venerdì 20 settembre 2019

LA VERITA’ SU VIA RASELLA

LA VERITA’ SU VIA RASELLA



E SULLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE
Di Antonio Leggiero
            Molto è stato scritto, giustamente, sull’eccidio delle FOSSE ARDEATINE.
            Il problema è che, quasi tutto è stato prodotto, in modo deformato e incompleto, sulla falsariga ineliminabile, condizionante e coartante del “mito resistenziale”.
          
           Va ricordato, ad onor del vero, senza nulla togliere all’inaudita gravità della strage, che, in ogni conflitto e in ogni epoca storica, è stato sempre riconosciuto alle forze armate di una nazione il diritto legittimo di rappresaglia, a seguito di attentati eseguito contro le proprie truppe. Ciò è stato sempre praticato da tutti gli eserciti del mondo, anche da quelli, a torto, ritenuti più “umani”.
            Basti ricordare, realtà ai più sconosciuta, che l’esercito americano durante l’ultimo periodo di guerra, nei primi mesi del ’45, nei territori occupati in Germania, aveva imposto la regola dei cento tedeschi fucilati, per ogni militare statunitense ucciso!
            Di questo, nessuno ne parla. Non si può infangare la leggenda “degli americani buoni, portatori di civiltà”. Già, il mitico esercito “yankee” liberatore degli oppressi e castigatore dei cattivi. In Italia, più di mezzo secolo fa, gli americani eseguivano questo compito “in maniera impeccabile”, mitragliando i bambini nei giardini degli asili e delle scuole, durante le ore di ricreazione, colpendo le autoambulanze con le insegne della Croce Rossa in evidenza e lasciando dei “meravigliosi souvenirs” per le strade, in cui si nascondevano dei subdoli e terrificanti ordigni, che colpivano e martoriavano gli strati più inermi della popolazione (chi non ricorda le famigerate penne d’oro?), con bambini accecati e mutilati.
            Non divaghiamo e torniamo alle Ardeatine, cercando di ricostruire gli eventi così come si svolsero, in quel maledetto inizio di primavera, di circa sessant’anni or sono.
            Nel fare ciò, dobbiamo prima analizzare, almeno per sommi capi, una questione fondamentale, di cui poco o nulla si discute: quale fu la causa?
            In altre parole: come si giunse all’eccidio? Perché? Chi lo volle?
            Del resto, la logica vuole che di ogni fenomeno della realtà ci si interroghi prima sulla causa e poi sull’effetto, anche se quest’ultimo, può essere, per così dire, più appariscente e calamitante, a tal punto da richiamare maggiormente l’attenzione. Come è accaduto nel caso in questione.
            Iniziamo con ordine.
            Com’è noto, Roma viveva l’occupazione tedesca con una certa tolleranza, anche perché gli effetti del governo militare erano assai blandi.
            Naturalmente, questo non era gradito ai comandi partigiani, che vedevano ciò come un impedimento alle loro azioni di guerriglia, con i più estremisti che accusavano la popolazione di inerme acquiescenza all’occupazione tedesca.
            Ragion per cui, i capi decisero di agire, del tutto incuranti delle successive conseguenze sui civili. Ma questo era il normale “modus operandi” dei partigiani in Italia.
            Ed ecco quindi che, il 23 marzo 1944, un gruppo di GAP (acronimo che stava per GRUPPI D’AZIONE PATRIOTTICA, ma che, in sostanza, erano il braccio armato del PARTITO COMUNISTA, a cui, peraltro, è stato sempre alieno il concetto di Patria) entrò in azione. Il gruppo di fuoco era guidato da ROSARIO BENTIVEGNA e composto dalla sua compagna CARLA CAPPONI (nome di battaglia ELENA), FRANCO CALAMANDREI, CARLO SALINARI (nome di battaglia SPARTACO), RAOUL FALCIONI, FERNANDO VITAGLIANO, PASQUALE BALSAMO, SILVIO SERRA, FRANCESCO CURRELI e GUGLIELMO BLASI.
