I DANNI DEL “MALE ASSOLUTO”. CHE TU SIA BENEDETTO
Breve indagine sul mai sufficientemente deprecato, infausto, mefistofelico “Ventennio”
di Filippo Giannini
Sia chiaro un principio: quel che faccio e quel che scrivo sull’
argomento non è per nostalgia (pur avendo vissuto “uno spicchio” di un
periodo esaltante e irripetibile), ma per contribuire alla giusta
rivalutazione di un grande uomo quale fu Benito Mussolini.
I lettori più attenti ricorderanno che in un mio precedente articolo mi
impegnai a fornire una spiegazione sul motivo che spinse l’intellettuale
Cesare Muratti a scrivere, nel 1983, questa osservazione: “Diciamo
finalmente la verità VERA (maiuscolo nel testo, nda): in un certo
momento il 98% degli italiani era per Mussolini”. Con l’aiuto di
Alessandro Mezzano e del suo libro (appunto dal titolo) “I danni del
Fascismo” proverò a fornire la risposta.
Quel che segue è un elenco “frammentario ed incompleto, ma
significativo, di alcune leggi, riforme ed opere che furono realizzate
dal Fascismo e che cambiarono il volto della società italiana, ottenendo
al regime e a Benito Mussolini quel consenso popolare, quasi totale,
che oggi la cultura e la storiografia ufficiale si affannano a
disconoscere” (purtroppo riuscendoci).
Quelli riportati più avanti sono provvedimenti concepiti e attuati dal
Regime fascista. Prima del suo avvento di questi provvedimenti o erano
appena abbozzati o, comunque mai trasformati in leggi, oppure
addirittura inesistenti non solo in Italia, ma anche in Europa e negli
altri continenti. In altre parole, per essere più chiaro, l’Italia
fascista in campo sociale, e non solo sociale, fu all’avanguardia nel
mondo.
Già il 24 maggio 1920, in un articolo dal titolo “L’epilogo”, Mussolini
su “Il Popolo d’Italia”aveva scritto: “Vogliamo rendere il lavoratore
partecipe della gestione dell’azienda, elevare la sua dignità,
insegnargli a conoscere i congegni amministrativi dell’industria,
evitare di questa le degenerazioni speculazionistiche”. E, salito al
potere, non perse tempo per attuare i suoi programmi.
Scrive Mezzano, in merito alla “Tutela lavoro Donne e Fanciulli”, legge
promulgata il 26.4.1923, Regio Decreto n° 653: “E’ una delle prime leggi
sociali del Fascismo: nasce solo sei mesi dopo la Marcia su Roma del 22
Ottobre 1922, ed è chiaramente indicatrice di quella che sarà la
politica sociale degli anni futuri del regime. Negli anni e nei secoli
precedenti né la Chiesa, né la borghesia, né i socialisti ed i sindacati
erano riusciti a migliorare ed a rendere umana la condizione delle
donne e dei fanciulli, che erano costretti a lavorare nelle fabbriche,
nelle miniere o come braccianti nelle campagne”.
“Assistenza ospedaliera per i poveri”, legge promulgata il 30.12.23, Regio Decreto n° 2841.
“Questa legge trasforma in diritto alle cure gratuite la discrezionalità
caritatevole di associazioni benefiche, per lo più religiose, che fino
ad allora aveva condizionato la vita o la morte delle persone che non
disponevano di mezzi propri per accedere alle cure ospedaliere”.
Che il lettore provi ad ammalarsi nella “culla della più grande
democrazia: negli Usa” e compari l’attuale stato sociale vigente in quel
Paese con quello di“quell’Italia” di ben ottanta anni fa.
“Assicurazione Invalidità e Vecchiaia”. Legge promulgata il 30.12.1923, Regio Decreto n° 3184.
