NOI E LORO. UNA PICCOLA DIFFERENZA CHIAMATA
ONORE
Nino Arena
La faziosità è dura a morire; la menzogna, soprattutto
se finalizzata a radicalizzare un fatto arbitrario ha radici profonde;
l’invito ai chiarimenti, se presuppone la fine del teorema illegalmente
costruito per convalidare la falsità, viene di norma respinto. Poi
tutto torna nel dimenticatoio ed ognuno si tiene le sue convinzioni cullandosi
nell’ipocrisia e nella malafede. Talvolta, allorché vengono a mancare
le motivazioni per controbattere accuse e invenzioni, si fa strada timidamente
la loro "verità’’ riportata pedissequamente nelle occasioni,
populiste e demagogiche, non di rado sui libri di testo, quasi sempre reperibile
nella bibliografia resistenziale di comodo stampata dai grandi circuiti
editoriali, nella speranza che "il luogo comune’’ si trasformi in
"verità’’ storica: il gioco è fatto! Dovranno sopravvenire
dirompenti eventi esterni, come accadde col muro di Berlino, per smantellare
l’architrave della menzogna, meglio se originati al di fuori dell’Italia,
in quanto ritenuti più credibili, attendibili, affidabili.
Molti anni or sono ho dovuto lottare contro un clan di pseudo storici
(di parte) che, in contrasto col responso di una apposita commissione governativa,
rifiutavano di accettarne le decisioni per malafede (leggasi: in contrasto
con la loro ideologia). Si trattava del bluff sui fatti di Leopoli, di
cui lo scrivente - per primo e con mesi di anticipo sulle conclusioni della
commissione - denunciava il falso organizzato dal PCUS con la complicità
di un giornalista comunista polacco.
Ogni tanto qualcuno si sente in diritto di emanare sentenze, forte,
a suo parere, di trovarsi dalla parte "vincente’’; una ridicola convinzione
poiché è risaputo che l’Italia ha perduto la 2ª guerra
mondiale, che non ci sono stati vincitori e quelli che ritengono di essere
tali sono soltanto poveri illusi, vissuti da sempre nella loro persuasione,
nel loro sogno donchisciottesco ben al di fuori della realtà.
Una frase recentemente pronunciata da un personaggio di questo effimero
clan di Soloni, ci ha colpito particolarmente: "... l’accostamento
con la RSI non sarà gradito da noi veterani delle FF.AA. regolari
(badogliani, tanto per precisare chi sono); una sottile distinzione per
prendere le distanze dai partigiani, e precisava ancora: "Nel dopoguerra
le faccende non si sono per niente chiarite, tant’è vero che i reduci
della RSI ostentano ancora nelle celebrazioni la scritta Per l’Onore
d’Italia. Una strana pretesa da parte del badogliano, che pensa di
dettare condizioni e stabilire regole di comportamento, quasi che i reduci
della RSI dovessero vergognarsi di tale "ostentazione’’.
Noi siamo di parere contrario, poiché gli atti compiuti da coloro
che militarono al sud non sono sempre motivo edificante di ammirazione
e ostentazione. Molti avvenimenti non possono essere accettati come atti
onorevoli di cui vanagloriarsi e con loro attruppiamo i miserevoli individui
del CLN che segnalavano agli aviatori alleati gli obiettivi da colpire
(quasi sempre centri abitati); segnaliamo ancora la miseria morale degli
uomini del Partito d’Azione che parlavano durante la guerra da Radio Londra
contro l’Italia e che l’articolo 16 del trattato di pace salvò immeritatamente.
Non sono atti di cui vantarsi gli aiuti militari italiani forniti a Tito
- sanguinario despota balcanico - e da questi usati criminosamente per
la pulizia etnica degli italiani, non sono atti ammirevoli quelli dati
dalla marina cobelligerante alla Royal Navy permettendogli di affondare
il "Bolzano’’ per pareggiare la notte di Alessandria; non sono atti
meritevoli i bombardamenti dell’aviazione del sud in Istria su zone abitate
da italiani; non sono episodi da ricordare nella storia, le uccisioni e
i maltrattamenti verso i soldati della RSI uccisi o catturati in azione
da reparti badogliani, così come sono da dimenticare le leggi liberticide,
vessatorie e discriminanti applicate verso i combattenti della RSI, ancora
oggi considerati come invalidi civili, valorosi mutilati degni di rispetto
e attenzioni.
