domenica 8 maggio 2022

STRAORDINARIE AVVENTURE DI SOLDATI DELLA RSI

STRAORDINARIE AVVENTURE DI SOLDATI DELLA RSI
Umberto Scaroni
 

 
    Fra le tante, gloriose e spesso incredibili imprese compiute dai Reparti speciali della Decima Flottiglia MAS, al comando del Principe Junio Valerio Borghese, le meno conosciute, anche perché segretissime, sono forse quelle affidate agli "N" del Gruppo Ceccacci, composto di due Squadre di esperti "nuotatori", agli ordini del S. Ten. Aladar Kummer e del S. Ten. Renzo Zanelli, particolarmente addestrati all'uso di esplosivi e destinati ad incursioni di sorpresa oltre le linee nemiche.
    Tali azioni non erano certamente facili da portare a termine, ed il loro successo dipendeva da un lungo e specifico addestramento, compiuto sulle spiagge di Jesolo, ma anche e soprattutto da un perfetto affiatamento fra i componenti della Squadra, nonché dalla fiducia e dalla stima reciproca, dato che la vita di uno era nelle mani dell'altro.
    Ci occuperemo qui, in particolare, delle azioni compiute dalla Squadra del S. Ten. Aladar Kummer, che, a causa del suo nome, è stato talora indicato come Ufficiale tedesco, mentre si tratta di un italianissimo figlio di Fiume che, dopo aver combattuto come Sottotenente nella Divisio­ne "Trieste" nella battaglia di El Alamein e, successivamente, in diverse azioni di contenimento durante la lunga ritirata di Libia, fu ferito ai confini della Tunisia e quindi trasferito con una Nave Ospedale a Napoli, ove rimase rico­verato per una ventina di giorni.
    Dopo una breve licenza di con­valescenza, fu destinato alla "dife­sa aeroporti" di Pianello Val Tidone (Piacenza), ove lo colse la vergognosa resa dell'8 settembre.
    Mentre l'Esercito si sfasciava miseramente, Kummer non esitò a presentarsi al Centro di recluta­mento della Decima MAS, a La Spezia, l'unico Reparto che non aveva ammainato la Bandiera, e, fra le varie specialità, essendo un ottimo nuotatore, scelse gli "N" del Btg. "N.P", e provvide perso­nalmente a costituire la squadra al suo comando, reclutando a Fiume dieci giovani amici, tutti universitari. Quindi raggiunse tesolo, per uno speciale addestramento, effettuato in gran segreto. In seguito ad una richiesta d'impiego di due Squadre "N" giunte dalla zona di operazioni, Kummer e Zanelli si recarono a Penne, sede del Gruppo Ceccacci, famoso per le missio­ni già compiute oltre le linee, nei territori occupati dal nemico.
    Purtroppo, proprio quando le Squadre erano pronte a compiere un'audace azione contro i mezzi da sbarco inglesi nel porto di Ortona, in seguito allo sfondamento del fronte a Cassino il Gruppo dovette ripiegare, risalendo l'Adriatico con tutti i suoi mezzi, fino a Cesenatico, ove requisì l'Albergo Roma, nel re­cinto del Porto Canale.
    Finalmente, verso la fine di lu­glio'44, la Squadra ebbe il battesi­mo del fuoco, sbarcando nottetempo con i "tacchini" sulla costa fra Senigallia ed Ancona (già in mano agli "alleati"); ove recò notevoli danni ad un deposito di munizioni, a diverse linee telefoniche ed a vari automezzi inglesi, rientrando incolume, dopo poche ore, con il motoscafo d'appoggio.
    L’entusiasmo della Squadra era alle stelle per il successo ottenuto, e già si stava organizzando una nuova audace impresa quando il Gruppo fu ancora costretto ad ar­retrare verso Nord, fino a Dosson (Treviso), usufruendo del Porto Corsini quale base operativa e di partenza per le azioni.
