sabato 13 agosto 2016

SANT'ANNA DI STAZZEMA E I PARTIGIANI ASSASSINI

Sant'Anna di Stazzema e i partigiani assassini/1

Dopo settant'anni diventa necessario riflettere sulle vicende che insanguinarono lo Stivale in quell'epoca di odio cieco

Sant'Anna di Stazzema e i partigiani assassini/1
"Una delle pagine più infami della 'guerra privata' scritta dai comunisti, col sangue di centinaia di innocenti"
"Una delle pagine più infami della 'guerra privata' scritta dai comunisti durante la guerra civile. È una pagina scritta col sangue di centinaia di innocenti. Una pagina veramente incredibile nella sua agghiacciante assurdità": così Giorgio Pisanò definisce la strage di Sant'Anna di Stazzema del 12 agosto 1944. "I partigiani rossi - scrive ancora - provocarono coscientemente la rappresaglia tedesca, lasciarono quindi che le SS massacrassero centinaia di civili e tornarono, quindi, a strage ultimata, per rapinare i cadaveri delle vittime".
Una pagina buia della nostra storia, buia e triste, tra le più brutte che l'Italia ricordi. Che ricorda, però, raccontandone troppo spesso solo un pezzo. La vicenda di Sant'Anna di Stazzema, in realtà, è ben più tragica, se possibile, di quanto riportato sui libri di storia. Più buia, e più triste, perché a causare il massacro di tutti quei civili furono altri italiani, partigiani rossi, avvezzi nell'epoca della guerra civile a provocare spargimento di sangue al fine di ergersi ad eroi della Patria e a far ricadere sull'altra parte l'anatema dei decenni a venire. Lo abbiamo visto spesso, e il lettore attento lo ricorderà: abbiamo parlato degli assassinii di Ghisellini, di Resega, di Facchini, di Capanni, tutti orditi al solo fine di seminare odio, spargere sangue, suscitare rappresaglie, negare ogni ipotesi di pacificazione e di fine dell'orrore. Accadde molto spesso, accadde per esempio a Via Rasella, che provocò lo scempio delle Ardeatine, scientemente e consapevolmente. Accadde a Bettola, sull'Appennino reggiano, a Marzabotto, nel biellese, e sono solo alcuni esempi. Accadde anche a Sant'Anna di Stazzema, alla cui vicenda è dedicato il piccolo approfondimento di oggi, in concomitanza con il triste anniversario di quella orrenda strage.
La vicenda di Sant'Anna di Stazzema comincia nella primavera del 1944: a raccontare a Giorgio Pisanò com'era la situazione in quello che fino ad allora era stato un angolo di paradiso è Duilio Pieri, che nella strage perse il padre, la moglie, due fratelli, le cognate e quattro nipotini e che nel 1945 era divenuto presidente del Comitato vittime civili di guerra della zona: "Giunse la primavera del 1944 - dice Pieri - E, con la primavera, cominciarono a farsi vivi i primi partigiani". Pisanò è abituato a raccontare i fatti portando le prove di quello che dice, dunque ascoltò anche Amos Moriconi, che nella strage aveva perso la moglie, la figlia di due anni, la madre, due sorelle, un fratello e il suocero. "Li vedemmo apparire a Sant'Anna verso la fine di marzo - racconta - e li accogliemmo così come avevamo accolto gli sfollati, fraternamente, pronti ad aiutarli. Nessuno di noi sollevò questioni di natura politica. Ma ci accorgemmo ben presto che la nostra umanità non era molto apprezzata. Gli sbandati, infatti, si accamparono sul crinale delle montagne che sovrastano a semicerchio il paese e pretesero che noi li rifornissimo di viveri. Non ci restò che piegarci alla imposizione. Ma, nonostante ciò, questi individui cominciarono a perquisire le abitazioni, portando via tutti i viveri che trovavano. Il malumore serpeggiò ben presto tra la popolazione, ma ogni tentativo di ribellione venne soffocato con la minaccia delle armi spianate". È facile e comodo presentarsi in un paesino di agricoltori, allevatori ed artigiani, gente povera e semplice, che non dispone di armi, e pretendere qualsiasi cosa. Ed è facile organizzare un gruppo di sbandati in un manipolo di guerrafondai. Cosa che avviene presto, infatti: nasce così la Brigata 10 bis Garibaldi. "Molti fascisti furono uccisi nelle loro abitazioni - racconta ancora Pisanò - spesso sotto gli occhi dei familiari. Altri invece vennero condotto prigionieri  tra le montagne, e lì trucidati senza alcuna parvenza di processo. Ma queste azioni provocarono solo raramente la rappresaglia dei fascisti. Nella zona di Sant'Anna anzi le camicie nere non effettuarono mai rastrellamenti. Né i tedeschi si scaldavano eccessivamente per questi episodi di guerra civile tra italiani. Quando però i partigiani comunisti accentuarono  la loro attività nei confronti delle truppe germaniche, fu subito chiaro che le ritorsioni non si sarebbero fatte attendere".
Nessuna rappresaglia è giustificabile, di nessun genere - sebbene sia una pratica consolidata ed ammessa, con determinate regole ed entro certi limiti, dalle leggi di guerra - e non c'è alibi che tenga per un massacro di civili, questo è evidente. Ma assegnare a ciascuno le proprie responsabilità deve essere un dovere: verso se stessi, verso chi legge e verso la nostra storia. È per questa ragione che la vicenda di Sant'Anna, come le tante dello stesso genere, va raccontata tutta. L'epilogo si questa orribile storia di sangue è l'argomento della seconda parte di questo piccolo speciale, on line domani sul Giornale d'Italia. (... continua ...)
Emma Moriconi
emoriconi@ilgiornaleditalia.org

