I FRANCESI IN VALTELLINA
LA "MILIZIA FRANCAISE"
IN VALTELLINA Anche i francesi la scelsero come ultima ridottaMarino Viganò----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Anche Tirano era piena di soldati. Oltre i militi
confinari, i legionari "M", gli squadristi delle brigate nere,
si erano accantonati nella cittadina due battaglioni di fascisti francesi
della "Milice française", creata dal Maresciallo Pétain.
I 600 francesi, divisa di panno azzurro, camicia nera e basco nero, aria
spavalda, ottimo armamento, erano agli ordini diretti del capo della polizia
di Vichy, generale Darnand, giunto anche lui da pochi giorni a Tirano.
[...] Ebbi così la maniera di conoscere alcuni degli ufficiali francesi
presenti a Tirano. Erano tutti ragazzi in gamba, nulla da dire. Uomini
di fegato. Appena arrivati a Tirano, alcuni loro plotoni erano stati destinati
alla zona di Mazzo. Lì avevano saputo che, qualche chilometro più
avanti, il paese di Grosotto era occupato dai partigiani e Grosio circondato.
Senza pensarci due volte, erano risaliti sui loro camion e, cantando a
squarciagola la "Marsigliese", si erano avviati, completamente
allo scoperto, lungo la statale, verso Grosotto. Dopo poche centinaia di
metri, però, erano stati inquadrati sotto il tiro delle mitragliere
partigiane che dominavano quel punto della vallata. Tredici di loro erano
morti. Ma i superstiti avevano sloggiato i partigiani da Grosotto e si
erano barricati nel paese (1). Giorgio Pisanò è un giovane ufficiale
della G.N.R. quel 20 aprile 1945, quando, approdato con altri militi toscani
in quello che dovrebbe essere il ridotto della Repubblica Sociale Italiana
(2), si trova di fronte l'inaspettato spettacolo di un battaglione di miliziani
di Vichy schierati a difesa di quell'ultimo lembo dell'Italia di Mussolini. Sono, per la precisione, circa seicento francs-gardes
al comando del capitano Carus, dei tenenti Coutret, Viala, Hoareau, Brun
(stato maggiore), Fontaine (1a compagnia), de Pons (2a compagnia), Vibert
(3a compagnia), degli aspiranti Doumergue e Portallier (4a compagnia) (3),
in Valtellina dal mese di marzo, dopo l'abbandono dei campi di raccolta
del Baden Wurttemberg - Heuberg, Baden-Baden e dintorni - e della nuova
"capitale" della Commission gouvernementale, Sigmaringen. Là nella Foresta Nera, si erano raccolti
i resti del governo di Vichy dopo la caduta della Francia e avevano formato
nel settembre '44 un governo-ombra - Bridoux, Déat, Darnand e Luchaire
in prima fila - e nel gennaio '45 un Comité de la libération
française - presieduto da Doriot (4); là, a Mengen, il 25
febbraio, si era svolta l'ultima manifestazione "politica" del
collaborazionismo francese: le esequie di Jacques Doriot, morto tre giorni
prima sotto un mitragliamento aereo (5). Poi, appunto a metà marzo, davanti all'avanzata
alleata e delle forze francesi golliste, la ricerca affannosa d'un angolo
d'Europa dove trovar rifugio, sia pure momentaneo: l'Italia fascista repubblicana.
