Taranto. La memoria del Campo “S” dove gli inglesi reclusero militari e fascisti
L’Associazione Nuova Taranto ha tenuto un incontro per raccontare la storia del Campo di Sant’Andrea, il campo di concentramento di Taranto in cui alla fine del secondo conflitto mondiale furono trattenuti almeno 10.000 uomini in gran proveniente dai combattimenti in Grecia, in Africa Orientale e dalle formazioni della X° MAS. A relazionare sul campo di Sant’Andrea, denominato anche campo “S” o campo della fame, la dott.ssa Dina Turco la quale, oltre ad aver effettuato studi e ricerche, ha raccolto una gran quantità di materiale documentale esposto durante l’iniziativa. Attraverso giornali e corrispondenza dei comandi militari è stato, dunque, raccontato il campo “S” che, sotto il controllo britannico, ha visto il prolungamento della prigionia di quanti non avevano accettato il compromesso della cooperazione e che, per questo, subirono a guerra finita una carcerazione abusiva in condizioni di estrema indigenza.
Il ruolo della Chiesa
Vietri e la Turco
La Turco ha soprattutto evidenziato il ruolo della
chiesa tarantina che immediatamente si allertò, grazie al diretto
impegno del Monsignor Bernardi, all’epoca vescovo di Taranto, e del suo
vicario Don Guglielmo Motolese, per realizzare una straordinaria opera
caritatevole in favore dei prigionieri. Tutte le parrocchie della
diocesi furono, infatti, impegnate nella raccolta di viveri ed indumenti
destinati ai detenuti, materiale che veniva gettato all’interno dei
reticolati in cui gli stessi erano stivati. I tarantini dimostrarono
grande solidarietà anche quando il 10 aprile del 46 all’interno del
campo vi fu la rivolta che fece saltare il controllo armato, dando il
via all’esodo oltre il filo spinato. In città vecchia, presso le
abitazioni private e le parrocchie, gli evasi trovarono accoglienza per
essere rifocillati prima di essere aiutati ad uscire incolumi dalla
città per tornare alle proprie terre. Alcuni, però, furono catturati e
riaccompagnati al campo S per essere giudicati. Definitivamente
smantellato un mese più tardi, restano visibili dello stesso, di fronte a
quello che oggi è denominato quartiere Paolo VI, i basamenti in cemento
delle dieci baracche che contenevano i reduci.
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