - Parroco di Elsane (Fiume), ucciso il 9/5/45 dai partigiani mentre celebrava un funerale.
DON ALADINO PETRI - Parroco di Pievano di Caprona (PI), ucciso il 2/6/44 perché ritenuto filo fascista.
DON NAZZARENO PETTINELLI - Parroco di S. Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana il 1/7/44.
DON UMBERTO PESSINA - Parroco di S. Martino di Correggio, ucciso il 18/6/46 da partigiani comunisti.
SEMINARISTA GIUSEPPE PIERAMI - Studente di teologia della diocesi di Apuania, ucciso il 2/11/44 sulla linea Gotiga da partigiani comunisti.
DON LADISALO PISACANE - Vicario di Circhina (GO), ucciso da partigiani slavi il 5/2/45 insieme AD ALTRE 12 PERSONE.
DON ANTONIO PISK - Curato di Canale d'Isonzo (GO), prelevato dai partigiani slavi il 28/10/44 e fatto sparire per sempre.
DON NICOLA POLIDORI - Della diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9/6/44 da partigiani comunisti a Sefro.
DON GIUSEPPE ROCCO - Parroco di S. Maria, diocesi di S. Sepolcro, ucciso dagli slavi il 4/5/45.
PADRE ANGELICO ROMITI - Cappellano degli AU della Scuola di Fontanellato, decorato al V.M., ucciso la sera del 7/5/45 da partigiani comunisti.
DON ALESSANDRO SANGUANINI - Della congregazione della Misisone, fucilato a Ranziano (GO) il 12/10/44 da partigiani slavi, a causa dei suoi sentimenti di italianità. DON LODOVICO SLUGA - Vicario di Circhina (GO), ucciso insieme al confratello DON PISACANE
DON EMILIO SPINELLI - Parroco di Campogialli (AR), fucilato il 6/5/44 dai partigiani con l'accusa di filo fascismo.
DON ANGELO TATICCHI - Parroco di Villa di Rovigno (Pola), ucciso dai partigiani slavi nell'ottobre 1934, perchè aiutava gli italiani.
DON ALBERTO TERILLI - Arciprete di Esperia (FR), morto in seguito ALLE SEVIZIE INFLITTEGLI DAI MAROCCHINI, ECCITATI DAI PARTIGIANI ITALIANI, nel maggio 1944.
MONS. EUGENIO CORRADINO TORRICELLA - Della diocesi di Bergamo, ucciso il 7/1/44 ad Agen (Francia) da partigiani comunisti, a causa dei suoi sentimenti di italianità.
DON REDOLFO TRCEK - Diacono della diocesi di Gorizia, ucciso il 1/9/44 a Montenero d'Idria da partigiani comunisti.
DON GILDO VIAN - Parroco di bastia (PG), ucciso dai partigiani comunisti il 14/7/44.
DON SEBASTIANO CAVIGLIA, parroco della GNR ucciso ad Asti il 27/4/45;
DON GIUSEPPE AMATEIS, parroco di Coassolo (TO), ucciso dai comunisti A COLPI D'ASCIA il 15/3/44 per avere deplorato gli eccessi partigiani;
DON EDMONDO DE AMICIS, cappellano pluri decorato della I G.M., assassinato a Torino dai gappisti il 24/4/45;
DON VIRGINIO ICARDI, parroco di Squaneto (Acqui Terme - AL), ucciso dai comunisti il 4/7/44;
DON ATTIILIO PAVESE, CAPPELLANO PARTIGIANO e parroco di Alpe Gorreto (Tortona - AL), ucciso dai suoi stessi compagni il 6/12/44 perché aveva OSATO CONFORTARE RELIGIOSAMENTE DEI TEDESCHI CONDANNATI A MORTE;
DON FRANCESCO PELLIZZARI, parroco di Tagliolo (Acqui Terme - AL), chiamato dai partigiani la notte del 10/5/45 e sparito nel nulla;
DON ENRICO PERCIVALLE, parroco di Varriana (Tortona - AL), ucciso a pugnalate dai partigiani il 14/2/44;
DON LEANDRO SANGIORGI, cappellano militare decorato al valore, ucciso dai partigiani a Sordevolo Biellese (BI) il 30/4/45;
DON LUIGI SOLARO di Torino, ucciso il 4/4/45 solo perché PARENTE DEL FEDERALE DI TORINO, anche lui trucidato dai partigiani a guerra finita;
PADRE EUGENIO SQUIZZATO, cappellano PARTIGIANO, ucciso dai suoi il 16/4/44 fra Corio e Lanzo (TO), poiché voleva abbandonare la formazione, TURBATO DALLE TROPPE CRUDELTA';
DON ANTONIO ZOLI, parroco di Morra del Villar (CN), ucciso dai partigiani perché, durante la predica del Corpus Domini del 1944, aveva DEPLORATO L'ODIO FRA FRATELLI.
DON STANISLAO BARTHUS della congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17/8/44 dai partigiani perché aveva, durante una predica, DEPLORATO GLI ECCESSI PARTIGIANI;
DON COLOMBO FASCE, Parroco di Cesino (GE), ucciso nel maggio 1945 da partigiani comunisti; DON ANDREA TESTA, Parroco di Diano Borrello (SV), ucciso il 16 luglio 1944
E MOLTI ALTRI ANCORA...