“La legge decreta il diritto alla pensione d’invalidità e vecchiaia
tramite un’assicurazione obbligatorie, al cui pagamento concorrono sia i
lavoratori che i datori di lavoro. Il lavoro, componente fondamentale
del nuovo Stato fascista, è un dovere (altro che “diritto”, come si
ciancia oggi, nda) per ogni cittadino, ma che lo riscatta da quella
posizione di servitù in cui lo Stato liberale aveva messo il lavoratore,
per trarlo in una posizione di libertà e di dignità che lo investe in
quanto uomo, e non solo in quanto lavoratore, e per questo gli assicura
la certezza del sostentamento alla fine di una carriera di lavoro”.
“Riforma della Scuola (Gentile)”. R.D.L. n° 1054 del 6.5.1923.
“La volontà di modernizzazione, che fin dalle origini pervade il
movimento fascista, spinge il nuovo governo a progettare la creazione di
una numerosa e preparata classe dirigente, in grado di sostenere un
vasto disegno di sviluppo nazionale: obiettivo, questo, non realizzabile
senza una scuola moderna, razionale, dinamica, produttiva ed
accessibile a tutti”.
La scuola non doveva fare distinzioni tra le classi sociali, ma
garantire il diritto di studio a tutti, anche ai figli appartenenti alle
classi meno abbienti. Questa riforma poneva le basi per una scuola più
moderna. A quest’opera di risanamento culturale e morale ha fatto
seguito, dalla fine della guerra, un rilassamento disgregativo fino a
giungere – e i lettori lo ricorderanno – al demagogico assioma del “sei
politico”, senza che i governi del tempo fossero in condizione di
arrestare la conseguente “avanzata dei somari”. La riforma di Gentile
poneva in evidenza la preoccupazione del legislatore a ravvivare una
tradizione pedagogica nazionale con i maestri e i professori perno della
vita della scuola: “La riforma vivrà, se i maestri la sapranno far
vivere”. E con questo spirito veniva valorizzata,, di fronte allo
studente, la personalità dei maestri e dei professori, ad ogni livello,
dalle elementari all’università. Oggi il maestro e il professore sono
privi di ogni autorità e lo studente si sente autorizzato anche a
deriderli e a declassificarli. Questo nel nome di una presunta
uguaglianza di intenti.
“Acquedotto Pugliese, del Monferrato, del Perugino, del Nisseno e del Velletrano”.
Valga per tutti quanto detto per l’Acquedotto Pugliese, ricordando che
questo è il più grande acquedotto del mondo. Scrive Mezzano: “I primi
progetti risalgono al 1904, quando l’Ente Autonomo Acquedotti Pugliesi
ne affidò l’esecuzione alla società ligure del senatore Mambrini (sic)
(…). I lavori avrebbero dovuto essere terminati nel 1920, ma nel 1919
solo 56 Comuni su 260 avevano avuto l’acqua, mentre le opere intraprese
erano spesso abbandonate, incomplete e deperivano (…). Nel 1923, sotto
il governo Mussolini, l’Ente fu commissariato e passò alla gestione
straordinaria; improvvisamente i lavori vennero accelerati, furono
superate tutte le difficoltà che sino ad allora li avevano bloccati e
furono portati a termine nel 1939”.
Nessuna meraviglia per gli uomini di “quel regime”: il denaro pubblico
era sacro. Oggi, invece, che si favoriscono gli appalti degli appalti,
le modifiche delle modifiche di un progetto, le tangenti, le tante,
troppe “cattedrali nel deserto”. Vale quanto ripetutamente scritto:
qualsiasi confronto fra questo regime e quello precedente risulterebbe
insostenibile; questo è il vero motivo per il quale si è coniato il
termine “Fascismo: male assoluto”.
“Riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere”, R.D.L. n° 1955 del 10.9.1923
“Prima del Fascismo quasi tutto era lasciato all’arbitrio del datore di
lavoro, che spesso, con il ricatto psicologico della disoccupazione,
costringeva i lavoratori a orari massacranti e in ambienti di lavoro
malsani e insicuri”.
