mercoledì 25 settembre 2019

LA DEMOCRAZIA DEGLI IMBECILLI !



La democrazia degli imbecilli!

Una nazione in ginocchio, una crisi che sta ammazzando aziende e persone, una miseria galoppante che sta portando le famiglie al collasso, un governo assente, indifferente, lontano ed incapace di capire e risolvere i problemi della popolazione, uno stato che pensa di risolvere il problema del lavoro e della crisi aumentando le tasse e creandone altre. E il Parlamento italiano, composto da una cricca di personaggi delegittimati, pensa ad aumentare il numero dei clandestini, a migliorarne il cibo, preoccupandosi del fatto che quello che viene dato non è digeribile per il delicato stomaco musulmano.


Un Parlamento che parla attraverso personaggi politici la cui stabilità mentale è quanto meno dubbia, soprattutto quando alcuni di questi promuovono l’idea di inserire i clandestini all’interno delle famiglie italiane, o quando viene detto che non sono i clandestini a portare le malattie, ma siamo noi a contaminarli. Una presidente della Camera che invece di prendere in considerazione i suicidi di padri di famiglia, di figli, di persone che cadono in disgrazia per aver perso il lavoro, per non essere stati più in grado di portare il pane a casa in maniera onesta ( e non ladresca come fanno certi “onorevoli”) reputa importante modificare gli aggettivi maschili portandoli al femminile, come se questo fosse il vero problema che affligge la nostra popolazione. Una forma mentis che dovrebbe preoccupare, sia perché in questo c’ è un evidente senso di inferiorità che sfocia nel delirio, sia perché non esiste la capacità di intuire quali sono i problemi da risolvere, quali sono i più importanti, imminenti, basilari. Siamo un popolo che, nel nome della democrazia, ha concesso la parola e il potere a tutti, anche a coloro che non hanno la capacità di raziocinio, ma che, in compenso, hanno il dono della parola, anche se disarticolata, inutile, se non dannosa. Persone che dovrebbero tacere sono state messe ai posti di comando di una nazione. Gente che non è in grado di capire e risolvere le questioni sociali sono state insignite di titoli onorifici e di un potere che in altri paesi sarebbero stati dati a persone con una intelligenza maggiore ed una capacità analitica decisamente superiore. Noi siamo in mano a questi “democratici” che parlano a vanvera, che promuovono assurdità, che rubano, trafficano, truffano, si disinteressano dei problemi sociali, che vivono in un mondo tutto loro, lontano dal nostro anni luce. Loro sono ai piani superiori e vedono il nostro, infinitamente più al di sotto, come il luogo da cui prendere la loro linfa vitale. E lo fanno depredando, distruggendo, usurpando, imponendo, condannando, terrorizzando, mistificando, mentendo. Un piccolo gruppo di persone che comanda una moltitudine di individui ci sta uccidendo lentamente, ci sta facendo agonizzare giorno dopo giorno. E l’Italia dorme, si interessa di calcio, di Schettino, delle scopate di tizio o di caia. Si incolla davanti alle televisioni per seguire i campionati mondiali di calcio, segue telenovelas interminabili e talk show assurdi e faziosi. E intanto la nazione muore, si spegne poco alla volta, soffocata dalle decine di migliaia di clandestini che invadono indisturbati il nostro paese, umiliata dall’Unione Europea persino dai finlandesi, un popolo di di barbari cornuti che vive in perenne contatto con il freddo polare, una razza che non ha dato nulla la mondo se non qualche renna fosforescente grazie alla tragedia di Chernobyl. Questa è l’Italia e questi sono i politici che la guidano. E noi siamo il popolo che permette tutto questo. Quando accadrà che la gente italiana, le persone del nostro paese si sveglieranno, imbracceranno qualsiasi cosa hanno a portata di mano, e uniti inizieranno a marciare verso Roma? E se questo è chiedere troppo, quando accadrà che il popolo unito deciderà di non dare più un solo centesimo a quella banda di camorristi che occupa abusivamente il Parlamento? Ecco, fin quando questo non accadrà, non avremo il diritto di vergognaci del governo che abbiamo, ma avremo il dovere di vergognarci di noi stessi, per non aver fatto nulla di reale, di concreto, per destituire questo governo di lordi, di inaffidabili, di ipocriti, di anti italiani. Noi abbiamo il governo che ci meritiamo e se non lo cambieremo in un modo o in un altro avremo ciò che ci meritiamo anche nel futuro. Diversamente, alziamoci dalla poltrona di casa prima che ci vengano a togliere anche quella e iniziamo ad organizzare una qualsiasi forma rivoluzionaria, purché porti alla caduta di questo avvilente e dannoso governo di camerieri imbalsamati asserviti ad un sistema bancario – industriale internazionale che si fermerà solo quando ci vedrà schiavi o morti. Se moriremo o se verremo schiavizzati sarà solo colpa nostra, della nostra vigliaccheria, della nostra indifferenza, della nostra incapacità a reagire. Se noi moriremo sarà solo per colpa nostra e non perché chi ci comanda è più astuto. Ricordiamocelo fin quando non spaleranno terra sulle nostre bare.    da  Il POPOLO D'ITALIA     



