lunedì 4 dicembre 2017

TARANTO. La memoria del Campo “S”


 Taranto. La memoria del Campo “S” dove gli inglesi reclusero militari e fascisti

“Il Campo “S” fu espressione della pura volontà di tarpare le ali a quegli uomini che erano pronti a volare di nuovo”: questa la sintesi della ricercatrice Dina Turco su uno dei luogo di detenzione in cui furono reclusi tanti prigionieri non collaboranti con gli occupanti angloamericani. L’incontro sul Campo “S” è stato condotto da Giampaolo Vietri, consigliere comunale di Taranto
L’Associazione Nuova Taranto ha tenuto un incontro per raccontare la storia del Campo di Sant’Andrea, il campo di concentramento di Taranto in cui alla fine del secondo conflitto mondiale furono trattenuti almeno 10.000 uomini in gran proveniente dai combattimenti in Grecia, in Africa Orientale e dalle formazioni della X° MAS. A relazionare sul campo di Sant’Andrea, denominato anche campo “S” o campo della fame, la dott.ssa Dina Turco la quale, oltre ad aver effettuato studi e ricerche, ha raccolto una gran quantità di materiale documentale esposto durante l’iniziativa. Attraverso giornali e corrispondenza dei comandi militari è stato, dunque, raccontato il campo “S” che, sotto il controllo britannico, ha visto il prolungamento della prigionia di quanti non avevano accettato il compromesso della cooperazione e che, per questo, subirono a guerra finita una carcerazione abusiva in condizioni di estrema indigenza.
Il ruolo della Chiesa
Vietri e la Turco
La Turco ha soprattutto evidenziato il ruolo della chiesa tarantina che immediatamente si allertò, grazie al diretto impegno del Monsignor Bernardi, all’epoca vescovo di Taranto, e del suo vicario Don Guglielmo Motolese, per realizzare una straordinaria opera caritatevole in favore dei prigionieri. Tutte le parrocchie della diocesi furono, infatti, impegnate nella raccolta di viveri ed indumenti destinati ai detenuti, materiale che veniva gettato all’interno dei reticolati in cui gli stessi erano stivati. I tarantini dimostrarono grande solidarietà anche quando il 10 aprile del 46 all’interno del campo vi fu la rivolta che fece saltare il controllo armato, dando il via all’esodo oltre il filo spinato. In città vecchia, presso le abitazioni private e le parrocchie, gli evasi trovarono accoglienza per essere rifocillati prima di essere aiutati ad uscire incolumi dalla città per tornare alle proprie terre. Alcuni, però, furono catturati e riaccompagnati al campo S per essere giudicati. Definitivamente smantellato un mese più tardi, restano visibili dello stesso, di fronte a quello che oggi è denominato quartiere Paolo VI, i basamenti in cemento delle dieci baracche che contenevano i reduci.
La principale ragione per cui questi ex combattenti restarono reclusi fu l’avvicinarsi del referendum del 2 giugno del 1946 e, dunque, la volontà del governo italiano di non rimettere in libertà, prima di quella data, quella massa di uomini determinati, per non compromettere il risultato del referendum. La storia del campo S rappresenta uno scorcio di storia sconosciuto in quanto è degli abusi, delle violenze e dei crimini che i vinti dovettero subire per la loro scelta di restare fedeli al fascismo dopo l’armistizio del 43′.

                                                                                                                                                                                                                                               


                                                                                                                                                

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