Libano: Chi di complotto ferisce di
complotto...
di Dagoberto Husayn Bellucci
Che
succede a Beirut? Dopo mesi di assoluto silenzio il Libano torna sulle prime
pagine della politica mondiale grazie al suo primo ministro, Saad Hariri,
responsabile di quanto potrà accadere nel martoriato paese dei cedri.
Vediamo di ricapitolare perché, vista dall'esterno, questa ennesima crisi di
governo libanese rasenta i limiti della demenza.
Lo scorso 4 novembre Hariri in visita ufficiale a Riad, capitale saudita, è
intervenuto con una dichiarazione alla tv panaraba «Al Arabiya» con la quale
annunciava al mondo le sue dimissioni. É chiaro che il luogo ed il modo
utilizzato dal premier libanese per comunicare la sua decisione siano apparsi
subito sospetti e, come minimo, strani rispetto alle normali prassi
politico-istituzionali dell'intero Vicino Oriente dove i blitz militari, le
crisi ed i colpi di Stato si susseguono come prassi comune oramai da
settant'anni più o meno come leit-motiv all'ordine del giorno. Se proprio non è
prassi sicuramente non è neanche un evento straordinario per un'area tanto
instabile e contesa da sempre al centro dei war-games e delle strategie
contrapposte della politica mondiale.
Ma un primo ministro che in visita ufficiale in un altro paese comunichi così le
sue dimissioni ancora non si era mai visto neanche da queste parti.
Ora i segnali che qualcosa non quadrasse all'interno dell'esecutivo libanese
guidato da Hariri con la partecipazione di Hizb'Allah era chiaro fin dal viaggio
italiano dello stesso premier di alcune settimane or sono: le dichiarazioni
rilasciate in una intervista al quotidiano romano «La Repubblica» erano
inequivocabili. Hariri aveva dichiarato di sentirsi in pericolo, che qualcuno
complottava contro la sua vita e - neanche troppo velatamente - aveva puntato
l'indice proprio contro il movimento sciita filo-iraniano ed i suoi referenti a
Teheran.
Considerando il clima ancora piuttosto incandescente nella vicina Siria e nel
nord dell'Iraq (dove si continua a combattere le ultime sacche di resistenza
dell'autoproclamato «stato islamico») prima di parlare e accusare qualcuno
Hariri avrebbe fatto meglio a preoccuparsi delle implicazioni e conseguenze che
una simile dichiarazione di ostilità avrebbero causato.
Hariri dalla capitale saudita ha parlato di un complotto pilotato dall'Iran
contro di lui.
Prove al riguardo non ne ha fornite. Solo chiacchiere.
«Il mio sesto senso mi dice che alcuni mi vogliono morto. - ha dichiarato
il premier ad Al Arabiya - C'é un clima molto simile a quello che precedette
l'assassinio di mio padre il 14 febbraio 2005. Non permetteremo che il Libano
diventi l'innesco dell'insicurezza regionale. Le mani dell'Iran dagli affari del
mondo arabo verranno recise»
Parole chiare, parole forti. Ma pur sempre parole....perché di fatti nemmeno
l'ombra. E non potevano destare maggior insicurezza politica nella capitale
libanese e nei quattro angoli del Vicino Oriente se pronunciate dalla capitale
saudita dove - come hanno osservato molti giornalisti e addetti ai lavori -
Hariri ha pronunciato un discorso che sembrava scritto da altri, senza
inflessioni «dialettali», chiamiamole così, libanesi, nell'arabo classico
parlato nel Golfo quasi che qualcuno abbia dettato e vergato per lui quanto si
voleva che dicesse... Un avvertimento? un monito? Ma per chi? E per cosa
soprattutto?
Visto che quello che di norma accade in Libano è sempre una spia per le tensioni
che si registrano quasi come tsunami nel resto del mondo arabo sarebbe bene
prendere sul serio i «moniti» di Hariri senza enfatizzarne la portata ma neanche
sottovalutarne le possibili conseguenze.