                                                                                                                                                                                                              

venerdì 20 settembre 2019

LA VERITA’ SU VIA RASELLA

LA VERITA’ SU VIA RASELLA



E SULLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE
Di Antonio Leggiero
            Molto è stato scritto, giustamente, sull’eccidio delle FOSSE ARDEATINE.
            Il problema è che, quasi tutto è stato prodotto, in modo deformato e incompleto, sulla falsariga ineliminabile, condizionante e coartante del “mito resistenziale”.
          
           Va ricordato, ad onor del vero, senza nulla togliere all’inaudita gravità della strage, che, in ogni conflitto e in ogni epoca storica, è stato sempre riconosciuto alle forze armate di una nazione il diritto legittimo di rappresaglia, a seguito di attentati eseguito contro le proprie truppe. Ciò è stato sempre praticato da tutti gli eserciti del mondo, anche da quelli, a torto, ritenuti più “umani”.
            Basti ricordare, realtà ai più sconosciuta, che l’esercito americano durante l’ultimo periodo di guerra, nei primi mesi del ’45, nei territori occupati in Germania, aveva imposto la regola dei cento tedeschi fucilati, per ogni militare statunitense ucciso!
            Di questo, nessuno ne parla. Non si può infangare la leggenda “degli americani buoni, portatori di civiltà”. Già, il mitico esercito “yankee” liberatore degli oppressi e castigatore dei cattivi. In Italia, più di mezzo secolo fa, gli americani eseguivano questo compito “in maniera impeccabile”, mitragliando i bambini nei giardini degli asili e delle scuole, durante le ore di ricreazione, colpendo le autoambulanze con le insegne della Croce Rossa in evidenza e lasciando dei “meravigliosi souvenirs” per le strade, in cui si nascondevano dei subdoli e terrificanti ordigni, che colpivano e martoriavano gli strati più inermi della popolazione (chi non ricorda le famigerate penne d’oro?), con bambini accecati e mutilati.
            Non divaghiamo e torniamo alle Ardeatine, cercando di ricostruire gli eventi così come si svolsero, in quel maledetto inizio di primavera, di circa sessant’anni or sono.
            Nel fare ciò, dobbiamo prima analizzare, almeno per sommi capi, una questione fondamentale, di cui poco o nulla si discute: quale fu la causa?
            In altre parole: come si giunse all’eccidio? Perché? Chi lo volle?
            Del resto, la logica vuole che di ogni fenomeno della realtà ci si interroghi prima sulla causa e poi sull’effetto, anche se quest’ultimo, può essere, per così dire, più appariscente e calamitante, a tal punto da richiamare maggiormente l’attenzione. Come è accaduto nel caso in questione.
            Iniziamo con ordine.
            Com’è noto, Roma viveva l’occupazione tedesca con una certa tolleranza, anche perché gli effetti del governo militare erano assai blandi.
            Naturalmente, questo non era gradito ai comandi partigiani, che vedevano ciò come un impedimento alle loro azioni di guerriglia, con i più estremisti che accusavano la popolazione di inerme acquiescenza all’occupazione tedesca.
            Ragion per cui, i capi decisero di agire, del tutto incuranti delle successive conseguenze sui civili. Ma questo era il normale “modus operandi” dei partigiani in Italia.
            Ed ecco quindi che, il 23 marzo 1944, un gruppo di GAP (acronimo che stava per GRUPPI D’AZIONE PATRIOTTICA, ma che, in sostanza, erano il braccio armato del PARTITO COMUNISTA, a cui, peraltro, è stato sempre alieno il concetto di Patria) entrò in azione. Il gruppo di fuoco era guidato da ROSARIO BENTIVEGNA e composto dalla sua compagna CARLA CAPPONI (nome di battaglia ELENA), FRANCO CALAMANDREI, CARLO SALINARI (nome di battaglia SPARTACO), RAOUL FALCIONI, FERNANDO VITAGLIANO, PASQUALE BALSAMO, SILVIO SERRA, FRANCESCO CURRELI e GUGLIELMO BLASI.