            Anche se, nelle stesse dichiarazioni dei partigiani partecipanti all’azione, a distanza di anni, vi sono ancora delle vistose incongruenze, sui nomi e sul numero di chi era presente a Via RASELLA. Ma, anche questo modo confuso e farraginoso di raccontare le loro azioni, fa parte del loro “cliché”.
            Comunque, questo fu, secondo la massima probabilità, il gruppo degli esecutori. Veniamo, quindi, ai mandanti.
            L’azione era stata autorizzata dal Comando Militare del CLN, di cui faceva parte RICCARDO BAUER, SANDRO PERTINI (da non ricordare soltanto come il simpatico connetto, che faceva i salti di gioia ai mondiali di calcio per la nostra nazionale, ma anche e soprattutto come famigerato “baciatore” omaggiante delle bandiere “titine” ed elargitore di vitalizi a tanti aguzzini delle foibe), RICCARDO BAUER e GIORGIO AMENDOLA, che era soltanto il responsabile militare delle formazioni partigiane comuniste a Roma, mentre il vero “deus ex machina” era il “mitico compagno ERCOLE ERCOLI”, alias PALMIRO TOGLIATTI.
            Torniamo a quel tragico pomeriggio d’inizio primavera, un pomeriggio pieno di sole, quando ancora le stagioni mantenevano i loro ritmi naturali.
            Il gruppo di GAP aveva osservato, in precedenza, che, tutti i giorni, alla stessa ora, attraverso Via RASELLA un reparto di tedeschi, per recarsi al cambio della guardia al Quirinale. Dopo averne studiato le mosse, stabilì che questo era il giusto obiettivo strategico (?).
            Occorre, già qui fare due doverose precisazioni storiche.
            Primo, questo reparto non era composto, come i più credono, grazie alla “vulgata resistenziale”, da sadici e feroci torturatori nazisti. Questi militi, invece, appartenevano all’Undicesima Compagnia del Reggimento di Polizia “BOZEN”, semplicemente aggregata, per motivi contingenti, alle SS, ma mai impegnata in vere e proprie azioni di guerra, principalmente per ragioni anagrafiche, in quanto erano uomini in là con gli anni.
            Secondo, non erano sanguinari e cinici “mostri teutonici” ma erano dei richiamati – riservisti ALTOATESINI, cioè ITALIANI.
            In ogni caso, alle 15 e 52 del 23 marzo ’44, ROSARIO BENTIVEGNA, appena ricevuto il segnale dell’arrivo del reparto, all’imbocco della strada, accese la miccia della bomba, occultata in un carretto della nettezza urbana, contenente diciotto chili di tritolo, più infiniti pezzi di acciaio e ferro, per accrescere l’effetto devastante.
            Fu l’inferno!
            A causa di quell’esplosione, morirono 32 militi tedeschi all’istante, più un altro, il giorno dopo, in ospedale.
            Fin qui, più o meno, la storia è abbastanza conosciuta.
            Pochissimi sanno, invece, che, nell’esplosione, morirono anche due italiani, che erano sul posto e che non avevano nulla a che vedere con tutta quella maledetta guerra! Costoro erano stati visti dagli attentatori, i quali non fecero nulla per salvarli, decidendo ugualmente di portare a compimento quell’insulso atto, che tanto sarebbe costato all’inerme popolazione.
            Quindi, li sacrificarono coscientemente. La prima vittima era un ragazzino di tredici anni. Si chiamava PIETRO ZUCCHERETTI, il quale, per una di quelle tragiche fatalità del destino che non perdonano, si trovava sul posto. Infatti, dovendosi recare al lavoro, era salito su un autobus che doveva farlo scendere a Via DEL TRITONE. Purtroppo, l’autobus quel giorno non rispettò la sua abituale tabella di marcia ed il ragazzo fu costretto a scendere alla fermata di PIAZZA BARBERINI.