Quando la Morte arriva cantando: "BANDIERA ROSSA".
              


ARANCIA MECCANICA IN VAL PADANA

L'alba insanguinata del 29 agosto 1944

...una storia di Puro e Semplice Orrore!

tratto da "L'ultima Crociata" del 1998, di Augusto Pastore
La tragedia della famiglia Ugazio viene voglia di scriverla con l'inchiostro rosso. Un rosso sangue. E ci vorrebbero anche le tonalità espressive di Eschilo per rendere con chiarezza l'atmosfera allucinante nella quale venne consumata una strage orribile che lascia increduli, inorriditi.
Le malvagità della sporca bestia umana toccano vertici sconosciuti alla bestia stessa. certo che al cospetto del calvario di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio la più maledetta iena proverebbe un moto di sgomento.
    Galliate è un grosso centro agricolo-industriale, posto ad una decina di chilometri da Novara. Si allunga a levante, fino alle rive del Ticino.
    In questo pezzo di valle padana l'inverno è rigido, umido: una cappa pesante di nebbia avvolge tutto. D'estate l'afa, stagnante e le zanzare fanno attendere il calare del sole come una benedizione del Padreterno. Allora la gente esce di casa e si siede sui gradini. Aspetta il ristoro di un filo d'aria.
    Anche la sera del 28 agosto 1944, dopo una giornata arroventata, a Galliate si aspettava il sollievo del tramonto.
    Giuseppe Ugazio, un brav'uomo di 43 anni, segretario del Fascio locale, si intratteneva con alcuni amici presso la trattoria S. Carlo. Discuteva della guerra, delle terrificanti incursioni sul ponte del Ticino spaccato in due dalle bombe inglesi.
    Cornelia, la figlia di 21 anni, simpatica e bella studentessa in medicina, si era recata da conoscenti che l'avevano pregata per alcune iniezioni.
    Mirka, l'ultima creatura di Giuseppe Ugazio, era saltata sulla bicicletta e si divertiva a pedalare forte con la gioia innocente dei 13 anni!
    Ma in quella sera del 28 agosto 1944, il destino di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio si compie. Un gruppo di partigiani, usciti dalla boscaglia, come lupi famelici attendono i tre.
    Con un pretesto qualsiasi distolgono Giuseppe Ugazio dalla compagnia degli amici, poi, camuffati da militi della R.S.I. in borghese, fermano Cornelia. Mirka, la dolce bambina di 13 anni con le trecce avvolte sulla nuca e il vestitino bianco a fioroni rosa, viene spinta dalla camionetta in corsa sul bordo della strada. La raccolgono in fretta, senza dare nell'occhio, accorti come una banda di bucanieri. Una sporca e nodosa mano le comprime la bocca mentre l'automezzo si rimette in marcia. Il tragico appuntamento per le tre vittime è fissato presso la tenuta «Negrina», un cascinale isolato a mezza strada tra Galliate e Novara. Sono le 