            Anche se, nelle stesse dichiarazioni dei partigiani partecipanti all’azione, a distanza di anni, vi sono ancora delle vistose incongruenze, sui nomi e sul numero di chi era presente a Via RASELLA. Ma, anche questo modo confuso e farraginoso di raccontare le loro azioni, fa parte del loro “cliché”.
            Comunque, questo fu, secondo la massima probabilità, il gruppo degli esecutori. Veniamo, quindi, ai mandanti.
            L’azione era stata autorizzata dal Comando Militare del CLN, di cui faceva parte RICCARDO BAUER, SANDRO PERTINI (da non ricordare soltanto come il simpatico connetto, che faceva i salti di gioia ai mondiali di calcio per la nostra nazionale, ma anche e soprattutto come famigerato “baciatore” omaggiante delle bandiere “titine” ed elargitore di vitalizi a tanti aguzzini delle foibe), RICCARDO BAUER e GIORGIO AMENDOLA, che era soltanto il responsabile militare delle formazioni partigiane comuniste a Roma, mentre il vero “deus ex machina” era il “mitico compagno ERCOLE ERCOLI”, alias PALMIRO TOGLIATTI.
            Torniamo a quel tragico pomeriggio d’inizio primavera, un pomeriggio pieno di sole, quando ancora le stagioni mantenevano i loro ritmi naturali.
            Il gruppo di GAP aveva osservato, in precedenza, che, tutti i giorni, alla stessa ora, attraverso Via RASELLA un reparto di tedeschi, per recarsi al cambio della guardia al Quirinale. Dopo averne studiato le mosse, stabilì che questo era il giusto obiettivo strategico (?).
            Occorre, già qui fare due doverose precisazioni storiche.
            Primo, questo reparto non era composto, come i più credono, grazie alla “vulgata resistenziale”, da sadici e feroci torturatori nazisti. Questi militi, invece, appartenevano all’Undicesima Compagnia del Reggimento di Polizia “BOZEN”, semplicemente aggregata, per motivi contingenti, alle SS, ma mai impegnata in vere e proprie azioni di guerra, principalmente per ragioni anagrafiche, in quanto erano uomini in là con gli anni.
            Secondo, non erano sanguinari e cinici “mostri teutonici” ma erano dei richiamati – riservisti ALTOATESINI, cioè ITALIANI.
            In ogni caso, alle 15 e 52 del 23 marzo ’44, ROSARIO BENTIVEGNA, appena ricevuto il segnale dell’arrivo del reparto, all’imbocco della strada, accese la miccia della bomba, occultata in un carretto della nettezza urbana, contenente diciotto chili di tritolo, più infiniti pezzi di acciaio e ferro, per accrescere l’effetto devastante.
            Fu l’inferno!
            A causa di quell’esplosione, morirono 32 militi tedeschi all’istante, più un altro, il giorno dopo, in ospedale.
            Fin qui, più o meno, la storia è abbastanza conosciuta.
            Pochissimi sanno, invece, che, nell’esplosione, morirono anche due italiani, che erano sul posto e che non avevano nulla a che vedere con tutta quella maledetta guerra! Costoro erano stati visti dagli attentatori, i quali non fecero nulla per salvarli, decidendo ugualmente di portare a compimento quell’insulso atto, che tanto sarebbe costato all’inerme popolazione.
            Quindi, li sacrificarono coscientemente. La prima vittima era un ragazzino di tredici anni. Si chiamava PIETRO ZUCCHERETTI, il quale, per una di quelle tragiche fatalità del destino che non perdonano, si trovava sul posto. Infatti, dovendosi recare al lavoro, era salito su un autobus che doveva farlo scendere a Via DEL TRITONE. Purtroppo, l’autobus quel giorno non rispettò la sua abituale tabella di marcia ed il ragazzo fu costretto a scendere alla fermata di PIAZZA BARBERINI.

