lunedì 20 dicembre 2021

Xa MAS LE ULTIME RESISTENZE, GLI ULTIMI ASSALTI

Xa MAS LE ULTIME RESISTENZE, GLI ULTIMI ASSALTI               


TUTTO IN UNA NOTTE. SERGIO DENTI E L'ULTIMA LEGGENDARIA IMPRESA DELLA Xa FLOTTIGLIA MAS
 
 

    Nella notte fra il 16 e il 17 aprile del 1945, a una settimana dalla fine della guerra, il pilota Sergio Denti affonda da solo un cacciatorpediniere francese. Questa è la sua storia. Luca Rimbotti
 Dopo l'8 settembre 1943, com'è noto, migliaia di italiani, spesso giovanissimi e volontari, hanno continuato a combattere al fianco degli alleati tedeschi nei reparti regolari costituiti sotto le bandiere della Repubblica Sociale Italiana, nella certezza di agire per il bene della Patria.
    Soltanto di recente, però, questo fatto incontestabile è stato riconosciuto anche da parte di quanti (e sono molti) per decenni si sono ostinati a negare a tanti italiani il giusto titolo di combattenti: uomini che al nord come al sud non hanno dimenticato di essere tali, e ai quali molto devono la nostra memoria storica e la nostra coscienza di popolo civile. Ed è uno di questi uomini che incontriamo nei pressi di Firenze, sui declivi del Passo della Consuma: Sergio Denti.
 
 
 
 
Sergio Denti. Una vita passata fra tele e vele
    La sua è una casa d'artista: quadri ovunque, ritratti di autori famosi - su una parete campeggia lo stesso Denti, ritratto in divisa da marinaio da Ottone Rosai; sulla parete centrale dell'accogliente sala spicca una splendida "Marina" di Lido Bettarini.
    Il padrone di casa, 72 anni ben portati, è un uomo gioviale e di modi cortesi, da molti anni affermato mercante d'arte, amico di pittori e frequentatore di ambienti artistici e letterari.
    Del resto, questo è sempre stato il suo mondo: da ragazzo, Sergio Denti stava a bottega dallo stesso Rosai, come intagliatore di legno e disegnatore. La sua strada sembrava segnata, e il futuro tranquillo.
    Ma il destino aveva in serbo per lui qualcosa di molto diverso, qualcosa che lo avrebbe tenuto per anni a un passo dalla morte.
 
    10 giugno 1940: la guerra e le prime azioni
    Quando scoppia la guerra, Sergio Denti è ancora un ragazzo: ha soltanto sedici anni, è il più giovane volontario della Regia Marina Militare e persino i giornali dell'epoca si occupano di lui. A diciassette è già imbarcato sulla silurante Orsa, che scorta i convogli italiani da e per l'Africa Orientale. Cominciano qui le innumerevoli missioni cui partecipa il giovanissimo marinaio: atti di guerra e decorazioni non si contano.
    Nel dicembre 1941, l'unità di Sergio Denti era alla fonda nel porto di Trapani quando venne attaccata da una squadriglia di caccia inglesi: in mezzo alla confusione e al comprensibile panico seminato dagli incursori, e nonostante vedesse cadere attorno a sé più d'un compagno d'arme, il giovane Denti ebbe la presenza di spirito di porre al sicuro detonanti e inneschi di almeno seicento torpedini "Elia", contenenti ognuna 300 chili di tritolo - materiale esplodente che, colpito dal nemico, avrebbe prodotto nel porto (e di riflesso in città) effetti devastanti. Per questo il marinaio Denti ricevette un Encomio Solenne. Nella seconda metà del 1942, poi, Sergio Denti venne decorato con due Croci di Guerra al Valore Militare e un Encomio Solenne per altrettante azioni che l'avevano visto protagonista.
    All'epoca Denti era il responsabile addetto alle armi subacquee della silurante Orsa; nel giugno del 1944, mentre l'unità incrocia nelle acque di San Rossore di Migliarino Pisano, una rovinosa incursione nemica distrugge completamente una squadriglia italiana; incurante del pericolo, Denti ha il coraggio di risalire sul mezzo in fiamme nel tentativo di soccorrere il suo primo pilota secondo capo Luigi Taccia. Purtroppo l'eroico sforzo si rivela inutile, e in quel tragico frangente trovano la morte anche il S.T. Mario Tului e il S.C. Antonio Bandiera. Sergio Denti si salverà guadagnando la riva dopo una nuotata di cinquanta chilometri; verrà decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
 