            Fu attratto, adolescente, dalle note della canzone, che i militi tedeschi cantavano, mentre marciavano (“HUPF MEIN MADEL” – “SALTA RAGAZZA MIA”) ed invece di prendere Via DEGLI AVIGNONESI, rimase ad aspettare, quella che, ai suoi occhi, sembrava una simpatica parata militare. Secondo alcuni testimoni, per godersi meglio la “sfilata”, si era addirittura seduto sul carretto dei rifiuti, che conteneva i diciotto chili di tritolo!

            Fu la sua condanna. L’esplosione lo dilaniò orribilmente in sette pezzi, che furono scaraventati a diverse decine di metri di distanza. I piedi non furono mai trovati e di lui, rimase visibile sul selciato soltanto il tronco!
            L’altra vittima si chiamava ORFEO CIAMBELLA, aveva 60 anni e svolgeva l’incolpevole, anzi lodevole, compito di custode del deposito della Croce Rossa di Via RASELLA. Anche lui, fu preso in pieno dall’esplosione. Venne scaraventato a circa sessanta metri dallo scoppio! Non morì subito, ma dopo una lunga e terribile agonia, durata diversi anni, con il corpo pieno di schegge, che lo tormentarono, fino alla fine, tra indicibili sofferenze.
            Di questi due martiri nessuno o quasi ne ha mai parlato, se non un’eccellente inchiesta svolta dal giornalista PIERANGELO MAURIZIO, per conto del quotidiano “IL TEMPO”, una decina d’anni or sono.
            Per i partigiani, l’azione di Via RASELLA non provocò vittime civili.
            La domanda più straziante e lacerante, ovviamente non solo adesso, ma già allora era ed è: “Quale straordinaria importanza strategico-militare poteva avere quest’azione?”.
            Purtroppo, per quanto si cerchi di trovarne una soddisfacente, una risposta convincente non c’è. Se non quella di suscitare la prevedibilissima e scontatissima rappresaglia tedesca. Infatti, da tempo, le strade della capitale erano tappezzate con sinistri e lugubri manifesti, che annunciavano terribili rappresaglie per ogni azione contro le forze germaniche. Anche, dal punto di vista dei partigiani, nell’ottica della loro lotta ai tedeschi, non c’era assolutamente bisogno di compiere quella scellerata azione, visto che erano già sulla strada della capitale le colonne Alleate del Generale CLARK, che, infatti, di lì a settanta giorni circa, sarebbero entrate in Roma. E ciò sarebbe avvenuto con o senza VIA RASELLA.
            E’ da ricordare anche che il Comando Militare Germanico di Roma riuscì a mitigare una richiesta di rappresaglia di HITLER ancora più tremenda, che consisteva nel far saltare in aria un intero quartiere, con CINQUANTA ITALIANI UCCISI PER OGNI TEDESCO! Detto Comando riuscì, invece, ad applicare la misura di DIECI ITALIANI PER UN TEDESCO.
            Va anche ricordato che tutta la carneficina che seguì alle FOSSE ARDEATINE, si sarebbe ancora potuta evitare, se si fossero consegnati i responsabili. Perché, allora, almeno qualcuno di questi partigiani, se veramente voleva essere un eroe, non si presentò? Il fulgido esempio di SALVO D’ACQUISTO era ancora fresco e non era avvenuto molto distante.
            Per carità, mi venga perdonato questo accostamento blasfemo, tra un EROE in odore di Beatificazione e dei cinici esecutori di ordini di Togliatti, accanito aguzzino di tanti italiani (anche comunisti) in Russia!
            Pertanto, inevitabilmente, ci fu l’inumana mattanza, che avvenne in alcune cave fuori Roma, lungo la Via ARDEATINA, dove furono massacrate 335 persone!
            Per cercare di comprendere, se mai sarà possibile, oggi, dopo sessant’anni, come queste reazioni indubbiamente brutali, profondamente inumane, terribilmente bestiali (ripetiamo, praticate da tutti gli eserciti), tuttavia, assumano, in quell’irripetibile contesto storico-militare il carisma di “legittimità” (ovviamente dal punto di vista strettamente giuridico, mai morale, per carità, altrimenti sarebbe la fine della coscienza umana), va ricordato un particolare rivelatore.
            Quando, a distanza di anni, si celebrarono i processi ai responsabili dell’eccidio delle ARDEATINE, coloro i quali vennero condannati all’ergastolo, per strage, in primis il colonnello HERBERT KAPPLER, vennero ritenuti penalmente responsabili non per i 335 morti, esecuzione avvenuta in ottemperanza di un ordine legittimo, ma per i cinque in pù, che furono aggregati, per errore, al gruppo dei condannati, nella concitazione degli eventi.
            Ed è il caso di ricordare anche l’anomala vicenda giudiziaria del capitano ERICH PRIEBKE, vice di KAPPLER, in un primo momento assolto, poi processato di nuoco, quasi a furor di popolo, per le enormi proteste di piazza della comunità ebraica, con nuova sentenza, stavolta, di condanna, quasi violando il sacrosanto principio di civiltà giuridica del “ne bis in idem”!. E questo non è avvenuto nell’immediato dopoguerra (si sarebbe anche potuto capire), ma qualche anno fa! Una chicca di chiusura. Nel 1982, allora Presidente della Repubblica SANDRO PERTINI (singolare coincidenza) furono decorati al valor militare il capo-esecutore del gruppo di fuoco ROSARIO VENTIVEGLIA e la moglie CARLA CAPPONI, partecipante all’azione di Via RASELLA (SIC!).
            Ce n’era proprio bisogno, dopo quarant’anni, e per quali straordinari meriti?
            Queste due medaglie stridono contro il buon senso e contro ogni logica.
            Visto che erano due, andavano conferite alla memoria delle due vittime innocenti e dimenticate di Via RASELLA: PIETRO ZUCCHERETTI e ORFEO CIAMBELLA.
            Per tutta riconoscenza, in un libro pubblicato l’anno successivo (’83) dal BENTIVEGNA, con il titolo “Acthung banditen”, lo stesso scrisse: “LA PROPAGANDA NEMICA DIFFUSE CHE CIVILI, RESIDENTI O DI PASSAGGIO, ERANO STATI COINVOLTI NELL’AZIONE DI VIA RASELLA. NON RISULTA DALLE FONTI STORICHE CONSULTATE, CHE VI SIANO STATI DEI CADUTI CIVILI”.
            Ogni commento è vano.
            Se non che questi due poveri cristi vennero uccisi per la seconda volta. Dalla stessa mano di chi li aveva uccisi, accendendo quella stramaledettissima miccia, in un soleggiato pomeriggio d’inizio primavera di tanti anni prima.
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P.S.: va ricordato infine, per inquadrare meglio il personaggio BENTIVEGNA, che dopo l’ingresso delle truppe alleate in Roma, quindi, ad ostilità cessate, il gappista uccise a colpi di pistola un giovane tenente della Guardia di Finanza di nome GIORGIO BARBARISI, “reo” di avergli intimato di affiggere un manifesto, in una zona vietata. Ne nacque un alterco con conseguente omicidio. Una corte alleata condannò il BENTIVEGNA  diciotto mesi di reclusione per “ECCESSO DI DIFESA”.

                                                                                                                          
 

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