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«USA &
imbroglia»: 120 anni di menzogne belliche a stelle e strisce
di Dagoberto
Bellucci - Libano
«Diciamo
grazie a Trump perché ci facilita nel compito di rendere evidente il vero volto
degli Usa. Tutto ciò che noi da trent’anni diciamo a proposito della corruzione
politica, economica, morale e sociale all’interno del potere americano, quest’
uomo l’ha messo a nudo nella campagna elettorale e subito dopo» [Sayyed Alì al
Khamene'i - Guida Suprema della Rivoluzione Islamica dell'Iran, dal sermone
del 7 Febbraio 2017]
Il
bombardamento ordinato venerdì scorso dal presidente americano Donald Trump
contro una base militare siriana ha definitivamente smascherato il vero volto
della nuova amministrazione USA la quale - come le precedenti - persegue in
politica estera esclusivamente i propri interessi nazionali infischiandosene
sostanzialmente sia di qualsivoglia organizzazione sovranazionale sia del
diritto internazionale.
L'America di
Trump nel solco di quanto già progettato e avviato, magari con altri mezzi e
difformi tattiche ma con l'identica visione imperialistica tipica di una nazione
che si è eretta a gendarme planetario e a garante della globalizzazione
economica mediante l'esportazione universale della democrazia foss'anche manu
militari, dalle precedenti amministrazioni compresa quella democratica di
Obama al quale, piaccia o dispiaccia, vanno comunque riconosciuti alcuni
successi in politica estera (dalla riapertura delle relazioni diplomatiche con
Cuba dopo sessantasei anni di embargo all'accordo siglato con la Repubblica
Islamica dell'Iran riguardo al suo programma nucleare fino al sostanziale ritiro
militare americano dall'Irak che, se non ha dato completa sovranità alla
martoriata nazione araba, quantomeno ha permesso all'esercito iracheno
affiancato dalle milizie sciite di muoversi autonomamente e riprendere il
controllo di ampie fasce del paese, lanciando infine l'offensiva che si spera
decisiva per la riconquista di Mossul occupata e proclamata «capitale» del
sedicente «Stato Islamico» del califfo nero al-Baghdadi).
Quanto ciò sia
vero viene dal placet incassato da Trump immediatamente dopo il blitz aereo
statunitense in Siria dalla sua ex avversaria democratica durante la scorsa
campagna elettorale, Hillary Clinton, che - notoriamente guerrafondaia e legata
a doppia mandata agli ambienti dell'alta finanza filo-sionista di Wall Street -
non ha perso tempo per complimentarsi per l'ordine d'attacco impartito dal
Presidente.
Assolutamente
niente di nuovo né particolarmente rilevante che all'azione di Trump sia
arrivato il plauso da Nethanyau a nome del governo d'occupazione sionista,
dall'aspirante califfo della nuova Turchia re-islamizzata Erdogan e dai
governanti sauditi principali alleati e sostenitori della politica yankee nel
Vicino Oriente assieme a Tel Aviv.
Ora ci
sarebbero da sottolineare alcune considerazioni sia in merito al presunto
bombardamento chimico di Idlib sia sul conseguente attacco americano.
L'episodio
dell'attacco con armi chimiche su Idlib ne ricorda altri che abbiamo imparato a
conoscere anche recentemente: rappresentano cioè dei «casus belli» grazie ai
quali, di norma, l'America è entrata in guerra.
