mercoledì 29 marzo 2023

DEMOCRAZIA DEL LAVORO

DEMOCRAZIA DEL LAVORO

DAL BORDELLO NEL QUALE SIAMO STATI GETTATI A SEGUITO DELLA SCONFITTA (SI BADI BENE: SCONFITTA MILITARE, NON DELLE IDEE) DEL 1945, C’E’ UNA VIA D’USCITA?


DEMOCRAZIA DEL LAVORO (Per intenderci quella MUSSOLINIANA)

di Filippo Giannini
   L’11 marzo 1945, il fondatore del Partito Comunista d’Italia, Nicola Bombacci, parlando al Teatro Universale, di fronte alle Commissioni interne degli stabilimenti industriali, fra l’altro affermò: “Il socialismo non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini che è socialista”
E il 13 marzo successivo, parlando allo stabilimento industriale dell’Ansaldo, di fronte a più di mille operai disse: “Fratelli di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiedete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa? Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica Sociale Italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi  a rivendicare i diritti degli operai”.
   Quale era la strada intrapresa da Nicola Bombacci? Per giungere allo Stato Organico, alla Socializzazione dello Stato, il passaggio era (ed ancora oggi dovrebbe essere) lo Stato Corporativo.
Michaal Shanks, economista di vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione europea degli affari sociali e presidente  del Consiglio nazionale dei consumi, nel suo libro What is wrong with the modern world? (Cosa c’è di sbagliato nel mondo moderno?) indica lo Stato Corporativo di Mussolini, di fronte al persistente crisi del liberismo e del marxismo, come l’unico modello per uscire dalle contrapposizioni vigenti nella Democrazia Parlamentare. 
Non c’è alternativa, conclude l’economista inglese: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato.
   Oggi, anno 2011 Era LXVI dello Stato Sfascista, siamo giunti allo Sfascio dello Stato.

   È sotto gli occhi di tutti (a parte di coloro che ne godono i privilegi) le ingiustizie e le disuguaglianze che consentono e alimentano una società basata su sistemi liberali in politica e liberisti in economia. Questi sistemi sostenitori di una libertà che si trasforma inanarchia dove solo il più svelto, il più spregiudicato, il più privo di scrupoli, il più prepotente, il più imbroglione, il più ricco prevale su tutti. 
E ancora una volta ricordiamo l’ammonimento di Benito Mussolini: “La corruzione non è NEL sistema, ma è DEL sistema”, e possiamo aggiungere che ciò è ampiamente comprovato. Allora, giusto come ha scritto il giornalista Franco Monaco: “Per rifare l’Italia, per rifarla Nazione bisogna mandare all’aria anzitutto i partiti. Perché una vera democrazia è cosa ben diversa da quella di loro comodo, grottesca impalcatura di gole profonde. Una vera democrazia  non può fondarsi che sulla serietà pura e semplice del lavoro, quindi su una rappresentanza chiara, diretta e responsabile di tutte le categorie produttive”.
   Ora un po’ di storia.

