domenica 27 marzo 2022

I MONUMENTI AI CADUTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.

I MONUMENTI AI CADUTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA. UN OMAGGIO AI CADUTI E UN RICORDO DEGLI ULTIMI COMBATTENTI PER L'ITALIA. CRONOLOGIA DEGLI AVVENIMENTI CHE HANNO SEGNATO LA NASCITA, LA VITA, LA FINE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
da COMBATTENTI DELL'ONORE.
 Paolo Teoni Minucci.
     

     
    Prefazione
     
    Questo libro è il risultato di una ricerca che ha avuto, per oggetto, una minuscola rappresentanza di quanti, in divisa e in abito civile, militarono con ruoli gregari nelle file della RSI.
    Furono uomini e donne che si impegnarono, con responsabilità e sacrificio, per riscattare dalla vergogna dell’otto settembre l’Onore d’Italia, costituendo il facile bersaglio di armi fratricide, durante i 20 mesi della guerra civile ma, ancor più, dopo la sua sanguinosa conclusione.
    Nell’intento di procrastinare l’inevitabile processo di revisione di quel periodo, l’antifascismo professionale, con l’aiuto degli ultimi bardi, per altro già molto prossimi allo Stige, resta disperatamente abbarbicato alle sue verità e si ostina a tener relegati, nel grigiore di un limbo storico, gli italiani della Repubblica Sociale.
    Sulla base di informazioni precarie, ho cercato allora i monumenti edificati in memoria di quei Caduti, sono stato là dove furono eretti, li ho fotografati, ne ho tracciato l’itinerario, ho ricopiato nomi ed epigrafi molte volte sbiadite e, per finire, ho completato le vicende narrate da quelle pietre, con le notizie documentate che mi è stato possibile raccogliere.
    I motivi che hanno indotto questo lavoro sono:
    — Rendere omaggio ai Caduti della RSI, cui questo libro è dedicato e, soprattutto, a quelli di loro che non ebbero e non avranno il conforto di una croce.
    — Divulgare fra i giovani che non sanno, perché ne furono impediti, la conoscenza di una storia d’Italia, taciuta in patria, ma ben nota oltre confine.
    — Conservare il più a lungo possibile, fra le pagine di un libro, il ricordo di quegli uomini e di quelle pietre che l’ingiuria del tempo, la mano vandalica, la povertà dei mezzi e delle forze dei superstiti, condannano inesorabilmente a sparire.
    — Raccogliere, in una singola pubblicazione episodi accaduti in tempi e luoghi, anche distanti fra loro.
    Coloro che ne sentiranno il desiderio potranno recarsi in quei luoghi per una verifica, una riflessione, una preghiera, un fiore; gli itinerari descritti e le fotografie, ne faciliteranno il ritrovamento e non si avrà bisogno di chiedere.
    Ho in tal modo sollevato il velo su alcune storie, tutte ugualmente tristi e tutte tristemente concluse, ignorate dai più, che rappresentano una frazione delle migliaia che non sapremo.
    Solamente il giorno in cui questo inverecondo dopoguerra, iniziato nell’aprile del 1945, si sarà tramutato in pace vera e non ci sarà più discriminazione fra i morti della stessa terra, quel giorno, anche per gli italiani della Repubblica Sociale, la seconda guerra mondiale potrà dirsi finalmente conclusa.
    Ma sarà allora troppo tardi per conoscere la vicenda di questi Figli di una Patria matrigna, le cui storie il tempo, avrà oramai cancellato per sempre.
     
