mercoledì 29 aprile 2020

IL FURTO DEL CORPO DEL DUCE la storia

Il corpo del Duce: la storia del suo trafugamento

Da
Maurizio Carvigno
Milano, 23 aprile 1946. È passata da poco la mezzanotte quando alcuni uomini entrano di soppiatto nel camposanto di Musocco, il cimitero monumentale alle porte di Milano. L’obiettivo è ambizioso, trafugare il corpo di Benito Mussolini.

IL FURTO DEL CORPO DEL DUCE

 

A guidare il piccolo gruppo di tre uomini c’è Domenico Leccisi, un ragazzo di ventisei anni che non ha accettato la fine del regime e, ancor di più, l’uccisione del Duce. Tutte le sere quel ragazzo, rientrando a casa, vede dai finestrini del treno il profilo maestoso e tetro del cimitero milanese e la grande croce che si staglia sul grandioso ingresso. Lo sferragliare del treno non allontana quell’immagine che, anzi, è sempre più vivida, al pari del desiderio  insopprimibile di portare via quel corpo.
Leccisi non è un fascista della prima ora. Si è avvicinato a quelle idee dopo l’8 settembre 1943, come altri giovani italiani, fino a quel momento disinteressati dalla politica. A suo avviso c’è un’Italia da riscattare, un’onta da cancellare, un passato recente da salvaguardare.
Leccisi è uno dei collaboratori del periodico “Lotta fascista” di cui ha curato praticamente tutto il primo numero, ma è anche un convinto attivista. In questa veste incendia più di un manifesto pubblicitario di Roma città aperta. Per lui il film di Rossellini, oggetto di culto per la Resistenza, è un’opera vergognosa, che infanga la storia del Fascismo. Ma sono azioni marginali, niente a che vedere con quel sogno che, nato su un vagone ferroviario, è divenuto una vera e propria ossessione.
Non si tratta di un’impresa facile ma neppure impossibile. Nel cimitero meneghino, inaugurato nel 1895, le spoglie dell’ex capo del Fascismo sono arrivate il 5 agosto 1945, diverse settimane dopo la sua uccisione, avvenuta il 28 aprile. In precedenza quel corpo è stato oggetto di approfondite autopsie, volte più a fugare chissà quali misteri, che a chiarire le reali ragioni della morte.
Per volere del Prefetto il corpo del Duce, così come quello di Clara Petacci, è stato seppellito in forma anonima nel Campo 16 del cimitero milanese. Non un nome, niente che possa far identificare il luogo, tutto per motivi di sicurezza. Ma probabilmente tutto quell’anonimato è solo apparente, si tratta di una sorta di segreto di Pulcinella.
Il camposanto a quell’ora della notte è chiuso da tempo. I due guardiani notturni, che dovrebbero vigilare, sono bellamente addormentati. Uno, addirittura, dorme sereno nel suo letto di casa, mentre l’altro sonnecchia nella stanza delle riunioni. Nessun ostacolo dunque. La parte più difficile per i tre è stata scavalcare la recinzione.
Poi sono cominciate le operazioni di scavo. Per loro fortuna la bara in legno è stata tumulata direttamente nella terra. Non un loculo di cemento, nessun intralcio si frappone a quell’azione. Pochi colpi di piccone che fendono il silenzio di una notte immobile e il gioco è fatto. La cassa si sfalda e la salma si para davanti. Rapidamente viene adagiata all’interno di un grosso telo da tenda e poi caricata su una carriola.
Fuori c’è un’Aprilia di colore nero, in precedenza parcheggiata davanti all’ingresso del camposanto, a bordo della quale i tre, insieme al prezioso carico collocato nell’ampio bagagliaio, lasciano Milano nell’oscurità della notte.
La notizia di quel clamoroso furto del corpo del Duce si diffonde solo nelle prime ore del mattino. A scoprire la fossa sono i guardiani diurni che danno immediatamente l’allarme. Nel cratere scavato, la cui foto campeggerà nelle ore a seguire su tutti i giornali, viene trovato anche un comunicato di due fogli a nome del sedicente Partito democratico fascista. Nel volantino si rivendica la paternità dell’azione e la soddisfazione per aver riportato il Duce a casa.