Cominciano i politici, come scrive l'addetto tedesco all'ambasciata presso
la R.S.I. Eitel Friedrich Moellhausen: "Erano i profughi del governo di Vichy che
speravano di trovare in Italia un clima ed un'alimentazione più
convenienti e di avere maggiore probabilità di sparire al momento
del crollo. Così Jean Luchaire (era stato a Parigi direttore di
"Nouveaux Temps") arrivato con tutta la famiglia, così
Darnand (della "Milice" ed ultimo ministro dell'Interno dei governo
di Vichy), così Barthélemy (braccio destro di Doriot), e
così lo stesso Laval all'ultimo momento, che era stato preceduto
dal suo collaboratore Jacques Guerard, segretario generale del governo
di Pétain. Dopo la ritirata delle truppe tedesche da Parigi i più
eminenti collaborazionisti francesi, rifugiatisi in Germania, erano tutt'altro
che uniti nella disgrazia; a Sigmaringen, per i dissensi interni e per
le difficoltà materiali dell'esistenza, la vita veniva considerata
intollerabile" (6). Un'Italia d'impressioni forti, di bombardamenti
e guerra civile, quella che gli uomini di Darnand e gli altri trovano al
loro arrivo, chi -i primi- a metà marzo, chi -le retroguardie- a
metà aprile... Obiettivo: la guerra contro le formazioni resistenziali.
Victor Barthélemy, collaboratore di Doriot, appena arrivato a Innsbruck
incontra il generale Joseph Darnand e raggiunge in seguito Milano dove
il P.P.F. ha una sede presso la Delegazione francese di via Telesio 5,
quartiere San Siro: "Gli chiesi dove andasse con quell'equipaggio;
mi disse: "Vado in Italia. Più precisamente a Milano. Ci porto
un battaglione della Milice". - "Una strana idea", gli dissi.
"Per che motivo questo gruppo e per far cosa ? " "Semplice.
Andiamo a batterci. Volevo assumere un comando nella 'Charlemagne', ma
mi è stato proibito. Himmler non vuole dirigenti politici nella
brigata. Non potevo allora battermi sull'Oder coi miei compagni. C'era
a Ulma un certo numero di francs-gardes, che non avevano potuto esser arruolate
nelle S.S. I loro consigli di leva sono feroci. Ho ottenuto l'autorizzazione
di farne un piccolo battaglione - sette o ottocento -, di portarli in Italia
e di prenderne il comando ". - "E contro chi vai a combattere
in Italia?" - "Ma contro i partigiani!" scoppiò in
una risata Darnand. "Schellenberg m'ha detto che è possibile.
Lo Standartenfuhrer Rauff che comanda a Milano deve riceverci. Poi devo
prendere contatto con Wolff e avremo istruzioni". [...] Decisi che
saremmo proseguiti per Milano dove arrivammo a notte fonda. Niente di particolare
era accaduto alla sede della Delegazione francese durante la mia assenza.
Trovai i miei amici italiani ormai francamente pessimisti. Andai a far
visita a Pavolini di passaggio a Milano, e che mostrava ancora una gran
fiducia, ma apparentemente tutta di facciata. Il prefetto della città,
Bassi, era da parte sua nettamente preoccupato. [...] Darnand mi venne
a trovare in via Telesio. S'era installato in una villa presso l'ippodromo
di San Siro. I suoi miliziani erano alloggiati in una piccola caserma della
città. Li si vedeva deambulare per il centro. Avevano l'aria d'annoiarsi
molto. . ."(7). Sempre via Brennero, arriva più tardi Henry
Charbonneau, ufficiale della Milice e parente di Darnand: "Appena sbarcati dal nostro camion di legno
di prima mattina, a Milano raggiungiamo, i miei compagni ed io, la caserma
Adriatica, in un lontano sobborgo della città, dov'è il deposito
del battaglione. Arrivo un po' come un riservista che riprende servizio.
Ecco, da più di due anni ho lasciato le armi; prendo con soddisfazione
un'uniforme di stoffa blu scuro, equipaggiamento e armamento" (8). Viaggio simile e nello stesso periodo - il 17 aprile
arriva sul lago di Garda - per Saint Loup, anch'egli entrato in Italia
per la stessa strada, e diretto al centro di raccolta di Milano: "Attraversare il Brennero diventa oggi più
pericoloso che passare il capo Horn... Ordine di missione? Ecco... Da Sigmaringen,
dirigo un convogliò di miliziani: dieci uomini che non sono che
otto... di cui tre donne! Il tedesco cerca di capire... Presto, presto...
