giovedì 26 dicembre 2019

I 120 GIORNI DELLA SOCIALIZZAZIONE

I 120 GIORNI DELLA SOCIALIZZAZIONE. SPINELLI E MANUNTA AL MINISTERO CORPORATIVO Archivi del sindacalismo



Nunziante Santarosa 
 
 
    Ci è capitato fra le mani un volume non vecchio, bensì antico, un vero e proprio incunabolo, dovuto alla penna di un importante teorico del sindacalismo fascista espressivo dell’avanguardia sociale più intransigente, nonché giornalista autorevole e raffinato saggista. Di più: protagonista, nell’ambito della Repubblica Sociale Italiana, di battaglie sulle pagine di testate storiche come Il Corriere della sera ( di cui fu vice direttore con la gestione Amicucci ) e Il Secolo - La Sera ( del quale fu direttore ) volte a spostare il regime di Salò su posizioni sempre più rivoluzionarie.
    Su questo personaggio abbiamo già avuto occasione di intrattenerci in Pagine ricordandolo per le elaborazioni e, in più generale, per il lavoro sindacale svolto durante il Ventennio littorio. Si tratta di Ugo Manunta e il suo libro reca il titolo La caduta degli angeli - Storia intima della Repubblica Sociale Italiana, nei cui capitoli, ricchi di documentazione, dà anche ampiamente conto delle esperienze delle organizzazioni dei lavoratori del tormentato periodo nonché di quelli che presenta come i 120 giorni - gli ultimi dei 600 della RSI - maggiormente caratterizzati dalle iniziative riformatrici promosse con straordinaria energia dal ministero del Lavoro retto dall’operaio tipografo Giuseppe Spinelli, proveniente dai ranghi del sindacalismo rivoluzionario e, dopo la costituzione della repubblica, dirigente dei metalmeccanici e podestà di Milano.
    Orbene, accanto a Spinelli, Mussolini collocò, in qualità di Direttore Generale per la socializzazione, proprio Ugo Manunta. La RSI poté così affidarsi, onde vivere appieno la sua vicenda trasformatrice, su di un tandem che produsse una spinta propulsiva destinata a mettere in crisi orientamenti conservatori ed equilibri moderati collocati anche all’interno del fascismo repubblicano. Da notare che l’abbinamento Spinelli - Manunta fu voluto dal Duce, insofferente del moderatismo del ministero della Economia Corporativa Angelo Tarchi che “applicava la socializzazione col contagocce”, secondo la denuncia del Manunta medesimo. Il Tarchi venne spostato al ministero per il Commercio con l’Estero.
    La socializzazione era pura illusione, una sorta di Fata Morgana, un sogno fiorito in spiriti illuminati frammezzo alle macerie di una Italia messa a ferro e fuoco da due eserciti stranieri che se ne contendevano i brani ? E Mussolini era ormai solo un visionario isolato e disoccupato che trascorreva oziosamente le sue giornate giocando a fare il rivoluzionario?
    Dice in proposito il Manunta: “Illuso è colui che ipotizza, per errore o per suggestione operata da altri su di lui, uno stato di cose che non esiste, e che pertanto agisce fuori dalla realtà: il che contrasta con gli atteggiamenti nettamente realistici assunti, invece dagli uomini che nel fascismo repubblicano si schierarono decisamente a sinistra”. E soggiunge: “essi pensavano che (...), indipendentemente dal risultato delle armi ci fossero attività degne di essere sviluppate pure in quelle drammatiche circostanze, e forse più facilmente portate alle loro estreme conclusioni che non in tempi normali. Era illusione non lasciarsi fuorviare dalla contingenza e continuare a credere che meritasse la pena di restare sulla breccia ad occuparsi di salari, di cottimi, di socializzazione?”
    Ancora: “Il fatto che la tutela del lavoro non sia mai venuta meno per tutto il tempo della guerra ha permesso di mitigare il disagio delle categorie lavoratrici in un periodo particolarmente difficile, ma si sono avute e si hanno di tale attività conseguenze visibili anche nella vita presente”. Il saggio manuntiano di cui veniamo trattando è venuto alla luce nell’anno 1946 da una certa romana Azienda Editoriale Italiana non meglio identificata. C’è quindi da credere all’autore quando afferma che dell’operato dei suoi colleghi sindacalisti nei mesi dell’ira restano tracce concrete e accertabili nel dopoguerra. E, aggiungiamo noi, non solo di quello immediatamente successivo allo scatenamento dei furori fratricidi. Osiamo osservare, senza tema di smentita, che frutti niente affatto irrilevanti del remoto impegno non solo tecnico ma pure rivoluzionario di quei paladini del lavoro ancora vivono, ancorché irriconosciuti, nel sistema sindacale attuale.
