I 120 GIORNI DELLA SOCIALIZZAZIONE. SPINELLI
E MANUNTA AL MINISTERO CORPORATIVO Archivi del sindacalismo
Nunziante Santarosa
Ci è capitato fra le mani un volume non vecchio,
bensì antico, un vero e proprio incunabolo, dovuto alla penna di
un importante teorico del sindacalismo fascista espressivo dell’avanguardia
sociale più intransigente, nonché giornalista autorevole
e raffinato saggista. Di più: protagonista, nell’ambito della Repubblica
Sociale Italiana, di battaglie sulle pagine di testate storiche come Il
Corriere della sera ( di cui fu vice direttore con la gestione Amicucci
) e Il Secolo - La Sera ( del quale fu direttore ) volte a spostare il
regime di Salò su posizioni sempre più rivoluzionarie.
Su questo personaggio abbiamo già avuto occasione
di intrattenerci in Pagine ricordandolo per le elaborazioni e, in più
generale, per il lavoro sindacale svolto durante il Ventennio littorio.
Si tratta di Ugo Manunta e il suo libro reca il titolo La caduta degli
angeli - Storia intima della Repubblica Sociale Italiana, nei cui capitoli,
ricchi di documentazione, dà anche ampiamente conto delle esperienze
delle organizzazioni dei lavoratori del tormentato periodo nonché
di quelli che presenta come i 120 giorni - gli ultimi dei 600 della RSI
- maggiormente caratterizzati dalle iniziative riformatrici promosse con
straordinaria energia dal ministero del Lavoro retto dall’operaio tipografo
Giuseppe Spinelli, proveniente dai ranghi del sindacalismo rivoluzionario
e, dopo la costituzione della repubblica, dirigente dei metalmeccanici
e podestà di Milano.
Orbene, accanto a Spinelli, Mussolini collocò,
in qualità di Direttore Generale per la socializzazione, proprio
Ugo Manunta. La RSI poté così affidarsi, onde vivere appieno
la sua vicenda trasformatrice, su di un tandem che produsse una spinta
propulsiva destinata a mettere in crisi orientamenti conservatori ed equilibri
moderati collocati anche all’interno del fascismo repubblicano. Da notare
che l’abbinamento Spinelli - Manunta fu voluto dal Duce, insofferente del
moderatismo del ministero della Economia Corporativa Angelo Tarchi che
“applicava la socializzazione col contagocce”, secondo la denuncia del
Manunta medesimo. Il Tarchi venne spostato al ministero per il Commercio
con l’Estero.
La socializzazione era pura illusione, una sorta
di Fata Morgana, un sogno fiorito in spiriti illuminati frammezzo alle
macerie di una Italia messa a ferro e fuoco da due eserciti stranieri che
se ne contendevano i brani ? E Mussolini era ormai solo un visionario isolato
e disoccupato che trascorreva oziosamente le sue giornate giocando a fare
il rivoluzionario?
Dice in proposito il Manunta: “Illuso è colui
che ipotizza, per errore o per suggestione operata da altri su di lui,
uno stato di cose che non esiste, e che pertanto agisce fuori dalla realtà:
il che contrasta con gli atteggiamenti nettamente realistici assunti, invece
dagli uomini che nel fascismo repubblicano si schierarono decisamente a
sinistra”. E soggiunge: “essi pensavano che (...), indipendentemente dal
risultato delle armi ci fossero attività degne di essere sviluppate
pure in quelle drammatiche circostanze, e forse più facilmente portate
alle loro estreme conclusioni che non in tempi normali. Era illusione non
lasciarsi fuorviare dalla contingenza e continuare a credere che meritasse
la pena di restare sulla breccia ad occuparsi di salari, di cottimi, di
socializzazione?”
Ancora: “Il fatto che la tutela del lavoro non sia
mai venuta meno per tutto il tempo della guerra ha permesso di mitigare
il disagio delle categorie lavoratrici in un periodo particolarmente difficile,
ma si sono avute e si hanno di tale attività conseguenze visibili
anche nella vita presente”. Il saggio manuntiano di cui veniamo trattando
è venuto alla luce nell’anno 1946 da una certa romana Azienda Editoriale
Italiana non meglio identificata. C’è quindi da credere all’autore
quando afferma che dell’operato dei suoi colleghi sindacalisti nei mesi
dell’ira restano tracce concrete e accertabili nel dopoguerra. E, aggiungiamo
noi, non solo di quello immediatamente successivo allo scatenamento dei
furori fratricidi. Osiamo osservare, senza tema di smentita, che frutti
niente affatto irrilevanti del remoto impegno non solo tecnico ma pure
rivoluzionario di quei paladini del lavoro ancora vivono, ancorché
irriconosciuti, nel sistema sindacale attuale.