   Prima con il Lodo di Palazzo Vidoni dell’ottobre 1925, poi con la Carta del Lavoro presentata il 21 aprile 1927 (sì, signori, addirittura più di ottanta anni fa) codificava, per la prima volta al mondo, i rapporti fra capitale e lavoro, cioè fra il proprietario di un’azienda e il lavoratore, basava l’intero sistema sulla collaborazione di classe in contrapposizione all’allora vigente lotta di classe, rendendo, in pratica, due forze non più ferocemente antagoniste, ma collaborative nel comune interesse. 
Di nuovo Franco Monaco (Quando l’Italia era ITALIA, pag. 47): “Questa unitarietà di comportamento dei datori di lavoro e dei lavoratori non poteva essere basata che su una loro uguaglianza totale: giuridica, politica ed economica. Perciò l’ordinamento corporativo ridimensionava il capitale, gli toglieva la vecchia arroganza padronale, lo faceva diventare strumento tecnico dell’economia, senza per altro mettere in discussione la proprietà privata”
La Carta del Lavoro fu la premessa legislativa necessaria per l’impalcatura dell’apparato corporativo. 
Con la creazione nel luglio 1926 del Ministero delle Corporazioni, nel 1930 vide la luce il Consiglio Nazionale delle Corporazioni.  
   L’insieme dell’edificio corporativo andava costruito in tempi assennati perché sottoposto a continue verifiche, limature, variazioni, aggiunte. 
A seguito di ciò, con la legge del febbraio 1934 il sistema corporativo appariva quasi compiuto, mancava solo la sostituzione della ormai praticamente esautorata Camera elettiva con un organo espresso dalle corporazioni. Le elezioni plebiscitarie a lista unica, nel marzo 1934 e conseguente impresa etiopica, avevano probabilmente ritardato la variazione istituzionale e la creazione del nuovo assetto rappresentativo corporativo.
   Nel 1939 entrò in funzione la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, organo legislativo e rappresentativo, con 600 deputati chiamati Consiglieri Nazionali.
   La nascita dello Stato Corporativo rappresentò il tentativo di superare i limiti del così detto Stato liberale e l’incubo dello Stato sovietico. Il Secondo conflitto mondiale infranse l’esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell’isolamento internazionale provocato dalle sanzioni e dall’autarchia. 
Così si espresse il Direttore de Il Giornale d’Italia in un vecchio articolo.
    Il Dottor Sebastiano Barolini di Pontinia (Lt) ha scritto che ha avuto la ventura di studiare il Diritto Corporativo che pone l’uomo al centro della Società e, riassumendo: 
1) Ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese; 
2) Partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese; 
3) Partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali onde evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro; 
4) Intervento dello Stato attraverso i suoi funzionari immessi nei consigli di amministrazione allorquando le imprese assumono interesse nazionale a maggior difesa dei lavoratori (altro che l’intervento di Marchionne); 5) Diritto alla proprietà in funzione sociale e cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione; 
6) Diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale di contro all’appiattimento collettivista e alle concentrazioni capitaliste; 
7) Edificazione si una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la previdenza sociale, l’assistenza gratuita alla maternità e all’infanzia, le colonie marine e montane per i bambini poveri, l’assistenza agli anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari e via dicendo; 
8) Eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che un cittadino non può farsi giustizia da sé altrettanto deve valere per i conflitti sociali ad evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale; 
9) Abolizione dei sindacati di classe ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori; 
10) Attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale, che toglie ai latifondisti le terre incolte, le rende produttive e le distribuisce in proprietà gratuita ai contadini poveri.
   Nell’Enciclica di Pio XI Quadragesimo anno, si legge fra l’altro: “Ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari ed amministratori del capitale di cui però dispongono a loro grado e piacimento”
Insieme alle famose Encicliche Rerum Novarum Centesimus Annus si può affermare che le Encicliche papali sono la trasposizione politica dei problemi sociali che avevano proposto la Chiesa.
   Quindi rivolgiamo una esortazione ai giovani, ne va del vostro futuro: dedicatevi allo studio del Diritto corporativo e ignorate le interessate e fraudolenti, mendaci voci che vi parlano di spinte corporative o di iniziative settoriali corporative
Lo Stato Corporativo è tutto l’opposto perché è volto, attraverso l’esame dei programmi proposti dalle singole Confederazioni di categoria, a formulare una seria e globale programmazione economica ben diversa da quelle inconsistenti dall’attuale disonesto e incapace regime.
   Siamo ora declassati a Nazione di serie B a causa dell’incapacità e corruzione dell’attuale regime.
    A dimostrazione di quanto scritto, oltre al già citato Michaal Shanks, diamo la voce ad altri studiosi e autorità che sono al di sopra di ogni sospetto di simpatie per il passato regime.
Un riconoscimento alla validità della proposta corporativa venne addirittura da Gaetano Salvemini: 
L’Italia è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali vi si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e come funziona lo Stato corporativo fasci­sta. Giornali, riviste, periodici specializzati, facoltà di scienze politiche, di economia, di sociologia, delle grandi come delle piccole università, inondano il mondo di articoli, di saggi, opuscoli, libri che formano già una biblioteca di dimensioni rispettabili sullo Stato corporativo fascista, le sue istituzioni, i suoi aspetti politici, i suoi indirizzi di politica economica, i suoi effetti speciali”.
      In questo contesto non possiamo non ricordare che quando Mussolini, nel 1934, affermò. 
L’America va verso l’economia corporativa”, disse molto meno di quanto non si potrebbe credere. L’America non riusciva a superare la crisi economica che l’attanagliava e Roosevelt, favorevolmente colpito dalla politica mussoliniana, inviò attraverso Italo Balbo, “parole di apprezzamento per l’organizzazione corporativa del nostro Paese”
In merito ha scritto Vaudagna: “In Italia intellettuali, politici e giornalisti videro nel New Deal una sorta di corporativismo in embrione, che seguiva la strada aperta dal fascismo”
Roosevelt, nel contesto di una economia che era sempre stata ispirata ai principi del più sfrenato ed incontinente liberismo, introdusse , con le buone e assai più con le cattive, il coordinamento economico da parte dello Stato, la qual cosa fu, non a torto, valutato come un punto di svolta determinante.
    Zeev Sternhell, ebreo, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La terza via fascista” (“Mulino”  1990), nel quale, tra le molte altre considerazioni, possiamo leggere: 
Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo”. L’autore continua a spiegare: “Le ragioni dell’attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini della cultura europea, molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei problemi relativi al destino della civiltà occidentale>
Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del  professore di Scienze Politiche:
Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione”.
   Torniamo a Roosevelt. Questi aveva impostato la campagna elettorale all’insegna del New Deal, ossia ad un vasto intervento statale in campo economico, proponendo un’alternativa al liberismo capitalista. 
Una volta eletto Roosevelt (e questo nel dopoguerra venne accuratamente nascosto) inviò, nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i suoi più preparati uomini del Brain Trust per studiare il miracolo italiano.
   E allora, per tornare al titolo di questo pezzo, riprendiamo uno stralcio del lavoro di Lucio Villari:
“Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva”.
 Roosevelt inviò Rexford Tugwell a Roma per incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda il fatto tratto dal diario inedito di Rexford Tugwell in data 22 ottobre 1934 (Anche l’Economia Italiana tra le due Guerre, ne riporta alcune parti; pag. 123): 
Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza dell’amministrazione italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso… Ma ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no” 
   Erano gli anni che da tutto il mondo (e lo ripeto: da tutto il mondo) politici e studiosi venivano in Italia per studiare il MIRACOLO ITALIANO. Esattamente come oggi, vero? E chi può ci smentisca!
   Andiamo verso la conclusione e citiamo di nuovo Franco Monaco: “C’è una sola strada da percorrere, tutta italiana, ma preclusa ai grassatori: una strada da riprendere con un impegno non tribunizio, ma di studio e di ampia informazione pubblica, se si vogliono veramente ricostruire i valori crollati”.
   Per valori crollati, Franco Monaco si riferisce a quelli crollati nella non troppo lontana sconfitta militare del 1945, quando i liberatori ci imposero le loro leggi, quelle basate essenzialmente sul valore del dollaro.