Una scelta difficile nei giorni dei facile tradimento
    Poi, come un fulmine a ciel sereno, ecco il 25 luglio e quel maledetto 8 settembre 1943.
    Sergio è in convalescenza; all'indomani dell'8 settembre si presenta a La Spezia, convinto di ritrovare l'Orsa sulla quale era imbarcato. Ma invece della silurante trova il comandante Junio Valerio Borghese che sta riorganizzando i reparti della leggendaria Xa Flottiglia MAS.
    Denti non esita neppure un istante: ha soltanto diciannove anni, ma è già sottocapo torpediniere con una notevole esperienza alla bandiera, che gli suggeriscono immediatamente la condotta da tenere.
    Come ricorda ancora adesso, entrare nei reparti d'assalto della Xa Flottiglia MAS fu la cosa più ovvia e naturale: continuai a mettere la mia competenza, il mio entusiasmo e la mia voglia di battermi a disposizione della bandiera per la quale avevo lottato negli anni precedenti. Avevo intatta la coscienza di combattere per l'Italia. Ci tengo ad aggiungere - e la cosa mi pare molto importante - che noi della Decima avevamo l'ordine tassativo di non attaccare in nessun caso unità italiane non appartenenti alla RSI: e questo la dice lunga sul nostro spirito di lealtà nazionale e patriottica».
    Così Denti si arruola nella Marina Militare della neocostituita Repubblica Sociale Italiana, dove si distingue per ardimento e competenza, e dove compirà il suo autentico capolavoro.
 
Sempre in prima linea a una settimana dalla fine della guerra
    Intanto gli eventi precipitano: la vicenda della Repubblica Sociale Italiana volge al termine.
    Dopo meno di due anni le forze soverchianti degli alleati angloamericani e l'odioso clima di terrore instaurato dalla guerra civile hanno la meglio sull'eroismo dei "repubblichini" - come venivano spregiativamente chiamati i combattenti italiani rimasti fedeli al patto con la Germania.
    Naturalmente, come sempre avviene in simili circostanze, anche in seno alla RSI c'è chi pensa al proprio tornaconto e a come costruirsi una comoda verginità politica in previsione di un "dopo" che si annuncia difficile.
    Ma non Sergio Denti: che, a giochi fatti ed essendo ormai scontata la vittoria anglo-americana, fedele alle consegne continuava a rischiare la pelle per un'idea ormai irrimediabilmente destinata a soccombere, insieme a un'intera epoca. Il giovane marinaio non venne meno al suo dovere neppure quella notte fra il 16 e il 17 aprile 1945, a una settimana dalla fine e a meno di dieci giorni dallo scempio di piazzale Loreto.
    Lasciamo ora, cinquant'anni dopo, che sia lo stesso Sergio Denti a raccontare come andò.
 
« sapevamo benissimo di andare incontro ad una sorte incerta ... »
    “Era il 16 aprile. Ci trovavamo nell'alto tirreno, una zona in cui potevamo incrociare facilmente navi di varie nazionalità nemiche. Quella sera uscimmo in sei per una delle azioni abituali sui nostri MTM. Gli MTM erano comuni motoscafi turistici modificati, più noti come "barchini", carichi ognuno di 300 chili di Tetril (un esplosivo tre volte più potente del tritolo) e col posto di guida a poppavia, da dove si veniva catapultati in mare al momento dell'attacco alle unità avversarie.”
    “Va da sé che nei "barchini" la situazione del pilota era piuttosto diversa da quella dei famosi "Maiali". Quelli di cui disponevamo erano mezzi fragili e facilmente vulnerabili; noi eravamo piloti di superficie; ci trovavamo il nemico in faccia ed eravamo consapevoli di andare incontro ad una sorte molto incerta: infatti il nemico, una volta che ci aveva individuati, veniva a godere di un grande vantaggio nei nostri confronti, dal momento che disponeva di una potenza di fuoco contro la quale la nostra carica esplosiva poteva agire soltanto in ritardo e all'ultimo momento - il "barchino" veniva lanciato contro il nemico a grande velocità, e lo si abbandonava soltanto a pochi metri di distanza dall'obiettivo. Inutile farsi illusioni: si trattava proprio di piccoli natanti, praticamente indifesi contro giganti bene armati. Quella sera, dunque, trascorso del tempo mi resi conto di aver perso il contatto con gli altri "barchini". Dopo aver scrutato a lungo nel buio alla ricerca dei miei camerati, non riuscendo a scorgere niente e nessuno decisi allora di rientrare alla base”.
 