Non si può imporre la democrazia come modello comportamentale
per poi rinnegarne i principî con atti contrari, così come
non è accettabile imporre discriminatorie settarie nei confronti
di coloro che a fine guerra si trovarono dalla parte perdente. Si finirebbe
per perdere la faccia e rinnegare teorie libertarie applicabili a senso
unico.
I soldati della RSI avevano scelto e combattuto sino all’ultimo per
cancellare il tradimento badogliano (non il tradimento dei soldati o dei
cittadini italiani, vittime ugualmente delle decisioni di pochi irresponsabili);
lo avevano fatto per tentare di riscattare l’onore d’Italia infangato dai
congiurati. Se altri ritengono che tale comportamento vada cancellato o
dimenticato per compiacere coloro che implicitamente li osteggiavano, sappiano
che la storia ha condannato i traditori, non i traditi.
Le frasi incriminate fanno parte di un maldestro tentativo inteso a
prevaricare la libertà di pensiero (grave per un preteso paladino
della libertà) di un amico che in perfetta buonafede aveva iniziato
a raccogliere elementi di giudizio, testimonianze e documenti su una possibile
pubblicazione sulle vicende postarmistiziali della divisione "Nembo’’.
L’intervento, invece, mirava a perpetuare con pesante pressione personale
(riteniamo) una pretesa differenza morale e ideologica, di pensiero e di
idealità fra i paracadutisti del nord e quelli del sud, che avevano
militato nella stessa unità prima e dopo l’armistizio, alcuni dei
quali si erano inaspettatamente riscoperti "democratici e antifascisti’’
soltanto a posteriori e temevano il "contagio’’, o quanto meno il
pericolo di essere allineati sullo stesso piano fra coloro che avevano
accettato supinamente l’armistizio - servendo i Savoia e Badoglio - e gli
altri che invece lo avevano rifiutato come immorale e che intendevano opporsi
nel tentativo nobile ma difficile di riscattarne col sacrificio l’aspetto
d’immagine vilipesa che il tradimento aveva appiccicato all’Italia.
Il problema meritava indubbiamente una precisazione, se non altro per
far conoscere meglio la posizione ideale della parte che aveva scelto il
nord e il riscatto dell’onore e coloro che invece si erano trovati al sud,
non per libera scelta (molti settentrionali avrebbero sicuramente optato
per combattere col nord) ma per collocazione geografica, obblighi militari,
situazioni contingenti (molti al nord vissero questo problema) sicuramente
non per motivazioni ideologiche o scelte politiche, considerando oggettivamente
che la "Nembo’’ annoverava fino all’armistizio una larghissima percentuale
di personale politicizzato, non tanto nella visione ortodossa e limitata
del credente quanto nell’aspetto individuale di far parte di un Corpo d’élite
che da sempre (lo si verifica ancora oggi ingiustificamente) ha nell’amor
di Patria, nel dovere militare, nel sentimento nazionalista e nella purezza
della gioventù nata e vissuta sotto il fascismo, sicuri pilastri
di forza morale e affidabilità.
Nessuno di loro conosceva la definizione di democrazia, sapeva di battersi
per la libertà, contestava apertamente il fascismo, anche se in
quel periodo aleggiava un sottile ma avvertito malessere causato dal crollo
del fascismo e dei suoi postulati ideologici; c’era confusione morale fra
tutti gli italiani, si accertava la presenza di una stanchezza diffusa
fra la popolazione e le FF.AA. causata da avvenimenti interni e dal negativo
andamento del conflitto.
Esaminiamo i fatti e accertiamo quanto di vero esisteva nella "Nembo’’
in quel particolare periodo.