            Fu attratto, adolescente, dalle note della canzone, che i militi tedeschi cantavano, mentre marciavano (“HUPF MEIN MADEL” – “SALTA RAGAZZA MIA”) ed invece di prendere Via DEGLI AVIGNONESI, rimase ad aspettare, quella che, ai suoi occhi, sembrava una simpatica parata militare. Secondo alcuni testimoni, per godersi meglio la “sfilata”, si era addirittura seduto sul carretto dei rifiuti, che conteneva i diciotto chili di tritolo!

            Fu la sua condanna. L’esplosione lo dilaniò orribilmente in sette pezzi, che furono scaraventati a diverse decine di metri di distanza. I piedi non furono mai trovati e di lui, rimase visibile sul selciato soltanto il tronco!
            L’altra vittima si chiamava ORFEO CIAMBELLA, aveva 60 anni e svolgeva l’incolpevole, anzi lodevole, compito di custode del deposito della Croce Rossa di Via RASELLA. Anche lui, fu preso in pieno dall’esplosione. Venne scaraventato a circa sessanta metri dallo scoppio! Non morì subito, ma dopo una lunga e terribile agonia, durata diversi anni, con il corpo pieno di schegge, che lo tormentarono, fino alla fine, tra indicibili sofferenze.
            Di questi due martiri nessuno o quasi ne ha mai parlato, se non un’eccellente inchiesta svolta dal giornalista PIERANGELO MAURIZIO, per conto del quotidiano “IL TEMPO”, una decina d’anni or sono.
            Per i partigiani, l’azione di Via RASELLA non provocò vittime civili.
            La domanda più straziante e lacerante, ovviamente non solo adesso, ma già allora era ed è: “Quale straordinaria importanza strategico-militare poteva avere quest’azione?”.
            Purtroppo, per quanto si cerchi di trovarne una soddisfacente, una risposta convincente non c’è. Se non quella di suscitare la prevedibilissima e scontatissima rappresaglia tedesca. Infatti, da tempo, le strade della capitale erano tappezzate con sinistri e lugubri manifesti, che annunciavano terribili rappresaglie per ogni azione contro le forze germaniche. Anche, dal punto di vista dei partigiani, nell’ottica della loro lotta ai tedeschi, non c’era assolutamente bisogno di compiere quella scellerata azione, visto che erano già sulla strada della capitale le colonne Alleate del Generale CLARK, che, infatti, di lì a settanta giorni circa, sarebbero entrate in Roma. E ciò sarebbe avvenuto con o senza VIA RASELLA.
            E’ da ricordare anche che il Comando Militare Germanico di Roma riuscì a mitigare una richiesta di rappresaglia di HITLER ancora più tremenda, che consisteva nel far saltare in aria un intero quartiere, con CINQUANTA ITALIANI UCCISI PER OGNI TEDESCO! Detto Comando riuscì, invece, ad applicare la misura di DIECI ITALIANI PER UN TEDESCO.
            Va anche ricordato che tutta la carneficina che seguì alle FOSSE ARDEATINE, si sarebbe ancora potuta evitare, se si fossero consegnati i responsabili. Perché, allora, almeno qualcuno di questi partigiani, se veramente voleva essere un eroe, non si presentò? Il fulgido esempio di SALVO D’ACQUISTO era ancora fresco e non era avvenuto molto distante.
            Per carità, mi venga perdonato questo accostamento blasfemo, tra un EROE in odore di Beatificazione e dei cinici esecutori di ordini di Togliatti, accanito aguzzino di tanti italiani (anche comunisti) in Russia!