    Fu allora che la Squadra Kummer, onde poter disporre di un mezzo veloce per avvicinarsi agli obiettivi e sbarcare sulle spiag­ge con i battellini, si recò a Venezia, ove requisì il motoscafo del Conte Volpi di Misurata, che usò a metà ottobre per compiere un'azio­ne nella zona tra Miramare di Rimini e Riccione.
    Lasciato al largo il motoscafo, gli incursori raggiunsero silenziosamente la spiaggia con i battellini. Quindi, strisciando sulla sabbia, raggiunsero i cespugli sulla strada ove erano allineati numerosi grossi autocarri carichi di munizioni e di esplosivi.
Minati, indisturbati, tutti gli automezzi, gli arditi "nuotatori" provvidero quindi a tagliare tutti i fili di collegamento telefonico tra i vari Comandi alleati, creando un vero caos.
    Quando la Squadra, raggiunta la spiaggia, già si trovava al largo con i suoi battellini, iniziò una se­rie di terribili esplosioni che pro­vocarono un fuggi-fuggi generale ed il più completo scompiglio fra gli occupanti.
    Purtroppo, il previsto appuntamento con il motoscafo non avvenne perché si stava avvicinando l'alba, ed ai primi chiarori il mez­zo aveva l'ordine di allontanarsi dal luogo dello sbarco, per cui Kummer decise di pagaiare con il battellino verso Nord, accorgendosi però, dopo un giorno di faticosa navigazione, che la corrente con­traria lo allontanava sempre più dalla spiaggia, per cui preferì pun­tare verso terra, per sbarcare la sera sulla spiaggia e tentare di attraver­sare le linee a piedi.
    La Squadra sbarcò infatti vicino a Rimini, e si avviò camminando in colonna lungo la circonval­lazione della città. Ad un certo punto, però, arrivò nel senso con­trario una pattuglia nemica (anche questa in fila indiana) che portava sul basco dei distintivi simili a quelli dei nostri Marò, il cui capofila li salutò militarmente. Kummer, istintivamente, tese il braccio in avanti nel regolamentare saluto fascista, ma, accorgendosene, ripiegò subito il braccio portando la mano al berretto. Tutto andò liscio, e le colonne sfilarono così una accanto all'altra con una sequenza da film comico, malgrado la pericolosità della situazione.
La squadra Kummer decise quindi di dividersi per tentare separatamente di rientrare attraverso le linee con maggiori possi­bilità di successo: chi scelse di indossare abiti civili e chi, con Kummer, decise di restare in divi­sa. Quest'ultimo gruppetto si di­resse quindi verso Cesenatico, zona familiare, e si rifugiò in una cascina disabitata dei dintorni, ma improvvisamente, di notte, fu sorpreso e catturato da un gruppo di soldati polacchi, che lo caricò a calci su un camion e lo portò in carcere a Forlì, da dove, dopo qualche giorno, fu trasferito a Roma, a Cinecittà, ove aveva sede il servizio di spionaggio alleato.
    Kummer, dopo venti giorni di demoralizzante isolamento, fu infine interrogato da un ufficiale maltese, che parlava italiano, ed avendo appreso che anche gli altri componenti della Squadra erano stati catturati in borghese, riuscì a salvar loro la vita dichiarando e dimostrando che non erano spie, ma militari incursori del suo Reparto che tentavano di passare le linee senza dar nell'occhio.