Ma veniamo a quel quadrimestre rinnovatore e trasformatore
cui prima si accennava. Annota lo scrittore sardo: “Abbiamo accennato al
sacro furore di cui furono pervasi i dirigenti del neo ministero del Lavoro
negli ultimi quattro mesi della Repubblica Sociale Italiana. Vi ritorniamo
per aggiungere che in quei 120 giorni tutta la problematica sindacale fu
riesaminata dalle basi, in vista di un profondo rinnovamento della vita
sociale, e che da questa febbre rivoluzionaria scaturirono decisioni di
reale importanza per le categorie lavoratrici. Tutta l’azione del Ministero
tendeva a recuperare il tempo perduto in un ventennio di sterili compromessi
(...). Mentre con l’applicazione della socializzazione a un intero settore
produttivo - quello industriale - si metteva l’accento sulle nuove responsabilità
del lavoro e sul declassamento del capitale, aprendo uno spiraglio ad un
nuovo tipo di economia equidistante da quella individuale e da quella collettiva,
si provvedeva infatti alla quasi contemporanea sistemazione delle categorie,
con clausole non equivoche e di una larghezza veramente eccezionale, e
si poneva allo studio il problema della casa dei lavoratori”.
Ed eccoci al tema ristrutturativo delle federazioni
e confederazioni dei lavoratori che Ugo Manunta così rievoca nei
suoi dati di fondo: “Nello stesso tempo si affrontava un’altra ardua questione:
quella del nuovo ordinamento sindacale in un’unica organizzazione comprendente
tutti i produttori, che avrebbe dovuto costituire l’intelaiatura di quel
nuovo Stato del Lavoro ch’era ormai la meta di tutti i sindacalisti, accomunati
in quell’ultimo disperato tentativo di realizzare in una sola volta tutte
le aspirazioni più profonde delle categorie lavoratrici”.
Si tenga presente che alcuni mesi prima dell’affidamento
del neo ministero del Lavoro all’asse Spinelli - Manunta, il ministro dell’Economia
Corporativa si era fatto approvare in una riunione di governo un disegno
di legge relativo al nuovo ordinamento sindacale. Il saggista fa ad esso
riferimento, et pour cause, senza la benché minima benevolenza.
Dice: “Ne trattarono sulla stampa alcuni competenti, per lo più
disapprovando. E in realtà quel disegno di legge non era un capolavoro,
soprattutto perché agli estensori era mancata quella visione profondamente
innovatrice che era necessaria per affossare definitivamente il vecchio
stato capitalistico”. Particolare niente affatto irrilevante: il “disegno“
era stato riprodotto sulla stampa corredato da inusitato avvertimento.
E cioè: il governo ne sottoponeva contenuti e forma agli interessati
acciocché lo monitorassero per quindi esternare eventuali perplessità
o chiari dissensi prima dello sdoganamento.
Appena insediato, Spinelli inserì nell’agenda
di lavoro la nomina di una commissione incaricata di mettere mano alla
suddetta “ visione profondamente innovatrice “. Alcuni nomi di suoi componenti:
il Galanti, Amadio, l’ex direttore de Il Lavoro Fascista Luigi Fontanelli,
il sindacalista Giuseppe Grossi, il dirigente dell’associazione per il
Pubblico Impiego prefetto Mancuso, il capo della segreteria politica di
Pavolini Olo Nunzi, Belletti, Rossano, Margara e altri. La Commissione
approntò subito un altro decreto in cui afferma Manunta, “presupposta
un’economia socializzata, si prescindeva in ogni punto dalla figura del
capitalista e si gettavano le basi per un riordinamento degli enti locali
e delle stesse assemblee rappresentative. Ne risultò un documento
di notevole valore politico oltre che giuridico. E per averne un’idea basterà
che i membri della commissione avevano dovuto decidere non solo su come
intelaiare il nuovo tipo di organizzazione sindacale unitetica, ma anche
in quali termini di legge tradurre tutte quelle conquiste del lavoro alla
cui affermazione avevano invano lavorato per vent’anni. Scomparsi i contraddittori,
cioè i rappresentanti delle confederazioni padronali, sciolte con
una legge di due mesi prima, essi si trovavano ora a legiferare....”.