            Pertanto, inevitabilmente, ci fu l’inumana mattanza, che avvenne in alcune cave fuori Roma, lungo la Via ARDEATINA, dove furono massacrate 335 persone!
            Per cercare di comprendere, se mai sarà possibile, oggi, dopo sessant’anni, come queste reazioni indubbiamente brutali, profondamente inumane, terribilmente bestiali (ripetiamo, praticate da tutti gli eserciti), tuttavia, assumano, in quell’irripetibile contesto storico-militare il carisma di “legittimità” (ovviamente dal punto di vista strettamente giuridico, mai morale, per carità, altrimenti sarebbe la fine della coscienza umana), va ricordato un particolare rivelatore.
            Quando, a distanza di anni, si celebrarono i processi ai responsabili dell’eccidio delle ARDEATINE, coloro i quali vennero condannati all’ergastolo, per strage, in primis il colonnello HERBERT KAPPLER, vennero ritenuti penalmente responsabili non per i 335 morti, esecuzione avvenuta in ottemperanza di un ordine legittimo, ma per i cinque in pù, che furono aggregati, per errore, al gruppo dei condannati, nella concitazione degli eventi.
            Ed è il caso di ricordare anche l’anomala vicenda giudiziaria del capitano ERICH PRIEBKE, vice di KAPPLER, in un primo momento assolto, poi processato di nuoco, quasi a furor di popolo, per le enormi proteste di piazza della comunità ebraica, con nuova sentenza, stavolta, di condanna, quasi violando il sacrosanto principio di civiltà giuridica del “ne bis in idem”!. E questo non è avvenuto nell’immediato dopoguerra (si sarebbe anche potuto capire), ma qualche anno fa! Una chicca di chiusura. Nel 1982, allora Presidente della Repubblica SANDRO PERTINI (singolare coincidenza) furono decorati al valor militare il capo-esecutore del gruppo di fuoco ROSARIO VENTIVEGLIA e la moglie CARLA CAPPONI, partecipante all’azione di Via RASELLA (SIC!).
            Ce n’era proprio bisogno, dopo quarant’anni, e per quali straordinari meriti?
            Queste due medaglie stridono contro il buon senso e contro ogni logica.
            Visto che erano due, andavano conferite alla memoria delle due vittime innocenti e dimenticate di Via RASELLA: PIETRO ZUCCHERETTI e ORFEO CIAMBELLA.
            Per tutta riconoscenza, in un libro pubblicato l’anno successivo (’83) dal BENTIVEGNA, con il titolo “Acthung banditen”, lo stesso scrisse: “LA PROPAGANDA NEMICA DIFFUSE CHE CIVILI, RESIDENTI O DI PASSAGGIO, ERANO STATI COINVOLTI NELL’AZIONE DI VIA RASELLA. NON RISULTA DALLE FONTI STORICHE CONSULTATE, CHE VI SIANO STATI DEI CADUTI CIVILI”.
            Ogni commento è vano.
            Se non che questi due poveri cristi vennero uccisi per la seconda volta. Dalla stessa mano di chi li aveva uccisi, accendendo quella stramaledettissima miccia, in un soleggiato pomeriggio d’inizio primavera di tanti anni prima.
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P.S.: va ricordato infine, per inquadrare meglio il personaggio BENTIVEGNA, che dopo l’ingresso delle truppe alleate in Roma, quindi, ad ostilità cessate, il gappista uccise a colpi di pistola un giovane tenente della Guardia di Finanza di nome GIORGIO BARBARISI, “reo” di avergli intimato di affiggere un manifesto, in una zona vietata. Ne nacque un alterco con conseguente omicidio. Una corte alleata condannò il BENTIVEGNA  diciotto mesi di reclusione per “ECCESSO DI DIFESA”.