    Premessa
     
    Gli italiani della mia generazione, quelli che come me vissero la seconda guerra mondiale in età di ragione, ma non abbastanza matura per prendervi parte diretta, volgono al tramonto.
    Noi siamo gli ultimi testimoni oculari di quella vicenda storica che ci vide, alla fine, eredi di una sconfitta devastante come risultato di una guerra due volte perduta: la prima, combattendo contro un potente nemico esterno; la seconda, combattendo gli uni contro gli altri nella sanguinosa bufera di una guerra civile.
    Trentanove mesi durò la prima, venti mesi l’altra e, quando tutto sembrò aver finalmente termine, sulla desolazione di un’Italia distrutta nel corpo ma ancor più nelle coscienze, scese l’ora cupa della vendetta e del sangue.
    Libertà sconfinata in cambio della capitolazione, era stato l’insinuante pervicace baratto promosso da oltre oceano e sollecitato con le bombe dei B 17, mentre dall’est un’altra libertà, la bolscevica, muoveva verso occidente sulla prua dei T 34.
    Sotto quei velivoli e dietro quei carri, avanzavano culture molto diverse da quella europea e mediterranea nella quale eravamo nati e alla quale eravamo stati educati.
    Tra poco quei due sistemi, fra loro così distanti e contrapposti, si sarebbero duramente e pericolosamente confrontati, per la supremazia, sul confine di un muro ideologico, prima ancora che di cemento, costruito sulle macerie di una Europa distrutta e irrimediabilmente avviata al tramonto, dall’inscindibile soffocante amplesso dei liberatori.
    Sono consapevole di non raccontare cose nuove; le date e gli avvenimenti che rievoco sono però fondamentali per la nostra storia contemporanea, acquisiti da tempo alla stessa e dovrebbero essere ben chiari nella testa di tutti.
    Potrebbe allora trattarsi di fatica oziosa, ma non è così, perché ho la speranza che un ripasso sia pur sommario, dei principali avvenimenti che ebbero inizio 60 anni or sono, giovi ai vecchi dalla memoria sinistrata mentre, per quanto riguarda i giovani, sento il dovere e nutro l’illusione di concorrere ad aprire loro uno spiraglio sull’ignoto che, mi auguro, vorranno maggiormente ampliare.
    Ho raccontato i fatti che portarono gli italiani alla guerra civile, così come accaduti e nella loro sequenza cronologica.
    Non credo che quanto narrato sia opinabile e questa presunzione mi deriva dall’avere presenziato a quegli avvenimenti; dall’averne conosciuto personalmente molti dei protagonisti; dall’attenta analisi di una grande mole di letteratura postuma; dall’aver messo, nell’esposizione, la massima obiettività.
 
 
    Dal "Consenso" alla Democrazia
     
    L’inizio della fine
 
    È il 1938, secondo il parere dei massimi storici, l’anno del più alto "consenso" che il popolo italiano decretò al fascismo a partire dall’ottobre 1922, data della sua ascesa al governo della Nazione.
    Quando si dice il più alto consenso, s’intende dire che alla stragrande maggioranza del popolo italiano, andava benissimo così.
    Non che non ci fossero italiani oppositori del regime anzi, sia pure in numero limitato, più o meno noti, ce n’erano e anche di parecchio tosti, distribuiti fra l’area comunista e quella cattolica, sia in Italia che all’estero ma, in quel periodo, non avevano molto seguito.
    Quando nella prima fase della seconda guerra mondiale la Germania, alla quale ci legava il Patto d’Acciaio, diede chiara prova di poter stravincere in terra, mare e cielo, il popolo italiano cominciò a entrare in angustia, perché vedeva sfuggire l’occasione di sedersi con poca spesa al tavolo delle trattative di pace, se non si fosse corsi per tempo in aiuto al vincitore.
    E fu allora che le piazze d’Italia cominciarono a riempirsi di gente, in parte messa su dalla propaganda ma in parte convinta, che gridava guerra, guerra.
    E fra coloro che gridavano di più c’erano i soliti furbi, quelli di "armiamoci e partite" perché, ognuno di loro, aveva in tasca la ricetta per stare a casa.
     
