mercoledì 23 settembre 2015

BACCIN: STORIA DI UN EROE ITALIANO!

Baccin: storia sconoscita del soldato che sfidò tutto e tutti durante la seconda guerra mondiale

10577146_770027543053970_6138989913559749743_nOsvaldo Baccin, nato a Pescara, classe 1925, soldato per scelta nelle fila della Repubblica Sociale Italiana è un nome sconosciuto ai più e addirittura poco noto agli storici.
Vissuto nel periodo fascista e formatosi scolasticamente nel suo paese da un maestro elementare rigido nell’insegnamento dei principi dell’epoca, Baccin a 10 era già un allievo esemplare sia nella cultura, sia nell’attività fisica. Nel 1936, a soli 11 anni primeggiava nell’arte dell’uso del moschetto su tutti i suoi coetanei e anche su molti ragazzini più grandi di lui.
Dal 1937 entrò a far parte del GIL (Gioventù Italiana del Littorio) della provincia dove vinse varie medaglie per meriti sportivi. Allo scoppio della guerra, il sedicenne era già ansioso di misurarsi sul campo di battaglia al fianco dell’alleato tedesco, di cui aveva sempre dimostrato profonda stima per il rigore, secondo solo all’esempio della figura di Mussolini. Solo nel 1943 poté ufficialmente vestire la divisa di soldato. Fu mandato a combattere sulla cosiddetta linea Gustrav ad Ortona nelle fila della RSI, infatti Baccin militò soli 2 mesi nell’esercito regolare italiano, dopo l’ 8 settembre 1943 e la resa italiana firmata da Badoglio e dal Re, il nostro protagonista non ebbe dubbi e non tradì la Germania e sopratutto il suo credo, restando fedele al giuramento fascista. Ad Ortona vennè ferito ad un braccio da un scheggia di granata che si conficcò nell’avambraccio, Baccin la estrasse a freddo gridando:”Freghete”, parola che diventò più avanti il motto  della sua compagnia d’arme. Da febbraio ad aprile, ancora con la ferita non del tutto rimarginata, fu trasferito in Germania ed addestrato dalle SS tedesche di Himmler per formare un corpo distaccato formato da soldati italiani. Il generale Peter Hansen Tschimpke vide il lui lo spirito ariano e la forza del soldato europeo pronto a morire per l’Onore.
Dalla fine della primavera Baccin era un appartenente alla milizia del 7° reggimento Panzer Grenadier della divisione  ed operò fino all’autunno del 1944 nell’area intorno a Larissa, un’intera compagnia di camicie nere (circa 180 uomini) denominata La Compagnia Camicie Nere L’Aquila. Il suo compito era quello di contenere l’avanzata del nemico anglo-americano. Uccise una quarantina di invasori e non si fece scrupoli nel catturare dei ribelli partigiani.
La sua fama tra i camerati italiani cominciava a essere sempre più rilevante, tanto da essere scelto personalmente da Pavolini e aggregato alle Brigate Nere comasche.
Una volta raggiunte le terre lombarde, Baccin si rese protagonista di vicende su cui ancora oggi la storiografia moderna preferisce non esporsi. La più sensazionale riguarda la cattura di una squadra partigiana nei pressi di Carimate nei giorni precedenti al Natale di quel 1944.
In un momento di apparente calma nei combattimenti, Baccin e altri combattenti delle Brigate Nere furono colti di sorpresa da una banda partigiana. Baccin e gli altri, nonostante la netta inferiorità, sia in termini di uomini che di armamenti, riuscirono ad ingannare il nemico con una roccambolesca offensiva. Baccin, memore dei successi sportivi in giovane età, decise di arrampicarsi su un albero cercando di osservare lo spostamento dei partigiani. Dopo qualche ora di quella che fu una vera e propria caccia all’uomo, Baccin sfrutto una distrazione del comandante partigiano, appostatosi proprio sotto l’albero, per fiondarsi sul nemico e disarmarlo a mani nude. Una volta preso in ostaggio, Baccin impose la resa della banda partigiana.