Ma i commissari andarono oltre: “In quanto alla
figura del capitalista essa fu sistematicamente ignorata, mentre fu delineata
con estrema chiarezza quella del capo della impresa di cui parlava la legge
sulla socializzazione, cioè l’animatore e il tecnico dell’azienda,
lavoratore anche lui, e quindi a buon diritto socio di questo nuovo sindacato
che avrebbe dovuto costituire il pilastro dello Stato del Lavoro, e in
alcuni casi sostituirsi a molti enti locali le cui funzioni non potevano
non essere assorbite da tale nuovo ente di diritto pubblico”.
Infine: “Alle organizzazioni dei lavoratori si concedevano
compiti di un’insolita ampiezza. Il cittadino diveniva elettore in quanto
lavoratore, e il corpo legislativo era la risultante di elezioni di secondo
grado fatte dai rappresentanti delle categorie lavoratrici, con la garanzia,
dunque, di essere formato esclusivamente da produttori, tutti esprimenti
interessi legittimi nello Stato”.
PAGINE LIBERE Mensile culturale della CISNAL. Ottobre
1997.
La dittatura perfetta avra´ la sembianza di una democrazia, una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno mai di fuggire. Un sistema di schiavitu´ dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitu´.
giovedì 26 dicembre 2019
sabato 21 dicembre 2019
RESISTERE PER ROMA
PARACADUTISTI, MARO’ E LEGIONARI ALLA DIFESA DI ROMA
lunedì 16 dicembre 2019
LA SINISTRA A PESCI IN FACCIA
La sinistra a pesci in faccia
Io le conosco, le sardine. Conosco i loro padri che cinquant’anni fa si concentravano nelle piazze adiacenti e antagoniste a quelle in cui c’era una manifestazione tricolore o un comizio di Giorgio Almirante. E inveivano, a volte tentavano di impedire che lui parlasse, gridavano minacciosi slogan. Conosco poi i loro fratelli maggiori che diciassette anni fa dettero vita ai girotondini, scendendo in piazza come un movimento di resistenza a Silvio Berlusconi, non legato ai partiti e alla sinistra storica. Mutano di colore negli anni, i resistenti, in una progressione cromatica precisa: erano rossi cinquant’anni fa, erano viola 17 anni fa, sono pesce azzurro in questi giorni.
Da che cosa deduci che siano la stessa piazza? Da tre indizi. Il primo è che cantano oggi come cantavano ieri e l’altro ieri Bella Ciao, è la loro sigla e il loro marchio di fabbrica, non sanno andare oltre l’antifascismo, di cui sono orfani e scorfani; ogni nemico è sempre la reincarnazione del fascista tornante. Il secondo indizio è che non sanno concepire un’idea positiva, non sanno indicare una leadership positiva, tantomeno hanno un programma concreto che li unisce; sono uniti solo dall’odio verso qualcuno, Almirante o Craxi, Cossiga o Berlusconi, Salvini o Meloni. Il terzo indizio è che la cupola dell’informazione li adotta, li coccola, come un fenomeno nuovo, fresco, giovane, spontaneo, popolare da opporre all’Orco di turno. E la stampa si fa pescivendola, piazzando le sardine.
Qualcuno le apparenta alle madamine torinesi scese in piazza per la Tav. Si può avere un giudizio negativo o positivo sulle Madamine ma i tre requisiti predetti non erano presenti in quel movimento: le Madamine non volevano ostacolare qualcuno o impedire qualcosa, ma volevano che si facesse l’Alta Velocità. Poi non cantavano Bella Ciao, semmai si opponevano ai movimenti radicali contro l’Alta Velocità, i devoti di Erri de Luca, i compagni antagonisti, anarco-insurrezionalisti (più grilloidi) che intonavano Bella Ciao nella loro guerra di resistenza al treno veloce. Si certo, anche le Madamine facevano i flash mob, ma le sardine in quanto pesci fanno piuttosto i fish mob.