    La guerra
 
    Scendemmo dunque in campo il 10 giugno 1940 ed è lì che il consenso cominciò a calare, col progredire della guerra e degli insuccessi.
    Prova inequivocabile non furono i sondaggi di opinione, che a quell’epoca non si sapeva cosa fossero, ma le scritte ostili al regime, dapprima nei cessi poi, sempre più audacemente, anche sui muri delle case.
    Il consenso raggiunse il suo livello più basso, per diventare decisamente dissenso quando il nemico, con lo sbarco in Sicilia il 10 luglio 1943, diede inizio all’invasione del territorio metropolitano.
    Da quel momento, nel cervello degli italiani, si fece sempre più strada la convinzione che i tedeschi non ce l’avrebbero fatta e che quindi, anche per noi, la partita era perduta.
    E quando Vittorio Emanuele il 25 luglio 1943 licenziò Mussolini per sostituirlo con Badoglio, un’ondata di tripudio pervase l’Italia, perché anche lo scemo del villaggio aveva capito che si trattava della prima mossa per uscire dalla guerra cosa che, in quel momento, era ciò che più voleva il popolo italiano.
    Con la scusa del tripudio ci furono anche tentativi di sommossa non chiaramente finalizzati, repressi energicamente dal Governo Badoglio al prezzo complessivo di 1600 fra morti, feriti, incarcerati, ma la cosa non destò scalpore, anche perché non venne divulgata.
    L’8 settembre 1943, corollario della manovra di sganciamento, il popolo italiano che sperava fosse veramente finita, si diede ancora una volta al tripudio (secondo me con molta meno enfasi del 25 luglio, perché capiva che qualcosa non quagliava), ma molto più al saccheggio.
    In quelle stesse ore l’esercito nemico proveniente da sud, estendeva l’invasione a un terzo della Penisola, mentre l’altro esercito straniero proveniente da nord, fino a quel momento nostro alleato, ne occupava la parte rimanente.
    Chiaritasi con il capovolgimento delle alleanze (operazione nella quale siamo maestri e noti nel mondo) la nuova situazione bellica, la parte del popolo italiano rimasta a sud del fronte, si trovò ad avere risolto i suoi problemi più immediati mentre, per coloro che si vennero a trovare a nord di quella linea, le cose si prospettavano un pochino più complicate.
     
    Interludio
 
    Dopo che i tedeschi ebbero intercettato alcuni comunicati radio, trasmessi in chiaro da fonte nemica, che davano per siglata il 3 settembre 1943 la resa senza condizioni dell’Italia agli anglo-americani, mandarono per la presentazione delle credenziali, il mattino dell’8 settembre al Re Vittorio Emanuele III, il nuovo Incaricato d’affari presso il Regno d’Italia, Rudolf Rahn.
    "L’Italia combatterà fino in fondo a fianco della Germania…", fu la sorprendente e incauta dichiarazione del Re, sulla quale piombò, attraverso i microfoni dell’EIAR alle 19,45 di quello stesso 8 settembre, l’inqualificabile comunicato del Capo del Governo italiano, Generale Pietro Badoglio.
    L’esercito italiano, venuto a mancare di colpo il supporto di ogni gerarchia, letteralmente si squagliò come neve al sole, nel volgere di poche ore.
    Si assistette allora all’angosciante spettacolo fornito dalle centinaia di migliaia di soldati stanchi, affamati, laceri e demoralizzati che, battendo le campagne e le strade secondarie tentavano, molte volte inutilmente, di sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi.
    La reazione di questi ultimi, al nostro voltafaccia, fu immediata e rude ma non ancora sanguinosa, anche se a Roma il Regio Esercito, appoggiato da qualche decina di civili, aveva tentato inutilmente di opporsi, con le armi, all’occupazione dei centri nevralgici della capitale.
    D’altra parte non era in alcun modo ipotizzabile l’abbandono tedesco agli anglo-americani, dello strategico scacchiere mediterraneo, solo per accondiscendere il desiderio di pace dell’italico alleato che si era stancato di guerra, così come era naturale fossero furibondi per il nostro voltafaccia che, oltretutto, li poneva improvvisamente in non poche difficoltà tattiche.
    Non è difficile immaginare i sentimenti nei nostri confronti, soprattutto di coloro che in quel momento si trovavano nel bel mezzo delle cannonate nella testa di ponte di Salerno, mentre contrastavano da soli lo sbarco anglo-americano, dopo che le nostre truppe si erano eclissate.
    Sicuramente saranno riandati alle tappe della disgraziata alleanza con l’Italia: eravamo entrati in guerra contro loro espresso parere; erano dovuti intervenire in Grecia per darci una mano; erano dovuti intervenire, con l’Afrika Korps di Rommel, anche in Africa settentrionale; il nostro intervento in Russia aveva dato più problemi che vantaggi; ci avevano mandato alcune delle migliori divisioni (ancor prima del 25 luglio e su nostra pressante richiesta), per fronteggiare l’avanzata anglo-americana in Sicilia, scarsamente e fiaccamente (per non dir peggio), contrastata dalle nostre truppe e, per paga del loro sacrificio in uomini e materiali gli italiani, non solo mollavano le armi lasciandoli nelle peste, ma addirittura gli sparavano addosso!
    Fu qualche tempo dopo l’8 settembre, che iniziò a organizzarsi qua e là una certa opposizione, per il momento scarsamente armata, diretta contro i tedeschi e contro i fascisti, che avrebbe poi preso il nome di "Resistenza"; contro i fascisti, soprattutto dopo la costituzione di un Governo repubblicano che portò, il 25 novembre 1943, alla proclamazione della Repubblica Sociale.
    Obiettivo principale e fondamentale della neonata repubblica, fu quello di riprendere le armi a fianco dell’alleato tedesco per risollevare l’Onore nazionale, trascinato nel fango dalla resa incondizionata e dal tradimento dell’alleato.
    A questo punto, il popolo italiano che venne a trovarsi nel territorio della Repubblica Sociale, doveva decidere con chi stare: da un lato si parlava di onore, ma il sia pur lento arretrare delle armate tedesche, lasciava pochi dubbi circa l’esito finale della partita; dall’altro si parlava di libertà e l’inarrestabile avanzata delle forze anglo-americane, ne lasciava ancor meno su chi sarebbe stato il vincitore.
    La stragrande maggioranza degli italiani, pur parteggiando in cuor proprio per gli uni o per gli altri, decise di non decidere e abbozzò, ponendosi alla finestra avendo, come primo obiettivo, quello di portar fuori le stringhe da quel casino; e ce n’era molta di gente alla finestra in quell’8 settembre del ‘43 ma, fra poco, un nuovo evento avrebbe deciso per tutti:
     