Durante il trasporto degli sconfitti al vicino comando tedesco, tuttavia, Baccin riconobbe fra i partigiani un ex commilitone della battaglia di Ortona, ora passato fra le fila nemiche.
Mosso ad umana compassione e, forse influenzato dalla vicinanza del Santo Natale, Baccin offrì la libertà ai prigionieri in cambio della loro rinuncia alla lotta clandestina. La decina di partigiani sopravvissuti agli scontri accettò immediatamente, mentre alcuni promisero che si sarebbero addirittura uniti alla RSI di fronte a tanta umanità. Baccin, uomo pieno di onore e lealtà e convinto della sincerità dei prigioneri, li lasciò quindi liberi di ricongiungersi ai propri cari. Ma qui avvenne ciò che fra i reduci della RSI viene ancora oggi chiamato “l’orrore di Santo Stefano”, dalla data del tragico episodio. Tornando verso Cantù, i partigiani, disarmati ma comunque salvi, si imbatterono nella cascina della famiglia Segatti: dopo aver sfondato la porta, i partigiani rubarono tutti gli averi della famiglia, compresi i fucili da caccia del padre morto qualche mese prima a causa di un bombardamento alleato. Svegliati dal trambusto, i figli Segatti, Emilio di 8 anni e Lorenzina di 14, corserò al piano inferiore per comprendere la situazione. Qui i partigiani spararono immediatamente al piccolo Emilio, uccidendolo sul colpo, e decisero di accanirsi contro Lorenzina. Dopo averla violentata, la ragazza fu legata e gettata nel pozzo di famiglia.
La tragedia generò un enorme shock per Baccin, ora pieno di rimorso per aver concesso salva la vita a persone che credeva prima di tutto Italiani con il senso dell’onore.
Ormai privo di qualsiasi speranza nei confronti del popolo italiano, decise quindi, nel febbraio del 1945, di unirsi ad una colonna tedesca di ritorno in Germania. Qui, grazie ai contatti che aveva conservato dopo il suo periodo di addestramento, fu in grado di raggiungere velocemente Berlino dove, come raccontò molti anni dopo, “l’ideale per cui ho vissuto e per cui morirò è ancora vivo nella carne e nello spirito di questi soldati”.
Nella capitale tedesca, la situazione era disperata con le truppe alleate e sovietiche ormai in prossimità.
Con estremo coraggio, nonostante il freddo, nonostante la ferita ancora grave, Baccin prese parte agli ultimi combattimenti prima della caduta del Reich.
Nel maggio del 1945, col finire della seconda guerra mondiale, Baccin fece perdere le sue tracce aiutato da alcuni camerati tedeschi e successivamente si trasferì in segreto in Brasile. Qui conobbe altri ex combattenti e creò un centro culturale italobrasiliano. Nel primo dopoguerra, Baccin rappresentava quindi una figura emblematica per il post fascismo italiano e internazionale. Egli era inoltre molto disponibile con le nuove leve di ragazzi che si affacciavano al mondo della politica: seppur freddo nei confronti del MSI, Baccin amava sempre rispondere alle lettere dei giovani camerati che, dall’Italia, cercavano in lui un esempio. La sua storia, di cui noi stiamo riportando solo un breve riassunto, venne raccolta e trascritta da un giovane militante veneto che riuscì, più di tutti, ad entrare nel cuore di Baccin. Allo stesso corrispondente, Baccin dirà: “Dopo quel maledetto Santo Stefano, ho deciso che l’Italia non sarebbe mai più stata la mia casa.”
Stretto dall’affetto dei suoi cari, e degli ex-combattenti ancora in vita, Baccin si spense nella sua casa in Brasile, quasi ironicamente, il 28 ottobre 2010, 88 anni dopo la marcia su Roma.


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