Anche perché l'Arabia Saudita, possibile regista dell'intera operazione,
interveniva neanche ventiquattr'ore più tardi con dichiarazioni altrettanto
«incendiarie» accusando Teheran di un po' tutto quello che sta accadendo nel
Vicino Oriente sostenendo responsabilità tutte da provare nel presunto
«complotto» per destabilizzare il Libano ed eliminare il suo primo ministro.
Cosa ci guadagnerebbero poi gli iraniani a eliminare Hariri è tutto da capire
considerando che i loro «alleati» di Hizb'Allah ed 'Amal (i due partiti sciiti
di Beirut) siedono al governo fianco a fianco dei ministri della Corrente
Futura, il partito sunnita del premier dimissionario.
Riad ha accusato inoltre Teheran di una sempre più netta interferenza nei
delicati equilibri geopolitici del Golfo in particolare di sostenere i ribelli
sciiti dello Yemen. Niente di nuovo considerando che sono oramai quasi 39 anni
che la principale monarchia del Golfo e la più importante potenza sunnita
regionale - sia religiosamente, sia politicamente ed economicamente - scarica le
proprie contraddizioni interne ed i suoi strali contro la Repubblica Islamica
dell'Iran.
Di nuovo ci sono soprattutto due avvenimenti: lo strumentale utilizzo di un
premier straniero, «ospite» (così si dice) a Riad, per calunniare a destra e a
manca Teheran ed i suoi alleati e soprattutto il rimescolamento delle carte
all'interno della casa regnante dei Saud dove sta emergendo sempre più
nitidamente la figura dell'erede al trono, il principe Mohammad bin Salman, vero
regista della politica estera saudita.
Dopo le accuse, reiterate anche durante la recente campagna presidenziale
americana da ambedue i candidati, piovute contro Riad di sostegno al terrorismo
internazionale di matrice al-qaedista/salafita; dopo aver perso influenza e
terreno nel conflitto siriano la strategia saudita, ringalluzzita forse dal
viaggio e dalle parole con le quali il Presidente USA Trump ha ribadito qualche
mese or sono il ruolo di principale alleato degli Stati Uniti ai petrolmonarchi
del Golfo, comincia a delinearsi in tutta la sua ampiezza ed estensione
coinvolgendo, indirettamente e senza mai nominarlo, «Israele» e facendo
presagire futuri apocalittici scenari bellici estesi a tutto il Vicino Oriente.
Infine da Riad è giunto l'invito ai propri connazionali di abbandonare il Libano
quanto prima.
Intanto un risultato i sauditi sembrano averlo portato a casa: la
destabilizzazione politica nel Libano che senza il suo premier si ritrova con un
pericoloso vuoto di potere che potrebbe preludere ad una vera e propria crisi.
In Libano quando si parla di crisi si è soliti pensare al sanguinoso conflitto
civile che insanguinò per quindici anni (1975-1990) il paese dei cedri
provocando lutti e lasciando rovine. E nessuno, neanche il più fanatico ed
estremista dei libanesi vorrebbe ripiombare lo Stato in questo autentico
scenario apocalittico...anche perché nessuno vorrebbe assumersene, un domani,
una così grande responsabilità.
Gli israeliani, dal canto loro, seguono silenti questo teatrino in salsa
libanese...
Immediate le reazioni da Beirut dove Hizb'Allah ha tuonato per bocca del suo
Segretario Generale, Sayyed Hassan Nasrallah, che ha accusato Riad di tenere
prigioniero Hariri, ne ha richiesto l'immediato rientro in patria e ha sostenuto
la piena legittimità dell'esecutivo in carica.
Quanto sta accadendo tra Riad e Beirut apre invece scenari inquietanti in
prospettiva: le strategie destabilizzanti messe in atto dalla monarchia saudita
rischiano di precipitare l'intero Vicino Oriente in un caos generalizzato, ed i
sauditi ne sono coscienti avendo per anni fatto da pompieri proprio nella
delicata situazione interna libanese. Quando il Libano singhiozza di norma
l'intero mondo arabo rischia la febbre e qui si sta avvicinando paurosamente una
bella broncopolmonite se Riad non rivedrà la sua attuale linea in politica
estera.