Sant'Anna di Stazzema, settant'anni dopo/2

Se ne andarono obbligando i civili a non muoversi: si consumò così una delle più orrende pagine della nostra storia

Sant'Anna di Stazzema, settant'anni dopo/2
"I partigiani continuavano a ripeterci che ci avrebbero difesi con ogni mezzo": e invece erano stati proprio loro a sacrificarli sull'altare di una memoria postuma a proprio uso e consumo
I tedeschi sanno che nello stazzemese sono rintanate bande partigiane, dunque organizzano gruppi di pattuglia e di controllo del territorio ed iniziano i rastrellamenti dei partigiani nell'alto versante della montagna. "I partigiani - raccontano alcuni superstiti a Pisanò - avevano sparato dalle nostre case contro i tedeschi. Prima o poi, lo sapevamo bene, il rastrellamento sarebbe giunto anche a Sant'Anna. Ma ci sorreggeva un filo di speranza. I partigiani, infatti, continuavano a ripeterci che non se ne sarebbero andati, che ci avrebbero difesi con ogni mezzo, che non c'era da temere perché loro erano più forti dei tedeschi. Ma la mattina del 9 agosto venne affisso sulla porta della chiesa un manifesto del comando germanico. Era l'ordine di sgombero per la popolazione civile: ci davano poche ore di tempo per andarcene tutti. I civili che fossero stati sorpresi ancora in paese dalle truppe rastrellatrici, sarebbero stati considerati favoreggiatori dei partigiani e fucilati come tali. La voce si sparse in un baleno. I comunisti però intervennero subito strappando il manifesto tedesco e affiggendone un altro nel quale facevano obbligo ai civili di non muoversi. Che cosa dovevamo fare? Eravamo presi tra due fuochi. La presenza minacciosa dei partigiani comunisti era molto più concreta di qualsiasi ordinanza tedesca. Così restammo tutti".
Vile ricatto, a voler riassumere il tutto con due sole parole. Che però non bastano a dare la dimensione dell'orrore delle azioni partigiane: perché se davvero costoro fossero rimasti al fianco della popolazione civile, allora si, li si dovrebbe ricordare come eroi, pronti a tutto pur di difendere la vita e la libertà di un popolo. Ma così non fu, anzi accadde l'esatto contrario: non solo gli abitanti di Sant'Anna furono costretti a non lasciare le loro case sotto la vile minaccia dei partigiani, ma essi furono lasciati soli. "Gli abitanti di Sant'Anna - scrive ancora Pisanò - gli sfollati che avevano cercato salvezza nel borgo appenninico non potevano certo sospettare, in quei momenti, che i comandi comunisti avevano freddamente deciso di sacrificarli": vili assassini, altro che eroi. "Quel giorno stesso - continua il giornalista - i partigiani rossi sparirono dalla circolazione. In paese non li vide più nessuno. [...] Se ne andarono obbligando i civili a non muoversi: calcolarono infatti cinicamente che le SS avrebbero scambiato gli uomini di Sant'Anna per partigiani comunisti e li avrebbero massacrati, tornando alle loro basi con la certezza di aver 'ripulito' la zona".
