venerdì 5 agosto 2016

BENITO MUSSOLINI, 133 anni di storia e di onore

Benito Mussolini, 133 anni di storia e di onore

Benito Mussolini, 133 anni di storia e di onore

Predappio e il forlivese, passioni e pulsioni: i giorni romagnoli, così come li abbiamo vissuti

Da San Cassiano al Museo di Villa Carpena, dalla Casa Natale a Palazzo Varano: storia di un Uomo e della sua terra
"Chi ama Colui che di là mosse, ama Predappio, come un po' di se stesso, perché Predappio è il Paese di tutti gli Italiani: è un po' come la Galilea di tutti noi, perché di là cominciò una nuova nostra Storia".
Estrapolo questo breve passo da un libretto che porta, come data di pubblicazione, il 21 aprile 1940. L'ho preso in prestito da una scrivania di Palazzo Varano, una scrivania che reca un Fascio littorio e che è sistemata nella stanza in cui il giovane Benito dormiva, leggeva, sognava la Rivoluzione Socialista. Oggi, su quella scrivania, lavora il Primo Cittadino di Predappio. Lo restituirò, quel libretto: l'ho promesso e lo farò. Ora però è qui, tra le mie mani: lo posso toccare, posso sentire l'odore delle paginette ingiallite che profumano di storia. Qui tutto profuma di storia. E se abbiamo cinque sensi, qui si riesce a utilizzarli tutti al massimo delle potenzialità. Di più: c'è un sesto senso che aggiunge qualcosa di importante ai cinque che solitamente utilizziamo. È qualcosa di straordinario e di potente, una dimensione non materiale ma profondamente spirituale, direi mistica.
La terra di Romagna pulsa e racconta, stimola e scalda, suscita emozioni e incide la volontà. Meglio: incide, nella volontà, la determinazione di poter fare ogni cosa. Energia pura, che sembra trasudare dalla terra, che sembra permeare l'atmosfera, che scende dal cielo insieme alla pioggia e avvolge insieme al vento.
I miei passi sulla ghiaia di San Cassiano, le mani sul pesante sarcofago in cui riposa, gli occhi che sfiorano nomi, volti... Bruno, Rachele, Anna Maria, Vittorio, Romano... ora anche Martina. E una lacrima si ferma sul ciglio e poi cade giù, inutilmente forse. O forse no.
Qualche chilometro ed ecco Villa Carpena, assolata, raggiante nel giorno del genetliaco di Benito, mentre le persone passano di qua, numerosissime: fame e sete di storia, voglia di sapere, di vedere con i loro occhi. C'è di che essere orgogliosi: raccontare loro questo luogo, calpestare lo stesso suolo su cui questa famiglia ha camminato, respirare queste mura in cui visse, sfiorare la divisa di Benito adagiata sul suo letto, vicina a un mazzolino di fiori tricolore, sentire sotto le dita la sua ruvidezza, riempirsi le narici di quell'odore che è l'odore del tempo passato e del passato mai morto. E quel ritratto a pastello che ci rimanda il bel volto di Bruno, nello studio del Duce, e i suoi oggetti, le sue carte... e, fuori, le persone in fila, che aspettano di entrare, di vedere, di ascoltare, di capire. Ciascuno di noi, qui al Museo Villa Mussolini, in Via Crocetta 24 a Forlì, ha un compito. Poi, ciascuno fa quel che serve, e volentieri, con il cuore. Centinaia di persone nella sola giornata di domenica 31 luglio, decine di volontari, tanti giovani ma anche tante persone mature, donne e uomini, di ogni estrazione sociale, curiosi, gente che vuole sapere, che non si accontenta delle banalità diffuse, che sente profondamente il bisogno di conoscere tante verità nascoste. Raccontarle è una missione e un privilegio, un onore.
Dalla nostra Redazione siamo partiti in gruppo, al Giornale d'Italia la storia si racconta così, vivendola in prima persona, toccando le carte, assaporando gli umori, percependo le atmosfere nei luoghi. Da Roma siamo partiti in quattro, il quinto del gruppo ci raggiunge da Como. E poi ci sono gli amici, studiosi, appassionati, che sono partiti da ogni parte d'Italia per arrivare qui, ciascuno di noi si sente come una verga che, insieme alle altre, compone quel Fascio simbolo di unità e di forza, insieme ci sentiamo invincibili. C'è chi si siede a scrivere sotto il gazebo dove Benito leggeva, rifletteva, si riposava. C'è chi si apparta al secondo piano, dentro il Centro Studi, immerso tra le carte raccolte amorevolmente da Romano negli anni, fino alla sua morte. C'è chi passeggia lungo i vialetti che quest'anno portano, ciascuno, un nome. Il viale d'accesso è intitolato a Benito Mussolini. Fa un certo effetto, quella targa lungo la via. Altre stradine sono intitolate a membri della famiglia e a nomi importanti del Ventennio fascista. Scorrono, uno dietro l'altro, i nomi di Mezzasoma, Starace, Pavolini, Borsani... sono molti, ventuno in tutto. Io mi fermo su Via Domenico Leccisi, e penso a quella notte di amore e di coraggio in cui quest'uomo prese con sé quelle povere spoglie oltraggiate di Benito, e rifletto - ancora una volta - sul fatto che se posso andare a San Cassiano a posare le mani su quel sarcofago e a sorridere, vedendo un fiume di uomini e donne che viene a rendere omaggio al Duce, lo devo a Lui.
Il sole picchia forte, a Villa Mussolini. Quando scende la sera l'aria è più fresca, i visitatori sono andati via, e noi ci sediamo un momento a pensare. Siamo stanchi, e siamo felici. Fiorenza, la nostra soldatessa del SAF, è stata la prima a mettersi al lavoro questa mattina, e ora è l'ultima a mettersi seduta. Che coraggio, e che forza, in questo piccolo corpo... me ne stupisco ogni volta, poi penso che lei è una soldatessa di Mussolini, e che dunque non potrebbe essere diversamente. I ragazzi di Vestone Tricolore ancora non cedono alla stanchezza, del resto sono guidati da Mauro, e questo dice tutto: non si cede di un millimetro, è una parola d'ordine e non si sfugge. Poi però il sole tramonta, e, nella notte, la luna nel cielo sembra sia lì solo per illuminare lei: la Villa. E noi, in silenzio, la guardiamo e pensiamo che siamo orgogliosi di aver fatto ancora una volta bene il nostro dovere.
Emma Moriconi