    Ma veniamo a quel quadrimestre rinnovatore e trasformatore cui prima si accennava. Annota lo scrittore sardo: “Abbiamo accennato al sacro furore di cui furono pervasi i dirigenti del neo ministero del Lavoro negli ultimi quattro mesi della Repubblica Sociale Italiana. Vi ritorniamo per aggiungere che in quei 120 giorni tutta la problematica sindacale fu riesaminata dalle basi, in vista di un profondo rinnovamento della vita sociale, e che da questa febbre rivoluzionaria scaturirono decisioni di reale importanza per le categorie lavoratrici. Tutta l’azione del Ministero tendeva a recuperare il tempo perduto in un ventennio di sterili compromessi (...). Mentre con l’applicazione della socializzazione a un intero settore produttivo - quello industriale - si metteva l’accento sulle nuove responsabilità del lavoro e sul declassamento del capitale, aprendo uno spiraglio ad un nuovo tipo di economia equidistante da quella individuale e da quella collettiva, si provvedeva infatti alla quasi contemporanea sistemazione delle categorie, con clausole non equivoche e di una larghezza veramente eccezionale, e si poneva allo studio il problema della casa dei lavoratori”.
    Ed eccoci al tema ristrutturativo delle federazioni e confederazioni dei lavoratori che Ugo Manunta così rievoca nei suoi dati di fondo: “Nello stesso tempo si affrontava un’altra ardua questione: quella del nuovo ordinamento sindacale in un’unica organizzazione comprendente tutti i produttori, che avrebbe dovuto costituire l’intelaiatura di quel nuovo Stato del Lavoro ch’era ormai la meta di tutti i sindacalisti, accomunati in quell’ultimo disperato tentativo di realizzare in una sola volta tutte le aspirazioni più profonde delle categorie lavoratrici”.
    Si tenga presente che alcuni mesi prima dell’affidamento del neo ministero del Lavoro all’asse Spinelli - Manunta, il ministro dell’Economia Corporativa si era fatto approvare in una riunione di governo un disegno di legge relativo al nuovo ordinamento sindacale. Il saggista fa ad esso riferimento, et pour cause, senza la benché minima benevolenza. Dice: “Ne trattarono sulla stampa alcuni competenti, per lo più disapprovando. E in realtà quel disegno di legge non era un capolavoro, soprattutto perché agli estensori era mancata quella visione profondamente innovatrice che era necessaria per affossare definitivamente il vecchio stato capitalistico”. Particolare niente affatto irrilevante: il “disegno“  era stato riprodotto sulla stampa corredato da inusitato avvertimento. E cioè: il governo ne sottoponeva contenuti e forma agli interessati acciocché lo monitorassero per quindi esternare eventuali perplessità o chiari dissensi prima dello sdoganamento.
    Appena insediato, Spinelli inserì nell’agenda di lavoro la nomina di una commissione incaricata di mettere mano alla suddetta “ visione profondamente innovatrice “. Alcuni nomi di suoi componenti: il Galanti, Amadio, l’ex direttore de Il Lavoro Fascista Luigi Fontanelli, il sindacalista Giuseppe Grossi, il dirigente dell’associazione per il Pubblico Impiego prefetto Mancuso, il capo della segreteria politica di Pavolini Olo Nunzi, Belletti, Rossano, Margara e altri. La Commissione approntò subito un altro decreto in cui afferma Manunta, “presupposta un’economia socializzata, si prescindeva in ogni punto dalla figura del capitalista e si gettavano le basi per un riordinamento degli enti locali e delle stesse assemblee rappresentative. Ne risultò un documento di notevole valore politico oltre che giuridico. E per averne un’idea basterà che i membri della commissione avevano dovuto decidere non solo su come intelaiare il nuovo tipo di organizzazione sindacale unitetica, ma anche in quali termini di legge tradurre tutte quelle conquiste del lavoro alla cui affermazione avevano invano lavorato per vent’anni. Scomparsi i contraddittori, cioè i rappresentanti delle confederazioni padronali, sciolte con una legge di due mesi prima, essi si trovavano ora a legiferare....”.
    Ma i commissari andarono oltre: “In quanto alla figura del capitalista essa fu sistematicamente ignorata, mentre fu delineata con estrema chiarezza quella del capo della impresa di cui parlava la legge sulla socializzazione, cioè l’animatore e il tecnico dell’azienda, lavoratore anche lui, e quindi a buon diritto socio di questo nuovo sindacato che avrebbe dovuto costituire il pilastro dello Stato del Lavoro, e in alcuni casi sostituirsi a molti enti locali le cui funzioni non potevano non essere assorbite da tale nuovo ente di diritto pubblico”.
    Infine: “Alle organizzazioni dei lavoratori si concedevano compiti di un’insolita ampiezza. Il cittadino diveniva elettore in quanto lavoratore, e il corpo legislativo era la risultante di elezioni di secondo grado fatte dai rappresentanti delle categorie lavoratrici, con la garanzia, dunque, di essere formato esclusivamente da produttori, tutti esprimenti interessi legittimi nello Stato”.
 
PAGINE LIBERE  Mensile culturale della CISNAL. Ottobre 1997.
 
 

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