Alle 6 del mattino del 12 agosto 1944 inizia l'incubo: i tedeschi assaltano le frazioni che circondano Sant'Anna. A temere la rappresaglia sono soprattutto gli uomini: i tedeschi cercano i partigiani, che c'entrano in fondo le donne e i bambini. Dunque sono gli uomini a cercare riparo fuori dalle rispettive case. E poi la popolazione civile inerme spera ancora che a difenderli giungano gli eroici partigiani, in fondo glielo avevano promesso ... ma i partigiani sanno bene cosa sta per succedere, e si sono arroccati ben nascosti sulle montagne intorno al paese, da dove si può assistere a tutto ciò che accade ma si è a distanza di sicurezza e non si rischia di essere coinvolti nella guerriglia. Assassini e vigliacchi. Non eroi.
A raccontare ancora a Pisanò l'orrendo spettacolo è Mario Bertelli: "Dal mio nascondiglio potevo sentire l'eco degli spari e delle raffiche. La distanza mi impediva di udire le grida e le invocazioni d'aiuto. Per un po' di tempo ritenni così che i tedeschi sparassero più che altro per intimidire la popolazione, come era già accaduto altre volte. Poi cominciai a vedere il fumo degli incendi. Bruciavano case un po' dovunque. Mi resi conto che la situazione si stava facendo tragica. Ero solo, senza armi. Tornare in paese in quelle condizioni non sarebbe servito a nulla: non avrei potuto aiutare i miei familiari e sarei caduto subito nelle mani dei tedeschi. Trascorsi così ore di agonia. Alla fine gli spari diminuirono di intensità e poi cessarono del tutto. Mi avviai allora verso l'abitato. Avrei voluto correre ma ero troppo debole a causa della malattia: l'orgasmo e il terrore di quanto avrei potuto vedere in paese mi piegavano le gambe. Quando giunsi, molte case stavano bruciando. Mi avvicinai alla prima: vidi alcuni cadaveri tra le fiamme. Allora corsi urlando come un pazzo verso la mia casa. Era stata distrutta dalle fiamme, ma tra le macerie infuocate non trovai alcun cadavere. Mi spinsi allora fino alla piazza della chiesa, da dove vedevo levarsi un fumo denso. Ma quando vi arrivai, una scena spaventosa mi inchiodò al suolo senza che avessi più la forza di avanzare di un passo: un mucchio enorme di cadaveri stava bruciando lentamente. Ad un tratto mi sentii afferrare convulsamente e una voce, quella di mio padre, singhiozzò: 'Sono là dentro, tutti'. Seppi così che nell'orribile cumulo c'erano anche mia moglie, mia madre, le mie sorelle Pierina e Aurora e mio nipote".