Gli Stati Uniti
d'America hanno assolutamente bisogno di questi pretesti prima di dichiarare
guerra al nemico di turno e quando l'obiettivo delle loro mire non commette
alcunché di particolarmente odioso da presentare all'opinione pubblica
internazionale occorre ricorrere ad espedienti e menzogne da utilizzare appunto
pretestuosamente per mettersi l'elmetto e lanciarsi in una nuova avventura
militare: serve alla potente lobby industriale delle armi, a rilanciare
l'economia del paese, a rassicurare le forze armate sul loro ruolo fondamentale
nella piramide di potere della società americana (società tradizionalmente
cresciuta con il «mito» della frontiera da affrontare come una perenne
sfida verso se stessi ed il mondo in un misto di ebrezza guerrafondaia che
unisce in una sorta di spirito neo-faustiano lo stereotipo tutto yankee
dell'uomo dalla colt facile, il pistolero, all'avventuriero senza passato e
senza identità, un certo rambismo ad una cinica barbarie verso tutto quanto non
appartenga alla visione del mondo statunitense in un autentico delirio di
onnipotenza, sadismo, xenofobia e sessismo dei quali la società americana è
profondamente impregnata) e, dulcis in fondo, alla neo-eletta
amministrazione Trump per presentare le proprie «credenziali» al
pianeta-papalla al quale ha lanciato più di un messaggio.
Con il
bombardamento in Siria l'amministrazione ha rassicurato i tradizionali alleati
nella regione del Vicino Oriente, dichiarandosi disposta a giocarsi il tutto per
tutto intervenendo a gamba tesa nel risiko geopolitico e militare siriano.
Trump ha voluto
lanciare un messaggio molto chiaro alla Russia di Putin e, contemporaneamente,
ha ammonito il principale alleato di Mosca, l'Iran sciita, ma anche
all'estremità del continente eurasiatico la Corea del Nord. Niente sarà permesso
impunemente, più o meno, sembra aver voluto dire il Tycoon.
Oltre a questo
Trump ha rassicurato il fronte interno: a cominciare dalla potente lobby
sionista.
Tutto bene se
non fosse che... non c'è stato alcun bombardamento con armi chimiche su Idlib da
parte delle forze governative siriane, che Assad non ha mai utilizzato sostanze
chimiche e che la Siria non possiede alcun arsenale chimico come, d'altronde,
non lo possedeva nella primavera del 2003 l'Irak di Saddam Hussein.
A riprova di
quanto sia pretestuosa l'accusa contro l'esercito lealista di Assad di aver
utilizzato agenti chimici basti pensare ad un altro tentativo di addebitare alle
forze armate siriane l'uso di armi chimiche: l'episodio dell'attacco chimico di
Ghùta Est.
In
quell'occasione la mattina del 21 agosto di quattro anni fa, 2013, in alcune
aree a sud-est della capitale Damasco vennero utilizzati agenti chimici, in
particolare il Sarin, con un numero di vittime mai ufficialmente stabilito e
variabile dalle 281 alle 1729.
Secondo
l'indagine condotta all'epoca dalle Nazioni Unite furono accertati l'uso di
agenti chimici sul terreno e sui cadaveri ma non fu chiaro chi fosse il
responsabile avendo molti dei gruppi ribelli accesso ai depositi.
Anche all'epoca
fortissima sarà l'indignazione internazionale e altrettanto violente le reazioni
nelle principali cancellerie occidentali. Obama preme per un intervento diretto
nel conflitto: il 28 di agosto lo speaker della Camera dei Rappresentanti John
Boehner invierà una lettera al presidente Obama con la quale si
dichiara d'accordo sull'esistenza delle prove dell'uso delle armi chimiche e che
la Siria con questo atto abbia superato la red-line del non-intervento,
chiedendo i dettagli operativi e la giustificazione legale di un attacco
statunitense. La lettera segue quella del 26 agosto, in cui lo stesso Boehner invita
il Presidente a non prendere decisioni unilaterali e a consultare il Congresso,
prima di autorizzare qualsiasi azione militare.
Damasco nega
ogni responsabilità, parla di atto terroristico perpetrato dai ribelli, chiama
in causa il Fronte al Nusra ed altre formazioni della galassia jihadista. In
un'intervista al quotidiano francese «Le Figaro» (il 2 settembre) e in un'altra
il 9 successivo alla CBS (trasmessa lunedì 16), Assad ha smentito l'uso di armi
chimiche il 21 agosto e minacciato ritorsioni in caso di attacco USA.