Ti spiegheranno più tardi come un francese si trovi sempre in regola!
[...] Il 21 aprile quando, provenienti da Bergamo abbiamo terminato di
installarci nella caserma requisita per la Milice, la bomba psicologica
cade nel cortile, massacrando tegole e finestre. Senza dubbio avevamo acquisito
in Germania le proprietà fisiche dei parafulmini! Il raid SigmaringenMilano
si conclude" (9). Assieme, ma più spesso ancor prima, sono
arrivati i militari: tronconi di compagnie di S.S. della Charlemagne, il
battaglione "zoppo" della Milice, entrati in Italia attraverso
la riviera da Nizza e Ventimiglia o sempre dal passo del Brennero. Filippo
Anfuso, allora sottosegretario agli Esteri del governo di Gargnano, lascia
scritto nelle sue memorie: "Sul termine della guerra, appresi a Berlino
da Salò che il Governo tedesco aveva disposto per l'invio in Italia
di formazioni di Milizia francese che avrebbero dovuto partecipare alla
guerriglia antipartigiana. Il proposito era appoggiato dall'Ambasciata
germanica in Italia e trovai che fra tutte le idee sorte ai tedeschi questa
era la peggiore ed insorsi per quanto potei contro la sua attuazione, specificando
in un mio telegramma a Mussolini sembrarmi un grave errore mandar francesi
a combattere in Italia contro italiani dato che il lumicino dell'amicizia
fra i due Paesi era già tanto fioco che una faccenda del genere
l'avrebbe spento del tutto" (10). E ancora Moellhausen: "Un gruppo francese arrivò senza preavviso:
fu quello di un centinaio di elementi estremisti della Milice di Darnand,
provenienti dalla provincia di Nizza e che, montati su autocarri, avevano
raggiunto Verona. [...] La Milice fu presa sotto la protezione delle S.S.,
accasermata e costituita in unità speciale, che avrebbe dovuto essere
utilizzata nella lotta antipartigiana. Ma mancò il tempo per inquadrare
le nuove reclute: arrivarono gli angloamericani !" (11). Sono queste le forze destinate in Valtellina: un
discreto numero, ma certo non i "circa 3.000 soldati francesi autotrasportati
che dovranno essere impiegati in un'azione di rastrellamento nella zona
del passo di Mortirolo" di cui parla, fantasticando come in altri,
un rapporto del servizio informazioni partigiano "Montezemolo"(12). Accantonate alla casermetta della Bicocca di Sesto
San Giovanni, sede del centro addestramento delle S.S. (13), le unità
francesi si preparano; i capi fan visite di cortesia ai dirigenti della
R.S.I.: Darnand, appena giunto, è ricevuto dal segretario del P.F.R..
Pavolini e dal vicesegretario Pino Romualdi (14). Qualcuno arriva sino a Gargnano, come quegli ufficiali
e sottufficiali che l'altro vicesegretario del partito, Antonio Bonino,
e il federale di Verona, Valerio Valeri, accompagnano da Mussolini il 18
marzo: due dei sottufficiali faranno poi recapitare all'eccezionale ospite
una breve lettera di ringraziamento (15). Gli ordini operativi sono diramati
un paio di giorni dopo. Scrive Barthélemy: "Quasi immediatamente dopo il Duce ci ricevette
e dopo i saluti d'uso s'indirizzò a Zerbino per avere delle novità.
Quest'ultimo non ne aveva... [...] Prendemmo congedo e, lasciato Zerbino
a Gargnano, riguadagnammo Milano. Rividi Darnand che preparava il ripiegamento
delle sue truppe sulla Valtellina, in accordo con i servizi di Pavolini.