Ma torniamo a bomba. Dal modo con cui sono presentati sui media, con un’onda di commozione celebrante collettiva, si capisce lontano un miglio che sono usati per rilanciare l’antisalvinismo da postazioni fintonuove, che alludono alla solita società civile. Sono usati soprattutto per scongiurare la caduta dell’Emilia rossa, senza però usare i vecchi arnesi del pd e senza andare al traino degli inetti i grillini. Il sottinteso è: non pensate al governo, spostatevi sulla piazza di città, ci sono i ragassi, con la doppia esse, c’è un’aria nuova. Ma no, ragassi, è aria fritta e rifritta; del resto, le sardine più gustose finiscono in friggitoria. Non c’è dietro di loro un pensiero. L’unico libro dedicato alla filosofia delle sardine l’ha scritto un intellettuale conservatore, Robert Hughes che anni fa attaccò il bigottismo progressista, politically correct, ne La cultura del piagnisteo.
La svolta ittica della sinistra ha poi un pericoloso contorno. Sono i centri sociali che autonomamente scendono in piazza ogni volta che si affaccia Salvini o la Meloni. E vorrebbero impedire coi loro modi facinorosi di esprimersi. Voi direte: ma le sardine, le innocue, dietetiche sardine, cosa c’entrano con gli estremisti dei centri sociali? Nulla, per carità, marciano divisi anche se poi colpiscono uniti lo stesso obiettivo, e magari cantano da ambo le parti Bella Ciao.
Ma vorrei far notare cosa succede quando Salvini va in piazza. È uno schema fisso, naturalmente casuale, che però si ripete puntuale. Si mobilitano le sardine da una parte e le murene dall’altra. Le une presentano una piazza dalla faccia pulita e senza curriculum politico; c’è un popolo, er valoroso popolo de sinistra, a piede libero, non di partito, non di corrente, se non marina. E le altre, le murene, servono a intimidire coloro che hanno intenzione di andare ad ascoltare Salvini. Si temono scontri, assalti, incidenti, lanci di roba, picchetti, così ti passa la voglia di andarci, soprattutto se sei una persona mite, un moderato, uno che non ha alcuna voglia di trovarsi coinvolto in qualche scontro tra polizia e manifestanti. Insomma s’innesca una tenaglia perversa in cui le sardine hanno il compito di persuasori, le murene fungono da dissuasori.
Ero in tour di conferenze tra l’Emilia e Romagna, e mi sono trovato nei luoghi in cui avrebbe parlato Salvini e in cui sarebbero usciti dalle scatole le sardine; i giornali locali tappezzavano le città di locandine sul pericolo di centri sociali in rivolta contro l’arrivo di Salvini. Si alimentava una psicosi, e naturalmente la colpa era di Salvini che con la sua presenza provoca e profana una terra antifascista.
Insomma vedi i ragazzi-sardina, pensi che siano merce nuova e poi ti ritrovi in versione marina, proprio nelle zone che furono il triangolo rosso della guerra civile, il vecchio fantasma dell’Anpi e dei nuovi partigiani fosco-emiliani. Vuoi vedere che la i finale dell’Anpi sta ora per partigiani ittici?
E il Pd come risponde alle sardine? Si fa piatto come una sogliola, per non farsi notare. Ma rischia di finire in padella. Indorato e fritto.
MV, La Verità 21 novembre 2019 Marcello Veneziani
martedì 10 dicembre 2019
GUERRA ALL'ITALIA
GUERRA ALL'ITALIA
di Enrico Montermini
Mentre
in Italia le Sardine cantano in piazza "Bella ciao", da Parigi, Berlino
e Bruxelles trapelano i dettagli della riforma del MES, il meccanismo
di stabilità finanziaria dell'Unione Europea - e non sono buone notizie.
A quanto pare l'asse Parigi-Berlino che controlla la politica europea
continua la sua guerra senza quartiere all'Italia utilizzando la finanza
come arma per indebolire il Paese.
Nulla, quindi, è cambiato dal primo
al secondo governo Conte, se non il fatto che ora la pillola amara ci
viene ora somministrata con larghi sorrisi e pacche sulle spalle.
Non starò a tediare il lettore con una descrizione troppo tecnica, che potete trovare qui: Che cos'è il Mes e perchè la sua riforma fa discutere.
Mi limiterò a evidenziare le dimensioni inaudite dell'attacco che si sta preparando contro l'Italia.
Il MES è finanziato da 19 stati membri dell'Unione in proporzione al proprio PIL.