21 della sera del 28 agosto 1944, un cielo calmo, dolce, pieno di stelle. Dalle risaie si alza il concerto gracidante delle rane: alla tenuta «Negrina» incomincia invece la sarabanda, la macabra giostra. I partigiani, una ventina circa, hanno tanta fame e sete, ma per fortuna il pollaio è portata di mano e la cantina a due passi. Un festino in piena regola per tutti quanti ad eccezione dei tre prigionieri. Mirka piange ed invoca la madre. Cornelia, dignitosa come la donna di Roma, sfida con gli occhi quel banchetto di forsennati. Papà Ugazio è cereo in viso: avverte la tragedia immane che pesa nell'aria. Avanti, è ora. Il vino ha raggiunto l'effetto e a calci e a pugni la turba di delinquenti spinge Giuseppe Ugazio nel boschetto adiacente la tenuta. Lo legano ad un fusto, gli spengono i mozziconi di sigarette sulle carni e, sotto gli occhi terrorizzati di Mirka e di Cornelia, lo finiscono a pugni in faccia e pedate nel basso ventre. Il calvario dura più del previsto perché la fibra fisica dell'Ugazio resiste. La gragnuola di pugni infittisce, i calci si fanno più decisi. Ora si ode soltanto il rantolo: «Ciao Mirka, ciao Cornelia» e Giuseppe Ugazio spira.
    Adesso inizia l'ignobile. Sono venti uomini avvinazzati su due corpi indifesi. Mirka è una bambina e non conosce ancora le brutture degli uomini degeneri. Dapprima non comprende, non sa, poi tenta un'inutile resistenza. Cornelia si difende ma è sopraffatta. Sette ore di violenze ancestrali, sette ore di schifo e di urla. Poi l'alba. Mirka e Cornelia non respirano più. Conviene togliere di mezzo i cadaveri e ritornare nella boscaglia. Si scavano venti centimetri di terra e si buttano le vittime. Le zolle fredde al contatto delle carni riaccendono un barlume di vita e i due corpi sussultano ancora. Ma è questione di un momento per i partigiani: a Cornelia spaccano il cranio con il calcio del mitra e sul collo di Mirka, la bambina, si abbatte uno scarpone che la strozza. La tragedia è finita.
      Sull'orizzonte si alza il sole, il sole insanguinato del 29 agosto 1944, a soli otto mesi dalla "liberazione".
    A mamma Maria Ugazio, il giornalista  chiede di fargli vedere un ricordo personale di Mirka. Allora gli fu mostrato un album di famiglia un poco ingiallito dal tempo. Sul retro di una foto scattata nei giardini dell'Isola Bella la mano infantile di Mirka aveva scritto nel 1943 queste parole: «Al mio papalone che mi ha portato a fare questa bella gita, la sua Mirka». 

 

                                                                                                                                                                      









































martedì 9 aprile 2019

ASSISTENZA E PREVIDENZA FASCISTA

 