A un anno di distanza dall’uccisione di Mussolini, il clima politico, fino a quel momento totalmente dominato dalla campagna elettorale per il referendum istituzionale del 2 giugno e per le elezioni per l’Assemblea costituente, viene inevitabilmente scosso.
I quotidiani, nei giorni successivi, non parlano d’altro. Oltre al racconto di quanto accaduto nel Campo 16, spiccano anche ipotesi di vario tipo su dove si possa trovare quel corpo. La salma di colui che aveva guidato per vent’anni l’Italia viene avvistata praticamente ovunque. C’è chi la scorge su un barcone nei pressi di Caorso (paesino in provincia di Piacenza adagiato sulle rive del Po), chi invece sostiene che sia stata già trasferita in Inghilterra per volontà di Churchill; qualcuno, addirittura, è convinto che il corpo del Duce sia dentro la navicella di una mongolfiera che si libra sui cieli italiani.
Nella ridda di voci la più fantasiosa è quella che vuole Mussolini nientemeno che risorto. Probabilmente sull’estensore di questa notizia ha influito, e non poco, la recente festa di Pasqua che, in quel fatale 1946, è coincisa con il 21 aprile.
Ricostruzioni a parte, una cosa è certa: Mussolini, seppur da morto, torna a far parlare di sé e questo preoccupa e non poco il governo e le fragili istituzioni italiane. La tensione del mondo politico nei giorni successivi è palpabile. Prova ne è un editoriale non firmato che esce il 1° maggio sull’Unità, il giornale del Pci. L’anonimo corsivista pone, non senza una fantasiosa dietrologia, la rimozione della salma in stretta connessione con il negoziato di pace che il presidente del consiglio, il democristiano Alcide De Gasperi, sta discutendo con le forze alleate a Parigi.
In un clima di serrata campagna elettorale, tutto politicamente può essere utile, se non determinante. Il più teso è senza dubbio il socialista Romita. Lui nel governo De Gasperi ricopre la carica di ministro dell’interno e su di lui grava il peso di tutta la vicenda. Per questo si muove immediatamente, sguinzagliando in giro per l’Italia uomini e mezzi al fine di trovare nel minor tempo possibile quel corpo.
Le indagini vengono affidate al questore di Milano Agnesina che, ironia della sorte, il 25 luglio del 1943, giorno in cui i carabinieri arrestano Mussolini, era il responsabile della sicurezza personale del Duce a Villa Savoia.
Non è un fatto tanto assurdo. Come racconta Fabrizio Laurenti, nel suo bellissimo docufilm Il corpo del Duce, si tratta anzi di una “coincidenza indicativa della continuità gattopardesca dello stato che dal Fascismo si perpetua immutata nei quadri della nuova repubblica nata dalla Resistenza”.
Lo zelo del Ministro Romita viene criticato da quella parte della stampa polemicamente antisocialista e anticomunista. È il caso del “Corriere lombardo” fondato e diretto da Edgardo Sogno ma soprattutto del “Candido” di Giovanni Guareschi. Il futuro papà di Peppone e Don Camillo, il 1° giugno 1946, dalle colonne del suo giornale umoristico, invita il ministro dell’interno a spendere meno energie nella ricerca delle ossa di un morto e a tutelare le ossa dei vivi nei comuni dell’Emilia rossa.
La speranza di Romita di risolvere quella vexata quaestio prima della fatidica tornata elettorale, naufraga miseramente. Il 2 giugno gli italiani vanno a votare. La sensazione generale è che su quel voto fondamentale possa pesare la presenza di un convitato di pietra: il corpo di Mussolini.
In realtà quel corpo non inciderà affatto. Dalle urne esce vincente la Repubblica, seppur con forti contestazioni da parte dei monarchici che parlano apertamente di brogli. Inoltre a primeggiare sono le forze di governo, cioè la Democrazia cristiana, il Partito socialista e, infine, quello comunista.
Il pericolo Mussolini è sventato. Ma il corpo, a poco più di un mese dal trafugamento, continua a non trovarsi. Le indagini si concentrano sugli ambienti neofascisti, visto che la pista che vedrebbe coinvolti i familiari di Mussolini viene solertemente scartata.