    La guerra civile
 
    Con il nuovo Stato repubblicano scesero in campo i vecchi fascisti; gli idealisti che sentirono più forte il richiamo dell’onore; gli internati nei lager tedeschi che alla prigionia preferirono il combattimento; i giovani di leva che alla macchia preferirono il dovere.
    Il risultato fu che a Mondragone, i bersaglieri della Repubblica Sociale andarono con successo al combattimento contro gli anglo-americani, già il 15 novembre 1943.
    La propaganda antifascista, le emittenti radio nemiche e Radio Bari, portavoce del Governo Badoglio, si diedero ad aizzare l’odio contro i soldati della RSI; esso venne pianificato, istituzionalizzato e scagliato su di loro; si ordinò di ucciderli entro due ore dalla cattura, mentre si provvedeva a trasmetterne via radio, oltre le linee, generalità e indirizzo, per facilitarne il riconoscimento e la soppressione.
    Alle spalle dei soldati della RSI si vennero così formando sui monti, nelle pianure e nelle città, bande armate di civili ed ex militari (i partigiani), che operavano in nome delle Resistenza, composte da: antifascisti di antica e nuova militanza; soldati sbandati dell’ex esercito regio rimasti tagliati fuori dalle loro città invase; prigionieri ex nemici fuggiti dai campi di concentramento; giovani renitenti alla leva della RSI. 
    Ultimi ad apparire furono gli eroi della "sesta giornata", coloro cioè che dopo il 24 aprile 1945 uscirono per la prima volta allo scoperto brandendo le armi, il fazzoletto verde o rosso al collo (ed erano i più feroci).
    Anche costoro (forse gli stessi che 5 anni prima erano accorsi a portare aiuto a un altro vincitore), reclameranno e otterranno, per sé e successori, prebende e carriere.
    I partigiani erano organizzati in gap, bande, brigate, non vestivano divisa e, generalmente, non obbedivano a regole che non fossero quelle stabilite dal loro capo diretto.
    Il metodo di lotta era la guerriglia, che veniva attuata con imboscate, colpi di mano, attentati dinamitardi, metodi illegittimi, secondo gli accordi internazionali di guerra (Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1907, ancora in vigore) che, in quei casi, ammettono la ritorsione della rappresaglia.
    Tutte le imprese compiute dai partigiani durante e dopo la guerra civile, furono in seguito dichiarate, con apposita legge retroattiva, azioni di guerra e, come tali, condivise e giustificate.
    Ciò permise l’impunità a un gran numero di masnadieri, che si era infiltrato nella Resistenza con scopi che con quella avevano poco da spartire. 
    A sud della linea del fuoco, nel territorio che poteva considerarsi la continuazione dell’Italia del regno, il Governo Badoglio, fra incredibili difficoltà e umiliazioni, non riuscì a ottenere dagli anglo-americani lo stato di alleanza ma semplicemente quello di "cobelligeranza" e poté a fatica rimettere in armi, traendoli dagli sbandati della disfatta militare, circa 5000 uomini, che vennero organizzati in un Raggruppamento, avanguardia di quello che sarebbe divenuto il CIL (Corpo Italiano di Liberazione) il quale, sia pure limitato nel numero e impiegato in modo qualche volta umiliante e sempre subordinato, combatté onorevolmente e con sacrificio, da Mignano Montelungo al Po.
    Per gli appartenenti alla RSI accusati di ogni turpitudine da altri commessa e a quelli accomunati, non ci fu pietà; il loro sangue corse a rivi e se alla fine il genocidio non poté essere portato a termine, lo si dovette alle truppe d’occupazione anglo-americane che lo contrastarono, dapprima fiaccamente, poi in modo sempre più deciso.
    I fascisti della RSI sopravvissuti alle stragi, furono messi al bando e, negata loro l’idealità della causa per la quale avevano combattuto, vennero cacciati dai posti di lavoro, derubati dei loro averi, processati da sedicenti tribunali del popolo, incarcerati e rinchiusi in campi di concentramento, privati dei diritti civili; e furono i fortunati.
     