Assistenza e Previdenza

Il Regime ha dato alla ricchissima e recente legislazione sociale spirito e modi nettamente derivati dal concetto fascista di Stato unitario collaborazione viva di tutte le forze operanti della Nazione per l'interesse supremo dello Stato, concepito come attività organizzatrice della vita del popolo e però intimamente aderente alle stesse forze sociali della Nazione. Questa impronta è evidentissima in tutto il complesso delle leggi e dei regolamenti emanati dal 1923 ad oggi intorno alla previdenza ed assistenza; dall'esame di essi si scorge chiaramente come l'azione del Governo fascista sia stata rivolta ed indirizzata fondamentalmente a potenziare e a ricostruire le energie vive della Nazione in base al principio che l'elevazione materiale e morale degli elementi sociali che compongono lo Stato, debba essere considerata funzione prima di governo in quanto l'individuo è elemento di produzione e quindi fattore di prosperità e di potenza. Il Governo fascista, affermando il concetto della funzione essenzialmente politica dell'assistenza, come sorgente di perfezionamento e di elevazione sociale, ha conquistato un campo di azione ch'era quasi esclusivamente dominato dall'iniziativa privata. Nell'iniziare infatti la sua opera di revisione e di organizzazione il Regime si era trovato di fronte a questa situazione: estesa e fiorente la iniziativa privata della beneficenza; quasi nulla l'azione dello Stato, ridotta a pochi provvedimenti legislativi regolanti l'assistenza ai vecchi, ai fanciulli, alle donne lavoratrici, agli invalidi. Il Governo fascista, pur considerando la beneficenza come una forma superata d'intervento privato in un campo essenzialmente statale, non ne ha inaridite le fonti, ma ne ha disciplinato il funzionamento, ponendola sotto il diretto controllo dello Stato, promuovendo il coordinamento e l'unificazione, nei limiti delle possibilità, di tutte le manifestazioni della beneficenza, e ha sviluppato il suo programma di politica sociale secondo queste direttive: lotta contro le malat-tie sociali; difesa della razza; protezione delle madri e dei fanciulli; educazione delle nuove generazioni; protezione dei lavoratori. Tale programma ha avuto pieno sviluppo nella legislazione sociale dell'ultimo decennio e tracciamo qui un piano sistematico e sintetico dei suoi istituti e delle sue provvidenze.
CONTRO LE MALATTIE SOCIALI
Lotta contro la tubercolosi. I due fondamentali elementi della lotta antitubercolare sono i Consorzi Provinciali Antitubercolari e l'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale; i primi, oltre a compiti di assistenza curativa hanno anche funzione generale di profilassi, mentre il secondo ha soltanto compiti di cura, di reintegrazione e di rieducazione fisica di individui già affetti da forme tubercolari. L'azione dei Consorzi e dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale è integrata, sia per quanto riguarda la profilassi sia per la cura, dalle molteplici forme di attività svolte in questo campo dalle Provincie, dai Comuni, dagli Istituti assistenziali, dalla Croce Rossa Italiana, dall'Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell'Infanzia, dall'Opera Nazionale per la protezione e assistenza degli invalidi di guerra, dall'Associazione Nazionale Combattenti, dal Partito Nazionale Fascista a mezzo degli Enti Opere Assistenziali (colonie climatiche estive). La Federazione nazionale italiana per la lotta contro la tubercolosi, infine, costituisce il centro coordinatore di tutta la campagna antitubercolare, provvede alla raccolta dei mezzi finanziari necessari per attuare la lotta contro la tubercolosi, rappresenta, anche nei Congressi internazionali, l'organizzazione unitaria che accentra in sé gli sforzi della Nazione per combattere questa malattia sociale. Lotta contro il tracoma. Iniziata col regolamento generale del 1901, intensificata da quello del 1911, ebbe grande impulso dalla Legge 29 luglio 1922. La Direzione Generale di Sanità Pubblica ha istituito e sussidiato numerosi dispensari gratuiti nelle zone più