                                                                                                                          
 

sabato 14 settembre 2019

L’ULTIMO LEGIONARIO DI MUSSOLINI

L’ULTIMO LEGIONARIO DI MUSSOLINI: DAL FRONTE DI NETTUNIA ALLA PRUSSIA

Incontro con il reduce del Battaglione M “IX Settembre” Domenico Silvestri
Sabato 18 Maggio 2019, su interessamento di Gianluca Iannone, il Dott. Pietro Cappellari, ricercatore storico e Direttore de “L’Ultima Crociata”, ha intervistato, nella sua casa de L’Aquila, il Legionario Domenico Silvestri, combattente della RSI tra le fila dell’invitto Battaglione M “IX Settembre”. Questa unità prese forma dai Battaglioni da Sbarco della Milizia dislocati nel Sud della Francia che, all’indomani della resa incondizionata e del conseguente passaggio al nemico del Regno d’Italia, si ribellarono restando al fianco dell’alleato germanico.
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Silvestri, classe 1925, si era arruolato Volontario nel 1942, a soli 17 anni, per partecipare alla guerra per l’indipendenza e la grandezza nazionale. Fu incorporato nella Milizia Controaerea ed inviato in Calabria. Venuto a conoscenza della costituzione della Divisione Corazzata M, chiese ed ottenne di essere trasferito in questa prestigiosa e modernissima unità. Fu qui che lo colsero i drammatici eventi del 25 Luglio e dell’8 Settembre 1943.
Tornato a casa, appena saputo della liberazione del Duce, si presentò al Comando della 130a Legione della Milizia de L’Aquila, chiedendo di essere nuovamente arruolato. Ma la vita di “guarnigione” non faceva per lui e, come si diffusero le voci che a Teramo era dislocato un Battaglione M “operativo”, ossia un reparto d’assalto speciale della Milizia di prima linea, corse subito ad arruolarsi in questa nuova unità. Con questo reparto, che passerà alla storia con il nome di Battaglione M “IX Settembre”, inquadrato nella Divisione germanica “Brandenburg”, Silvestri fu impiegato in difesa di Roma sul fronte di Nettunia all’indomani dello sbarco alleato del 22 Gennaio 1944 e, subito dopo, su quello di Ortona (Chieti), per sbarrare il passo agli invasori britannici che minacciavano di risalire la penisola dal versante adriatico. Ma non solo. Il Battaglione M “IX Settembre” fu anche impiegato in Prussia, in difesa dell’Europa dall’invasione sovietica.
Rientrato in Italia, il reparto fu lanciato con successo anche in operazioni controguerriglia, tra cui si ricorda la liberazione di Cogne (Aosta) dai partigiani.
La fine della guerra, vide il Legionario Silvestri nella zona di Vittorio Veneto (Treviso). Nonostante l’accettazione della resa concordata con il locale CLN, all’atto della deposizione delle armi, l’accordo venne disatteso e le Camicie Nere – disarmate – rimasero in balia dell’odio partigiano. Oramai inermi, molti Legionari furono fucilati. Silvestri fu fortunato e, nonostante i barbari pestaggi subiti, cui si unì anche un Sacerdote, sopravvisse, salvato dalla fucilazione sommaria dall’intervento di unità britanniche che allontanarono i ribelli e presero in consegna i prigionieri.
Iniziò, quindi, la peregrinazione per i vari campi di concentramento anglo-americani sparsi in Italia, tra cui ricorda quello di Afragola (Napoli). Mentre migliaia di prigionieri della RSI incolonnati attraversavano il corso della città scortati dai gendarmi britannici, un soldato intonò l’inno della Decima MAS. All’improvviso tutti si misero a cantare, facendo tremare i vetri delle case. La gente, incredula, che si era ammassata ai bordi delle strade per vedere l’insolito spettacolo, cominciò a battere le mani… ultimo segno di saluto a chi aveva combattuto per l’onore e la libertà dell’Italia.
SILVESTRI 1
L’intervista rilasciata al Dott. Cappellari sarà oggetto di un video che, per interessamento di CPI L’Aquila, tramanderà alle nuove generazioni questa storia straordinaria e il profondo significato spirituale dell’amor di Patria spinto fino al sacrificio supremo.
Scipione di Torrealta