E’ facilmente comprensibile come questa serie di leggi sociali, se da un
lato proteggevano i lavoratori dallo sfruttamento, dall’altra
danneggiavano gli industriali, il grande capitale, gli speculatori: e
questi divennero gli oppositori del regime. Tuttavia il cammino
intrapreso dal Fascismo non si fermerà sino a quando le potenze
plutocratiche mondiali non si coalizzeranno per abbattere un regime che
stava diventando, per esse, troppo pericoloso.
“Opera Balilla e Colonie marine per ragazzi”.
“Con questo provvedimento, scrive Mezzano, “il Fascismo attuò una
rivoluzione significativa sottraendo alla Chiesa, anche al di fuori
della scuola, l’educazione della gioventù che divenne di pertinenza
dello Stato”.
La “Gioventù Italiana del Littorio” fu un’operazione colossale, mirante
alla protezione dei ragazzi che vennero sottratti ai tanti pericoli che
li minacciavano. L’attività ginnico-fisica, inculcò un’istruzione civile
e sportiva. La Chiesa non perdonerà mai al Fascismo questo “strappo”
che si trasformerà poi in avversione e sostegno al nemico in occasione
della guerra ’40-’45.
“Opera Nazionale Dopolavoro”
Quasi in parallelo a ciò che per i giovani era la GIL, nasce per i
lavoratori l’OND. Questo organismo ha il compito di portare cultura e
svago tra la classe operaia, che nel passato era stata costretta ad una
vita esclusivamente di lavoro, di sacrifici e d’ignoranza.
Le strutture dell’Opera raggiunsero, in poco meno di un decennio, un
livello unico al mondo. Alcune cifre significative: 1227 teatri, 771
cinema, 40 cine-mobili, 6427 biblioteche, 994 scuole di ballo e canto,
uno stabilimento idrotermale, 11.159 sezioni sportive a livello
dilettantistico con 1.400.000 iscritti, 2700 filodrammatiche con 32.000
iscritti, 3787 bande musicali e 2130 orchestre con 130 mila musicisti,
10 mila associazioni culturali. Con l’avvento delle “40 ore lavorative
settimanali” i lavoratori e le loro famiglie possono viaggiare sui
cosiddetti “treni popolari”, il costo del biglietto è ridotto del 70%. A
guerra finita le strutture dell’OND confluiranno nella “Case del
popolo” di matrice comunista e il PCI farà propri i principi ispiratori
dell’OND facendoli passare (furbescamente) come proprie iniziative.
“ Reale Accademia d’Italia”, RDL n° 87 del 7.1.1926.
Osserva Mezzano: “Nel quadro del progetto di risollevazione della
Nazione da quello spirito di rassegnata sudditanza e di provincialismo
culturali che avevano contraddistinto secoli di storia prima e dopo
l’unità, fu fondata l’”Accademia d’Italia” allo scopo di dare lustro e
dignità all’ingegno e all’arte italiane”. L’Accademia venne poi
soppressa, con Decreto Luogotenenziale del 28.9.1944, solo perché era
una creazione del Fascismo. Continua Mezzano: “Dopo la sconfitta e con
l’avvento della Repubblica resistenziale, rifiorirono il servilismo e il
provincialismo: l’Italia borghese, clericale e anticomunista volle
essere colonia culturale, politica ed economica degli USA, mentre la
sinistra comunista avrebbe voluto un’Italia satellite dell’URSS”.
In merito all’Enciclopedia Treccani il giornalista Franco Monaco ha
scritto: “In Inghilterra esisteva da duecento anni una Enciclopedia
Britannica, ma in Italia nessuno aveva mai pensato che si potesse farne
una italiana. Proprio Gentile la suggerì all’industriale Giovanni
Treccani”.