A tu per tu con Donna Rachele
"Amor vincit omnia"
Resoconto delle emozioni di un pomeriggio d'estate, sotto il gazebo del Duce
Un viale alberato. Un gazebo con sotto un tavolino e due panchine di marmo. Intorno il verde. E l'aria che soffia leggera. E porta voci di tanti anni fa. Voci che raccontano di un Uomo che si sedeva in questi stessi luoghi a leggere e a riflettere. E di una Donna che, poco distante, si occupava della sua famiglia. Atmosfere di vita quotidiana a Villa Carpena.
Ho sempre pensato che la Storia bisogna conoscerla, leggerla, studiarla. Tutta. Perché è l'unico modo per capire non solo e non tanto il passato (che ormai è passato e quindi non tornerà più) ma anche e soprattutto il futuro. Che non può esistere se non si hanno radici solide. Ecco, le mie radici passano per questo giardino, per questa Casa in cui si è tanto sofferto ma anche tanto amato.
Il presente si confonde con il passato. Vedo gli occhi azzurri di Donna Rachele. Come se fosse seduta qui accanto a me. Incrocio il suo sguardo. E in uno strano dialogo senza parole, Le faccio tante domande. Le chiedo di raccontarmi di quando era felice, dei suoi figli, dell'Uomo della sua vita. Sorride. E le rughe sul suo viso vanno a comporre un mosaico di orgoglio e fierezza.
Per un attimo abbasso gli occhi e penso al volto di marmo bianchissimo che, poco lontano da qui, veglia sulle spoglie mortali del suo Benito al cimitero di San Cassiano. Lei capisce. Perché quando la guardo di nuovo sul suo sorriso - perché lei ora sorride - è calato un velo di tristezza.
Capisce. E mi dice che la sofferenza che ha dovuto sopportare, seppure immensa, è solo una parte della sua esistenza. Che l'amore per i suoi figli, per la sua terra e per quell'Uomo al quale ha dedicato tutta se stessa vince su tutto. Anche sull'astio rancoroso di tutti quelli che l'hanno ucciso e sull'odio di chi, ancora oggi, ne offende la memoria. "Amor vincit omnia. E' questa la risposta" mi dice Donna Rachele.
La ringrazio e le sorrido. Poi la saluto. E' venuto il momento di tornare al presente. "Vieni ancora a trovarmi" sussurra mentre mi allontano. E le prometto che lo farò. Anche solo per dirle ancora una volta - pure se lo sa già - che siamo ancora in tanti a rispettare ed ammirare una Famiglia come la sua.
Cristina Di Giorgi