Rividi ugualmente quest'ultimo che mi disse che stava riunendo in questa
regione diverse migliaia di fascisti fra i più fedeli e i più
agguerriti" (16). E' Darnand in persona a condurre i suoi uomini nella
regione di Sondrio e Tirano. Le istruzioni parlano chiaro: combattere a
fianco dei tedeschi e dei fascisti la guerriglia partigiana. I primi scontri
si rivelano subito sanguinosi. Ricostruisce una storia della Milice: "Darnand non ha ottenuto dai tedeschi di passare
in Italia con l'ultimo battaglione della Milice che alla condizione di
combattere i partigiani italiani. Ma Darnand non ha più spirito
non ha più fiducia nei tedeschi; vuole salvare quei cinquecento
e limitare la rottura: niente più zelo. Il generale Wolff invita
Darnand e Coutret a colazione. Annuncia loro che il battaglione sarà
accantonato a Sesto, nei sobborghi di Milano, in attesa di ricevere un
settore operativo. Poco dopo il battaglione arriva, comandato da Carus.
Non restano più al campo di Heuberg che il comandante Pincemin e
circa 250 uomini. Il battaglione va a Sesto. [...] A fine marzo, il battaglione
Carus riceve la sua missione: pulire la vallata della Valtellina, in prossimità
della frontiera svizzera. Si porta a Tirano. Filliol lo raggiunge [...]
Verso il 10 aprile, il comando dell'Ordine Pubblico ordina al battaglione
d'andare a liberare due paesi quasi circondati dai partigiani: Grossetto
e Grosio. Carus prende le sue tre compagnie di fucilieri, un gruppo di
mortai e tre camion. Lascia a Tirano la compagnia pesante e la compagnia
fuori ranghi. Darnand e Coutret, giunti da Milano, sono dell'operazione.
Partono di notte, a piedi. Raggiungono senza incidenti Grossetto dove Carus
lascia una compagnia e i mortai. Continuano in direzione di Grosio, Darnand,
Carus e Coutret in testa" (17). La battaglia di Grosio e Grosotto del 18 aprile,
come ricordato da Pisanò, s'accende violenta. Un diario di "Ivan"
Rinaldi che, nello schieramento partigiano, si confronta con i miliziani
di Darnand: "Si spara da tutte le posizioni ed in ogni
direzione - pare che qualche francese sia riuscito ad entrare in Grosio
- ma in condizioni fisiche, soprattutto morali, piuttosto provate. Nel
pomeriggio - Foglia della brigata Stelvio con i suoi partigiani scende
sul pendio del lato sinistro dell'Adda e sorprende alle spalle i collaborazionisti
francesi, il grosso della truppa, che tentavano di entrare il Grosio passando
per la strada "delle prese" (incassata, coperta) in una posizione
favorevole. Si ha pure notizia che un gruppetto di francesi (sei o sette)
sono entrati all'interno della centrale e tiene una posizione che può
diventare per noi pericolosa - bisogna neutralizzarli - Emilio, vice comandante
la "13", Giuaca con altri tre compagni si incaricano della operazione.
[...] I francesi, che la generosità partigiana avrebbe risparmiato,
saranno sepolti nel cimitero di Grosio con altri loro commilitoni caduti
durante il combattimento" (18). Restano sul terreno sette miliziani, dei quali "esistono
certificati di morte" (19). Il 20, il comando francese accetta una
tregua d'armi che la divisione alpina Giustizia e Libertà, sotto
garanzia di don Pietro Lanfranconi, accorda per evacuare i feriti "con
una vettura della Croce Rossa", a condizione di un'ispezione della
vettura e dell'allontanamento "di tutte le armi e di tutti i franchi
tiratori che si sono installati nelle chiese e sui campanili" (20). A Milano, il 23, Darnand "di ritorno da Sondrio"
commenta con Charbonneau la situazione degli uomini, racconta che "Carus
è alla loro testa con Fouques e il capitano Rollet che comanda la
compagnia pesante. Ci sono Fontaine e anche de Pons. Sono perfetti... Filliol
è stato ferito al piede, da una pallottola..."(21). E aggiunge: "Credo proprio che questa volta tutto quanto
è fottuto, ma una volta che si ha un'uniforme sulle spalle le cose
diventano più semplici. Noi, i camerati della Charlemagne e quelli
di Sondrio, non possiamo fare altro che batterci. Niente più problemi
politici!... niente più discussioni di clan!... Se dobbiamo finire
sarà armi alla mano" (22). Ma il combattimento il suo segno l'ha lasciato anche
sul vecchio ufficiale, in attesa della dislocazione a Milano dalla Germania
meridionale di quanto rimane dei suoi uomini: "Darnand ritorna a Milano per avere delle notizie
fresche della situazione. Il 21 aprile, è ricevuto a cena con Coutret
da Alessandro Pavolini, segretario generale del partito fascista, che si
mostra ottimista: in Germania le cose vanno male, ma in Italia il fronte
tiene. Un vecchio cameriere serve in guanti bianchi. Darnand evoca il combattimento
di Grosio e dice: "Noi non lo volevamo. E' duro. Abbiamo fallito...".