Treccani si mise immediatamente al lavoro. Sotto la direzione di Gentile
lavorarono oltre 500 redattori e collaboratori selezionati nei vari
rami della cultura italiana. Per espresso ordine di Mussolini fu
adottato lo stesso principio che vigeva per l’Accademia d’Italia: la
selezione doveva avvenire in base alla validità professionale e
culturale del candidato, accantonando ogni preclusione di indole
ideologica. Così all’Enciclopedia collaborarono anche noti “oppositori” e
perfino alcuni firmatari del “Manifesto” di Croce. Il lavoro si svolse
con velocità, capacità e puntualità miracolose. Il frutto di tutto ciò
fu che l’Enciclopedia Italiana sopravanzò, come mole e valore culturale,
sia la “Britannica” che la “Francese”. Nel 1937 l’Enciclopedia Italiana
presentò il risultato del proprio lavoro: l’Enciclopedia era costituita
di ben 35 volumi; i collaboratori erano stati in tutto 3000, “ossia
tremila cervelli che Giovanni Gentile aveva amalgamato e ridotto
all’osservanza di quei concetti generali di obiettività, precisione,
chiarezza e concisione che l’Enciclopedia si era imposti” (Franco
Monaco).
“Bonifiche dell’Agro Pontino, dell’Emilia, della Bassa Padana, di
Coltano, della Maremma Toscana, del Sele, della Sardegna ed eliminazione
del latifondo siciliano”. RDL 3256 del 20.12.1923.
Mezzano: “Nel 1923, solo un anno dopo la Rivoluzione fascista, Benito
Mussolini amplia i poteri dell’ONC (Opera Nazionale Combattenti) e le
affida il compito tecnico amministrativo di realizzare la bonifica
dell’Agro Pontino, che non sarà un mero risanamento idraulico dei
terreni, ma una vera e propria ricostruzione ambientale, secondo il
piano di Arrigo Serpieri, Sottosegretario alla bonifica (…). Oltre alle
dimensioni dell’opera di bonifica, che non ha avuto eguali in Italia in
tutta la sua storia, è da sottolineare il rivoluzionario concetto che la
ispira e che va sotto il nome di “Bonifica integrale”, sottolineato e
riportato nell’intestazione delle leggi che vi si riferiscono”.
Il progetto prevedeva una serie di interventi che andavano dalla
sistemazione e dal rimboschimento dei bacini ai lavori di sistemazione
degli alvei dei corsi d’acqua, alla trasformazione colturale e alle
utilizzazioni industriali, sempre secondo una coordinata e armonica
pianificazione del territorio. Dal suolo bonificato sorgono irrigazioni,
si costruiscono strade, acquedotti, reti elettriche, opere edilizie,
borghi rurali e ogni genere di infrastrutture. Dalle Paludi Pontine
sorsero “in tempi fascisti” vere e proprie città: Littoria, inaugurata
l’8 dicembre 1932; Sabaudia (indicata da tecnici stranieri come uno dei
più raffinati esempi di urbanistica razionale), il 15 aprile 1934;
Pontinia, il 18 dicembre 1935; Aprilia, il 29 ottobre 1938; Pomezia, il
29 ottobre 1939. Nell’Agro Pontino furono costruite ben 3040 case
coloniche, 499 chilometri di strade, 205 chilometri di canali, 15.000
chilometri di scoline. La “Bonifica integrale” continuò nell’alto Lazio,
in Campania, in Sardegna, in Sicilia e così via in tutta Italia, ma non
solo in Italia: non si possono dimenticare le grandi opere realizzate
in Somalia, in Eritrea, in Libia, in Etiopia. Tutto questo, come si è
detto, “in tempi fascisti” e senza alcuna ombra di “democratiche
tangenti o mazzette”. La risposta a queste opere colossali proveniente
dagli uomini dei “diritti e della libertà” è stata (e non sto
scherzando) che le bonifiche integrali furono “un danno ecologico“.