Al fianco di
Assad la Russia di Putin che sostiene l'inesistenza di alcuna prova che
suffraghi la responsabilità dell'alleato: il 14 settembre a Ginevra sulla base
di un accordo di massima tra Mosca e Washington viene stabilito un protocollo
d'intesa ed un programma per la distruzione delle armi chimiche in mano alla
Siria entro la prima metà del 2014.
La Siria
accetta e elimina il suo arsenale. Il rapporto indipendente delle Nazioni Unite
consegnato all'allora segretario generale dell'organismo internazionale, Ban Ki
Moon, sono accusate ambedue le parti in conflitto: ribelli e governativi.
confermando che le «armi chimiche sono state usate relativamente su larga scala
nel conflitto tra le due parti in Siria, anche contro i civili, inclusi i
bambini». Nel rapporto, come previsto, non sono stati individuati esplicitamente
i responsabili dell'attacco del 21 agosto: l'inchiesta del team guidato dallo
scienziato svedese Ake Sellstrom è stata principalmente di tipo tecnico, cioè si
è limitata a stabilire se siano state usate armi chimiche in Siria, ma non ha
indagato su chi le abbia usate.
Per tutta
risposta Ban Ki-moon riceve ufficialmente il 28 settembre Ahmad Jarba,
presidente del Governo provvisorio siriano, ostile ad al-Assad.
Questo a
conferma di quanto bel poco siano credibili le commissioni d'inchiesta delle
Nazioni Unite dove il peso specifico degli Stati membri non è affatto
proporzionale e all'interno del quale da sempre gli USA determinano la vita
diplomatica della cosiddetta «comunità internazionale».
Dunque? Dunque
in Siria siamo di fronte ad una fake new, una falsa notizia.
L'ennesima di
un conflitto che si è alimentato di menzogne e disinformazione quotidiana, che
sui mass media occidentali è stato rappresentato fin dal marzo 2011 come una
sorta di guerra civile interna nella quale si scontravano un esercito lealista
nelle mani di un dittatore più o meno fanatico e più o meno folle (poco ci
mancava che stampa e televisioni ci raccontassero un'altra volta che Assad era
il «nuovo Hitler del Medio Oriente» come fecero nell'estate 1990 all'epoca della
crisi del Kuwait con Saddam Hussein) ed un popolo oppresso in lotta per la
propria libertà e, sia mai che non fosse così, per la conquista della
democrazia.
La realtà è
assai diversa: in Siria hanno agito diverse organizzazioni d'ispirazione
islamista più o meno note.
Alle locali
formazioni già conosciute dai Mukabarat siriani (i servizi di sicurezza di
Damasco) tra le quali Jund al Shams - attiva fin dal 2005 con alcuni tentativi
di rapimento e qualche attacco a posti di blocco di polizia ed esercito - e il
cosiddetto «Fronte al-Nusra» (entrambi i gruppi composti prevalentemente da
elementi della galassia islamista globale provenienti dai paesi arabi
circostanti, dal Caucaso, dal Kosovo, dall'Asia centrale) si sono andati
sommando i gruppi legati ad al Qaeda prima e infine quelli che hanno
riconosciuto e giurato la loro fedeltà al cosiddetto «califfato nero», l'ISIS.
La cosiddetta
opposizione democratica siriana non ha niente né di democratico né di siriano. É
prevalentemente composta da miliziani e tagliagole stranieri, imbevuti
dell'ideologia al-qaedista (mix di wahabismo e salafismo) e pronti a scatenare
l'inferno utilizzando terrore, menando stragi e compiendo crimini inenarrabili
contro la popolazione civile come già accaduto in Irak e nella Libia.