    Il dopoguerra
 
    Quei tristissimi giorni io li ho vissuti da comprimario, e quindi testimone, e ho di loro serbato un ricordo che ancora mi sgomenta: truppe di colore; folla scalcinata ubriaca e vociante; bandiere e fazzoletti rossi; amici spariti, incarcerati, uccisi; "segnorine" sulle jeep dei vincitori; donne con la testa rasata; strade e piazze illuminate; odore di sigarette Chesterfield; preservativi usati, in terra nelle vie; dentifricio al gusto di ragù; ritmi di boggie woggie; Military Police con elmetti e manganelli bianchi; cioccolato, scatolette e chewing gum.
    Al seguito di armi straniere (fatto già più volte verificatosi nella storia d’Italia), anche l’antifascismo e la Resistenza finalmente trionfavano e, con loro, trionfava il popolo italiano che aveva, con molta disinvoltura, accantonato la sua maschia volontà guerriera sfoderata qualche anno prima contro la "perfida Albione" e, ancora una volta abbozzando, si adeguava.
    Per sottrarsi alle accuse di fascismo che i vincitori gli muovevano e nella speranza di ottenere condizioni di miglior favore dalla resa incondizionata, gli italiani indossarono i panni della vittima e cercarono di spacciare per vera, autoconvincendosene, la favola della presa del potere nel ‘22, da parte di una cricca, che poi li aveva tenuti soggiogati per vent’anni!
    Continuando sull’esempio delle prèfiche più accreditate, si poté assistere al miracolo della conversione (altro che pani e pesci!) e 45 milioni di italiani fascisti si trasformarono come per incanto in 45 milioni di antifascisti italiani.
    I veri vincitori, trascorso il periodo di euforia seguito alla cessazione delle ostilità, in forza dell’articolo 11 delle clausole di resa del Corto armistizio secondo il quale:
    "Il Comandante in Capo delle Forze alleate avrà pieno diritto di imporre misure di disarmo, smobilitazione e di smilitarizzazione", provvidero a disarmare i partigiani.
    La Resistenza venne così bruscamente accantonata e, al di fuori degli stereotipi riconoscimenti e prestampate frasi di circostanza, le fu solo concesso di celebrarsi ma, per favore, senza troppe bandiere rosse.
    Essa a quel punto non volle ma io credo non poté, liberarsi dalle scorie che la gravavano e che in seguito ne avrebbero messo in gioco immagine e credibilità.
    Soprattutto l’antifascismo, sua componente principale e trasversale, costretto dalla preponderanza comunista nelle anguste spire di una rivalsa senza confini e ormai senza scopo, non fu in grado, al termine di uno scontro che aveva visto sconfitta l’Italia intera, di muovere un passo verso i vinti e chiudere definitivamente il conflitto, sull’esempio di ciò che avevano fatto altri: Franco nel 1939, Lincoln nel 1865.
    Incapace di autocritica e a furia di celebrazioni la Resistenza, su cui presero a formarsi le fortune politiche e materiali della nuova classe dirigente italiana, si autodefinì epopea poi mito e infine dogma.
    Difficile quindi tentare un approccio o porre anche il più piccolo interrogativo su alcune delle sue imprese più oscure, senza incorrere nell’accusa di vilipendio mentre strade, piazze, monumenti, mausolei venivano a lei intitolati ed eretti.
    Per gli sconfitti, cioè quegli italiani che avevano con coerenza ma senza fortuna, combattuto fino alla fine per l’Onore e avevano pagato un contributo altissimo di sangue, per lunghi anni ne fu vietato anche il semplice ricordo.
    La Repubblica italiana "fondata sull’antifascismo e nata dalla Resistenza" non sa nemmeno, a distanza di 76 anni (e quel che è peggio non gliene frega niente di sapere), quanti furono i Caduti della Repubblica Sociale, che fascista era sì, ma anche italiana.
     