    Quanto alle informazioni mi­litari richieste, Kummer ebbe l'impressione che quegli interrogatori, anche se rimanevano senza risposta, fossero inutili, dato che gli "alleati"... sapevano già tutto!
    In tempi successivi, nella sua stessa cella furono rinchiusi il collega Zanelli - la cui Squadra era stata pure catturata dopo un riuscito attacco nelle retrovie inglesi - ed il fratello Carlo, dei mezzi d'assalto della Decima dislocati a San Remo, catturato in mare dopo aver affondato il suo M.T.M.
    I tre prigionieri studiarono su­bito insieme un piano di fuga, ma non riuscirono a realizzarlo perché vennero divisi e trasferiti nel campo di concentramento di Afragola (Napoli). Ad Afragola furono caricati su un treno di carri bestiame diretto a Taranto, dove sarebbero stati imbarcati per l'Algeria. Giunti in Basilicata, non volendo essere trasferiti in Africa, i nostri amici tentarono finalmente la fuga, riuscendo a scardinare le tavole dal fondo del vagone con un vecchio chiodo arrugginito strappato a fa­tica dalla porta. Quindi, dì notte, riuscirono a calarsi uno alla volta sulle rotaie, approfittando dei rallentamenti del treno e subito si al­lontanarono dalla ferrovia attraverso la campagna dove, in una casa colonica, trovarono una insperata e generosa accoglienza da parte dei contadini, ai quali si era­no presentati come cittadini del Nord desiderosi di tornare a casa, e che offrirono loro da mangiare e da dormire.
    All'indomani, considerata la grande distanza dalle linee del fronte, allora attestate sulla Linea Gotica, approfittando del fatto che Zanelli parlava l'inglese, i tre fug­giaschi compirono una ennesima bravata, chiedendo ed ottenendo il passaggio su un camion diretto al Nord. Tutto andò bene, e con un auto-stop dopo l'altro il gruppetto riuscì ad arrivare a Roma senza destar sospetti.
    Proseguendo a piedi verso la Toscana, mentre attraversavano la piazza di un paese, i tre fuggitivi furono però notati da alcuni citta­dini che, insospettiti, li trattennero in Comune "per chiarimenti" fino all'arrivo dei Carabinieri, i quali, evidentemente informati della loro fuga, senza tanti discor­si li portarono a Roma, proprio a Cinecittà, ove l'Ufficiale maltese dei Servizi Segreti li accolse sorridendo ironicamente chiedendo loro se avevano fatto un bel viaggio!
    Ciò, anziché deprimere, stimolò la reazione dei nostri Eroi, che subito si misero all'opera per rea­lizzare il piano di fuga già studia­to nel corso della loro precedente "villeggiatura" a Cinecittà. Dopo aver svitato con un coltello trafugato la griglia dell'aeratore sul soffitto della cella, strisciando nel tubo dell'aria Kummer e Zanelli riuscirono infatti a calarsi nella "stanza dei microfoni" (ove si registravano le conversazioni fra i detenuti), che non aveva reticolati alle finestre, e di qui scapparono di notte, ultimando con successo le loro mirabolanti avventure.
    Arrestati dagli inglesi nel 1945, verso la fine della guerra, Kummer e Zanelli vennero trattenuti "per punizione" nel campo speciale di concentramento di Rimini fino all'estate 1947, quando gli inglesi, lasciando l'Italia, furono costretti a liberarli.
    II S. Ten. Aladar Kummer è ora un attivo componente ed un valido collaboratore della Federazione di Bergamo dell'U.N.C.R.S.I..
 