Torneremo presto sull’argomento, in quanto convinti corporativisti.
Abbiamo ricevuto la mai che qui sotto riportiamo, con preghiera di “farla girare”. Cosa che facciamo con grande, grandissimo, anzi, infinito piacere.
Ed ora leggete quanto segue:
    Il giorno 21 settembre 2010 il Deputato Antonio Borghesi dell’Italia dei Valori ha proposto l’abolizione del vitalizio che spetta ai parlamentari dopo solo 5 anni di legislatura in quanto affermava che tale trattamento risultava iniquo rispetto a quello previsto dai lavoratori che devono versare 40 anni di contributi per avere diritto ad una pensione.
Ecco com’è finita:
Presenti 525
Votanti 520
Astenuti 5
Maggioranza 261
Hanno votato sì 22
Hanno votato no 498
 i 22 sono: BARBATO, BORGHESI, CAMBURSANO, DI GIUSEPPE, DI PIETRO, DI TANISLAO, DONADI, EVANGELISTI, FAVIA, FORMISANO, ANIELLO, MESSINA, ONAI,
 MURA, PALADINI, PALAGIANO, PALOMBA, PIFFARI, PORCINO, RAZZI, ROTA,
 SCILIPOTI,  ZAZZERA.
 Ecco un estratto del discorso presentato alla Camera:  Penso che nessun cittadino e nessun lavoratore al di fuori di qui possa  accettare l’idea che gli si chieda, per poter percepire un vitalizio o una pensione, di versare contributi per quarant’anni, quando qui dentro sono sufficienti cinque anni per percepire un vitalizio. È una distanza tra il Paese reale e questa istituzione che deve essere ridotta ed evitata. Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il
 parlamentare per un giorno – ce ne sono tre – e percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio. Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese. C’è la
 vedova di un parlamentare che non ha mai messo piede materialmente in Parlamento, eppure percepisce un assegno di reversibilità. Credo che questo sia un tema al quale bisogna porre rimedio e la nostra proposta, che stava in quel progetto di legge e che sta in questo ordine del
 giorno, è che si provveda alla soppressione degli assegni vitalizi, sia per i deputati in carica che per quelli cessati, chiedendo invece di versare i contributi che a noi sono stati trattenuti all’ente di previdenza, se il deputato svolgeva precedentemente un lavoro, oppure al fondo che l’INPS ha
 creato con gestione a tassazione separata. Ciò permetterebbe ad ognuno di cumulare quei versamenti con gli altri nell’arco della sua vita e, secondo i criteri normali di ogni cittadino e di
 ogni lavoratore, percepirebbe poi una pensione conseguente ai versamenti realizzati.
    Proprio la Corte costituzionale, con la sentenza richiamata dai colleghi questori, ha permesso invece di dire che non si tratta di una pensione, che non esistono dunque diritti quesiti e che, con una semplice delibera dell’Ufficio di Presidenza, si potrebbe procedere nel senso da noi prospettato,che consentirebbe di fare risparmiare al bilancio della Camera e anche a tutti i cittadini
E ai contribuenti italiani circa 150 milioni di euro l’anno.
 