L'Italia è il terzo finanziatore in ordine di importanza dietro a Francia e Germania.
Secondo una simulazione, tra i 19 sottoscrittori del fondo solo 10 hanno le carte in regola per accedervi e tra questi l'Italia non figura.
La clausola capestro introdotta nella riforma è stata fortemente voluta dall'amministratore delegato del MES, il tedesco Klaus Regling.
Essa prevede che il debito pubblico degli Stati che possono accedere ai finanziamenti deve essere intorno al 60% del PIL: un dato studiato su misura per agevolare Francia e Germania e punire l'Italia.
Qualora un paese "non virtuoso" come l'Italia dovesse chiedere aiuti al MES, sarebbe costretto a sottoscrivere un memorandum d'intesa per la riduzione del debito pubblico.
Gli Stati non virtuosi saranno quindi incoraggiati a ridurre, precauzionalmente, il proprio debito pubblico, cosa che nessun governo italiano farà mai perché significherebbe arginare la corruzione, il nepotismo e gli sprechi nella pubblica amministrazione, che è un bacino elettorale e un concentrato di interessi economici che nessuno vuol toccare.
Il pericolo è che il semplice annuncio della riforma del MES possa scatenare la speculazione dei mercati contro il debito sovrano italiano, costringendo il governo ad accettare un memorandum d'intesa con il MES.
Tale memorandum - come insegnano i precedenti - comprenderebbe dure misure di austerity, che di solito portano a due conseguenze.
La prima: un drammatico crollo del prodotto interno lordo a fronte di una modesta riduzione del debito pubblico.
La cura, insomma, si rivela sempre più dannosa della malattia.
La seconda conseguenza: il taglio del welfare, la deregolamentazione del mercato del lavoro e la svendita degli asset pubblici a soggetti privati o a stati esteri.
Sono le cosiddette riforme, da sempre invocate dai falchi di Parigi, Berlino, Bruxelles e appena iniziate dal governo Monti.
Riforme, che vogliono anche i grandi istituti finanziari, le agenzie di rating e la Confindustria. Misure, i cui effetti, economici e politici, equivalgono a quelli di una guerra perduta.
Il lettore si domanderà probabilmente perché il sottoscritto accredita un'interpretazione complottista alla riforma del MES.
Innanzitutto perché i maggiori sottoscrittori del debito pubblico italiano sono le due più importanti banche francesi.
Un attacco speculativo provocato dal semplice annuncio delle clausole capestro descritte trasformerebbe immediatamente i titoli di stato italiani in titoli tossici: da qui la necessità di disfarsi degli stessi, facendosi rimborsare dal MES.
E' quanto è accaduto alla Grecia, dove i prestiti della Troika sono serviti a rimborsare le banche francesi e tedesche, ma sono stati pagati con la rovina del popolo greco.
In secondo luogo, perché la strategia dell'asse franco-tedesco è sviluppata dall'Ecole de Guerre Economique: la scuola di guerra economica fondata da un generale francese.
In terzo luogo perché, da un lato, Macron è il prodotto degli interessi della famiglia Rothschild, per la quale ha lavorato prima di entrare in politica; dall'altro perché in Germania le banche sono state in gran parte nazionalizzate e sono quindi un asset a disposizione del governo di Angela Merkel.
Quella stessa Merkel che, ordinando la vendita dei titoli di stato italiani detenuti da Deutsche Bank, ha provocato l'attacco dei mercati contro l'Italia che ha portato alle dimissioni dell'ultimo governo Berlusconi.
E' lecito ipotizzare, quindi, che esista un piano franco-tedesco per muovere guerra all'Italia servendosi della finanza e delle strutture politiche e finanziarie europee come strumento.
La riforma del MES sarebbe solo l'ultima offensiva di una guerra iniziata addirittura all'epoca della caduta del Muro di Berlino.
Che di guerra si tratti, purtroppo, non pare che se ne siano accorti né i politici né la stampa, che sono troppo presi dalle beghe domestiche.
Perché mai, è lecito chiedersi, la Francia e la Germania vogliono la rovina economica dell'Italia?
Perché qualora il governo accettasse la riforma del MES il Paese, prima o poi, sarebbe costretto ad accettare il piano di riforme di cui si è detto: perderebbe, insomma, quel poco che le resta della sua sovranità e della democrazia.