IL RITROVAMENTO DEL CORPO DEL DUCE

È solo nel pieno di quella prima estate “repubblicana” che il caso viene risolto. Milano, 31 luglio, pomeriggio. Domenico Leccisi è da poco uscito da una riunione clandestina con altri neofascisti, quando viene arrestato dalla polizia. In quella stessa calda giornata altri suoi sodali finiscono in manette. Si tratta di Mauro Rana, Antonio Parozzi, Fausto Gasparini e Giorgio Muggiani. Sarà quest’ultimo a tratteggiare agli inquirenti un quadro che sulle prime appare incredibile.
Muggiani, durante i fitti interrogatori condotti nelle stanze della questura milanese, fa il nome di un frate francescano, padre Zucca, priore del convento di Sant’Angelo a Milano. Il puzzle su cosa sia accaduto nelle ore successive all’azione nel cimitero di Musocco rapidamente prende forma. Le tessere vengono rapidamente collocate nel posto giusto e il quadro in poco tempo diviene chiaro.
Gli inquirenti vengono a conoscenza di come il corpo del Duce, dopo il trafugamento, sia stato prima nascosto nella casa di montagna del Rana, in Valtellina, e poi nel convento francescano di Sant’Angelo in via Moscova a Milano.
Il coinvolgimento di due religiosi, perché al nome di padre Zucca si aggiunge nei giorni successivi anche quello di fra’ Alberto Parini (fratello dell’ex podestà di Milano, Piero Parini), è la notizia che scalda le rotative dei giornali nei giorni successivi. Il mistero si infittisce ma alla soluzione manca davvero poco.
Il 12 agosto il corpo del Duce viene finalmente ritrovato. Sono gli stessi due religiosi, in quel giorno di metà agosto, ad accompagnare gli inquirenti alla Certosa di Pavia. È nello splendido edificio monastico, realizzato fra la fine del 1400 e i primi anni del secolo successivo, che sono custoditi i resti di Mussolini.
Ecco come descrive il ritrovamento lo storico Sergio Luzzatto nel saggio edito da Einaudi e intitolato anch’esso, come il documentario di Laurenti, Il corpo del duce:
“il corpo viene ritrovato chiuso in un baule e avvolto in due sacchi gommati, in un armadio a muro di una cella al piano terreno della Certosa. Oltre ai resti mortali di Mussolini, la polizia trova nel baule un proclama del Pfd inneggiante al giorno in cui gli augusti resti sarebbero ascesi alla gloria del Campidoglio”.
Ora che il corpo è stato ritrovato la necessità è quella di obliare tutto e subito. Anche per questo la vicenda non lascia molti strascichi giudiziari. I due religiosi, in primis accusati di complicità,  vengono scagionati. Leccisi viene condannato ma godrà poco dopo dell’amnistia fortemente voluta da Togliatti e anni dopo sarà eletto in parlamento nelle liste del Movimento sociale italiano. Vincenzo Agnesina, invece, viene promosso, diventerà vice capo della polizia.
Ma l’ultima parola sulla vicenda del corpo di Mussolini ancora non viene pronunciata. Da Forìo d’Ischia Rachele Mussolini reclama il diritto di riavere il corpo del marito ma, per ora, non è una strada percorribile.
Il corpo del Duce in quella calda estate del 1946 fa ancora paura. Nessuno, a partire da De Gasperi, ha la minima intenzione di esaudire quelle volontà. Ancora Luzzatto:
“Negando alla famiglia Mussolini la restituzione della salma, il governo italiano ha inteso evitare che il sepolcro del duce divenisse, nel bene o nel male, il luogo della memoria”.
Bisognerà attendere il 1957 perché il corpo del Duce venga definitivamente seppellito nella tomba di famiglia nel cimitero di San Cassiano a Predappio. In quei precedenti nove anni è stato segretamente conservato in una cappella del convento cappuccino di Cerro Maggiore, poco lontano da Milano.
Si chiude, così, sul finire degli anni ’50, la vicenda delle spoglie di Mussolini che, anni addietro, per certi aspetti era stato a dir poco profetico. In una lettera del 1932 al fratello Arnaldo, così ebbe a scrivere:
“Sarei grandemente ingenuo se chiedessi di essere lasciato in pace dopo morto”

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