Oppure, come ha scritto Piero Palumbo (“L’Economia italiana fra le due
guerre”, pag. 84: “Duole (!) ricordarlo: i primi ecologisti indossavano
l’orbace”. Un’osservazione che è un pugno nello stomaco al “Verde”
Onorevole Pecoraro Scanio.
“Opera Nazionale Maternità e Infanzia”, RD n° 718 del 15.4.1926.
“Nella nuova società la cura e l’importanza delle donne e dei fanciulli,
implicita nella dottrina fascista, assume l’importanza di istituzione
mediante la fondazione dell’”Opera Nazionale Maternità e Infanzia”.
L’ONMI vuole dare e darà un concreto supporto a quella fondamentale
cellula umana e sociale che è la famiglia, intesa non quale generatrice
di forza di lavoro e di consumo, come è nella concezione materialistica
del capitalismo e del marxismo, ma quale culla e nucleo vitale delle
tradizioni, della storia e del futuro della Nazione e dello Stato.
Centro vitale della famiglia è, per il Regime fascista, la madre (…)”.
Con questa legge lo Stato si fece carico dell’assistenza e dell’aiuto
alle madri, volgendo particolare attenzione alle cure per le
madri-lavoratrici. Questa legge, anticipatrice dei tempi è, quindi, una
delle innovazioni più prestigiose del regime fascista. Furono istituite
in ogni provincia le “Case della madre e del bambino”, gli asili nido, i
dispensari del latte: tutte organizzazioni che giunsero ad accogliere
circa 2 milioni di assistiti. Tutto questo era integrato da una
assistenza medica e da una propaganda igienica. L’”Ente Opera
Assistenza” curava la gestione delle Colonie estive e invernali,
istituite per assistere soprattutto i bambini di famiglie meno abbienti.
Gestiva, inoltre, speciali scuole e Colonie per la terapia dei colpiti
dalla tbc”, i convalescenziari e centri per la cura dell’anemia
mediterranea. Oggi tutti possono vedere in che stato si trovano gli
ospedali per la cura della talassemia e quelli pediatrici che furono
costruiti sul litorale da Rimini a Riccione.
“Assistenza agli illegittimi, abbandonati o esposti”, legge dell’8.5.1927, RDL n° 798.
Mezzano: “Con questa legge lo Stato si assume la responsabilità di
provvedere a quei bambini non desiderati che erano prima senza tutela ed
alla mercé della carità privata e quindi considerati persone di seconda
categoria”.
Oggi, in “regime democratico”, molti fanciulli vengono abbandonati ai
pedofili e alla droga. Le donne reclamano la libertà sessuale e il
“diritto all’aborto”, sanzionato e garantito addirittura dallo Stato. E
quando lo Stato non interviene il povero lattante viene abbandonato come
immondizia, in un cassonetto. D’altra parte, come disse Luciano
Violante, “Questo è lo Stato dei diritti e della libertà”.
“La Carta del Lavoro”, Pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” n° 100 del 30.4.1927.
“Puntualizza il rapporto fondamentale tra Fascismo e mondo del lavoro.
Dichiara, istituzionandoli, i principi basilari a tutela dei lavoratori,
nonché la preminenza, nello Stato Fascista, dell’interesse prioritario
che lega gli obiettivi dello Stato a quelli del lavoro e dei
lavoratori”. La “Carta del Lavoro” intendeva portare a confronto, su uno
stato di parità, secondo un progetto di collaborazione e solidarietà
che superasse la rovinosa filosofia materialistica della lotta di
classe, due tradizionali antagonisti sociali: il capitalismo e il
lavoro. Sarebbe troppo lungo elencare tutti i vantaggi per i lavoratori
previsti in questa legge rivoluzionaria. Ne elenco solo alcuni:
obbligatorietà della stipula di Contratti collettivi di categoria;
istituzione della Magistratura del Lavoro; diritto alle ferie annuali;
istituzione della indennità di fine rapporto; istituzione degli uffici
di collocamento statali; assicurazione sugli infortuni sul lavoro;
assicurazione per la maternità; assicurazione contro le malattie
professionali; assicurazione contro la disoccupazione; Casse mutue per
le malattie eccetera.