Pavolini (sarà fucilato alcuni giorni più tardi) gli risponde:
"Se resistono, bruciate i paesi e fucilate". Questo getta un
senso di gelo. Francois Gaucher, Jean Degans, Henry Charbonneau, i comandanti
della Milice arrivano gli uni dopo gli altri in Italia. In Germania, è
la fine. La commissione di governo ha lasciato Sigmaringen la notte dal
18 al 19 aprile. Bout de l'An non partirà che la notte seguente.
Al campo di Heuberg, con i 250 azzoppati ed alcuni altri venuti un po'
dappertutto, Pincemin ha formato un simulacro di battaglione. Bout de l'An
gli ordina di guadagnare l'Italia: primo incontro, Bolzano; secondo, Milano.
A Tirano, il comandante Carus s'interroga su quello che farà del
suo battaglione" (23). Saggiate con risultato negativo le possibilità
di passare in Svizzera, Carus raggruppa i miliziani a Tirano, parte in
caserma, parte "sotto il comando del tenente Fontaine in una scuola",
con la speranza che possano arrendersi "alle forze regolari degli
Alleati" (24). Il 21 aprile, il colonnello Giuseppe Motta, "Camillo",
comandante la divisione alpina "Giustizia e Libertà",
manda un primo invito alla resa che si chiude con il consiglio "di
andare in Svizzera" e l'avvertimento "Se non accettate, peggio
per voi, dividerete la sorte dei nazifascisti" (25). Grosio, 24 aprile. Situazione ancora calma, racconta
Pisanò, attesa delle forze da Milano e decisione di "tener
duro sulle posizioni che ci erano state assegnate": "Il capitano
francese sorrise e si dichiarò soddisfatto di questa decisione che
era anche la sua" (26) . Milano invece è già inquieta. Il 25,
iniziato uno sciopero alla Bicocca, alle ore 14 "intervengono i 600
francesi collaborazionisti di stanza nella caserma vicina allo stabilimento,
con mortai e mitragliatrici contro moschetti e pistole". Solo il giorno
dopo, nel pomeriggio, "la caserma francese si arrende" (27). Aggiunge Alessandro Vaia, commissario di guerra
per il P.C.I. del Comando piazza di Milano, che nella notte tra il 25 e
il 26 aprile "gruppi scelti delle brigate "Martelosio",
"Casiraghi" e "Temolo", ossia della Breda, della Ercole
Marelli e della Pirelli, assaltano un presidio di "baschi neri",
collaborazionisti francesi, attestato tra Sesto S. Giovanni e Cinisello
Balsamo" (28). Proprio il 25, Darnand e Coutret "lasciano
Milano per Tirano con i resti dello stato maggiore" e la sera "dormono
alla caserma di Sondrio, tenuta da militi fascisti". Il giorno dopo,
si legge sempre in una storia della Milice, tutto si decide col mancato
rendez-vous con la colonna Mussolini: "In questa notte dal 25 al 26 aprile, Bout
de l'An che arriva da Sigmaringen con la sua segretaria, il suo interprete
ed alcuni altri [...], passa il colle del Brennero. Arrivano a Bolzano
alle 10 del mattino. Là, un miliziano venuto in avanguardia spiega
a Bout de l'An che le cose vanno male e che non c'è questione che
possa raggiungere Milano. Nel frattempo, Bout de l'An riceve un messaggio
di Alessandro Pavolini che gli domanda d'inviare le forze di cui dispone
sulla strada di Sondrio per proteggere la ritirata di Mussolini. Purtroppo
per Mussolini, che sarà giustiziato il 29 [sic], Bout de l'An non