« nel buio»una sagoma scura all’orizzonte ... »
    “A un tratto, mentre già mi avviavo sulla rotta di rientro, mi parve di scorgere una lunga sagoma scura che si stagliava all'orizzonte. Pensai a un traino. «Mi stropicciai bene gli occhi per capire di che si trattasse, e nel frattempo vidi che quella massa si divideva in due, poi in tre. Quella che in un primo momento, da lontano, mi era sembrata solo una nave, si rivelava ora un gruppo di tre corvette e un'altra nave più grande, che al momento non fui in grado di classificare. Sulla base delle conoscenze che avevo, mi sembrava anomala; inoltre, nonostante le competenze acquisite era estremamente difficile riconoscere il profilo di una nave inattesa: in giro c'erano unità francesi, inglesi, americane e quelle italiane appartenenti alla Marina Militare del sud.”
    “E poi si era al buio, su un natante a bordo del quale la stessa persona doveva essere contemporaneamente pilota, motorista, radiofonista, ufficiale di rotta e di strategia d'attacco, capace di operare, anche in quei momenti di tensione estrema, il calcolo cinematico fra posizione del "barchino" e velocità dello stesso in relazione ai medesimi valori della nave avversaria, così da imprimere al "barchino" la giusta velocità per colpire l'unità nemica. Un uomo solo doveva svolgere in condizioni proibitive una quantità di ruoli differenti, il che aumentava la difficoltà e il margine di errore.”
    “Improvvisamente mi ricordai che eravamo stati avvertiti del probabile passaggio di un convoglio nella zona. Ora la mia preoccupazione era quella di mantenere la rotta per colpire: cosi, non vedendo più i miei camerati, mi affrettai verso le quattro navi, decidendo di tentare attacco al bersaglio più grosso - avrei saputo più tardi che si trattava del Trombe, un cacciatorpediniere francese di grande tonnellaggio.”
    “Controllai lo zatterino, che avrebbe dovuto servirmi per pormi in salvo; appena il motore fu su di giri, esplose immediata la reazione nemica: un nutrito fuoco di sbarramento con cannoni e mitragliere, a cui si aggiungevano i mille bagliori delle traccianti che squarciavano il buio”.
 
« L’esaltante sensazione di sentirmi una specie di semidio ... »
    “Il fragore era tremendo: mi sembrava che tutto quel fuoco incrociato convergesse su di me, eppure avevo la sensazione di essere invulnerabile. Ricordo bene di avere provato emozioni esaltanti: vedevo che non morivo, mi sentivo una specie di semidio, un eroe antico...”
    “Arrivato a un centinaio di metri dalla nave più grande, bloccai il timone, tirai la leva di sicurezza al congegno di esplosione che contemporaneamente libera lo zatterino dal "barchino" e subito mi trovai in mare. Dopo non so più quante capriole sul filo nell'acqua, riuscii finalmente ad arrampicarmi sullo zatterino: ma quella tregua fu di breve durata.”
    “A causa dello spostamento della massa d'acqua provocato dall'esplosione, persi lo zatterino e fui investito da una folata d'aria calda: mi ritrovai con una mano ferita, e per di più mi sanguinava anche la testa.”
    “Nonostante il dolore, cominciai a nuotare. Mi assalirono molti cupi pensieri: temevo di essere linciato dai naufraghi, se mai mi avessero scorto, e ricordai di aver letto che i pescecani avvertono da lontano l'odore del sangue. Cosi presi a nuotare soltanto con la mano sana, tenendo quella ferita fuori dall'acqua; intanto decisi che se fossero arrivati i pescecani gli avrei offerto subito la testa per evitare di essere dilaniato a partire dalle gambe e risparmiarmi così una morte orrenda. Non fu cosi. Più tardi, a notte ormai inoltrata, fui recuperato da un cacciasommergibile francese, a bordo del quale mi vennero prestate le prime cure.”
 