Al momento dell’armistizio l’unità frazionata fra Calabria e
Sardegna contava circa 10.500 uomini in servizio di cui circa 7.000 paracadutisti,
1.200 militari dei servizi e 2.300 fra artiglieri, carristi e genieri aggregati
alla "Nembo’’ per esigenze difensive territoriali. Abbandonarono l’unità
i Btg. 3°, 12° e reparti minori dei Btg. 13°/14° passati
poi alla RSI; 600 paracadutisti ritenuti politicamente inaffidabili furono
internati nel campo di disciplina di Uras (Cagliari); altri 410 sospetti
di simpatie fasciste furono radiati dai paracadutisti e assegnati ai Rgt.
di fanteria 45° e 236°; altri 300 vennero distribuiti ad altri
reparti e una trentina di ufficiali - fra cui il vicecomandante divisionale,
il valoroso Folgorino Col. Pietro Tantillo - furono imprigionati, processati
e infine prosciolti dall’accusa di "rifiuto per coerenza etica di
sparare sui reparti tedeschi’’. Il resto si era sbandato. Una perdita complessiva
di oltre 3.000 uomini che riduceva la "Nembo’’ a poco più di
4.000 paracadutisti con alcune centinaia di militari dei servizi.
Non mancarono le uccisioni isolate, gli atti di violenza, le ribellioni
aperte. Da una parte si ebbe l’uccisione ingiustificata e involontaria
del Ten. Col. Alberto Bechi Luserna-Capo di SM-ucciso da paracadutisti
aderenti alla convalida del patto d’alleanza con la Germania. Venne decorato
di Movm alla memoria. Gli autori identificati, furono processati nel dopoguerra
e condannati a pesanti pene detentive. Dall’altra parte si ebbe l’uccisione
ingiustificata ma volontaria del maresciallo Pierino Vascelli - valoroso
libico e Folgorino-addetto allo SM divisionale, assassinato da ignoti per
punire la sua ostentata fede fascista. Vascelli non ebbe alcuna decorazione,
non ebbe un processo poiché i suoi assassini rimasero ignoti, coperti
criminosamente dall’omertà. Due pesi e due misure che gridano giustizia
e di cui ben pochi conoscono i retroscena.
Non risponde quindi al vero che la "Nembo’’ disponeva nel 1944
di 10 battaglioni paracadutisti, poiché era stata ristrutturata
su 5 Btg. e 2 gruppi artiglieria, reparti minori e non superava le 4.000
unità allorché venne inserita nel CIL (Corpo Italiano di
Liberazione) poiché altri 250 paracadutisti furono assegnati a reparti
logistici (leggasi salmerie della 210a Divisione).
Al nord, invece, furono costituiti 3 Btg. paracadutisti arditi e un
Btg. allievi; un Btg. N.P. (Nuotatori Paracadutisti) della Xª MAS
e un Btg. paracadutisti della GNR ("Mazzarini’’) per circa 3.800 paracadutisti
in gran parte volontari. Nel 1945 si ebbero altre trasformazioni: al sud
venne disciolta la "Nembo’’ sostituita col Gruppo da combattimento
Folgore con un Rgt. paracadutisti su 3 Btg. nuclei sparsi di paracadutisti
fra il Rgt. artiglieria e i reparti genieri. Complessivamente non più
di 3.000 paracadutisti oltre ad un centinaio di parà assegnati allo
Squadrone F alle dirette dipendenze del comando XIII° Corps inglese.
Al nord, oltre ai precedenti reparti già accennati, si ebbero
2 Cp. autonome e reparti indipendenti composti da complementi, dal personale
del disciolto gruppo artiglieria "Uragano’’ e dagli istruttori della
scuola di Tradate; dal personale del gruppo speciale sabotaggio "Vega’’
e NESGAP della Xª MAS, dal Btg. NP e dal "Mazzarini’’. Complessivamente
circa 4.000 uomini superiori, per organici e reparti costituiti, a quelli
del sud. Nessun vantaggio numerico o per organici, quindi, sufficiente
per affermazioni fuori luogo e giustificare maggiore importanza psicologica
come avventatamente dichiarato dal nostro censore sudista. Anzi, una situazione
a favore della RSI.