Come accaduto alla Grecia, quando Tsipras, dopo aver indetto un referendum per dire "no" agli ordini della Troika, fu costretto a piegarsi ai ricatti della stessa.
L'arrivo in Italia della Troika, sempre paventato dalla Cassandra di turno, è però l'estrema ratio: molto meglio avere un governo nazionale sostanzialmente docile agli ordini di Parigi e Berlino.
In gioco c'è il dominio dell'Europa: l'obbiettivo vanamente perseguito da Napoleone, Guglielmo II e Hitler con i loro eserciti e che ora pare a portata di mano con l'arma della finanza.
mercoledì 4 dicembre 2019
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA R.S.I.
LA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA E IN PARTICOLARE
NELLA PROVINCIA DI UDINE
Guido Bellinetti
La Repubblica Sociale Italiana
si manifestò non solamente o precipuamente col suo apparato militare,
impiegato su diversi fronti: orientale contro le bande di Tito, occidentale
contro l'esercito francese e i maquis, meridionale contro gli alleati e
all'interno, per l'ordine pubblico, contro la guerriglia partigiana, ma
anche con la sua responsabile e intensa attività nel campo legislativo,
amministrativo e sociale più ampio, assicurando così la sopravvivenza
del tessuto civile, dell'apparato produttivo, delle provvidenze alla popolazione.
La sua gestione centrale e periferica si realizzò grazie ad una
burocrazia rigida, responsabile, preparata nel ventennio fascista, ed all'apporto
generoso di migliaia d'impiegati, dirigenti e amministratori. Molti di
questi pagarono con la vita propria e anche dei familiari la dedizione
al dovere verso lo Stato repubblicano e alla solidarietà verso la
gente comune, i profughi, i senza tetto, i diseredati e gli sbandati in
genere.
Il quadro offerto da chi a
posteriori, con il fine di alterare una realtà storica, ha ricostruito
quel tempo e posto lo scontro tra la RSI e chi si opponeva ad essa sullo
stesso piano, stabilendo così una arbitraria parità di funzioni
e di peso, è storicamente insostenibile. La stessa interpretazione,
affermatasi con più favore recentemente, di "guerra civile"
comporta un'artificiosa gonfiatura dell'attività di guerriglia,
promossa al livello di paritaria contrapposizione a uno Stato forte di
800.000 circa uomini in armi e nell'esercizio delle sue attività
sovrane. Basta considerare che un soldato inquadrato in un esercito regolare,
comportava all'epoca un supporto di almeno 4 uomini nelle retrovie per
concludere che le esigenze di movimento, armamento, rifornimento delle
divisioni della RSI e dell'armata germanica sul territorio italiano, sostenute
nella misura suddetta, vanificano una contrapposizione di qualche migliaio
di uomini, limitato sia nella capacità operativa che nei movimenti
e negli armamenti esclusivamente individuali. L'azione di disturbo, essenzialmente
periferica, del fatto "partigiano" deve quindi essere ridimensionata,
superando gli schemi dell'agiografia ufficiale.
La verità è
che la RSI ha svolto la sua funzione, indipendentemente dalle valutazioni
storico politiche, poggiando su un complesso amministrativo efficiente
e responsabile, tenuto contro delle difficoltà in cui si è
realizzato. Pur incombendo, in quel tempo, lo stato di guerra con i pericoli
conseguenti, in primis l'azione distruggitrice dei bombardamenti aerei
e le strettoie create dai tedeschi a seguito dell'armistizio di Badoglio,
in materia di disponibilità di prodotti industriali e d'uso pieno,
stante la priorità militare delle comunicazioni e dei trasporti
ferroviari e stradali con relativo carburante, lo sforzo del governo della
RSI fu immane e realizzato con la collaborazione di milioni di lavoratori
e impiegati. Tutto questo, paradossalmente, si realizzò anche a
beneficio di quelli che lo osteggiavano.
Per riportarsi alla situazione
reale del tempo, si ricordi l'episodio del generale americano Taylor, che,
accomiatandosi dal Re, rifugiatosi al sud, si sentì chiedere una
dozzina di uova per la Regina.
Nella RSI la dedizione dei
Prefetti, dei Segretari del P.F.R. e degli Alti commissari interprovinciali
o degli Enti pubblici, dei mille e mille dirigenti e dipendenti fu encomiabile
e generosa, nonostante le incursioni nemiche, la penuria di generi alimentari
d'ogni tipo e i furti di sciacalli che privavano le popolazioni dei viveri.