"Le testimonianze dei sopravvissuti di Sant'Anna sono concordi nell'attribuire ai partigiani comunisti la responsabilità morale del massacro"
Due volte vigliacchi
Dopo la strage si avventarono come sciacalli sui corpi degli uccisi e li depredarono dei propri averi
I giorni successivi ai superstiti tocca la triste sorte di seppellire quei corpi: molti di essi sono irriconoscibili, quindi vengono tumulati insieme, in una grande fossa comune. Solo in quel piccolo agglomerato vengono seppelliti centotrentadue corpi, in maggioranza donne e bambini. Le vittime in tutto sono centinaia. La storia ufficiale dice 560, ma probabilmente il numero reale è inferiore a questa cifra: è ancora Pisanò a fare un'indagine in merito, battendo tutta la zona di persona e contando casa per casa il numero degli occupanti: la cifra più probabile  è quella d 300-350 vittime. Dato confortato anche dall'opuscolo "Fuoco sulla Versilia" di Anna Maria Rinonapoli che conta 340 nomi. Che siano 560 o 340 in realtà non cambia di molto la percezione di orrore che una strage del genere produce. Ma è un dato che suscita quantomeno una riflessione: per l'uso demagogico ed ideologico che si è fatto di questa strage (del resto, la strage era stata concepita dai comunisti proprio a fini demagogici), per i comunisti più sono le vittime e meglio è. C'è dell'altro: nessun italiano fascista e repubblicano ha partecipato a quell'orrore, lo confermano i verbali delle indagini e dei processi celebrati nel dopoguerra relativi ai fatti della zona. La responsabilità di quel sangue versato ricade tutto sui tedeschi e sui partigiani che lo provocarono, con dolo ed a proprio uso e consumo, affinché i libri di storia raccontassero nei decenni a venire di quanto orrore il "nazifascismo" (termine estremamente abusato) avesse seminato e di quanto eroismo si fossero fregiati i partigiani. Una storiella che prima o poi anche la storia "ufficiale" sbugiarderà.
"Tutte le testimonianze dei sopravvissuti di Sant'Anna - riferisce Pisanò - sono concordi nell'attribuire ai partigiani comunisti la responsabilità morale del massacro. [...] È indiscutibile, inoltre, che i partigiani non si allontanarono dalla zona, ma rimasero nascosti tra le rocce e i boschi delle montagne attorno a Sant'Anna. Lo prova il fatto che nemmeno due ore dopo la fine del massacro tornarono a farsi vivi in paese [...] Perché non intervennero a difesa dei civili? Perché non tentarono di attaccare le SS per dare tempo ai vecchi, alle donne, ai bambini di Sant'Anna di fuggire nei boschi?". Ma c'è di più: gli sciacalli tornarono in paese e spogliarono i cadaveri delle vittime, si appropriarono dei loro beni, vergogna su vergogna. È ancora Amos Moriconi a fornire una preziosa testimonianza: "Credo di essere stato uno dei primissimi, se non il primo a rientrare nel paese distrutto e pieno di morti. Trovai la mia casa che bruciava. Di mia moglie e di mia figlia nessuna traccia. Non tardai purtroppo a sapere che erano state massacrate nel piazzale della chiesa. Ma non era finita: poco dopo, alla Vaccareccia, trovai le salme di mia madre e dei miei tre fratelli. Mi aggirai come un folle per le rovine di Sant'Anna. Non sapevo più che cosa dovevo fare; non riuscivo nemmeno a pensare. Fu allora che qualcuno mi disse che era necessario seppellire subito i morti. Raccolsi un po' di attrezzi e scavai una grande buca. Poi trasportai lì presso le salme dei miei congiunti e cercai di comporle prima di seppellirle. Mentre mi stavo dedicando a questa orribile incombenza, vidi i partigiani. Erano due. Uno lo conoscevo bene da tempo: si faceva chiamare 'Timoscenko'. Si avvicinarono a me. Notai subito che avevano le tasche piene di portafogli, oggetti d'oro e d'argento. Li guardai senza parlare. 'Timoscenko' allora mi disse: 'Devi consegnarci tutti i soldi e gli oggetti di valore che trovi sui morti. Siamo noi che dobbiamo prenderli in consegna'. Mi sentii salire il sangue alla testa: impugnai la picozza e la alzai di scatto: 'Vattene!' gli dissi. 'Vai via se non vuoi che ti spacchi il cranio'. 'Timoscenko' esitò un momento e poi, senza replicare, si allontanò". Un'altra testimonianza la fornisce Teresa Pieri, che racconta di aver veduto due partigiani comunisti dividersi soldi, bracialetti, catenine d'oro appartenute ai suoi cari. Quando alla viltà non c'è fine. Aggiungiamo, per dovere di cronaca, che nulla di quanto pubblicato da Pisanò, prima sul settimanale Gente e poi nei suoi volumi, ha mai dato origine a smentite o a precisazioni di alcun genere.
emoriconi@ilgiornaleditalia.org
Emma Moriconi

                                                                                                                                            

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