colpite. L'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale ha provveduto all'istituzione di altri numerosi ambulatori per la cura gratuita degli ammalati di tracoma. Lotta contro la malaria. I provvedimenti relativi risalgono al 1900 ed hanno avuto il maggiore sviluppo in questi ultimi anni. La Direzione Generale della Sanità Pubblica, per mezzo di un Comitato composto di tecnici coordina e dirige l'attività che si svolge attraverso le amministrazioni provinciali. Nelle regioni maggiormente colpite sono stati istituiti particolari servizi ospedalieri, centri di studio e di azione profilattica, servizi speciali per l'accertamento e la cura del male, distribuzione gratuita di chinino ai lavoratori nelle zone infette, protezione delle abitazioni. Ma l'azione più efficace contro il dilagare della malattia è il risanamento delle zone paludose per mezzo della bonifica che si va compiendo con grande efficacia in tutta Italia. Una menzione particolare, per l'opera che svolge nella lotta contro le malattie sociali, merita la Croce Rossa Italiana che, riorganizzata e posta in condizioni di risolvere nuovi problemi in tempo di pace, con le Leggi del 1928 e del 1930, ha creato nuovi servizi antitubercolari, antimalarici e di prima assistenza. La C.R.I., inoltre, cura la preparazione e la formazione del personale infermieristico.
MATERNITÀ E INFANZIA
Numerose ed importanti sono le disposizioni legislative riflettenti la protezione della maternità e dell'infanzia. I RR. DD. LL. 13 marzo 1929 e 28 agosto 1930 disciplinano la materia relativa alla tutela delle operaie e delle impiegate. Essi stabiliscono: l'allontanamento della donna dal lavoro nell'ultimo mese di gravidanza e nel primo del parto; l'obbligatorietà per il datore di lavoro di mantenere il posto alle operaie ed impiegate che si assentino dal lavoro per le ragioni sopraddette; l'obbligatorietà delle ore di riposo per l'allattamento; l'obbligatorietà per i datori di lavoro di istituire sale di allattamento per le aziende che occupino complessivamente almeno cinquanta donne tra operaie ed impiegate. Stabiliscono inoltre le condizioni relative alla corresponsione della paga e delle indennità di disoccupazione. Il Consiglio dei Ministri ha approvato nella Sessione del 3 marzo 1934 una proposta del Capo del Governo in merito a uno schema di legge sulla tutela della maternità delle lavoratrici che riunisce in un unico testo tutte le di-sposizioni vigenti in materia di assicurazione obbligatoria per la maternità e di tutela per le operaie impiegate, durante lo stato di gravidanza e di puerperio. La legislazione vigente prevede due istituti distinti: il sussidio per la maternità, che è stato esteso alle aziende commerciali e di altra natura e aumentato, e il sussidio di disoccupazione, aumentato anch'esso, da corrispondersi per i giorni di astensione della donna dal lavoro durante la gravidanza. Assistenza dell'infanzia abbandonata illegittima. L'Opera Nazionale per la Protezione della Maternità provvede a dare la maggiore assistenza alla maternità, rafforzando al massimo il sentimento del vincolo familiare, e riducendo al minimo le cause di mortalità delle madri e dei bambini nati da unioni legittime e illegittime. Il servizio di assistenza ai fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono è affidato alle Amministrazioni Provinciali, sotto le direttive ed il controllo dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Assistenza della gioventù. L'Opera Nazionale Balilla ha anche lo scopo di promuovere e disciplinare l'assistenza fisica e morale in favore della gioventù; e per l'adempimento di tali compiti ha facoltà di fondare le istituzioni dirette all'assistenza e all'educazione della gioventù o di promuovere e sovvenzionare le istituzioni che dispongono di inadeguate rendite, purché seguano le direttive dell'Opera.
ISTITUZIONI SCOLASTICHE