 



VITTORIOSISSIMI I MARINAI DELLA DECIMA, PERCHE' HANNO REALIZZATO TUTTI I LORO PROPOSITI
da DECIMA! - GLI ENNEPI' SI RACCONTANO.  Sergio Bozza
 
    "PER L’ONORE"
    "Riscattare la dignità del soldato italiano, vendicare l’inganno perpetrato alla nostra flotta, frenare la tracotanza dei tedeschi"
    Obiettivi raggiunti, Capitano!
     
    I nostri sacrifici sfortunati?
    Perché sfortunati?
    Non è retorica. Racconto:
    In una notte di settembre del 1943, di ritorno da una sfibrante "Missione di ricupero" (di armi, munizioni, vestiario, viveri, attrezzature, ecc., tutte merci che scoprivamo, sequestravamo, o pagavamo a mercato nero) ci si trovava nella caserma del Muggiano, intenti a mangiucchiare quanto un cuciniere assonnato ci aveva ammannito, quando inaspettatamente comparvero Junio Borghese, comandante della Decima Mas e il maggiore Umberto Bardelli, all’epoca suo braccio destro. Il Principe con la mano ci fece cenno di stare seduti e ci ascoltò sull’esito della missione.
    "Buon lavoro, gente!" (in marina gli equipaggi sono chiamati "gente") ci disse alfine "Ora riposatevi perché ci sarà ben altro da fare".
    I due stavano allontanandosi quando, chissà perché, un allievo ufficiale, Giuseppe Mainenti, disse ad alta voce: "Comandante, vinceremo!". Borghese si fermò, e solo dopo qualche istante, girandosi con una delle sue famose occhiate a Bardelli, tornò ad avvicinarsi lentamente alla nostra tavolata.
    Alla fioca luce che a malapena illuminava la vasta e silenziosa mensa ci guardò attentamente, uno per uno; mise un piede sulla panca e, sporgendosi in avanti appoggiato a un ginocchio, ci disse: "Se siete qui è perché siete degli uomini e a questi uomini io dico di ascoltarmi attentamente e di ricordare sempre". (Non so se avete mai sentito Borghese, ma quando il Comandante parlava, inchiodava l’uditorio con il suo periodare, breve e secco com’era). "Non ci sarà nessuna vittoria, perché la guerra è perduta, definitivamente perduta da quando gli USA sono entrati nel conflitto".
    "Non avete la minima idea di quale sia la loro vera capacità industriale. Io lo so. Perciò nessuna illusione di vittoria. Noi siamo qui, e andremo fino in fondo, perché all’ombra della nostra bandiera dobbiamo batterci a ogni costo per riscattare l’onore del soldato italiano, perché dobbiamo vendicare l’infame inganno perpetrato nei confronti della nostra flotta, perché dobbiamo difendere - capitemi chiaramente - la nostra terra e le nostre genti dalla jattanza e dalla prevaricazione dei tedeschi. Sarà difficile, sarà duro, correrà sangue, ci saranno immensi sacrifici, ma se manterremo questi propositi - solo questi propositi - e li realizzeremo, allora sì che avremo vinto".
    Con una fredda inquisitiva occhiata a ognuno di noi, di scatto, si rizzò e senza aggiungere altro se ne andò col taciturno Bardelli.
    Cari, tristi pessimisti: Gli NP, gli uomini della Decima (con tutti i soldati della RSI) hanno mantenuto l’impegno prospettato dal Comandante, lo hanno realizzato e quindi:
    "Noi abbiamo vinto".
    I nostri sacrifici sono stati sfortunati?
    Al contrario: fortunatissimi.
    Compreso a fondo il significato dell’onore delle armi riconosciuto alla Decima dagli inglesi?
    Viste le dichiarazioni di Eisenhower?
    È il massimo!
    E inoltre: lo scomodo alleato tedesco è stato tenuto a bada e non ha fatto vendette sull’Italia. Innocue furono rese le ciurmaglie politiche. Funzionarono le ferrovie, gli approvvigionamenti alimentari, gli assegni familiari per un milione di prigionieri, le scuole di ogni tipo, la vigilanza contro i ladri, l’agricoltura che molto produsse e il lavoro dei civili che non mancò mai. Tutto, e al meglio, fino al penultimo giorno, 24 aprile 1945. Che si voleva di più?
    Possiamo andare fieri a rapporto:
    "Abbiamo vinto, comandante!"
    Nella Storia, quella con la "S" maiuscola, il silenzio dei vinti molte volte vale di più del clamore dei vincitori.
    Decima!
    Dal Nieppi
    ex allievo uff.
    II compagnia "NP"
 
 
da DECIMA! - GLI ENNEPI' SI RACCONTANO.  Sergio Bozza


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