da COMBATTENTI DELL'ONORE. Paolo Teoni Minucci.
Anno di Edizione: 2000. Greco&Greco editori. (Indirizzo e telefono: vedi EDITORI)
 
 

 

martedì 22 marzo 2022

IL GROTTESCO DELLA STORIA

IL GROTTESCO DELLA STORIA

 

 

Quando nel 1939 Hitler invase la Polonia per rivendicare il territorio di Danzica, da sempre tedesco ed abitato quasi esclusivamente da tedeschi, le grandi democrazie, Inghilterra, Francia ed America, si scandalizzarono, solidarizzarono con i polacchi ed  insorsero a difesa di quello stato facendo scoppiare la  seconda guerra mondiale, coinvolgendovi milioni di persone e causando milioni di morti.

Le truppe tedesche entrarono in Polonia il 1 Settembre 1939 e da quella data gli Alleati entrarono in guerra contro la Germania.

Il 17 Settembre 1939, l’URSS, che con la Germania aveva firmato il patto Molotov-Ribbentrop, invase a sua volta la Polonia e la incamero’ nonostante la Polonia non fossa MAI stata russa ne abitata da russi !

Questa volta peró nessuno insorse, nessuno si scandalizzó, nessuno si sognó di dichiarare guerra all’URSS che anzi, poco dopo, divennne alleata degli Alleati nella guerra contro Germania, Italia e Giappone con buona pace dei Polacchi, della democrazia e della libertá…!!!.

Questi sono FATTI incontrovertibili che dimostrano, seppure ce ne fosse bisogno, che la difesa dell’indipendenza della Polonia era soltanto una scusa per dichiarare la guerra e che le vere motivazioni di ció erano ben altre che non la difesa della democrazia e della libertá.

I motivi veri erano, come sempre, economici per la insostenibile concorrenza dei prodotti tedeschi e giapponesi sul mercato mondiale e la crescente superiorità’ delle loro tecnologie e politici a causa  delle rivoluzionarie innovazioni sul piano sociale e dei rapporti capitale-lavoro che sconvolgevano i progetti di sfruttamento e di massimo profitto cui il capitalismo mondiale era abituato e che queste novitá ponevano in pericolo.

Giá nella prima guerra mondiale, quando in Germania non c’era nessuna dittatura, ne nessuna democrazia da difendere, l’America era venuta a portare la guerra per difendere i suoi interessi economici e strategici ed ora stava facendo la medesima cosa di allora.

Sono piú di settanta anni che ci raccontano favolette e ci prendono per i fondelli ..

A quando poi, finalmente  la veritá?

 

Alessandro Mezzano