Nel clima snervante in cui
operò l'autorità, su tutto il territorio nazionale anche
laddove non esistevano presidi militari, reparti in armi, difese che offrissero
un minimo di sicurezza nel lavoro e nella sopravvivenza, lo Stato non venne
mai meno ai suoi compiti e corrispose stipendi, sussidi, sovvenzionamenti,
ripristino di opere danneggiate. L'assistenza del governo della RSI comprese
anche le famiglie dei militari internati in Germania o dei dispersi e tra
questi, sicuramente, anche degli sbandati e dei partigiani in Italia e
Jugoslavia.
Se questo era il clima nel
territorio della Repubblica, particolare era quello nello stesso territorio,
limitato al cosiddetto "Litorale adriatico", parte sottoposta
dai tedeschi dopo l'armistizio Badoglio a stretto controllo per esigenze
militari, dettate dall'ubicazione come cerniera tra territorio italiano
e jugoslavo e comprensivo delle province di Gorizia, Pola, Fiume - oltre
che Trieste. Nelle prime incombeva, oltretutto, l'astio delle soldataglie
slave arruolate dai tedeschi che si sommava a quello delle bande di Tito.
La volontà degli italiani,
nonostante tutto, non venne meno e non cedette alle minacce e alle intimidazioni.
Gli ammassi furono conferiti
regolarmente, i concentramenti di bestiame si realizzarono periodicamente,
il burro consegnato e nemmeno le coperture di biciclette mancarono. I trasporti
ferroviari assicurati, salvo le temporanee interruzioni per bombardamenti
aerei, prontamente riparate. Il tutto nel rischio mortale di ogni giorno.
Secondo i dati raccolti, nella
provincia di Udine, la situazione cominciò a deteriorarsi agli inizi
del 1945 e sicuramente in relazione all'andamento sfavorevole delle operazioni
militari su tutti i fronti.
A Bicinicco di Pordenone i
partigiani assassinarono il Segretario comunale il 1° Gennaio 1945
e dopo pochi giorni fu ammazzato il figlio diciottenne del Segretario di
S. Pietro di Gorizia.
Dopo il catastrofico bombardamento
aereo di Udine, 350 senza tetto furono sistemati nelle case dei parrocchiani
di S. Maria del Carmine. Dopo una successiva devastante incursione, la
Cooperativa delle mense di guerra organizza i pasti per 1700 sinistrati.
Il 9 febbraio 1945 venne ordinato
il censimento di tutto il bestiame da carne della provincia e organizzato
un sistema di raccolta in appositi centri, sì da disporre la requisizione
mensile degli animali.
Nel febbraio 1945 oltre 1000
bambini ricevettero la refezione scolastica gratuitamente, mentre il 18
dello stesso mese il Commissario per il Litorale Adriatico Rainer ordinò
che a tutti i dipendenti pubblici venisse corrisposta una gratifica straordinaria
per il genetliaco del Fuhrer. A seguito delle proteste, nel mese successivo,
il beneficio fu esteso anche ai dipendenti privati. Certamente tra i primi
e i secondi si poteva supporre fossero anche i doppiogiochisti, ma non
risulta che qualcuno abbia rifiutato l'imbarazzante dono. A Tolmezzo in
Carnia, per esempio, il direttore della sezione del Corpo forestale della
RSI, dott. Romano Marchetti, era anche il capo delle formazioni partigiane
Osoppo della zona: presumibilmente avrà accettato anche lui quel
denaro, perché in fondo, togliere "al nemico" rappresentava
una raffinata forma di sabotaggio dall'interno.
Il 26 febbraio 1945 il Comune
di Udine aumentò tasse e imposte comunali quasi raddoppiandole e
moltiplicandole per due se il reddito familiare avesse superato le centomila
lire annue.
Ai primi di marzo le edicole
della periferia della città vennero minacciate se avessero esposto
il quotidiano del Partito fascista repubblicano; nessun risultato.
Alla fine dello stesso mese
la vidimazione delle tessere di lavoro obbligatorio divenne quindicinale
e successivamente giornaliera.