 
 
 
«Soldi e cioccolata in cambio del famoso Panerai... »
     “Il giorno dopo, di mattina presto, bendato alla testa e con la mano ancora sanguinante, il Comandante in seconda del cacciasommergibile mi accompagnò all'ospedale di Nizza. «Io ero sfinito: il comandante se ne accorse e, strada facendo, decise di offrirmit una cioccolata calda. Cosi ci fermammo in un bar, dove premurosamente il comandante mi fece accomodare a un tavolino. Al polso portavo l'orologio in dotazione ai piloti dei "Mezzi d'Assalto", il famoso e oggi introvabile 'Panerai'. Il comandante guardava alternativamente me e il mio orologio, e alla fine mi disse: "Lei si rende conto che questo orologio glielo leveranno senz’altro: io, se me lo cede, sono disposto a pagarglielo". E, senza neppure aspettare la mia risposta, cominciò a posare sul tavolino delle banconote di cui io ignoravo totalmente il valore: siccome guardavo sia lui che il denaro, il comandante pensò che io stessi valutando la sua offerta e continuò ad ammucchiare banconote fino a svuotarsi le tasche.”
    “A quel punto mi tolsi l'orologio, lo misi sul mucchietto e spinsi il tutto verso di lui, dicendogli: "Se è vero, come lei dice, che mi toglieranno senz'altro l'orologio, a maggior ragione mi toglieranno anche il denaro: quindi è meglio che tenga tutto lei". «Il comandante, stupito, volle a tutti i costi che gli dessi il mio indirizzo, ma poi non ne seppi più nulla.”
    “Lasciammo il bar e proseguimmo per l'ospedale di Nizza, dove il comandante mi raccomandò ai medici, che si presero cura di me con la massima attenzione e un ammirevole rispetto”.
    “Naturalmente non mancarono gli episodi spiacevoli, come quello dell'interrogatorio piuttosto rude cui venni sottoposto da un emissario italiano del CLN, che mi colpì deliberatamente sulla ferita al capo, per punirmi di non aver voluto fornire informazioni (non solo di carattere militare) agli alleati.”
    “Infine fui tradotto al campo di concentramento di Bonrencontre, nei pressi di Tolone. Fu soltanto qui che appresi da alcuni miei camerati, già protagonisti dell'"Operazione Onore", le prime frammentarie notizie sui tragici avvenimenti italiani della fine di Aprile.”
 
 
 
 
 
 La memoria   di quel gesto è viva grazie al ten. Fracassini
    Si conclude cosi il racconto di Sergio Denti, l'unico pilota dei Mezzi d'Assalto ad aver colpito una nave non alla fonda, ma in movimento. Il suo gesto solitario avrebbe potuto passare sotto silenzio, visto anche il momento in cui fu compiuto, se non fosse stato per il tenente di vascello Gustavo Fracassini.
    Fracassini, pluridecorato al Valor Militare, all'epoca comandava la base ovest di Sanremo dalla quale Denti dipendeva direttamente. In tutta evidenza, Fracassini ricevette la segnalazione dell'accaduto dai commilitoni di Denti, i quali, rientrando alla base senza il loro camerata e avendo udito il boato del "barchino" esploso contro l'unità francese, avevano subito compreso che cosa fosse successo.
    Infatti la sorte dei "barchini" era l'esplosione in caso di urto o l'autoaffondamento in caso di mancato bersaglio.
    Il tenente Gustavo Fracassini che in seguito all'accaduto propose Sergio Denti per la Medaglia d'Oro al valor Militare - cadde pochi giorni dopo, il 26 aprile, vittima di un'imboscata partigiana mentre si recava a Milano eseguendo gli ordini del comandante Borghese.
 
La nuova repubblica umilia i valorosi combattenti italiani
    Il rientro alla cosiddetta "normalità" fu durissimo: a Denti, protagonista di un'impresa straordinaria, non venne conferita nessuna ricompensa per un atto riconosciuto di valore militare che avrebbe dato lustro ad ogni marina combattente.
    Anzi, secondo un discutibile costume ben presto invalso nella nuova repubblica italiana, il militare che aveva rischiato di persona compiendo il proprio dovere fu costretto a subire ogni specie di persecuzione. Così, nell'immediato dopoguerra, il clima pesantemente discriminatorio nei confronti dei combattenti della RSI umiliò Denti ponendolo in congedo forzato per grave mancanza disciplinare. Eppure, a vederlo oggi, Sergio Denti appare pacato, sereno e convinto di aver speso bene la sua giovinezza: “E' così. Io amavo il mare. Quando ero ragazzo guardavo l'Arno e mi immaginavo il mare come un fiume molto pi grande, con l'altra riva lontana lontana... Poi ho imparato a conoscere bene il fascino e le insidie del mare, ma più ancora le insidie degli uomini, quando portano la divisa di un nemico. Io conoscevo il mio dovere, e l'ho fatto fino in fondo”.
    E questo, dunque, l'esempio vivente di come spesso gli italiani, specialmente quelli venuti dal popolo semplice e genuino, siano migliori di chi li governa. Uomini così, presso altri popoli più orgogliosi del nostro e più gelosi della propria storia, farebbero ormai già parte dell'epopea nazionale.
 
