Una donna eccezionale fra donne eccezionali
di Filippo Giannini ]
Il titolo esatto avrebbe dovuto essere: “Ragazze eccezionali fra ragazze eccezionali”. Come molti lettori avranno compreso intendo trattare una breve storia delle Ausiliarie della R.S.I.. “Ragazze eccezionali”, mi sono corretto, ma alcune di loro non erano neanche ragazze, ma poco più che adolescenti.
Mentre il Paese era allo sbando più totale – e sto ricordando la
capitolazione dell’8 settembre 1943 – e mentre molti uomini, soppesata
furbescamente la situazione militare del momento e consci che ormai la
guerra era persa, si schieravano dalla parte dei più che probabili
vincitori, migliaia di ragazze non accettarono l’onta e si schierarono
dalla parte che ritenevano, quella della coerenza e dell’Onore.
Valga per tutte queste eroine, la storia di una di loro: Giovanna Deiana.
Giovanna Deiana fu citata all’Ordine del Giorno del Comando generale della G.I.L., con questa motivazione: “Colpita
al viso durante l’incursione aerea nemica del 21 ottobre da una
scheggia di bomba che le cagionava la perdita totale della vista e la
poneva in grave pericolo di vita, dava prova di grande Forza morale e di
vivo spirito fascista. Prima sua preoccupazione fu la sorte dei
fratellini che ella, con gesto violento, allontanava dal pericolo,
risparmiando loro forse il suo stesso destino. Pura espressione della
nostra giovinezza italica ed esempio fulgido di amor patrio, sebbene
straziata dal dolore che le produceva l’orribile ferita, con lo stoico
coraggio si dichiarava lieta che la sorte avesse scelto lei per la dura
prova, risparmiando forse un soldato o un obiettivo militare. Desidero
che il Duce sappia – ella diceva – che io non piangerò e che tutto
soffrirà per il suo amore e per quello della Patria”.
Questo sarebbe stato già tanto per molti uomini. Giovanna Deiana, però,
mostrò ancor più la sua determinazione e la sua fede; così scrisse della
sua fulgida esperienza (da Riaffermazione del 1996). “Era il mattino
del 30 settembre 1944. Il Federale di Verona, maggiore Sioli, mi aveva
gentilmente concesso la possibilità di usufruire di una Topolino e di un
autista per potermi recare al Quartier Generale del Duce a Gargnano,
dove era la sede del Governo fascista. Nessuno conosceva il motivo di
questo mio desiderio di recarmi dal Duce, per poter parlare
personalmente con Lui: un desiderio che aveva tormentato il mio spirito
dal maggio precedente e che finalmente quel mattino di settembre
cominciava a delinearsi realizzabile. Già dal febbraio 1944 avevo
appreso da una trasmissione radiofonica, che si chiamava “La Voce del
Partito”, la possibilità di fare domanda di arruolamento in un Servizio
Ausiliario Femminile. Niente di meglio per soddisfare l’ansia che
sentivo in me, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, di fare qualcosa di
più per la Patria. E per questo scrissi. Tutto questo per il mio stato
fisico di invalida di guerra. Era troppo poco per la mia volontà di fare
attivamente e concretamente; non ignoravo, ad esempio, che altri
invalidi ciechi erano disponibili e attivi agli aerofoni per la
segnalazione di arrivi di aerei nemici. Ero perciò disposta, quel
mattino di settembre 1944, a superare tutti gli ostacoli per arrivare
alla presenza del Duce ed esprimere a Lui il mio fermo proposito di
agire e di diventare Ausiliaria. Circostanze favorevoli, come l’incontro
con la Medaglia d’Oro Carlo Borsani, presidente dell’Associazione
Nazionale Mutilati, che avevo conosciuto qualche mese prima, fecero sì
che il giorno dopo ero già iscritta nella lista delle persone che il
Duce avrebbe ricevuto nella mattinata del giorno successivo, il 10
ottobre 1944. Ero accompagnata dalla signorina Lenotti, anziana iscritta
al Partito. Benito Mussolini mi ricevette alle 14 di quel giorno. Era
appena suonato l’allarme aereo, ma questo non aveva per nulla turbato il
ritmo delle udienze. Quando dalla grande sala di attesa prendemmo il
lungo corridoio che portava fino alla stanza del Duce, l’ultima a
sinistra, il mio cuore accelerò i palpiti. Ero stata avvertita dal
segretario del partito Alessandro Pavolini, che in anticamera c’erano
anche delle signore ad attendere. Difatti quando il Duce ci vide
apparire nel vano della porta, venendoci incontro, si scusò di averci
fatto attendere. Questa sua gentilezza e comprensione calmò il mio cuore
e mi mise tranquilla. Per poco, tuttavia; perché il Duce guardandomi mi
riconobbe, mi abbracciò teneramente e mi disse: “Addio, Deiana, ricordo il coraggio dimostrato da te nel tragico frangente del tuo sacrificio”.