dispone di alcuna forza organizzata. Ci sono a Bolzano dei miliziani, degli
isolati, ma il battaglione Pincemin è stato preso nello sbandamento,
non li raggiungerà. ll 26, Darnand ed il suo piccolo convoglio ripartono
verso Tirano. In cammino, trovano una sezione della Milice française
venuta ad incontrarli. Arrivano a Tirano dove tutto è calmo"
(29). A Tirano, dove nel frattempo sono ripiegate tutte
le forze fasciste, la calma dura poco. Il 26 ai francesi arriva dal colonnello
Motta un nuovo, pressante invito alla resa: "Francesi! Il neofascismo è caduto,
Milano è nelle mani dei patrioti, il fronte italiano è crollato
e Mussolini è in fuga dopo aver chiesto di arrendersi con tutti
i suoi. l tedeschi lasciano la Valtellina e Como, lasciando voi e le miserabili
forze fasciste nei guai. ll Maresciallo Pétain, che è un
uomo d'onore, entra in Francia per presentarsi al suo processo; Laval,
Luchaire e Déat hanno domandato asilo alla Svizzera che l'ha rifiutato.
[...] Noi vi inviamo una formale intimazione di arrendervi con le vostre
armi" (30). Il 28 mattina, l'attacco partigiano comincia e si
sviluppa per tutto il giorno; i miliziani subiscono perdite pesanti, "venticinque
morti e una sessantina di feriti", poi "Darnand e Coutret, in
grande uniforme della Milice, con una bandiera bianca vanno a incontrare
i capi partigiani" (31). Scrive lo stesso Darnand: "Verso le 16, un parlamentare si presenta.
Accetto di discutere. [...] Discuto, come Carus e Coutret, e ottengo che
ci siano resi gli onori di guerra e che solo le nostre armi saranno cedute.
Partiremo coi nostri archivi, i nostri bagagli e i nostri fondi. [...]
Alle dieci, il battaglione è riunito sulla piazza. Parlo agli uomini
davanti ai partigiani e alla popolazione. Emozione intensa. Molti dei nostri
compagni piangono. l feriti sono là su delle barelle. Poi la rassegna
e la presa d'armi. Tutto è finito, il battaglione, la Milice sono
morti" (32). Pochi giorni dopo, i miliziani sono avviati al campo
prigionieri di Coltano di Pisa, poi, "restituiti alle autorità
francesi del corpo di spedizione in Italia", vengono rimpatriati in
Francia. Darnand, dopo una latitanza di un mese e mezzo a Edolo, viene
arrestato il 25 giugno "da un servizio speciale inglese". Condotto
a Bergamo, a Milano, a Nizza, al carcere parigino di Fresnes, viene condannato
a morte il 3 ottobre 1945 (33). Charbonneau, inseritosi a Como nella colonna fascista
in marcia verso l'alto lago il 27 aprile, entrato in Svizzera, espulso,
viene arrestato a Monza (34); altri miliziani, come Saint Loup, trovano
asilo sicuro a Milano (35); altri ancora, come Victor Barthélemy,
Louis Beaux e Louis Corradi, sempre a Milano, sono arrestati nella sede
della Delegazione francese, via Telesio, dalla formazione "Franchi"
di Edgardo Sogno (36). Entra in azione allora un gruppo dei servizi d'informazione
della Francia libera, la missione "Usignolo 205/207", al comando
di Louis Cheyron, installata a Genova dal 31 maggio 1945 e composta da
"dodici ufficiali e da due sottufficiali della Sécurité
Militaire dell'esercito permanente". Compito della missione, "scoprire i criminali
di guerra, i testimoni dei loro crimini e raccogliere tutte le informazioni