 
 
 
 
 
STORIA DEL XX SECOLO.
 
La mia "acquaticità" si manifestò già all'età di otto anni, quando partecipavo alle Colonie Marine della G.I.L.; più o meno nello stesso periodo nutrivo la passione per il mare con una gran quantità delle letture allora più in voga - Salgari, Verne... Le avventure marinare mi attraevano straordinariamente, e finii coi diventare persino giocatore di pallanuoto. Il 10 giugno 1940 avevo appena compiuto sedici anni (sono nato il 3 giugno del '24, a Prato). Mi presentai volontario per la leva di mare, mentendo sull'età; dopo tre giorni fui giudicato idoneo e mandato a La Spezia, dove cominciai il corso di torpediniere.
Il mio primo imbarco fu sulla Regia Torpediniera Orsa, che all'epoca svolgeva mansioni di scorta convogli lungo le rotte dei Mediterraneo meridionale. Le mie frequentazioni coi pericolo cominciarono presto: una delle prime missioni fu il trasporto di 20.000 taniche di benzina. Il rischio era enorme: basti dire che la trasgressione al divieto assoluto di fumare a azionare gli interruttori di bordo comportava la pena di morte. Fu un incubo. Finalmente giungemmo a Derna, dove non entrammo in porto ma sbarcammo in mare le 20.000 taniche, assicurate l'una all’altra da una cima e poi trascinate a riva; poi la torpediniera venne lavata da cima a fondo prima di riprendere il mare. Ma il mio primo incontro con la morte è avvenuto in occasione dell'attacco aereo inglese nel porto di Trapani, nel dicembre del '41, quando, unico superstite dell'equipaggio, riuscii ad allontanarmi con la bettolina carica di 600 torpedini che costituiva l'obiettivo dell'incursione nemica. In seguito fui riconosciuto colpevole di disobbedienza e imprigionato nell'isoletta di Colombaia; ma l'Ammiraglio Comandante, saputo il fatto, mi mandò a prelevare per consegnarmi, a nome di Sua Maestà il Re, un encomio solenne.
Cosi, quando arrivò l'8 settembre, io avevo già una certa esperienza in fatto di guerra e di esplosivi. L'armistizio mi colse a casa, a Firenze, dove mi trovavo in convalescenza in seguito alle ferite riportate in un attacco di Spitfire nel mese di aprile: l'Orsa mi aveva sbarcato a Marsiglia il 24 di quel mese. Naturalmente mi precipitai a La Spezia per imbarcarmi di nuovo sull'Orsa, ma m'imbattei nel comandante Borghese, già medaglia d'oro della Regia Marina, che stava organizzando la Xa MAS. Il comandante dell'Orsa mi riconobbe subito, chiamandomi col soprannome che mi ero guadagnato - “Pallino”. Borghese mi accettò subito nel corso di pilota dei Mezzi d'Assalto di Superficie (appunto, i MAS). A volte siamo stati paragonati ai kamikaze giapponesi: è vero che anche per noi, consci che in quel momento si poteva davvero dire tutto è perduto fuorché l'onore, la morte rappresentava l'unica alternativa. Ma non è la stessa cosa. Devo sottolineare anche un'altra cosa: e cioè che le missioni dei “barchini” esplosivi, a differenza per esempio dei famosi "maiali", offrivano al pilota pochissime possibilità di salvezza. Infatti si agiva in superficie, allo scoperto: si era quindi esposti al fuoco incrociato delle navi nemiche e poteva capitare (caso in verità non raro) di morire prima di aver raggiunto l'obiettivo. Inoltre l'agire individuale, senza il supporto tecnico e morale di un compagno, faceva sì che la missione fosse affidata unicamente alla saldezza d'animo e alla determinazione dei pilota.
Ma il brutto è stato dopo. Tornare a vivere in un mondo in cui non ritrovavamo più nulla della nostra cultura e della nostra tradizione. Abbiamo subito tutte le angherie della cosiddetta prima repubblica - che io continuo a chiamare seconda, perché ho la convinzione che la prima vera repubblica sia stata la Repubblica Sociale Italiana.
 (testo raccolto da Francesco Pozzi)
 DECALOGO DELLA Xa MAS
 