sabato 7 settembre 2019

La vergogna dell’8 settembre 1943


I TRADITORI

La vergogna dell’8 settembre 1943

Proponiamo l’intervista allo storico Pietro Cappellari sul significato di una data simbolica e nefasta per i destini della nostra patria, l’8 settembre 1943.
 di E. Galoppini(ildiscrimine.com) – Che cosa è, nei fatti, l’8 settembre 1943? Come si arriva al cosiddetto “armistizio” e al cambio di alleanze?
L’8 Settembre è esattamente la “morte della Patria”, ossia la fine della Nazione italiana come Stato avente una propria missione e un primato da esercitare, la fine di un comune sentimento di Patria nel popolo italiano. Una rottura tragica ed epocale che affonda ovviamente le sue radici nel colpo di Stato del 25 Luglio 1943 (arresto di Mussolini e fine del Regime fascista), di cui sono corresponsabili la Monarchia, le alte sfere militari e la destra interna al PNF (che sperava in una successione al Duce, ma venne poi esautorata). Il processo scatenante del colpo di Stato è ovviamente la crisi militare irreversibile iniziata dopo la sconfitta di El Alamein (Novembre 1942) e resasi drammatica dopo l’abbandono della Tunisia (Maggio 1943). La destra fiancheggiatrice il Regime (circoli di Corte, militari, ma anche Confindustria e Chiesa cattolica) cercarono allora di salvare il salvabile, ossia se stessi, liquidando il Fascismo, provocando però un collasso morale che – per incapacità e vigliaccheria dei nuovi “amministratori” dell’Italia – condusse all’8 Settembre.
Si può parlare unicamente di “tradimento” oppure anche chi si arrese aveva le sue ragioni, visto l’andamento negativo della guerra? O non si deve pensare, piuttosto, all’esito finale di una manovra che parte da lontano e che durante tutto il conflitto tese a sabotare scientificamente l’operato delle nostre Forze Armate? Che idea ti sei fatto studiando a fondo quegli anni?
Non fu un armistizio, assolutamente no, ma una resa incondizionata che contemplava il passaggio al nemico (senza nemmeno dichiarargli guerra). Il che corrisponde, quindi, a un tradimento di carattere epocale. Oltretutto, esponeva i soldati italiani (abbandonati a loro stessi) al rischio di venir considerati franchi tiratori, con tutte le drammatiche conseguenze che Badoglio conosceva benissimo e che in diversi casi furono attuate (cfr. Cefalonia). È ovvio che valutando serenamente gli avvenimenti tra il 1940 e il 1943, si ha un quadro della situazione disarmante. Parte delle Forze Armate italiane, penso prima di tutto alla Regia Marina, non vollero combattere e fecero di tutto per sottrarsi allo scontro. Se a ciò si aggiunge che diversi Alti Ufficiali italiani erano sul libro paga degli Angloamericani (cfr. i famosi “Articoli 16”) non ci vuole poi molto a capire come l’Italia sia crollata militarmente, nonostante – questo non bisogna mai dimenticarlo – l’eroismo dei suoi soldati, cancellato dai libri di scuola perché mai nessuno potesse affermare che gli Italiani si batterono con onore. Per la sinistra italiana dovevano essere dipinti solo come “miserabili” mandati a morire da Mussolini. La storia non è questa, ovviamente.
Che cosa rappresenta oggi, nella vita concreta degli italiani, il retaggio degli avvenimenti che ebbero luogo settant’anni fa? Quali conseguenze paghiamo ancora? Te lo chiedo perché molti ritengono che si tratti solo di questioni ormai superate, mentre a mio avviso la nostra sudditanza agli interessi occidentali ed atlantici deriva in prima istanza dalla nostra sconfitta bellica. Tutto il resto è stato un lento ma consequenziale sviluppo di quella catastrofe.