sulle loro vittime (spesso non identificate), senza trascurare i crimini
commessi contro persone di nazionalità straniera" (37). Molti collaborazionisti, tuttavia, riescono a sfuggire
alla rete che, fra contrasti tra francesi, italiani, inglesi e americani,
si stringe loro attorno. Tra coloro che sfuggono alla cattura, Francis
Bout de l'An, comandante di battaglione della Milice; Simon Sabiani, capo
del P.P.F di Marsiglia, che secondo un rapporto del 22 settembre 1945 "fa
la spola tra Firenze e Livorno" (38); Jean Degans e Jean Filliol,
vecchi cagoulards, "due uomini letteralmente coperti di sangue francese"
(39), implicati fra l'altro nell'assassinio dei fratelli Rosselli. E anche il capo del Rassemblement National Populaire,
Marcel Déat. Nascosto a Milano, poi a Torino, insegna francese per
anni sotto il nome della madre, Le Roux: muore in una clinica di Cavoretto
il 5 gennaio 1955, per una vecchia ferita della prima guerra mondiale (40). Ringraziamento L'amico Laurent Berrafato (Parigi) ha fornito documentazione
indispensabile ad arricchire il testo; altri documenti vengono dall'Archivio
centrale dello stato (Roma), dall'Istituto storico della resistenza di
Como, dall'archivio del colonnello Pieramedeo Baldrati (Como), di Franco
Giannantoni (Varese) e di Hans Werner Neulen (Colonia); Carlo Alfredo Panzarasa
(Magliaso Ticino) ha messo a disposizione le fotografie; lo scomparso vicesegretario
del P.F.R. Pino Romualdi (Roma) ha reso una interessante testimonianza. Indice di abbreviazioni e sigle AA.VV. = autori vari A.C.S. R.S.I. S.P.D. ris. = Archivio centrale dello Stato, Roma, fondo
R.S.I., Segreteria particolare del Duce, carteggio riservato.A.P. = archivio privatoI.S.R. = Istituto storico della resistenza P.C.I. = Partito comunista italianoP.F.R. = Partito fascista repubblicano P.P.F. = Parti populaire françaisR.S.I. = Repubblica sociale italiana T.A.A. = testimonianza all'autoreNOTE(1) G. Pisanò, La generazione che non si è arresa, Milano,
Visto, 1979, pp. 41-42.(2) G. Rocco, Com'era rossa la mia valle. Una storia di antiresistenza
in Valtellina Milano, Greco & Greco, 1992,passim.(3) A.P. Franco Giannantoni (Varese). Bataillon Français, liste
nominative par profession, Tirano, 12.5.1945.(4) Per un approfondimento: R. Aron, Histoire de Vichy, Paris, Fayard,1954,
pp.714-715; A. Brissaud, Pétain à Sigmaringen (1944-1945),
Paris. Perrin, 1966: H. Rousso, Un chateau en Allemagne. La France de Pétain
en exil, Paris, Ramsay, 1980.(5) A. Pavolin - Ch. Goergen, La mort de Jacques Doriot, in: "La
Gazette des Uniformes" XXIII, gennaio-febbraio 1993, n. 140, pp.3-7.(6) E. F. Moellhausen, La carta perdente. Memorie diplomatiche 1943-1945,
Roma, Sestante, 1948. pp. 423-424.(7) V. Barthélemy. Du Communisme au Fascisme. Paris, A.M. 1978,
pp. 477 e 479.(8) H. Charbonneau, Les mémoires de Porthos, Paris. La Librairie
Française, 1981, vol. ll. p. 129(9) S. Loup, Gotterdammerung (Rencontre avec la Bete), Paris. Editions
art et histoire d'Europe, 1986, pp. 152 e 165.(10) F. Anfuso, Roma - Berlino - Salò, Milano, Garzanti, 1950,
p. 558.(11) Moellhausen. La carta perdente. cit., p. 424.(12) V. Fornaro, Il servizio informazioni nella lotta clandestina.