É contro questa
autentica armata delle tenebre (un esercito di fanatici senza etica né morale
che sembra uscito direttamente da un film splatter di quelli che si producono a
Holywood e che tanto piacciono all'immaginario anti-islamico e xenofobo
dell'Occidente), mostruosa creazione finanziata da USA e alleati, che si batte
da sei anni l'esercito nazionale del governo legittimo del presidente al Assad.
Un esercito
che, come tutte le altre forze dell'ordine, è rimasto vittima degli attacchi
pressoché quotidiani ed indiscriminati fin dall'inizio delle ostilità sei anni
or sono da parte dei terroristi.
Terroristi e
tagliagole dei quali nessuno ha parlato in Occidente e sui quali a nessuno è
importato fintanto che il mostro-ISIS - la creatura moderno Frankenstein
sfuggita dalle mani dei suoi padroni-costruttori - non ha travalicato le
frontiere ed il Mediterraneo portando il suo carico di morte, sangue, violenza
fin dentro il cuore dell'Europa da Parigi a Bruxelles, da Berlino a Marsiglia
fino a Londra e Stoccolma.
Questa la
realtà quotidiana in cui versa la Siria da oltre sei anni. Identica a quella che
viene vissuta nel vicino Irak dalla primavera del 2003: anni di stragi ed una
infinita scia di sangue e terrore del quale a nessuno interessa minimamente in
Occidente.
È una violenza
cieca e barbara che si è accanita contro civili inermi, che ha distrutto vite
umane, ergendosi a giudice senza pietà della vita di migliaia di individui. Ma
di tutto ciò in Europa come nel resto dei paesi occidentali non interessa:
l'allarme su quanto stava accadendo tra nord Irak e nord-est Siria, sull'ISIS e
le sue brutalità è scattato con un anno e mezzo di ritardo dopo che a cadere
vittime innocenti sono stati cittadini europei sul suolo europeo.
Adesso
l'America di Trump intende lanciarsi in una sorta di neo-crociata riprendendo le
parole d'ordine della propaganda Obama contro Assad e la sua «dittatura».
E utilizza un
fake: il bombardamento chimico su Idlib. Un falso scoop, una menzogna, un abile
ma quantomeno noto escamotage che costringerà il governante di turno,
l'inquilino della Casa Bianca, ad assecondare i desiderata dell'Establishment
sionista che controlla la politica statunitense.
Nessuna novità:
è la storia degli interventi militari americani che lo dimostra.
Si cominciò nel
lontano 1898 quando gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Spagna per
sottrarle l'isola di Cuba: all'epoca fu utilizzato l'affondamento della nave
militare «Maine». Ne furono immediatamente incolpati gli spagnoli che si
dichiararono del tutto estranei alla vicenda.
Le immagini
della nave americana colata a picco al largo di Cuba, il numero delle vittime
tra i marinai, la commozione suscitata ad arte nell'opinione pubblica
statunitense portarono l'amministrazione a dichiarare la guerra.
Soltanto nel
1980 dagli archivi segreti americani verrà fuori la verità: il Maine non era
affondato per un attacco spagnolo, la Spagna non c'entrava niente. La colpa fu
del caso: alcuni esplosivi posizionati vicino alle caldaie provocarono
l'affondamento dell'incrociatore americano ma, grazie a quel fortuito incidente,
gli Stati Uniti erano diventati i padroni indiscussi del mar dei Caraibi
estromettendo definitivamente l'ultimo presidio militare europeo nell'America
centrale.
Nel 1915 sarà
l'affondamento del «Lusitania» da parte di sommergibili tedeschi a provocare
l'entrata nel conflitto da parte degli USA.
Il 7 maggio
1915 segna la data in cui l’opinione pubblica americana da neutrale divenne
interventista. Fu quel giorno che un sottomarino tedesco affondò il Lusitania,
un transatlantico che trasportava civili, in una tragedia destinata a imprimersi
nell’immaginario collettivo, quasi quanto quella del Titanic (di soli tre anni
prima): stavolta furono 1200 le vittime e lo sdegno popolare nei confronti della
Germania fu talmente alto che di lì a poco gli Stati Uniti sarebbero entrati
nella Prima Guerra mondiale a fianco degli Alleati.