Con la sconfitta militare dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale la nostra Nazione non ha subito solo danni irreparabili nel prestigio o immediati, come la mutilazione dell’Istria e della Dalmazia e il conseguente sterminio degli Italiani di quelle terre con l’estinzione della civiltà italiana nell’Adriatico Nord-Orientale. L’Italia è divenuta una “colonia”, sotto il controllo statunitense. Non ha mai avuto una vera e propria politica estera degna di questo nome e i Governi democratici che si sono succeduti nel corso dei decenni – vera e propria longa manus di poteri d’Oltreoceano – hanno puntato ad una progressiva denazionalizzazione, privando lo Stato italiano dei suoi presupposti naturali, quali i confini e, addirittura, la Sovranità, ceduta ad organizzazioni internazionali prive di legittimità popolare quali la NATO, l’ONU, l’Unione Europea, ecc. Se si eccettua il breve scatto d’orgoglio di Craxi (cfr. questione di Sigonella), i Governi democratici italiani hanno proceduto alla liquidazione dell’Italia come Nazione. Gli effetti di questa politica sono oggi sotto gli occhi di tutti. La crisi economica e solo l’aspetto più evidente del collasso morale in cui è stata precipitata l’Italia.
Quest’anno le “autorità” della cosiddetta Repubblica Italiana non hanno ritenuto opportuno calcare troppo la mano nel “commemorare” positivamente l’8 settembre così come in occasione del 25 aprile (e anche del 25 luglio). Complice il malcontento che monta tra la gente?
Credo essenzialmente che oggi ben pochi sanno cosa sia avvenuto l’8 Settembre 1943. L’imbarazzo di molti esponenti di questa repubblichetta davanti agli eventi storici è a dir poco colossale. Si preferisce sorvolare su episodi su cui, prima di tutto, regna un’immensa ignoranza. Bastano motti e parole d’ordine false – finanziate con soldi pubblici – per stendere una fitta nebbia sull’evento e pensare immediatamente ad altro.
Che cosa ti senti di consigliare ai giovani e a tutti coloro che, al di là delle loro idee politiche, sono sinceramente orientati verso la conoscenza della verità storica? Ci sono delle fonti storiografiche, recenti e non, particolarmente consigliabili?
Oggi si può accedere a una vasta mole di studi revisionisti che permettono di orientare il giovane ricercatore verso la realtà storica. Quello che consiglio sempre è spogliarsi di ogni ideologia o visione del mondo e cercare con le proprie forze documenti e riscontri oggettivi su un dato evento. Affidarsi agli altri è solo un falso punto di partenza.
Pensi che un giorno l’Italia riuscirà a superare il trauma dell’8 settembre? Per come la vedo io ciò sarà impossibile fintantoché durerà la nostra settantennale occupazione, ma non vedo affatto inutile cercare e divulgare la verità storica, perché sono sicuro che un giorno, quando questa situazione deprimente finirà, verranno finalmente riconosciute le ragioni di coloro che, ostacolati e vilipesi da questo regime di marionette (compresi quei politici che alla fine si son dimostrati come tutti gli altri…), hanno tenuto duro per tutto questo tempo.
Nessuno può dire cosa ci riserverà il futuro, anche se i tristi e gravi scenari di guerra che si profilano all’orizzonte non fanno pensare a nulla di buono. L’invasione di immigrati che metterà a repentaglio le nostre identità nazionali e minaccerà come mai la stessa civiltà romano-germanica dalla quale nacque l’Europa pone delle scelte radicali e coerenti. Solo chi rimarrà in piedi sulle rovine potrà guidare la rinascita dei popoli europei.