Gruppo Montezemolo, Milano, Editoriale Domus, 1946, p. 277, Valtellina
(11-16 aprile).(13) R. Lazzero, Le S.S. italiane, Milano, Rizzoli, 1982. p. 212(14) T.A.A. Pino Romualdi (n. Predappio 24/7/1913 - m. Roma 21/5/1988),
Roma, 19 febbraio 1988.(15) A.C.S.R.S.l.S.P.D. ris. b.61 f.630 stf. 3. Stralcio udienze concesse
dal Duce del giorno 18 marzo 1945-XXIII. Dr. Bonino - Federale Valerio
Valeri con altri ufficiali e sottufficiali collaborazionisti S.S. francesi.(16) Barthélemy, Du Communisme, cit., pp. 482-483.(17) J. Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice (1918-1945),
Paris, Fayard, 1969, pp. 612-613.(18) I.S.R. Como, Fondo Giannantoni. Diario di una giornata di guerra
partigiana: 18 aprile 1945; su questi combattimenti, in generale si veda:
M. Fini - F. Giannantoni, La resistenza più lunga, Milano, SugarCo,
1984, voll. 2, vol. I, pp. 306-307.(19) A.P. Pieramedeo Baldrati (Como), perdite accertate del battaglione
Milice Française, combattimento di Grosio del 18 aprile 1945.(20) I.S.R. Como, Fondo Giannantoni. Biglietto, Grosio 20 aprile 1945,
firmato "le Commandement Français", e risposta del 21-4-1945
del comandante la divisione alpina.(21) Brissaud, Pétain à Sigmaringen, cit., p. 498, "temoignage
personnel d'Henry Charbonneau".(22) Charbonneau, Les mémoires, cit. a pag. 130.(23) Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice, cit., p. 14.(24) Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice, cit., pp. 614-615.(25) I.S.R. Como, Fondo Giannantoni. Dernier avertissement aux Français,
21 aprile 1945, firmato "Camillo".(26) Pisanò, La generazione, cit., p. 57.(27) AA.VV., Milano nella Resistenza: bibliografia e cronologia marzo
1943/maggio 1945, Milano, Vangelista,1975, pp.205 e 207.(28) A. Vaia, Da galeotto a generale, Milano, Teti, 1977, p. 246.(29) Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice, cit , p. 615.(30) I.S.R. Como, Fondo Giannantoni. Biglietto, 26 apnle 1945, firmato
"Camillo".(31) Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice, cit., pp. 615-617.(32) Bnssaud, Pétain à Sigmaringen, cit., p. 502 document
personnel communiqué par Philippe Darnand, fils du chef de la Milice.(33) Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice. cit., pp. 619-621;
Brissaud, Pétain à Sigmaringen, cit., pp.503-506.(34) Charbonneau, Les mémoires, cit., pp. 148- 160.(35) Loup, Gotterdammerung, cit., pp. 178-183.(36) Barthélemy, Du Communisme, cit., pp. 488-492.(37) I. Delarue, Missione "Usignolo 205/ 207", in: "Studi
Piacentini" n. 4 - 1988, pp.53-67, qui pp. 59-61.(38) Delarue, Missione "Usignolo 205/207", cit., p. 65.(39) Delperrié de Bayac, Histoire de la Milice, cit., p. 619.(40) M. Déat, Memoires politiques, Paris, Denoel, 1989, pp.
947-963.
STORIA VERITA' N. 14 Marzo-Aprile 1994
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