A quanto sembra
i tedeschi furono avvertiti della presenza sul Lusitania di armamenti destinati
alla Gran Bretagna.
In quell'azione
militare morirono un totale di 1.198 persone e se ne salvarono 751. Delle
vittime, 128 erano cittadini americani e un centinaio bambini sotto i due anni
di età.
L'opinione
pubblica americana ne fu profondamente scossa.
Berlino si è
sempre difesa affermando che il Lusitania era un obiettivo militare legittimo
perché trasportava armi e veniva usato come nave militare per spezzare il blocco
che i tedeschi stavano cercando di imporre intorno all’Inghilterra dallo scoppio
delle ostilità nell’agosto del 1914.
Passano
ventisei anni e la storia si ripete nel secondo conflitto mondiale: stavolta è
l'attacco giapponese su Pearl Harbour a provocare l'indignazione generale e
l'entrata in guerra degli USA.
A Pearl Harbour
perirono oltre tremila militari americani in un attacco del quale l'alto comando
statunitense era al corrente già da diverse ore.
Avrebbe
dichiarato alcuni anni dopo l'ammiraglio Kimmel che assistette alla morte di
migliaia di suoi uomini che «l'unica cosa di cui avevamo bisogno per difenderci
erano informazioni, ma queste non arrivarono A Washington sapevano dove e quando
le forze giapponesi avrebbero lanciato quest'attacco ma nessuno avvertì. Io non
ho mai ricevuto queste informazioni».
I giapponesi
furono lasciati attaccare perché serviva un casus belli plausibile.
Non passano che
ventitré anni e nel 1964 gli Stati Uniti entrano ufficialmente nella guerra
contro il Vietnam del Nord grazie al cosiddetto «incidente del Golfo del
Tonchino» in cui motovedette del regime comunista vietnamita sono accusate di
aver lanciato missili contro l'incrociatore americano «Maddox».
Quarant'anni
più tardi sarà l'allora ministro degli Esteri USA, Robert Mc Namara, ha
dichiarare che quell'incidente fu un'invenzione della propaganda americana:
«Eventi successivi - dirà - hanno dimostrato che la nostra convinzione di esser
stati attaccati era sbagliata: non successe niente».
E la guerra del
Vietnam produrrà oltre sessantamila vittime nelle fila delle forze armate
americane e centinaia di migliaia tra i combattenti vietcong e la popolazione
civile vietnamita (con perdite altissime anche nelle vicine Laos e Cambogia).
La storia si
ripeterà negli anni Ottanta con l'amministrazione Reagan e l'invasione
dell'isola di Grenada. Il pretesto sarà questa volta la sicurezza di alcuni
studenti americani presenti sull'isola caraibica. E la minaccia, come sempre
dall'inizio della cosiddetta Guerra Fredda, il comunismo.
Giungiamo così
ai giorni nostri con l'invasione irachena del Kuwait nell'agosto 1990, la
conseguente crisi e il conflitto che avrebbe retrocesso il paese arabo ad uno
stadio semi-feudale, sottoposto ad un durissimo embargo ed il suo leader, Saddam
Hussein, passato dal rango di amico e fedele alleato americano (ruolo che svolse
più che ottimamente per tutti gli anni Ottanta quando si lanciò nell'assurda
guerra contro il confinante e storicamente rivale Iran dove nel febbraio 1979
aveva preso il potere l'Ayatollah Khomeini proclamando una Repubblica Islamica
ostile tanto all'imperialismo americano quanto a quello sovietico).