Giornalisti, scrittori, studiosi, e poi tanti libri, per raccontare la nostra storia più bella
La Rivoluzione Culturale in terra di Romagna
A Villa Mussolini a Forlì, tutti insieme, perché è l'unione che rende forti: per la Memoria, per la Verità
L'anniversario della nascita di Benito Mussolini, quest'anno, è stato contrassegnato da un'alta presenza di gente di cultura, nel senso più vasto del termine. La ricorrenza è importantissima, per ciascuno di noi. E ciascuno di noi la celebra come vuole, come meglio sente dentro di sé di voler reclamare il giusto posto, sul calendario della storia, per questa data: il 29 luglio del 1883, il giorno in cui nacque Benito Mussolini. E così, mentre Padre Giulio Tam ci riporta ai valori spirituali e alla Fede in Dio, mentre i ragazzi di Vestone Tricolore si danno da fare senza tregua per fornire a chi viene a visitare Villa Mussolini la massima collaborazione, mentre il ragù bolle in pentola da ore, mentre l'instancabile Fiorenza accoglie i visitatori, saluto il gruppo che ho appena accompagnato a visitare le stanze della Villa e mi dirigo verso Predappio. Lungo il tragitto che mi separa dal cancello della Villa ho modo di vedermi scorrere davanti agli occhi una serie di pubblicazioni, libri che raccontano pezzi di questo tratto di storia nostra. "Fascismo, Stato sociale o dittatura?", e penso allo Stato che volle Mussolini, e che la sua pronipote Martina, insieme ai nostri Edoardo Fantini e Andrea Piazzesi, ci raccontano in queste pagine.
E poi "Donna Rachele mia nonna, la moglie di Benito Mussolini", che ho scritto con sua nipote Edda e che racconta di una donna coraggiosa e speciale.
E a seguire tre o quattro lavori di Pietro Cappellari, l'occhio mi cade sul tomo che racconta la RSI nel reatino, ma ve ne sono molti a firma di questo studioso che - lo so bene - non le manda certo a dire. Pietro non è con noi fisicamente, oggi, ma è come se fosse qui.
Vedo anche il libro di Mariantoni, "Le storture del male assoluto"... eh si, quanti "danni", ha fatto il Fascismo, penso tra me. Danni come la bonifica delle paludi pontine, per esempio, o come le riforme sociali e popolari, infinite, insuperate. E penso che all'epoca si, eravamo un popolo fiero.
E poi il libro del nostro Alessandro Russo, "Giovinezza tradita", appena uscito: e penso a quando l'ho preso in mano per la prima volta, e quanto mi prese la lettura di quelle pagine che sono, in ultima analisi, una profonda riflessione su una generazione che fu, si, fatta di eroi, ma anche di biechi personaggi. Perché le cose bisogna dirle, tutte.
E poi ... eccoli lì, i miei due piccoli "tesori": "Gli Uomini di Mussolini" e "Mussolini, sangue a piazzale Loreto". Anni di lavoro, per mettere insieme le storie di questi uomini e di queste donne che tanto hanno dato alla nostra Italia, e dei quali volevo, nel mio piccolo, tentare di riscattare la Memoria. Cosa saremmo, noi, se non avessimo avuto costoro?
Penso alle case editrici che in questo tempo mi hanno dato la loro fiducia, la Minerva prima e la Herald poi, penso al mio Giornale d'Italia e al mio Direttore Storace, penso ai tanti che mi hanno raccontato le loro storie, e ai tanti che hanno letto e leggono le mie parole ogni giorno su queste colonne e su quei volumi.
Mi guardo intorno, vedo Edoardo Fantini che passeggia con il suo cane per i vialetti della Villa, Alessandro Russo che parla con le persone e racconta la sua esperienza su queste colonne e negli archivi, Cristina Di Giorgi che ha al suo attivo bei lavori editoriali eppure oggi è qui, sotto il nostro gazebo, per aiutare i colleghi che presentano i loro sforzi, e sorride a tutti, anche se fa un caldo boia, sotto il tendone. E vedo Luciano Garibaldi: ha otto decenni sulle spalle, Luciano, eppure è qui, perché il libro sull'orrore di Piazzale Loreto l'ho scritto con lui, e ne vado fierissima. Luciano è un'icona per la mia generazione e non solo. Tutti vogliono conoscerlo, stringergli la mano, fare foto con lui, davanti alla Villa. Sorrido, ne sono orgogliosa. Profondamente. Prendo la mia auto e vado a San Cassiano, Edda è lì, per la Messa di famiglia. La abbraccio e penso che sono fiera di esserle amica, perché è stata capace di far comprendere che quello è un luogo sacro, e va rispettato. Poi torniamo a Villa Carpena, ed ecco le telecamere, i giornalisti, le persone che la aspettano per conoscerla, per abbracciarla, per vederla di persona. Firmiamo un po' di libri, parliamo con tante persone, tutti noi. Discorsi importanti, non banalità, non frasi fatte o motti inflazionati. Ci poniamo domande, interrogativi, mettiamo a confronto i nostri studi, strutturiamo il lavoro futuro, pensiamo a quanto abbiamo appreso e ci rendiamo conto, tutti, che è proprio vero che di imparare non si finisce mai. Guardo due giovanissimi che ho portato con me da Roma. Uno è mio figlio, 18 anni appena compiuti, e qui ormai è di casa. L'altro è un suo amico, appena 19 anni, che è qui per la prima volta. Entrambi domani vi racconteranno le loro esperienze di questi giorni, in questa terra. Nel frattempo si danno da fare, fanno ciò che serve, come tutti. Questo clima è straordinario, e non parlo di quello meteorologico. Il clima che c'è tra noi, l'atmosfera, questa volontà di affermare la verità storica ad ogni costo e contro ogni avversità, et ventis adversis. La Rivoluzione Culturale, ecco a cosa aneliamo, tutti. E penso a chi non è qui con noi fisicamente ma di certo con il pensiero, con lo spirito, e che condivide questa volontà, e che si batterà ogni giorno, fino all'ultimo respiro. Perché la nostra vita, così come è iniziata, avrà una fine. Ma ciò che lasceremo resterà per chi verrà dopo, di generazione in generazione. E vinceremo. Insieme. 
Emma Moriconi

