venerdì 3 aprile 2015

PERCHE' IL 25 APRILE


Perché il 25 Aprile
Analisi di un evento, al di là delle celebrazioni rituali

 
Settantesima edizione dei festeggiamenti del 25 Aprile: quanti conoscono l’esatto significato di quella data? Ogniqualvolta sull’argomento sono stati resi pubblici i risultati di indagini svolte non solo in area studentesca, ma anche tra le persone di una certa età, l’esito è stato assai deludente con risposte che, se rivelano, tra i giovani, l’assoluta impreparazione a livello scolastico, denunciano, tra gli anziani, una generalizzata perdita di memoria storica. Sono in molti a credere, ad esempio, che il 25 Aprile segni, insieme al ritorno di una “libertà” tanto proclamata quanto vaga, la fine della Seconda Guerra Mondiale; taluni credono invece di individuare, in quella data, la sconfitta della Germania; altri ancora sono convinti che, in quel giorno, i partigiani liberarono l’Italia. Proviamo a chiarirci  le idee, rifacendoci a testimonianze e documenti dell’epoca. Quel che segue lo scrisse nel 1946 in “Banditi” il comunista Pietro Chiodi (che fu insegnante di storia e filosofia nei licei classici e libero docente all’Università di Torino), allora operante nella 103° Brigata d’Assalto Garibaldi: “25 Aprile. La notizia ci è giunta come un fulmine. Il Comando militare regionale piemontese ha inviato al Comando Divisione il messaggio: ‘Aldo dice ventisei per uno’, che significa: ‘Attuare piano E27 a partire dall’una del 26 aprile’”. Si trattava dunque di un ordine cifrato indirizzato agli esponenti dei partiti clandestini riuniti nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) alle diverse bande allo scopo di rendere operante, nell’imminenza del tracollo dello Stato mussoliniano, appunto quel “Piano E27” che aveva decretato l’eliminazione fisica di tutti i soldati volontari nella RSI e degli avversari politici. Riproduciamo il documento ricordando, che al punto c), la qualifica di “spia” era di fatto genericamente attribuita a chiunque fosse sospettato di non essere filopartigiano, o si trovasse in familiarità con nemici della Resistenza. Ma una cosa balza all’occhio, scorrendo questo testo: non si fa il minimo accenno ai tedeschi; qui si parla unicamente di italiani. Per quale ragione? Come mai nulla s’imputava né veniva programmato contro gli “invasori” teutoni, autori di violenze che, salvo alcune eccezioni in casi peraltro enfatizzati, soltanto oggi, a distanza di sessant’anni, fanno riaprire gli “armadi della vergogna” a zelanti quanto tardivi giustizieri? Risposta: perché il Generale Karl Wolff, plenipotenziario SS in Italia, s’era accordato in Svizzera (grazie alla mediazione dell’arcivescovo Schuster e all’insaputa di Mussolini e Hitler) con angloamericani ed esponenti della Resistenza, ottenendo di salvare la propria pelle in cambio dell’abbandono di militari e civili della RSI, con le loro famiglie, in balia delle più che prevedibili vendette. Sin dall’8 marzo 1945, infatti, il generale SS s’impegnò ad evitare che le varie formazioni germaniche attaccassero i partigiani. Wolff stesso, poi, si era reso garante della liberazione di Ferruccio Parri (vice-comandante del Corpo Volontari della Libertà), allora detenuto. Ecco ciò che avvenne, in conseguenza, nel Cuneese. In linea con la condotta adottata da Karl Wolff, il 12 aprile 1945 il capitano Wessel, a capo del presidio tedesco di Bra, concorda la resa separata con Icilio Ronchi della Rocca, Comandante della 12° Divisione Bra (delle formazioni autonome di “Mauri”, alias Enrico Martini); questi trasmette, il giorno successivo, al maggiore della missione alleata Hope, uno scritto del seguente tenore:
“ho deciso di accettare la resa del Cap. Wessel imponendogli queste condizioni.

1)Il Cap. Wessel rimane nella sua carica in condizioni di resa incondizionata.

2)La città di Bra sarà considerata virtualmente libera.

3)Durante le azioni in città contro i reparti della Repubblica, i tedeschi non dovranno uscire dalla caserma né daranno aiuto o asilo a militari.

4)Tutti gli uomini del Presidio tedesco, all’occupazione definitiva di Bra, saranno considerati prigionieri di guerra con le garanzie sanzionate dalla convenzione internazionale di Ginevra.

Nel pomeriggio ho fatto attaccare il Presidio repubblicano di Bra e dopo un violento scontro la città è stata occupata e tenuta fino alla mezzanotte, con ciò ho voluto aver conferma degli impegni assunti la mattina dal Cap. Wessel e difatti i tedeschi si sono sbarrati in caserma isolandosi completamente dagli avvenimenti”.
L’incursione partigiana su Bra, senza che la guarnigione germanica alzi un dito, costa la vita a numerosi militari italiani, sette dei quali fatti prigionieri e passati per le armi su ordine dello stesso Ronchi della Rocca (per loro, le convenzioni internazionali non contano). Anche cinque civili, “spie” sospette, vengono catturati in quelle circostanze; non ne conosciamo i nomi e nulla sappiamo sulla loro sorte. Il 14 aprile, a Sommaria Perno, reparti della GNR e della X MAS cadono in un’imboscata dei partigiani, sicuri ormai che le forze germaniche non interverranno. All’epilogo di questi fatti, saranno più di cento i soldati italiani uccisi: alcuni in battaglia; molti altri, feriti, verranno finiti sul posto; la maggior parte, dopo essersi arresi, verranno uccisi a gruppi, via via nelle varie tappe di spostamento.Gli ultimi tredici saranno “giustiziati”, dopo quasi un mese di sevizie, parte a S. Stefano Roero (sette, il 9 maggio), parte a Roreto di Cherasco (sei, il 10 maggio). I superstiti, presi in consegna dai sopraggiunti americani, verranno portati al campo di concentramento di Coltano, in provincia di Pisa.
Per offrire un’idea sul costo complessivo , in vite umane, della mattanza del 25 Aprile, di cui la sotterranea defezione di Wolff favorì l’avvio, apriamo il libro Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa a pagina 370, dove si legge: “Il 31 maggio 1945, in un colloquio con l’ambasciatore dell’URSS in Italia, Mikhail Kostylev, Togliatti sostenne che i fascisti fucilati alla fine della guerra erano stati 50.000”. Fu esattamente questo e null’altro il 25 Aprile, lo sfogo dell’odio contro inermi, une festa di sangue che, più o meno coscientemente, ogni anno si rinnova celebrandosi.
Articolo tratto da STORIA DEL NOVECENTO n. 49 dell’aprile 2005, pagina 55

    

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