Non metto in evidenza queste Sue parole per vezzo di esibizione, ma per
sottolineare quanto la mente di quest’Uomo, occupata e preoccupata da
così gravi pensieri a livello mondiale, sapesse chinarsi verso
situazioni così microscopiche come la mia. Domandò notizie del fascio di
Verona; alla mia attenzione di ragazza dette l’impressione di essere
assetato di notizie al di fuori e spontanee, come le nostre potevano
essere. Poi all’improvviso disse: “Dimmi, Deiana, cosa posso fare per te?”.
Come sempre lungimirante, anche nelle piccole cose, seppe facilitarmi
la vita. E risposi che volevo essere anch’io una Ausiliaria, come tante
altre donne lo erano. La Sua risposta fu laconica, quanto commossa: “Bene,bene. Domani parlerò al generale Nacchiarelli”.
Tornai a Verona la sera stessa, con l’animo invaso da una delle più
grandi emozioni della mia vita. Due giorni dopo iniziò un corso
provinciale a Verona e qualche tempo dopo la Comandante della S.A.F. di
Verona, Elena Ranzi, mi comunicò che dovevo partire per Como, dove avrei
frequentato dal 6 gennaio 1945, il V Corso Nazionale Fiamma. Conclusi
con il mio giuramento individuale di fronte alla Comandante Maria Teresa
Feliciani il giorno 9 febbraio. Le motivazioni del mio arruolamento?
Credo di averle sufficientemente spiegate: in quei momenti di altissima
tensione spirituale i blablabla passavano in ultima linea, anzi erano
addirittura inesistenti.
Bisognava lavorare, come sempre, come credo ancora lavoro, sentendomi sempre parte attiva di questo connettivo sociale.
Giovanna Deiana
Breve storia del Servizio Ausiliario Femminile (S.A.F.).
Con l’avvento della Seconda Guerra mondiale si verificò una
straordinaria presenza delle donne in U.R.S.S., in Gran Bretagna, negli
Stati Uniti, i Germania. Anche in Italia si vennero a costituire, dal
1942, i servizi ausiliari della Regia Aeronautica con un organico
iniziale di 2650 unità impiegate come Servizio Scoperta e Segnalazione Aerei (S.S.S.A.).
La necessità e l’opportunità di impiegare donne nei servizi ausiliari di
guerra, in maniera più massiccia si presentò con la costituzione della
R.S.I..
Su La Stampa del 13 gennaio 1944, Concetto Pettinato (1) scrisse un articolo: “Breve discorso alle donne d’Italia”, un appello rivolto alle italiane affinché accorressero in difesa della Patria.
La risposta fu immediata: “A Milano, a Piazza San Sepolcro,
circa 600 giovani donne si radunarono spontaneamente e ribadirono la
loro volontà di partecipare in modo attivo al conflitto chiedendo di
essere arruolate. Situazioni analoghe si verificarono in altri centri
della Repubblica Sociale” (Associazione Culturale S.A.F., NovAntico Editore).
Divenne una marea montante: migliaia di donne esigevano di partecipare
all’attività bellica, erano operaie, studentesse, come le universitarie
di Venezia che si arruolarono in massa. Riporta il testo sopra indicato:
“Dopo una serie di perplessità dovuta al fatto, nuovo per
l’Italia, di un arruolamento volontario femminile, il 18/4/1944 il
Decreto legislativo del Duce n° 447, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
del 1 agosto 1944, istituisce il Servizio Ausiliario Femminile della
Repubblica Sociale Italiana (…). Per tutto il periodo della R.S.I. Piera
Gatteschi Fondelli sarà il Comandante Generale del S.A.F., equiparato
al grado di Generale (unico esempio in Europa), Vice Comandante sarà
nominata Cesaria Pancheri col grado di Colonnello”.
