martedì 11 agosto 2015

LA STORIA CHE NON SI INSEGNA A SCUOLA



la storia che non si insegna a scuola


Se soltanto il popolo - la gente, gli elettori come si preferisce -, fosse meno propenso a lagnarsi sempre e comunque di ogni cosa e fosse invece più attento forse il mondo sarebbe migliore: ma questo è francamente voler troppo. Parafrasando Kennedy, non chiediamoci infatti cosa potrebbe fare il nostro paese per noi chiediamoci piuttosto cosa potremmo fare noi per il nostro paese. E la risposta a questo punto appare immediata e chiara: ricordare. Memoria. Un taccuino su cui annotare parole e azioni perché, non si dimentichi nemmeno questo, troppi uomini hanno costruito carriere sconcertanti sulla latitanza della memoria del popolo, della gente, degli elettori: come si vuole. Ed è anche e soprattutto per questo che il nostro paese continua e continuerà a sbrodolare cacofonie politiche di cui seguiteremo a lagnarci tutti per altri dieci, cento, mille anni. Inutile a questo punto ricordare come ad esempio un uomo, che fu a capo dei neofascisti italici, sia poi diventato nella generale indifferenza (fatta eccezione di poche frange d’uomini all’erta) ministro antifascista: ma ripetiamolo pure che ripetere giova. Piuttosto invece sarà utile ricordare alcuni concetti, vergati e riemersi dall’oblio di alcuni eroi nostrani: sarà una passeggiata culturale utile ed istruttiva e si creda sulla parola.
 
“Gli imperi moderni quali noi li concepiamo sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti”. 
Queste parole non le scrisse Adolf Hitler bensì l’antifascistissimo Eugenio Scalfari il 24 settembre 1942. Interessante. Ma sentiamo quest’altra: 
 “la razza può considerarsi come un termine intermedio tra l’individuo e la specie, cioè fra due termini opposti, intendendo la specie, nel suo significato biologico, come la somma di tutti gli individui capaci di dare fra loro incroci fecondi”.
 Non ci troviamo ad Auschwitz e a parlare non è il famigerato dottor Mengele, bensì Benigno Zaccagnini uno dei padri della democrazia cristiana che l’11 febbraio 1939 consegnava alla stampa questi pensieri. Interessante. Ma continuiamo: 
“Si deve sentire d’istinto e quasi per l’odore quello che v’è di giudaico nella cultura. Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita. Di sangue diverso, e coscienti dei loro vincoli, non possono che collegarsi contro la razza aliena. L’enorme numero di posizioni eminenti occupate in Italia dagli ebrei è il risultato di una tenace battaglia”. 
Attenzione ora: 
“la persecuzione antiebraica è solo uno degli aspetti del razzismo nel mondo, ma ne è stata l’espressione più orribile”. 
Non si tratta di due persone diverse ma dello stesso autore Guido Piovene; la sua prima affermazione risale al 1938 sul Corriere della Sera (evidentemente allineato…), la seconda al 1961 quando il clima politico, morale ed intellettuale era ovviamente tutt’altro. Ancora interessante. Ma il Corriere della Sera ci dava dentro, tanto che un anno più tardi nel 1939 a firma di Paolo Monelli si leggeva: 
“(Gli ebrei) appaiono tutti uguali, come i cinesi, come i negri, come i cavalli. […] Sono miserabili, tengono stretti i loro quattrinelli nella pezzuola o nel pugno. Sono un inesausto serbatoio, questi ghetti polacchi. […] La Polonia paga oggi il fio d’una politica troppo accogliente per secoli”.
 Niente male, niente male davvero e noi fessacchiotti che credevamo che certe cose le dicesse solo Goebbels.  Ma andiamo avanti: 
“questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra attuale. […] A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non lontano, essere lo schiavo degli ebrei?”.
  
Non si tratta di Himmler o Pavolini, si tratta invece di Giorgio Bocca il 4 agosto del 1942. Oggi Bocca, diciamolo per chi ha il piacere di non conoscerlo, è uno dei più scalmanati antifascisti d’Italia, d’Europa, del mondo, dell’universo. Ma non accontentiamoci così: 
“La razza è l’elemento biologico che, creando particolari affinità, condiziona l’individuazione del settore particolare dell’esperienza sociale, che è il primo elemento discriminativo della particolarità dello stato”.
 Non si tratta di Rosenberg, bensì di gente abile a dire senza dire, democristiani d.o.c. per intenderci, infatti cotanto autore risponde al nome di Aldo Moro e il brano in questione è datato 1943. E queste sono soltanto alcune delle evidenze riguardanti soltanto alcuni eroi della nostra classe politica: non ci si stupisca poi se con tale sostanza umana il paese sia marcio. Ma il principale imputato in tutto questo è proprio il popolo: senza incoscienti promozioni questa gramigna sarebbe finita al rogo, per cui non ci si lamenti alla fine: si ha ciò che si merita. La distrazione pubblica (meriterebbe un ministero….) è la principale causa di questo degrado civile, politico, umano ed intellettuale; mentre  tutti si sentono in dovere di commentare le cose della politica, pochi e male ne seguono sviluppi, vicende, uomini. Il punto non sta più infatti su quale partito scegliere o quale lista appoggiare, il punto sta piuttosto nel fatto che esistono uomini ed esistono sottouomini. E questi ultimi hanno il potere, comandano, guidano, decidono, fanno. E cosa ci si potrà aspettare per il bene pubblico da sottouomini in grado di cambiare squame ad ogni circostanza? E quale movente farà agire queste teste? In quale direzione e perché? E alla fine: siamo così certi che ciò di cui stiamo parlando verrà compreso da alcuno? Nel caso si attendono risposte: di razza, per favore.
 
                                                                Lodovico Ellena       

                                                                                                           

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