Ci sono vicende che resistono ai secoli, nonostante la vita, nonostante la morte
Memoria e radici. Nemmeno il sangue le può spezzare
In questi luoghi la verità resiste nei muri, nelle stanze, ascoltando la campagna che entra dalle finestre, lasciate appena aperte
Nelle ore più calde la terra di Romagna ha un respiro profondo. La vita le scorre sotto quella scorza dura, sotto quella pelle lasciata alla fame del sole.
Le strade si allungano veloci, una linea dritta che divide lo sguardo. E tanto lo puoi comprendere solo raggiungendo queste campagne: che sotto può essere dolce. Devi poterla capire, perché non si rivela mai al primo venuto, ad uno solo dei tuoi sguardi.
Di tanta stagione non rimane che la mano del vento. E nel silenzio della campagna romagnola, quest'aria smuove le fronde degli alberi, come fosse un saluto, una voce covata dove preme il ricordo.
Ed è esattamente in uno di questi momenti che, l'abbraccio con Emma Moriconi e Cristina Di Giorgi, si rivela come l'unione di intenti che solo un'amicizia può saldare. Come un patto di sangue. E mentre accade tutto questo, attorno, nei giardini di Villa Carpena, le mura della casa di Rachele e Benito Mussolini si sollevano verso il cielo.
Quel silenzio ci insegna qualcosa. Basta anche solo un'occhiata, oppure muovere due passi verso l'angolo del giardino dove il Duce era solito leggere i giornali. La pietra ci accoglie come un tempo, resiste nei secoli nonostante la vita e la morte.
Emma, Cristina. Non abbiamo neppure bisogno di parlare. La si legge negli occhi quella domanda che brucia e che vuole dare un senso a tutto quello che ci circonda.
Che senso ha l'uomo senza memoria, senza radici, senza lavoro culturale? E allora si ritorna dove tutto ha avuto inizio. Che Villa Carpena non è solo il luogo della Storia, ma è luogo del cuore, di un amore che vuole essere corrisposto. Disinteressato, per questo ancora più forte.
Non lo chiede nessuno, lo senti nel sangue: ritornare a guardare dove cresce radice per non farla seccare. Per non dimenticare. Che in questi luoghi anche la verità resiste nei muri, nelle stanze, seguendo le scale, ascoltando la campagna che entra dalle finestre, lasciate appena aperte. 
Per un attimo, mentre Emma si prende cura dei visitatori della Villa, io e Cristina volgiamo lo sguardo nello stesso punto: la campagna ti acceca mentre la osservi dalla finestra socchiusa. E la voce di Emma ci lega stretti, ad un passo da quegli oggetti che spiegano la consuetudine di una vita semplice. Emma scandisce il tempo, attraversa la Storia che ancora una volta chiede solo di essere condivisa. Dovreste ascoltarla mentre parla di cultura e radici che neppure il sangue è in grado di recidere.
Ma è quando carico la pipa e mi concedo del tempo fumando, le mani dietro la schiena, il passo lento che accompagna la zolla rivoltata e dura, odorosa e secca, che accade qualcosa. Proprio nel momento in cui sono più solo mi accorgo come la terra di Romagna sia capace di rivelarsi, concedendoti  una nuova consapevolezza. Può capitare davvero, che in Romagna tutto può accadere, di tornare a casa migliori. Perché la Romagna può celare gelosa i suoi frutti. Ma se ti abbraccia, allora, il viaggio in questa terra può diventare un'educazione alla vita.
Chiunque ascolti i suoni, le voci, i silenzi del suolo romagnolo, ne raccolga la testimonianza perché, quello che è stato, deve essere detto anche a chi non vuole ascoltare.
Alessandro Russo

Emma Moriconi - Cristina Di Giorgi - Alessandro Russo  -DA GIORNALE D'ITALIA-
                                                                                                                                                   

Nessun commento:

Posta un commento