L’antifascista Gaetano Salvemini scrisse: “L’Italia è diventata la Mecca
degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i
quali vi si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e
come funziona lo Stato corporativo fascista (…)”. Oggi, invece, quotati
giornali stranieri si affollano per denunciare la mafia politica e la
pletora di deputati e senatori che siedono in Parlamento, pur essendo
stati condannati dalla giustizia per reati vari. Non c’è che dire, anche
oggi, siamo “studiati”.
“Esenzioni tributarie per le famiglie numerose” RDL n° 1312 del 14.1.1928 e
“Assegni familiari” RDL n° 1048 del 17.6.1937.
Mezzano scrive: “In coerenza con la dichiarata importanza che il
Fascismo attribuiva alla famiglia come cellula fondamentale della
società, era importantissimo sgravare dalle spese fiscali quelle
famiglie che già avevano impegni finanziari onerosi a causa dell’elevato
numero dei componenti”.
Grazie a queste leggi lo Stato riconosceva agli operai che si sposavano
entro il venticinquesimo anno un assegno nuziale di 700 lire. Inoltre,
se i coniugi guadagnavano meno di 1.000 lire lorde al mese, veniva loro
concesso un prestito senza interessi compreso tra le 1.000 e le 3.000
lire. Alla nascita del primo figlio, il prestito si riduceva
automaticamente del 10%; così, gradualmente, sino alla nascita del
quarto figlio, il prestito veniva condonato. Il capofamiglia con prole
numerosa (sette figli) godeva di privilegi particolari: Mussolini
inviava, o consegnava personalmente, 5.000 lire, oltre una polizza di
assicurazione. Una tessera gratuita valida per tutti i mezzi pubblici
cittadini giungeva al capofamiglia tramite la locale sezione della
Federazione fascista. Altri privilegi per queste famiglie numerose
erano: la possibilità di contrarre prestiti a tasso bassissimo, sconti
nell’affitto degli appartamenti, assegni familiari ragguardevoli. E
ancora: per gli operai con un figlio, lire 3,60 la settimana; lire 4,80
per quelli con due o tre figli; 6 lire per quelli con quattro figli e
oltre.
Se nei primi anni del 1900 le donne partorivano mediamente quattro
figli, oggi che i “figli costano cari”, la natalità giunge mediamente ad
avere poco più di un bambino per famiglia.
“Legge sull’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali e
legge istitutiva dell’INAIL”, RD. n° 928 del 13.5.1929 e RD. n°264 del
23.3.1933, “Legge istitutiva dell’INPS (Istituto Nazionale Previdenza
Sociale)”, RDL n° 1827 del 4.10 1935.
“Nel quadro della ristrutturazione del mondo del lavoro e nei rapporti
tra i lavoratori e lo Stato, queste due leggi risolvono l’annoso
problema delle conseguenze negative che situazioni accidentali potevano
procurare a chi lavorava in particolari settori”.
Il Regime fascista nel suo “programma politico e sociale per
l’ammodernamento e l’industrializzazione del Paese”, come osservato
anche da James Gregor, non poteva eludere una globale politica
previdenziale. La competenza dell’INFPS (Istituto Nazionale Fascista
Previdenza Sociale, oggi INPS) andava dall’invalidità e vecchiaia alla
disoccupazione, dalla maternità alle malattie. Altre assicurazioni
coprivano, praticamente, la totalità dei prestatori d’opera, garantendo
così all’Italia un altro primato mondiale. Sulla scia dell’INFPS
sorsero, sempre negli anni ’30, l’INAM, l’EMPAS, l’INADEL, l’ENPDEP,
tutti enti che permetteranno poi, anche se fra scandali, ruberie e
arroccamenti di potere politico, all’Italia post-fascista di tutelare i
lavoratori.