Patronati scolastici. Approvati e regolamentati dalla Legge 1925; con R. D. 17 marzo 1930 la loro gestione è affidata all'O. N. B. Essi devono provvedere al servizio dell'assistenza scolastica a favore degli alunni poveri iscritti alle scuole elementari. L'Ente nazionale per la mutualità scolastica provvede: 1°) alla iscrizione degli scolari all'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza [ruolo invalidità e vecchiaia; 2°) a dare aiuto ai soci ammalati e cure preventive ai soci gracili e predisposti; 3°) alla istituzione di opere assistenziali in genere; 4°) a promuovere l'educazione al risparmio, alla previdenza, all'igiene e ad estendere la conoscenza delle leggi sulla previdenza e sull'igiene sociale. Con recentissimo provvedimento l'amministrazione e la direzione dell'Ente Nazionale della Mutualità scolastica sono state assunte dall'Opera Nazionale Balilla. Oltre i due grandi Enti succitati, i cui compiti specifici abbiamo già precisato, molti altri enti di carattere pubblico provvedono ad una ampia assistenza dei giovani di ambo i sessi, che intendono avviarsi agli studi. Tale assistenza si esplica con il conferimento di posti gratuiti o semi gratuiti di ricovero in convitto e di borse di studio valevoli per tutti i gradi di istruzione. Diamo un breve cenno di questi Enti, alcuni. dei quali ricorderemo anche altrove perché non hanno solo compiti di assistenza scolastica. L'Opera nazionale per gli orfani di guerra ha la sede centrale in Roma e comitati locali in tutti i capoluoghi di provincia. L'Opera di previdenza del personale civile e militare dello Stato e l'Istituto nazionale per gli orfani degli impiegati civili dello Stato aventi la sede centrale in Roma, provvedono al ricovero e all'istruzione degli orfani degli iscritti. All'Opera di Previdenza, sono iscritti tutti i dipendenti dello Stato obbligatoriamente, mentre l'Istituto Nazionale per gli Orfani degli impiegati civili dello Stato, pur essendo eretto in ente morale, raccoglie solo iscrizioni volontarie, come l'Istituto Nazionale Umberto I che, però, assiste gli orfani degli impiegati subalterni e degli operai delle amministrazioni pubbliche. L'istituto nazionale per l'educazione degli orfani dei maestri elementari e dei direttori didattici e l'Istituto nazionale di assistenza magistrale Rosa Maltoni Mussolini hanno la sede centrale in Roma. Il primo provvede al mantenimento, all'educazione e alla istruzione degli orfani dei maestri elementari e dei direttori didattici, il secondo alla assistenza scolastica dei figli dei maestri elementari, mediante il conferimento di borse di studio Istituto di assistenza e previdenza fra i titolari degli uffici secondari per i ricevitori postali e telegrafici e per gli agenti rurali. Ha la sede centrale in Roma. Provvede alla educazione e all'istruzione degli orfani minorenni degli addetti alle categorie per le quali è costituito. Istituto nazionale fascista assistenza dipendenti degli enti locali. Ha sede in Roma. Provvede alla assistenza scolastica dei figli e degli orfani dei dipendenti degli enti locali, mediante il conferimento di posti gratuiti e semi gratuiti di ricovero in convitto e di borse di studio. Opera pia nazionale di assistenza per gli orfani dei sanitari italiani. Ha sede in Perugia. Provvede al mantenimento, all'educazione e all'istruzione degli orfani dei medici, veterinari e farmacisti soci dell'istituzione. Degli enti ed istituti succitati, sono creati ex novo dal Governo fascista: l'Istituto Nazionale d'Assistenza Rosa Maltoni Mussolini, l'Opera di Previdenza del Personale civile e militare dello Stato, l'Istituto Nazionale Fascista Assistenza Dipendenti degli Enti Locali.
PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI LAVORATORI