Alcune precisazioni merita anche l’aspetto morale e giuridico, considerando
obiettivamente l’illegittimità del governo Badoglio secondo giuristi
e costituzionalisti affermati, nato da un colpo di Stato e mai convalidato
dagli enti istituzionali. Semplicemente, come quello della RSI un governo
di fatto ma del tutto arbitrario come aspetti decisionali, considerando
che era scappato al sud con due soli riluttanti ministri militari (altri
12 ministri erano stati abbandonati a Roma), che si era trovato brutalmente
al cospetto delle strutture amministrative create dagli alleati: AMGOT
e ACC, cui doveva ubbidienza assoluta senza alcuna recriminazione, col
territorio nazionale rigidamente controllato dai funzionari angloamericani
(soltanto nel 1944 furono consegnate quattro province pugliesi (Lecce,
Bari, Taranto e Brindisi) all’amministrazione badogliana. Badoglio fu costretto
persino a utilizzare i comandi militari in assenza di strutture civili
per applicare un minimo di legalità e ordine nel caos postarmistiziale,
proclamando la legge marziale con i poteri riservati ai militari, con l’assurdo
giuridico e offensivo, di emanare ordinanze agli italiani da parte di comandi
militari italiani, come avveniva nei territori nemici occupati.
Ciò non impedì allo stesso Badoglio di emanare ordini
suicidi per attaccare i tedeschi ovunque, col risultato nefasto di privare
i soldati italiani delle garanzie internazionali dovute allo status armistiziale,
trasformandoli in franchi tiratori, col risultato di farli uccidere impunemente
dai tedeschi per dovute legali rappresaglie, come fatalmente accaduto a
Cefalonia, Balcani e Lero. Un totale di 45 mila soldati uccisi ingiustificatamente
nel dopo armistizio. Fu necessario l’intervento di Eisenhower a Malta il
29 settembre, che consigliò prima e intimò poi a Badoglio
di far cessare le uccisioni, ripristinando lo status giuridico internazionale
col dichiarare guerra alla Germania, cosa questa che avvenne il 13 ottobre
successivo.
Resta ancora da chiarire il significato di cessare le ostilità
"per impossibilità materiale di continuare la guerra "come
dichiarò Badoglio all’armistizio, per poi ritrovare miracolosamente
volontà e capacità operativa con la proposta di "passare
armi e bagagli con gli anglo-americani’’ alla pari, come ingenuamente pensarono
i congiurati come fosse la cosa più semplice del mondo, nella convinzione
di ritenersi indispensabili e quindi di dirigere il gioco. Gli alleati
respinsero invece sdegnosamente ogni ipotesi di alleanza (l’Italia non
venne mai considerata alleata dalle Nazioni Unite, ma più dimessamente "nazione
cobelligerante’’ di nessuna importanza giuridica e operativa) e l’offerta
fatta da Badoglio sulla "Nelson’’ di concedere la "Nembo’’ venne
ugualmente respinta (confronta al proposito la testimonianza dell’interprete
ufficiale italiano Magg. Carlo Maurizio Ruspoli (fratello dei folgorini
Marescotti e Costantino).
Cosa rimane dunque come argomenti per trattare con sufficienza e distacco
i reduci della RSI? Riteniamo ben poco, se non il disagio inconfessabile
di aver militato agli ordini di simili traditori che hanno meritato il
disprezzo delle genti, anche a livello internazionale, e la squalificante
etichetta di opportunisti.
Pochi giorni or sono, in una intervista concessa ad un giornalista
del "Giornale’’, Indro Montanelli - che non può essere certamente
accusato di simpatie fasciste, pur non rinnegando il suo passato politico
- disse a proposito di Badoglio, alla domanda di come si sarebbe comportato
personalmente l’otto settembre: "Io avrei fatto esattamente quello
che fece il maresciallo Mannerheim Presidente della Finlandia, allorché
fu costretto per totale impossibilità fisica, morale e materiale
dovuta a cinque anni di guerra durissima, a continuare a combattere, chiedendo
un armistizio all’URSS che premeva alle frontiere della Finlandia, abbandonando
l’alleanza col Tripartito e la collaborazione militare con il Reich. Mannerheim
spiegò ai tedeschi la sua situazione e li invitò ad abbandonare
al più presto il territorio finlandese, cosa che si verificò
regolarmente senza particolari problemi. Disse così, il decano dei
giornalisti italiani, e aggiunse che deprecava il metodo usato da Badoglio
- subdolo e inqualificabile - le riserve mentali, le occulte intenzioni
dei congiurati, i tentativi umilianti di saltare sul carro dei vincitori.