Stai zitto
Sii serio e modesto
Non sollecitare ricompense
Si disciplinato
Non avere fretta di operare. Non raccontare a tutti che non vedi l'ora di partire
Devi avere il coraggio dei forti, non quello dei disperati.
La tua vita è preziosa. Ma l'obiettivo è più prezioso.
Non dare informazioni al nemico.
Se prigioniero, sii sempre fiero di essere italiano. Sii dignitoso Se cadrai, mille altri ti seguiranno. Da gregario diventerai un capo - una guida - un esempio.
La XA MAS DOPO L'8 SETTEMBRE
 
Dopo il disonorevole armistizio dell'8 settembre 1943 - che costò alla Marina italiana la perdita della corazzata Roma e delle forze navali che si erano arrese a Malta - e nonostante il clima di generale smarrimento, il rifiuto della resa sorse spontaneo e compatto fra gli uomini della Xa, che senza esitazioni scelsero di continuare a combattere al fianco dell'alleato tedesco. i volontari di mare e di terra affluirono a migliaia: la Xa si riorganizzò in Unità navali (nelle quali confluirono gli ex appartenenti alla Regia Marina), Mezzi d'Assalto e Fanteria di Marina (in cui vennero inquadrati i militari provenienti dai vari corpi dell'esercito discioltosi con l'armistizio: ne fecero parte i battaglioni Barbarigo, Freccia, Fulmine, Lupo, Valanga e Sagittario, riuscendo a procurarsi i mezzi sia per il proprio mantenimento ad alto livello operativo sia per affermare la propria indipendenza dai tedeschi. Capo riconosciuto della nuova Xa MAS fu il capitano di fregata principe Junio Valerio Borghese, che già all'indomani dell'armistizio aveva saputo instaurare con la Germania un singolare rapporto di amicizia, rispetto e cooperazione militare, formalmente sancito da un accordo sottoscritto il 12 settembre 1943.
16-17 aprile 1945
L'ULTIMO ASSALTO
di E. Maluta
Dedicato a Sergio Denti
assaltatore della Decima Mas
 
Notte di aprile notte di commiato
Lascio la rada e punto verso il mare
col mio barchino nella prora armato.
Da solitario è triste navigare
anche se son da tempo già assuefatto
con la burrasca e l'onde a colloquiare.
Racconto il male alla mia Patria fatto
Il mare ascolta e nella notte diaccia
proseguo alla ricerca del contatto
per rendere così pan per focaccia.
Anche se il mio barchino è poca cosa
vorrei vuotar d'amaro la bisaccia.
E' vero ormai è la fine e non è rosa
ma solo spine che il destin propone
e mi arrovello nell'attesa ansiosa.
Decido -mio barchino- e sia l'azione
Penso alla casa alle violette in fiore
che fanno festa sotto al mio balcone.
Socchiudo gli occhi preso dal sopore
mentre il barchino segue a bordeggiare
e nenia dolce è il canto del motore.
Mi scuoto all'improvviso e scruto il mare
a breve spazio vedo comparire
un bersaglio nemico da centrare.
L'acqua s'abbrucia sembra di finire
nel covo dell'inferno indemoniato
con fuochi d'artificio da morire.
Mi sento da un proiettile sfregiato
Una fiammata guizza verso il cielo
Nel corpo una ferita può guarire
L'onor difficilmente vien sanato.
Lo scafo ben diretto sa colpire
ciò che si pone al centro del mirino
La sagoma avversaria da assalire.
Io quindi affido all'onde il mio barchino
e gli occhi mi si appannano d'un velo
Il mare è come un liquido cuscino.
Una fiammata guizza verso il cielo
si spengono le luci alle torrette
il rombo è di vittoria e di sfacelo.
E' il Trombe* ultima nave che perdette
il nemico di cinquant'anni fa
tra il sedici di Aprile e il diciassette.
 
NUOVO FRONTE N. 163, 1996. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
* Il cacciatorpediniere Trombe di 1319 tonnellate.
OPERAZIONE ONORE
 
Fu l’ultima impresa dei piloti dei Mezzi d'Assalto: partirono la sera del 24 Aprile 1945 per autoaffondare i loro "barchini" ma anche per colpire un nemico in un ultimo atto d'onore militare - una missione senza ritorno. Spiccano nel ricordo di Sergio Denti i camerati Alberto Boscherini (vivente), Giuseppe Dionigi, Andrea Piccolomini ("nobile - dice Denti - non solo di lignaggio"), Ezio Zambruno (che ebbe l'incarico di affondare il suo mezzo, la bandiera e altro importante materiale) e Angelo Marziale che si accese una sigaretta e scelse di lasciarsi morire senza abbandonare il suo "barchino".

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