“Istituzione del Libretto di Lavoro”.
Mezzano osserva: “Proseguendo nel perfezionamento delle norme a tutela
dei lavoratori, per contrastare fenomeni come il lavoro nero, lo
sfruttamento illecito di categorie deboli come donne e fanciulli, gli
abusi sull’orario di lavoro e l’evasione dei contributi lavorativi e
previdenziali e per far sì che, in generale, fossero rispettate tutte le
leggi emanate a difesa del mondo del lavoro, viene istituito il
Libretto di Lavoro”.
Per avere solo una idea del maltrattamento subito dalla verità dopo la
caduta del Fascismo, ecco come lo “storico” Max Gallo riporta la notizia
in “Vita di Mussolini”, pag. 118: “Si crea un libretto di lavoro
obbligatorio per meglio sorvegliare gli operai”.
“Riduzione dell’orario di lavoro a quaranta ore settimanali” RD. n°1768 del 29.5.1937.
Mezzano: “Non appena le condizioni generali dell’economia e
dell’industria italiane lo permettono, il Fascismo continua la marcia
intrapresa sin dal 1923 in direzione della riforma globale del mondo del
lavoro, investendo parte del vantaggio economico nella ulteriore
diminuzione dell’orario di lavoro e sottolineando il principio che il
lavoro e il profitto debbono essere strumenti e non fini della società”.
Questa legge (poi meglio conosciuta come “sabato fascista) era già
prevista nel programma fascista del 1919 e si inserisce con naturalezza
nell’obiettivo di forgiare lo “Stato del Lavoro” nel quale la figura del
lavoratore si trasforma sempre più da salariato in protagonista e
compartecipe dell’impresa.
“Legge istitutiva dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza). RDL n° 847 del 19.6.1937.
Sempre Mezzano: “Viene istituito, in ogni comune del Regno, l’”Ente
Comunale di Assistenza”, allo scopo di assistere individui e famiglie in
stato di necessità e di controllare e coordinare tutte le altre
associazioni esistenti che abbiano analogo fine”.
E’ superfluo commentare questa legge, tanto è palese la sua finalità. I
più bisognosi non vengono più assistiti da opere misericordiose, ma
tramite una legge specifica dello Stato.
Mi fermo qui perché, come ho scritto all’inizio, potevo presentare, per
ovvi motivi di spazio, solo un elenco “frammentario ed incompleto” di
alcune leggi sociali concepite dal Regime fascista. Tante altre tutte di
spiccato valore sociale, uniche o prime nel mondo, arricchiranno la
Storia del Fascismo. Una fra queste, “la più rivoluzionaria, la più
geniale, la più popolare delle riforme del Fascismo, fortemente voluta
da Benito Mussolini fu realizzata nella Repubblica Sociale Italiana”.
Mezzano si riferisce alla “Socializzazione delle Aziende”: una riforma
che avrebbe portato alla completa “Socializzazione dello Stato” una
riforma che fu vanificata solo perché la plutocrazia mondiale volle
mettere fine al Regime Fascista che, come disse Mussolini, “aveva
spaventato il mondo”. Intendeva, ovviamente, “il mondo dell’usura e
dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.
Mussolini e i suoi seguaci realizzarono uno Stato sociale, nonostante
le difficoltà create lungo il loro cammino, decisamente all’avanguardia
coi tempi, e questo senza aver avuto la possibilità di alcun esempio
precedente.
La validità di “quel sistema” è convalidata dal fatto che “quelle
innovazioni”, come ha scritto Vittorio Feltri: “durano fino ad oggi, e
sarebbero durate ancor più se l’inefficienza, l’incapacità e la
disonestà dei Governi dei giorni nostri non le avessero distrutte”.
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