Per concludere, spendendo due parole sull’aspetto morale, comprendiamo
e giustifichiamo il dramma personale vissuto da migliaia di italiani rimasti
al sud, consideriamo valido il rispetto del dovere militare, non accettiamo
certamente l’abuso fatto a posteriori di presentarsi e di considerarsi
"combattente per la libertà’’ quasi fosse una etichetta di
squadrista antemarcia, come accadde con Mussolini, ma soltanto una convalida
artificiosa che significava - se accettata implicitamente - complicità
morale. "Ho dovuto ubbidire agli ordini di Badoglio e Messe, ma il
mio cuore e la mia fede erano al nord con la Repubblica Sociale Italiana’’
dissero molti veterani del sud. "Il giorno che decisi di disertare
venni ferito’’ dichiarò un paracadutista della "Nembo’’ oggi
affermato medico a Roma. "Mi legarono ad un albero in prima linea
perché mi ero rifiutato di sparare contro i tedeschi. Speravano
che questi mi avrebbero ucciso come bersaglio indifeso; invece i tedeschi
capirono la situazione e mi risparmiarono’’ disse un veterano del 16°
Btg. Molti ancora, opposero pretestuosamente il giuramento fatto al Re
come ostacolo morale alla loro adesione; ma nessuno seppe che il giuramento
non aveva più alcuna validità poiché era stato infranto
per primo dal Re, violando la Costituzione, che parlava del giuramento
prestato dal sovrano "nel bene indissolubile del Re e della Patria’’.
Ma soltanto pochi obbedirono sino all’ultimo allo spirito di tale giuramento
e fra questi il vecchio generale Ercole Ronco, comandante della "Nembo’’,
il Col. Camosso folgorino e il Ten. Col. Felice Valletti Borgnini - anch’esso
folgorino - che preferirono abbandonare la vita militare al momento in
cui Umberto di Savoia abdicò e partì per Lisbona. Gli altri
transitarono senza particolari patemi d’animo dalla monarchia alla repubblica,
scoprirono una nuova fede e fecero carriera.
Noi, dunque, rappresentiamo per diritto acquisito la continuità
ideale fra la gloriosa Folgore di El Alamein e il paracadutismo della RSI:
stessi ideali, stessi nemici, stesse conseguenze. Erano gli stessi nemici
con l’elmetto a scodella che uccidevano i folgorini nelle sabbie egiziane
e massacravano i ragazzini alla difesa di Roma; erano per noi i nemici
di sempre, quelli del primo giorno di guerra e dell’ultimo giorno, quando
ci sorvegliavano e ci angariavano nei campi di prigionia. Di esempio i
folgorini comandanti Izzo e Valletti che combatterono con la Folgore a
El Alamein, fianco e fianco con i parà germanici di Ramcke, non
sapendo che un giorno si sarebbero scambievolmente uccisi sulla "Gotica’’
nella primavera del 1945, quando Badoglio e le circostanze li avrebbero
messi l’uno contro l’altro. Questo mi disse nel dopoguerra Giuseppe Izzo,
quando dovette battersi per salvaguardare il suo dovere di soldato contro
il suo amico Hubner a Grizzano, un camerata che aveva condiviso con lui,
in Egitto, le speranze, l’acqua e le munizioni contro i Tommy’s di Montgomery.
A Grizzano si guadagnò una Movm, ma avrebbe sicuramente preferito
meritarsela a El Alamein battendosi contro gli inglesi. La sua carriera
militare si bloccò a Palermo, nel dopoguerra, allorché rifiutò
di stringere la mano di Pacciardi, Ministro della Difesa, da Lui tacciato
di "traditore della Patria’’.