Una linea che sembra dichiaratamente ostile all'asse sciita
Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut dettata più dalla frustrazione di vedersi
progressivamente escludere dalle capitali arabe determinanti gli assetti di
potere ed il balance of power regionale.
Esclusi in Iraq dopo la caduta del regime ba'athista e 14 anni di occupazione
statunitense i sauditi hanno manovrato nell'ombra le forze criminali delle
diverse sigle terroristiche che da sei anni hanno provocato il caos siriano,
sostenendo - assieme a Bahrein, Qatar, Kuwait e Emirati Arabi - neanche troppo
velatamente la nascita del «mostro» Isis ed il suo radicamento tra Siria ed
Iraq.
Il principe Mohammad bin Salman, regista delle strategie estere di Riad, appare
l'uomo emergente della politica saudita: ha accusato più volte Teheran di
intromissioni nella regione del Golfo particolarmente per quanto riguarda la
delicatissima situazione yemenita.
Nel contesto della crisi yemenita Riad fin dal 2015 ha sostenuto militarmente
l'allora Presidente in carica Mansur Hadi e la repressione attuata contro i
ribelli sciiti houti sostenuti dall'ex Presidente Alì Abdullah Saleh e
appoggiati in modo informale da Teheran.
Già nel 2011 in occasione dell'ondata di proteste e manifestazioni di piazza che
sconvolsero l'intero mondo arabo e furono, forse un po' troppo pomposamente,
ribattezzate come «primavere arabe» l'Arabia Saudita era intervenuta assieme ai
suoi alleati del Consiglio di Cooperazione del Golfo per neutralizzare una
rivolta sciita nel Bahrein.
Nel confinante Yemen Riad ha preso duramente di mira l'analoga ribellione degli
houti. E non tralasciando l'ipocrisia con cui l'Arabia Saudita ha gestito la
crisi siriana dove finanziamenti e armamenti sono giunti dalla capitale saudita
a decine di organizzazioni terroristiche della autoproclamatasi opposizione
democratica siriana che di democratico non aveva alcunché e tantomeno di siriano
essendo rappresentata da tutta quella miriade di gruppuscoli terroristici in
lotta spesso tra loro di matrice integralista salafita-al qaedista.
Un analogo segnale fu, alcuni mesi or sono, l'isolamento del Qatar voluto da
Riad per «punire» i cugini meno allineati del Golfo.
Questa fino ad oggi la strategia estera di Riad. Con la mossa delle dimissioni
di Hariri la casa regnante saudita sembra intenzionata invece ad alzare la posta
e giocare «sporco» (come d'altronde ha sempre fatto): mettere in discussione gli
equilibri a Beirut potrebbe risultare una scelta pericolosissima, un rischio per
niente calcolato di cui domani qualcuno dovrà rispondere.
Aprire un vuoto di potere nel paese dei cedri significa incendiare l'intera
regione vicino-orientale perché il Libano è tradizionalmente un paese-perno
degli assetti e delle strategie regionali, per chiunque troppo importanti da
mantenere stabili.
La destabilizzazione del Libano rappresenterebbe un autentico terremoto
geopolitico dalle dimensioni e conseguenze irrimediabili, ben più devastante del
terremoto naturale che ha colpito in queste ore il confine tra Iraq ed Iran
provocando almeno trecento vittime e migliaia di feriti....
Proseguiranno i sauditi questa sciagurata politica estera volta a scoperchiare i
diversi vasi di Pandora del Vicino Oriente?
A Beirut nessuno vuole pensare a questa ipotesi, si attende il rientro già
annunciato del premier Hariri in patria, si lanciano appelli all'unità
nazionale.
Complotti? Occorre fare attenzione prima di metterne in piedi uno funzionale e
operativo, Riad dovrebbe meditare bene fin dove accelerare perché ... chi
di complotto ferisce...
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