Le opinioni eretiche: Cos’è demografia.
La demografia, questa sconosciuta: mi verrebbe da dire, sentendo
certa nostra sprovveduta “classe dirigente” pontificare sui più
disparati argomenti senza porsi il problema delle cause e, soprattutto
degli effetti, di eventi che potrebbero sembrare casuali, accidentali,
isolati; ma che invece sono legati tra di loro da precisi rapporti di
causa-ed-effetto, e le cui più spiacevoli (e previdibilissime)
conseguenze potrebbero essere forse prevenute con un po’ di sano
realismo.
Un ausilio importantissimo, essenziale per lo studio (e per la
soluzione) di tanti fra i problemi che oggi assillano i popoli potrebbe
certamente essere fornito dalla demografia. E non – a modesto parere del
sottoscritto – come fattore a sé stante, come scienza da laboratorio;
bensì come preziosa suggeritrice – mi si passi il termine – di possibili
rimedi alle urgenze dell’ora presente.
La demografia – com’è possibile apprendere da un qualunque dizionario – è
la scienza che studia le dinamiche della popolazione del mondo (o di
una sua parte) sia sotto l’aspetto biologico che sotto l’aspetto
sociale. La demografia come scienza è nata in pratica con il positivismo
(quindi appartiene teoricamente al bagaglio culturale di una sinistra
illuminata); in Italia ha avuto il suo momento di maggior fortuna
durante il periodo fascista. Nel dopoguerra la demografia ha subìto un
certo ostracismo, perché da taluni considerata “scienza fascista”. Nelle
università fu declassata al rango di “materia complementare”, di quelle
che “si davano” per alzare la media. Il suo insegnamento venne
solitamente affidato – almeno in un primo tempo – a docenti che non
avevano paura di apparire legati al “deprecato regime”; qui da noi –
ricorderanno quelli della mia generazione – ad un siciliano illustre
quale Alfredo Cucco, oculista di fama, già alto gerarca fascista e poi
parlamentare del Movimento Sociale Italiano.
Quali che siano gli antecedenti storici, comunque, oggi una buona
ripassata ad un onesto manuale di demografia sarebbe utile a tanti; e
senza neanche il timore di apparire “nostalgici”, giacché le dinamiche
del popolamento sono oggi completamente diverse rispetto a quelle degli
anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Mi permetto di suggerirne la lettura,
in uno con quella di alcuni dati statistici relativi alla popolazione
del mondo, dei suoi continenti e delle sue nazioni, della nostra in
particolare; dati da considerare non in termini astratti, ma alla luce
della realtà politica, sociale, economica e antropologica di questo
momento storico. La statistica, d’altro canto, è stata da sempre una
componente essenziale della demografia.
Cominciamo, dunque, dal più inquietante dei dati statistici: nella prima
metà dell’Ottocento tutti gli abitanti del mondo non raggiungevano il
numero di un miliardo; gli europei erano circa 200 milioni, il 20% del
totale. Centocinquant’anni dopo, nel 1950, la popolazione mondiale era
aumentata del 150% (toccava i 2 miliardi e mezzo) e l’incremento della
popolazione europea era più o meno in linea (550 milioni). Dopo poco più
di mezzo secolo, nel 2011, gli abitanti del globo erano già più che
raddoppiati (7 miliardi), mentre gli europei erano 700 milioni, il 10%.
Nel 2050 – secondo le previsioni – la popolazione mondiale salirà a 10
miliardi, mentre quella europea scenderà a 600 milioni. Altro dato che
ci interessa particolarmente: gli africani, che nell’Ottocento erano la
metà degli europei, sono oggi circa un miliardo, e nel 2050 saranno più o
meno due miliardi. Crescita da capogiro, che va a braccetto con quella –
numericamente maggiore ma percentualmente più bassa – degli asiatici:
600 milioni nell’Ottocento, 4 miliardi oggi, saranno oltre 5 miliardi
nel 2050. E, ancòra, mentre fino a poco tempo fa si riteneva che un
vagheggiato “declino della fertilità” avrebbe stabilizzato la
popolazione mondiale attorno ai 10 miliardi, oggi si prevede solo un
“rallentamento”: nel 2100, secondo le ultime proiezioni dell’ONU, gli
abitanti del globo dovrebbero essere all’incirca 11 miliardi e 200
milioni; africani e asiatici al galoppo, europei (al netto degli
immigrati) sempre in calo.