Valletti Borgnini si battè coerentemente col suo dovere militare
contro il reggimento Bomhler sulla "Gotica’’, pur avendo il padre
generale nell’esercito della RSI e il fratello minore Luciano, compagno
di corso dello scrivente alla scuola AA.UU. di Varese, giovane sottotenente
della GNR (morirà a Coltano per malattia non curata dal detentore
USA). Una tragedia familiare, lacerante, in cui il senso del dovere fu
più forte degli affetti privati. Ma forse questi fatti non influiscono
sulla sensibilità del censore intento a spargere l’apartheid
fra i parà, dimenticando che essi furono i primi ad abbracciarsi
a guerra finita, riconoscendosi come fratelli, non come nemici o soldati
di classe inferiore. Ci auguriamo soltanto che quando in futuro vedrà
nelle celebrazioni i paracadutisti della RSI ostentare orgogliosamente
l’insegna di "per l’Onore d’Italia’’, comprenda cosa significò
per centinaia di migliaia di soldati italiani quel motto e quell’impegno
che vide oltre centomila caduti, quarantacinquemila feriti e mutilati,
novantamila imprigionati in campi POW fra Algeria, Francia, Italia e USA
e nelle patrie galere. Oltre trentamila i processati per "collaborazionismo
col tedesco invasore’’ (erano soltanto i nostri alleati con cui avevamo
sottoscritto un patto militare nel 1939). A questi dati statistici aggiungiamo
il milione e mezzo di italiani epurati e messi alla fame, per completare
il quadro; molti i suicidi, migliaia gli emigrati nel mondo, centinaia
i dispersi nella Legione fra Indocina e Algeria "mort pour la France’’,
un intero popolo diseredato da leggi antifasciste volute dal CLN con l’avallo
di Umberto di Savoia che le firmò, mentre i "vincitori’’ si
spartivano fraternamente posti di lavoro, ricevevano lucrose pensioni,
sussidi, elargizioni, premi di smobilitazione, vitalizi, ricompense (anche
al valore militare come accadde per Via Rasella). E gli altri? Alla fame
o proscritti come appestati, come decretato dagli alpini partigiani con
una vergognosa apartheid nostrana immorale e ingiustificata creata
ad hoc.
Di certo Noi non abbiamo vestito i panni del nemico di sempre, non
abbiamo avuto l’elmetto a bacinella, poiché era remota per i folgorini,
in quanto inaccettabile, l’ipotesi che un giorno altri parà avrebbero
vestito all’inglese, sarebbero stati da loro armati e si sarebbero schierati
al loro fianco per combattere gli ex alleati ormai nemici, e se capitava
(come in realtà si verificherà) anche altri italiani.
Badoglio aveva creato le premesse della guerra civile, provocato una
frattura nelle coscienze, creato una divisione dei corpi e delle anime.
Poi la nemesi storica si riprese la sua rivincita: Badoglio venne estromesso
ed emarginato come cosa inutile ("usa e getta’’ si direbbe oggi);
il suo Re, mortificato, umiliato dai vincitori e malvisto dai partiti del
CLN andò in esilio in Egitto; suo figlio, strumentalizzato dai politici
antifascisti, firmò decine di inique leggi persecutorie contro i
soldati della RSI, poi, anch’egli ormai inutile, venne costretto a lasciare
l’Italia.
Tutto ciò non toglie nulla al valore dimostrato in battaglia
dai paracadutisti del sud poiché nomi di località come Ascoli
Piceno e Macerata, Tolentino e Aquila, Chieti e Filottrano, Grizzano e
la Herring furono altrettante tappe di una lacerante partecipazione fra
il dovere militare e la fede, i sacrifici fatti in difficili condizioni
morali. Centinaia i caduti con oltre 400 nominativi, 587 i feriti, 54 i
dispersi, centinaia le decorazioni al valore concesse e fra queste soltanto
sette quelle elargite da americani e polacchi (nessuna da parte inglese).
Non inferiori quelle meritate dai paracadutisti del nord che ebbero 621
caduti, 316 feriti e 620 dispersi e prigionieri, oltre 400 le decorazioni
meritate fra cui oltre 80 croci di ferro di 1ª e 2ª classe a
riconoscimento del valore da parte dell’alleato germanico sempre prodigo
di elogi e ammirazione per i volontari italiani.
Cosa dunque restava della nostra scelta fatta non per tentare di vincere
(la guerra era ormai perduta per la Germania) se non per salvare l’Onore
d’Italia? Fu soltanto un ideale premio morale emerso luminoso fra tante
amarezze e umiliazioni inferte dai vincitori; un valore simbolico, idealizzato
che nessuno potrà mai portarci via o permettersi di discutere. Lo
abbiamo conquistato duramente con innumerevoli sacrifici e se la Storia
ha cambiato in parte, grazie alla RSI, il suo severo giudizio sull’Italia,
lo si deve anche a chi fece di tutto per cambiarlo, sacrificandosi nel
nome d’Italia, riscattandone l’Onore.
La piccola differenza fra NOI e Loro è tutta qui!
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