Ente Opere Assistenziali del P. N. F. Dal principio che anche la legislazione sociale più per-fetta presenta delle lacune e ad essa sfuggono necessariamente i particolari bisogni di gran parte della popolazione, deriva l'azione assistenziale svolta dal Partito fin dal 1925 attraverso i Fasci femminili, integrando e completando l'azione degli enti assistenziali esistenti, allo scopo di alleviare la miseria, fonte di corruzione e decadenza fisica e morale della società, di collaborare alla lotta contro le malattie sociali, particolarmente della tubercolosi. Dal 1930, in occasione dell'aggravarsi della crisi economica, si senti il bisogno di disciplinare il complesso dell'attività assistenziale svolta dai Fasci femminili, attraverso un unico organismo; vennero quindi istituiti gli Enti Opere Assistenziali. L'E. O. A. posto in ciascuna provincia alle dipendenze del Segretario Federale: 1) organizza l'assistenza invernale a favore dei disoccupati, coordinando con unità di indirizzo tutte le iniziative sorte a tale scopo nella provincia; 2) provvede alla organizzazione, alla gestione, alla sorveglianza dell'assistenza climatica estiva a favore dei bambini del popolo, che si attua attraverso le colonie permanenti, temporanee e diurne; 3) provvede all'organizzazione dell'assistenza in favore delle operaie addette alla monda del riso nelle provincie interessate, in accordo con le organizzazioni sindacali competenti. Patronato Nazionale per l'Assistenza sociale. L'assistenza ai lavoratori nel campo della previdenza è stata resa veramente completa ed esauriente per mezzo dell'istituzione che ha sede centrale in Roma ed esplica la sua attività in tutto il territorio del Regno, costituendo, ai termini della Dichiarazione XXIX della Carta del Lavoro, l'organo tecnico a mezzo del quale le Confederazioni dei lavoratori adempiono alle funzioni di assistenza e di tutela dei propri rappresentati nelle pratiche amministrative e giudiziarie. La previdenza e l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. Il Governo fascista ha dato, in quest'ultimo decennio, un impulso cosi vigoroso alla legislazione sociale che l'Italia si trova oggi, anche in questo campo, alla testa di tutti i paesi del mondo. Mentre si è provveduto alla revisione e al miglioramento delle leggi relative alle assicurazioni sulla invalidità e vecchiaia, sugli infortuni e sulla disoccupazione, si è pure resa obbligatoria la assicurazione contro la tubercolosi e le malattie sociali e, ad opera delle organizzazioni sindacali, si è dato il massimo sviluppo alla costituzione di Casse Mutue che gestiscono la assicurazione contro le malattie individuali ed altre forme di assistenza e di previdenza. Diamo un breve cenno degli Istituti che amministrano la previdenza a favore dei lavoratori e le assicurazioni delle quali abbiamo parlato più sopra. Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale. Ha la sede centrale in Roma. Attivamente gestisce: 1) l'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia; 2) l'assicurazione facoltativa contro l'invalidità e la vecchiaia; 3) l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 4) l'assicurazione contro la tubercolosi; 5) la cassa di maternità; 6) alcune case di convalescenza e stazioni di cura termali, sanatori, ecc. Istituto nazionale per l'assistenza dei grandi invalidi del lavoro. Ha sede in Roma. Ha il compito di provvedere alla rieducazione dei minorati per causa di lavoro in modo da assicurare ad essi, per tutta la vita, i mezzi di sussistenza. Istituto nazionale fascista per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ha la sede centrale in Roma. Gestisce le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni e contro le malattie professionali. Come abbiamo già accennato le. organizzazioni sindacali hanno dato un grande sviluppo alla costituzione di Casse Mutue professionali e aziendali entro le quali trova già assistenza la grande maggioranza dei lavoratori italiani. Poiché una elencazione di dette Casse sarebbe eccessivamente lunga e sarebbe fuori luogo in una pubblicazione come la presente ci limitiamo a ricordare le maggiori che sono: la Cassa nazionale malattie per gli addetti al commercio, che è in funzione dall'ottobre 1929; la Cassa nazionale malattie per gli addetti ai trasporti e alla navigazione interna, che è in funzione dal lo settembre 1931; la Cassa di mutualità e di previdenza degli operai poligrafici che è stata recentemente rinnovata nel suo ordinamento interno. Dell'Opera Nazionale Dopolavoro, che può considerarsi come la maggiore delle istituzioni di assistenza morale dei lavoratori.

PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI DIPENDENTI PUBBLICI

Ai dipendenti pubblici e specificamente a quelli dipendenti dallo Stato e dagli enti locali è assicurato, come è noto, il trattamento di quiescenza mediante la pensione che viene concessa dopo la maturazione di un determinato periodo minimo di servizio. La grande maggioranza dei dipendenti dagli enti parastatali e assimilati ha, invece, garantito il trattamento di quiescenza attraverso una polizza di assicurazione che è riscuotibile alla fine del servizio. Il Governo fascista ha però voluto estendere anche ai dipendenti pubblici quelle forme di previdenza sussidiaria, diciamo cosi, e di assistenza in pieno sviluppo per le categorie dei lavoratori dipendenti dalle aziende private, creando appositi istituti. Le principali finalità degli istituti che elenchiamo più avanti possono essere cosi riassunte: conferimento di assegni vitalizi agli iscritti o ai loro superstiti in caso di cessazione dal servizio o di morte prima di aver maturato il diritto a pensione; conferimento di un premio agli iscritti all'atto del collocamento a riposo; conferimento di sussidi di lutto ai superstiti in caso di morte degli iscritti; conferimento di sus-sidi di assistenza sanitaria nei casi di malattia degli iscritti. Ed ecco l'elenco degli enti cui è affidata la realizzazione delle finalità sopra accennate:
Opera di previdenza del personale civile e militare dello Stato; Opera di previdenza della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale; Istituto nazionale fascista assistenza dipendenti degli enti locali; Ente nazionale fascista assistenza e previdenza dipendenti degli enti parastatali e assimilati; Opera di previdenza a favore del personale delle ferrovie dello Stato; istituto di assicurazione e previdenza per i titolari degli uffici secondari per i ricevitori telegrafici e postali e per gli agenti rurali; Opera nazionale di assistenza magistrale Rosa Maltoni Mussolini. Si deve infine ricordare che le Associazioni fasciste dei dipendenti pubblici, poste alle dirette dipendenze del Segretario del Partito Nazionale Fascista, provvedono ad inviare ogni anno in colonie marine o montane i figli degli iscritti bisognosi.


ASSISTENZA E PREVIDENZA DEI MINORATI E DELLE FAMIGLIE DEI CADUTI IN GUERRA
E PER LA CAUSA NAZIONALE

É attribuita ai seguenti istituti: Opera nazionale per la protezione e assistenza agli invalidi di guerra. Ente parastatale istituito con Legge 25 marzo 1912, è l'organo esecutivo di tutte le disposizioni emanate dallo Stato in favore degli invalidi e mutilati di guerra e dei loro orfani minori; provvede parimenti all'assistenza sanitaria, morale e di rieducazione, all'assistenza sociale, materiale e giuridica, al collocamento obbligatorio degli invalidi ai sensi della Legge 21 agosto 1921. Col 10 maggio 1930, in virtù degli accordi intervenuti a suo tempo con il cessato Comitato nazionale orfani di guerra, l'assistenza degli orfani e dei minori di invalidi, già sottoposti alla giurisdizione dei Comitati provinciali orfani di guerra, è passata alla diretta amministrazione dell'Opera nazionale per la protezione ed assistenza agli invalidi di guerra. Associazione Nazionale Combattenti. Istituita nel 1919 ed eretta in ente morale con R.D. 24 giugno 1923, ha lo scopo di assistere gratuitamente i combattenti iscritti. Associazione fra le famiglie dei caduti in Guerra, eretta in ente morale con R.D. 2 febbraio 1924, ha lo scopo di valorizzare i sacrifici dei caduti per la patria, di promuovere le iniziative intese ad elevare moralmente e materialmente le famiglie dei caduti. Associazione nazionale famiglie caduti fascisti mutilati e invalidi per la causa nazionale, è stata costituita il 2 giugno 1924; nel 1919 furono aggregati all'Associazione i mutilati ed invalidi per la Causa Nazionale, il 23 marzo anche i feriti. Compito principale dell'Associazione è di curare il collegamento tra le famiglie che hanno dato caduti alla causa della rivoluzione fascista ed assisterne e sorvegliarne gli orfani, aiutare i genitori bisognosi e le vedove, assistere moralmente e materialmente i minorati per la causa fascista. Con la Legge 24 dicembre 1925, è stata accordata alle famiglie dei caduti, ai mutilati e invalidi per la Causa Nazionale, divenuti tali nel periodo che decorre dal 23 luglio 1919 al 31 ottobre 1922, la pensione privilegiata di guerra. Con la Legge 24 marzo 1930 sono state estese tutte le disposizioni concernenti la protezione ed assistenza agli invalidi per la Causa Nazionale a favore dei quali sono state liquidate pensioni od assegni privilegiati di guerra in applicazione dell'art.1 della Legge 24 dicembre 1920. Successivamente con la Legge del 12 giugno 1931 venivano estesi agli orfani ed ai congiunti dei caduti per la causa nazionale, in possesso dei regolari libretti di pensione, tutte le provvidenze emanate in favore degli orfani e dei familiari dei caduti in guerra.