Non ne hanno dato notizia né radio, né giornali, né TV OVVIAMENTE. Facciamola girare noi!!!
   Oggi, 9 ottobre 2011 sempre LXVI Era Sfascista, il Presidente Giorgio Napoletano ha lanciato questo monito: <Dobbiamo ridare dignità e decoro alla politica >. La risposta data dal Parlamento italiano il 21 settembre (risposta poco sopra riportata), non è adeguata al monito?

domenica 12 marzo 2023

DA GARIBALDI ALLA MELONI

Da Garibaldi alla Meloni

Nell'ascoltare le tante interviste di Giorgia Meloni, che imperversa sulle TV come i suoi predecessori che tanto criticava proprio per questo, ci era sorto il dubbio che fosse un po' egocentrica.

Avevamo infatti notato che, se nelle interviste prima delle elezioni usava normalmente il pronome “noi”, adesso invece usa spesso il pronome “io”, mentre sarebbe più appropriato continuare con il “noi”, visto che parla come Capo di un Governo ed è Capo di un Partito e guida di una coalizione di Governo ma ora, le sue recenti dichiarazioni alla manifestazione a Milano di Fratelli d'Italia in vista delle imminenti elezioni regionali in Lombardia, ci hanno tolto ogni dubbio.

La Meloni, dopo aver detto “abbiamo scritto la Storia. Ora scriviamo il futuro dell'Italia”, ha proseguito dicendo “non voglio utilizzare esempi più grandi di me, però confesso che in questi giorni mi viene spesso in mente la frase che fu attribuita a Giuseppe Garibaldi “qui o si fa l'Italia o si muore””.

Per la precisione, Giuseppe Garibaldi avrebbe detto la famosa frase il 15 maggio 1860 a Calatafimi (TP), rivolto a Nino Bixio in risposta ai timori di quest'ultimo che fosse impossibile resistere alla preponderanza delle truppe Borboniche.

La Presidente del Consiglio ha sì precisato di “non voler utilizzare esempi più grandi di lei”, ma quella di accostare le drammatiche e fiere parole di Garibaldi, nel mezzo di una dura battaglia nella quale si decidevano i destini dell'Italia, alla navigazione politica del Governo di centrodestra, ci sembra veramente troppo.

Anche perchè il suo Governo e la sua maggioranza non sono composti da eroici “Garibaldini”, ma da politici che, senza offesa, non danno l'impressione di essere pronti a morire per l'Italia, perché le loro battaglie patriottiche al massimo sono quelle per la conquista delle poltrone ministeriali o degli Enti e delle Aziende di Stato.

Crediamo quindi che la Presidente del Consiglio, anziché cimentarsi in voli pindarici sul patriottismo e scomodare Garibaldi, dovrebbe cominciare a dire come pensa di risolvere i tanti problemi e le emergenze che gravano sull'Italia, cominciando dalle riforme necessarie per ottenere tutti i fondi europei del PNRR, riforme sulle quali la sua maggioranza è tuttora divisa : Giustizia, Concorrenza, Fisco, Pensioni, Semplificazioni e Transizione ecologica.

Infatti, dalle parti del Centrodestra, per ora si sente parlare solo di Presidenzialismo, di Autonomia Regionale, di riforma delle intercettazioni, di lotta alle Ong, di concessioni balneari, di futuri condoni, mentre non si parla della drammatica situazione della Sanità, di quella della Scuola sempre più Cenerentola della situazione, di una vera “riduzione del cuneo fiscale” visto che i nostri salari e stipendi sono tra i più bassi in Europa, del salario minimo per il quale siamo tra le poche Nazioni che non l'hanno ancora introdotto, della Previdenza e del crescente divario sociale.

In compenso ritornano le critiche all'Unione Europea, che però all'Italia ha dato la quota più grande dei fondi del PNRR e sono ripresi gli attacchi alla BCE, che ci ha tenuto in piedi per anni e che dovendo contrastare l'inflazione non può continuare ad acquistare titoli di debito di nazioni come l'Italia che, per rimborsarli alla scadenza, deve emetterne altri, così che il nostro debito pubblico anziché diminuire aumenta.

Il tempo dei pigli decisionisti e dei proclami propagandistici è finito, adesso ci vogliono i fatti, perché l'alibi che tanto il Governo ha davanti 5 anni di tempo (pia illusione !) non regge, perché i problemi e le emergenze non aspettano.

Adriano Rebecchi Martinelli