Ecco, questi numeri dovrebbero essere tenuti ben presente non soltanto
da chi insiste ancòra sul “crescete e moltiplicatevi” in un mondo che ha
sempre più fame e sete, ma anche da una classe dirigente europea
(Merkel in testa e nanetti in fila per due) che teorizza una Europa
“senza muri e senza barriere”, un po’ come quel capofamiglia folle che
progettava di togliere porte e finestre alla propria abitazione. Hanno
una pallida idea, questi signori, di quale scenario da incubo possa
prefigurarsi – da qui a 35 anni – con mezzo miliardo di europei
assediati da 2 miliardi di africani e da una parte almeno dei 5 miliardi
di asiatici? Già, perché i migranti africani e asiatici continueranno
ad avere come unica meta l’Europa, essendo l’America irraggiungibile,
protetta com’è dall’immensità degli oceani.
Passiamo ad altro. Qualcuno si è chiesto il perché dell’impennata delle
nascite nei Paesi cosiddetti “sottosviluppati”? Due i motivi: la fine
delle politiche di controllo delle nascite nei paesi poveri (avversate
da quasi tutte le confessioni religiose,
in primis dalla
cattolica) ed il progresso medico (che ha prodotto una drastica
diminuzione di aborti e morti neonatali).
E perché questi medesimi meccanismi non hanno inciso anche sulla
fertilità europea? Semplice: perché la popolazione europea – più evoluta
rispetto ad altre realtà – ha programmato la propria prole in termini
compatibili con le condizioni economiche generali. E oggi – come è
evidente – il numero massimo di figli che una coppia “normale” può
permettersi è di 2. Dal che deriva ciò che la statistica indica come
“crescita zero”. E – si tenga presente – per “normale” intendo qualunque
nucleo familiare che non sia in condizione di povertà o di abnorme
agiatezza.
Perché ciò? Perché la società odierna “impone” dei “lussi” di cui si
potrebbe benissimo fare a meno (due o tre autovetture per famiglia, un
televisore in ogni stanza, un telefonino (possibilmente di ultima
generazione) per ogni membro del nucleo familiare, le ferie al mare, la
discoteca al sabato, il ristorante alla domenica, eccetera). E, mentre è
possibile che una famiglia faccia o sia costretta a fare i “sacrifici”
che le consentano di far quadrare il bilancio, l’economia generale non
può agire allo stesso modo: due o tre auto per famiglia sono necessarie
per tenere a galla l’industria dell’auto; e tutti gli altri “lussi”
individuali o familiari servono per alimentare le altre industrie, il
commercio, il turismo, i servizi. Il progresso (tecnologico, economico,
sociale, culturale) ha generato quella che si suol definire “società dei
consumi”; e tale società, avendo ovviamente bisogno dei “consumatori”
per poter sopravvivere, ha modificato le abitudini del pubblico,
suggerendo e, anzi, quasi imponendo nuove esigenze: auto,
elettrodomestici, divertimenti, eccetera. Esigenze che inevitabilmente
drenano quelle risorse familiari che, in un diverso contesto sociale,
sarebbero probabilmente dedicate ad accogliere e ad allevare nuova
prole.
Quanto sopra va necessariamente tenuto presente nell’elaborazione di una
strategia per contenere il disastro che le statistiche demografiche
preannunziano per l’immediato futuro. È possibile quella che taluno
chiama “decrescita felice”? è possibile il ritorno ad una società
protoindustriale, con poche auto, senza tv né internet e, tutt’al più,
con un telefono “fisso” nelle abitazioni meno modeste? Se tutto ciò non è
ipotizzabile, allora la Politica europea deve necessariamente porsi un
obiettivo irrinunciabile: il miglioramento, un forte miglioramento delle
condizioni economiche della popolazione, perché solamente un maggiore
benessere e, soprattutto, la certezza di un futuro ragionevolmente
sereno potranno indurre gli europei a fare più figli, in modo da poter
meglio fronteggiare gli squilibri demografici che si prospettano.
I lettori avranno notato che, citando la Politica, ho usato la “P”
maiuscola. A ragion veduta. In un periodo di calma piatta, i popoli
possono forse permettersi il lusso di politici con la p minuscola, di
politicanti in cerca di affari e di affaristi travestiti da politicanti.
Nei momenti drammatici come quello che viviamo oggi, nei momenti
cruciali, è necessario che la Politica torni ad essere grande, torni ad
avere grinta, volontà e genio creativo. Per esempio, via le riforme
buone per un còmpito della prima classe di ragioneria, come quella che
vuol mandare i nostri figli in pensione con 400 euro al mese; e largo a
chi è in grado, per esempio, di pensare ad uno Stato che paghi le
pensioni con denaro suo, creato da una banca di Stato, e non preso a
prestito dalle banche d’affari e dai “mercati”.
Cosa non facile, perché le banche d’affari ed i mercati difficilmente
rinunceranno a servirsi di tanti politici con la “p” minuscola, del tipo
di quelli che – magari – non sanno nemmeno che cosa sia la demografia.
da RINASCITA Sinistra Nazionale
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