Requisito essenziale per le volontarie – la cui età era compresa tra i
diciotto e i quarantacinque anni – era l’indiscussa moralità. Il
Regolamento del S.A.F. è alquanto severo: gonne sotto il ginocchio,
vietati il fumo e i cosmetici, proibito uscire a spasso con i soldati
ecc..
Lo spirito che animava queste giovani donne viene testimoniato da quanto scritto su “Donne in grigioverde”, organo del S.A.F. del 18 dicembre 1944, dove, fra l’altro si stabilisce: “Si
allontanino da noi le esaltate che non conoscono i limiti di una
disciplina e giocano alla guerra con pantaloni e mitra. La nostra forza
sta nella femminilità che si irrigidisce nel dovere e si trasforma in
azioni”.
L’uso delle armi era consentito solo in caso di legittima difesa.
Nessuna disparità di trattamento rispetto a quello riservato agli
uomini; “le ricompense” recitava il D.M. “sono
le stesse in vigore per le Forze Armate e per la G.N.R.; lo stesso
trattamento quanto a punizioni e a provvedimenti disciplinari”.
Pur nella rigidità della disciplina e pur nel corso negativo della
guerra, la risposta delle donne fu sorprendente: Il numero delle
ausiliarie della R.S.I. operanti a fine guerra si aggira sulle 10.000
unità. In altre parole le aspiranti al S.A.F. risultarono numericamente
superiori a quanto stabilito dal bando.
Ormai le ausiliarie sono presenti in quasi tutte le formazioni militari
della R.S.I., comprese quelle dislocate in Germania e dimostrano di
sapersi far valere in qualunque circostanza e in qualsiasi luogo.
Centinaia furono le Ausiliarie cadute durante i bombardamenti e
mitragliamenti, martoriate e uccise nelle imboscate e negli attentati.
Numerose furono le citazioni, gli encomi e le ricompense al valore,
molto spesso alla memoria.
Al termine del conflitto l’odio dei partigiani, autoproclamatisi
vincitori di una guerra che senza il massiccio intervento americano non
avrebbero mai vinto, si accanisce contro le Ausiliarie con una ferocia
spesso disumana. Molte pagano con la vita la loro partecipazione alla
R.S.I. (non di rado dopo essere state stuprate), altre vengono rapate e
fatte sfilare per le strade fra il ludibrio della feccia urlante, alcune
denudate e frustate, altre ripetutamente violentate, in un’esplosione
di odio bestiale che non ha e non può avere alcuna giustificazione. Le
meno sfortunate, che solo il caso sottrae al supplizio e alla morte,
finiscono nei vari campi di concentramento come il P.W.E. 334 di
Scandicci (Firenze) tenuto dagli americani, o in quelli tenuti dagli
italiani, questi ultimi definiti “di rieducazione morale”:
espressione davvero paradossale se si pensa che intanto, qua e là per
l’Italia, dilaga la prostituzione fra gli invasori angloamericani di
ogni razza e colore. Da quei campi di concentramento le Ausiliarie
uscirono solo dopo mesi e mesi di prigionia, le ultime nel gennaio 1946
(…). Il S.A.F. è la formazione militare che, in proporzione ai suoi
effettivi, ha pagato il più alto tributo di sangue alla causa della
R.S.I..
Secondo l’Associazione culturale S.A.F., il numero delle Ausiliarie
cadute sia in conseguenza di vicende belliche che uccise a guerra finita
dovrebbe avvicinarsi alle duemila unità. La cifra esatta non è nota
perché molte di loro furono date come disperse o uccise e sepolte in
fosse comuni o, comunque, sparite nel nulla.
Come terminare questo ricordo di tante eroine? L’unico sistema è
impegnarmi a tornare sull’argomento in uno dei prossimi articoli.
Nell'immagine, un manifesto di propaganda del Servizio Ausiliario Femminile.
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