Per convincere
la reticente Arabia Saudita a concedere il proprio territorio e permettere lo
sbarco e l'instaurazione di basi militari alla «grande armata» multinazionale a
guida yankee intervenne l'allora ministro della difesa, Dick Cheney, che farà
avere a Riad le foto riprese si disse dai satelliti americani che mostravano
oltre 250.000 militari dell'Irak alla frontiera con il regno wahabita.
Un falso che
però convinse re Fahd a concedere a Washington le basi di cui Bush aveva
assolutamente bisogno per condurre una guerra che era stata decisa e preparata
scientemente per l'instaurazione di quel «Nuovo Ordine Mondiale» che avrebbe
sancito la supremazia statunitense sul pianeta.
Alla frontiera
tra Arabia Saudita ed Irak non c'era alcun carro armato iracheno, non un uomo,
non un mezzo. Questo video fu realizzato da una delle principali aziende di
pubbliche relazioni di Washington, la «Hill & Knowlton» legata a triplo mandato
al Dipartimento di Stato. La stessa azienda di cui si serviranno gli americani
per convincere l'opinione pubblica mondiale grazie alle immagini-fake degli
elicotteri iracheni in volo su Kuwait City e alla falsa confessione di una
altrettanto falsa infermiera che raccontò di atrocità commesse dalle truppe
irachene negli ospedali della capitale kuwaitiana con crimini contro i neonati
gettati a terra dalle loro incubatrici.
Come si
scoprirà qualche mese dopo la fine del conflitto, nella primavera 1991,
quell'infermiera era la figlia dell'ambasciatore kuwaitiano alle Nazioni Unite.
Analoghe
notizie o immagini false servirono per dare una rapida soluzione al conflitto
nei Balcani (con i pretesi campi di concentramento serbi ed il massacro di
Srebrenica) negli anni Novanta così come nel 2001 sarà l'attentato dell'11
settembre - sul quale non si hanno che dubbi e perplessità - a favorire
l'aggressione contro l'Afghanistan; le pretese «armi di distruzione di massa»
irachene di cui parlò il gen. Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell'ONU e
delle quali ammisero poi l'inesistenza l'allora premier britannico Tony Blair e
molteplici addetti militari e politici statunitensi e - dulcis in fondo - i
misteri che hanno circondato la morte più che sospetta del «nemico pubblico
numero 1» degli USA, quell'Osama Bin Laden che fu reclutato e inserito negli
anni Ottanta nella rete anti-sovietica dalla CIA alla quale si deve ovviamente
la creazione del netwoork terroristico noto poi a livello globale come
l'organizzazione fondamentalista di al Qaeda.
Né si possono
dimenticare le tante diverse «rivoluzioni colorate» (più o meno «arancioni») che
- grazie all'organismo denominato Otpor, una succursale della sedizione e del
disordine agli ordini della CIA americana - sono servite per abbattere regimi
scomodi in Serbia, Ucraina, Georgia ed analoghi tentativi in Libano (2005) e nel
mondo arabo con le pretese «primavere arabe» che defenestreranno i regimi
d'Egitto, Tunisia e provocheranno il conflitto che opporrà la NATO alla Libia di
Gheddafi.
E dopo questa
lunghissima e particolarmente originale (l'originalità non manca agli
apprendisti stregoni del Nuovo disordine Mondiale) lista di pretestuose
macchinazioni, falsità, menzogne, notizie inventate di sana pianta... l'America
di Trump ci chiede di credere ad un presunto bombardamento con armi chimiche per
varare la sua nuova strategia volta ad abbattere il legittimo governo di Assad...
Credeteci
pure... d'altronde non è la prima né sarà l'ultima volta che gli americani vi
imbroglieranno.
Gli animaletti
parlanti delle società rovesciate occidentali sono come burattini: privi di
coscienza sono adusi a obbedir tacendo, credendo a qualsiasi menzogna sia loro
raccontata... perché... «del resto dev'essere pur vero, lo dice la tv!»
10/04/2017
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