L'EROINA DI RIMINI (SANGUE ITALIANO)
SANGUE ITALIANO
La prima pattuglia nemica entra in Rimini da
Porta Romana. Il lungo viale dei platani che immette nel
sobborgo XX Settembre con sullo sfondo le macerie della
bramantesca chiesa della Colonnella, taglia col suo
rettilineo cumuli di rottami: tutto è diroccato, lo stadio
civico, la chiesa dei Cappuccini, la chiesa di San Giovanni, le
case, i palazzi, il convento dei Cappuccini, la chiesa di
Santo Spirito. Sul quadrivio della via Flaminia, di dove
si dipartono la via nazionale di San Marino, la via dei Trai e la
via XX Settembre, dondola un semaforo sospeso lassù a mezz'aria
non si sa come, tra le rovine di ogni cosa all'intorno. La
pattuglia canadese esita incerta sulla direzione da
prendere. Il cielo è solcato dal rombo dei velivoli e delle
cannonate che vengono dal mare, dalle colline e dalla parte
opposta della città; crepitano in distanza le mitragliatrici,
l'aria acre velata di fumo e di polvere. All'intorno, in
qualsiasi parte volgano lo sguardo, i Canadesi non
scorgono se non calcinacci, non una casa in piedi; le macerie si
stendono per chilometri; tutta la superficie di quella che era la
vivace, elegante e ricca città adriatica è una sola,
immensa, caotica distesa di pietre: a malapena si
distinguono i tracciati di quelle che furono le vie principali.
Mentre la pattuglia sta per imboccare a caso la via XX Settembre,
un'ombra si muove dietro un cumulo di rovine: i Canadesi
spianano le armi, pronti a sparare. Non è un'ombra, è una
donna, una giovane donna. Ella alza le mani e i Canadesi la
circondano. Una granata cade sui ruderi dello stadio sollevando
un nugolo di rottami. Il terriccio e la polvere entrano nella
bocca e negli occhi. Alla deflagrazione la ragazza è
rimasta immobile a braccia levate. Un Canadese le rivolge
la parola in un gergo a base di francese. La ragazza si sforza di
comprendere e alla fine riesce a capire la domanda del soldato.
Costui chiede da che parte si vada per raggiungere la via
Emilia. L'interpellata, dopo un'impercettibile incertezza
indica con la mano la via dei Trai. Il Canadese si
consulta coi compagni e torna a guardare la ragazza. Costei gli
fa cenno col braccio invitandolo a seguirla. Il gruppo allora
s'incammina. La ragazza, una popolana sui 18 anni, bruna,
dalle membra forti, e slanciate, lacera e sporca, cammina
spedita. La lunga e diritta via dei Trai conduce in piazza
Tripoli, al mare, non all'arco di Augusto e alla Via Emilia. La
pattuglia, composta di una ventina di uomini, più due
soldati tedeschi prigionieri, procede nel tragico scenario
della città morta; i Canadesi tengono i fucili spianati, pronti a
far fuoco; i due Tedeschi, al centro dei gruppo, mostrano i
segni della lotta nei volti e sulle uniformi, ma camminano
marzialmente. La popolana li sbircia, di sfuggita: pare
ai Tedeschi che quello sguardo abbia un significato. Quale
significato? La giovane riminese continua a camminare, gli
alberi che fiancheggiano la via sono diverti, tronchi e fronde
ingombrano il passaggio, giacciono sulle macerie delle
case. La popolana si volge a guardare i due Tedeschi, i
quali questa volta sono loro a sorridere. Ancora pochi passi, poi
una tremenda esplosione lancia in aria macerie e persone,
avvolgendole in una nube di terriccio, di calcinacci, di informi
rottami. Una pausa tragica. Un attimo di terrificante
silenzio. Poi il gemito dei feriti. Un uomo poi si
raddrizza sulle natiche, si netta il sangue dal volto, si leva in
piedi. E' ferito ma salvo. I Canadesi morti in gran parte,
sfracellati dallo scoppio. I rimanenti agonizzano.
Agonizza anche la popolana, che ha avuto le gambe amputate
e il volto ferito dalla formidabile esplosione. L'uomo che fra
tutti si è salvato, uno dei soldati tedeschi, si accosta alla
moribonda: ella gli sorride con una smorfia e riesce a dire
penosamente: «Sapevo che qui esisteva un campo di mine...
perché vi aveva lavorato mio fratello... vi ho condotto gli
Inglesi perché sono stata violentata da due Australiani... in
una casa colonica dove ci eravamo rifugiati... ho seguito questa
pattuglia... volevo vendicarmi ... non sapevo come ... la
sorte mi ha favorito ... ». L'eroina sta dissanguandosi;
il suo volto diventa cadaverico. Il soldato tedesco non può far
nulla per lei se non raccoglierne l'ultima parola: «Ho vendicato
il mio onore». Il soldato tedesco si china sulla morente e
la bacia in fronte. Quando risolleva il capo la giovane
eroina è spirata. Questo ci ha raccontato il soldato
tedesco dopo aver raggiunto i propri camerati all'altra estremità
della città morta. Il soldato, che dopo un anno di soggiorno in
Italia si esprime abbastanza bene nella nostra lingua,
così ha commentato il suo racconto: «La ragazza non aveva
indosso alcuna carta o qualsiasi documento di riconoscimento.
Non ho potuto quindi sapere il suo nome». E si è rammaricato, il
soldato tedesco, di non averglielo chiesto prima che ella
spirasse. Il nome dell'eroina rimarrà sconosciuto forse
per sempre, e così la storia di questa guerra ricorderà il
leggendario episodio come quello della eroina riminese.
Dell'anonima ma fulgida eroina riminese.
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