Malgrado tutto le tasse vennero
pagate e i bilanci comunali lo dimostrano. Conoscendo la mole di lavoro
dei Comuni, della Provincia, della Prefettura, della Questura e degli altri
enti pubblici, si può bene immaginare quali fossero le difficoltà
da affrontare giorno per giorno, ora per ora, sempre al fine di assicurare
alla popolazione il possibile per la sua vita. A tutto provvidero le autorità
della RSI tanto nelle zone a ridosso del fronte che nei paesi di alta montagna,
dove la disfatta partigiana nell’inverno del 1944 richiese il noto proclama
del maresciallo inglese Alexander che invitava a colpire alle spalle tedeschi
e fascisti, rinnovato dalla primavera del 1945 da analoghi appelli del
clero. In realtà l'attività più sollecita fu diretta
al furto dei viveri diretti ai paesi ed alle frazioni più lontane.
Il giorno di Pasqua 1945 giunsero
a Udine alcuni convogli ferroviari dalla Germania con feriti e ammalati
italiani che non avevano aderito alla RSI: malgrado la catastrofe finale
fosse vicina, Mussolini inviò a Tarvisio da Milano alcuni funzionari
con la somma di lire 8 milioni per le urgenze da risolvere.
Negli archivi comunali, provinciali
o prefettizi, nonostante le condizioni di indescrivibile abbandono, è
conservata la corrispondenza sia pubblica che privata, quest'ultima spesso
specchio delle ragioni, talvolta assurde e incompatibili con la tragedia
che si svolgeva attorno, personali e familiari. Una madre scrive il 3 luglio
1944 al Prefetto di Udine chiedendo semplicemente il rientro del figlio
internato in Germania, pur sottolineando che non aveva aderito alla RSI
nè per il lavoro in Germania. Il Prefetto annota sul foglio della
donna in data 7 Giugno: "urgente rimpatrio dalla Germania. Confermare
subito".
È rintracciabile, nella
ricerca archivistica, il documento riassuntivo dell'attività assistenziale
verso i bambini, svolta nella provincia di Udine, dall'O.N.B. ossia l'organizzazione
fascista giovanile. La nota riporta:
Assistiti Spese
Befana fascista 5.870
266.500
Refezione scolastica gratuita 13.400
3.616.000
Patronato scolastico 13.380
356.000
Sussidi assistenziali 136 73.000
Indumenti 560 111.000
Indennità infortuni 96
56.000
Premi demografici 16 36.000
Colonie estive 5.528
3.000.000
Orfani di guerra in istituti scolastici 674
1.000.000
Medicinali 450 25.000
Cure ambulatoriali 457 28.000
Borse studio 26 52.000
Sussidi individuali 720 100.000
Inoltre: distribuiti 4000
pacchi dono indumenti, ospitati più di 100 ragazzi con vitto e alloggio,
allestita una colonia montana a Gemona con cento bimbi senza tetto, creata
una mensa aziendale a lire 10 a pasto per 200 impiegati cittadini. A parte:
distribuzione di coperte, lenzuola, letti e materassi a oltre 100 profughi
delle terre invase e dall'Istria. Firmato: Cap. De Barba. (Archivio Com.
Udine. 288- 1945 - Cat.II).
È augurabile che si
avvii una ricerca attenta presso gli archivi del territorio già
amministrato dalla RSI, per ricostruire un quadro dell'attività
svolta negli anni 1943-1945, dal governo repubblicano. È un aspetto
poco conosciuto o addirittura falsato della storia della Repubblica Sociale
Italiana, il cui accertamento consentirebbe di stabilire alfine la vera
portata non solo della sua presenza su tre quarti del territorio nazionale,
ma anche il peso reale dell'opposizione palese o occulta creatasi alla
fine del 1943 e successivamente definita "resistenza".
Se anche vi furono, localmente
come nella zona "libera di Carnia", episodi in cui le forze governative
furono temporaneamente neutralizzate, perché esposte in zone non
sufficientemente presidiate -si badi bene, in tempi vicini alla conclusione
sfortunata della guerra - la RSI ristabilì sempre l'ordine e il
suo ordinamento giuridico, amministrativo e burocratico, nell'interesse
soprattutto della popolazione. Questa affermazione di legittimità
non s'ebbe solo nelle città presidiate da migliaia di soldati e
militi, ma anche nei centri minori, grazie anche all'apporto di dirigenti
funzionari, impiegati e operai, che non si sottrassero ai loro doveri,
nemmeno di fronte al rischio della vita.
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