domenica 30 maggio 2021

PERCHE’ AUSILIARIA?

AUSILIARIE NELLA RSI (REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA)



PERCHE’ AUSILIARIA?
Gigliola Molignoni
 
 
    Partimmo anche noi mature e giovanissime donne del Fascismo per realizzare in valido aiuto la nostra semplice offerta; partimmo a tutti i costi, rifiutando di continuare a vivere nel limbo privilegiato, asettico, mondano, apolitico, indifferente, in cui la morale corrente borghesista e opportunista nella quale i latenti pruriti antifascisti si andavano concretando in foia di tradimento e di codardia - pareva voler continuare a relegare la donna.
    Non ci rendemmo conto, lì per lì, che solo un'educazione non improvvisata ci aveva mosso. Dovunque arrivò, nel volgere di pochi mesi, l'opera efficace ed organizzata, sorretta dalla tensione ideale, ma non per questo meno intelligente e lucida, della donna italiana in grigioverde, si evidenziò quanto poco rispondente al vero fosse l’assioma che il Fascismo avesse privilegiato un'educazione mirante a perpetuare lo stato di minorità femminile.
    18 aprile 1944 costituzione ufficiale del Servizio Ausiliario Femminile che sancì la disciplina militare e l’uniforme grigioverde per le volontarie, organizzò i corsi di addestramento preparatori ai molteplici compiti. Il rinato esercito italiano - già vilipeso dall'ombra del tradimento martoriato della tronfia insipienza e dalla viltà di tanti vertici militari - si arricchì di una nuova inusitata componente: il SAF che consentì ad alcune migliaia di donne di entrare nelle Forze armate della Repubblica Sociale Italiana per espletarvi, in parità di diritti e di doveri, tutti i compiti ritenuti necessari ed opportuni.
    Non fu snobistico o antagonistico atteggiamento dì rivolta sessuale o culturale; né fu quella licenziosa bagarre cui poi il femminismo ufficiale postbellico, sinistroide o intellettuale, si abbandonò con la pretesa di un rivoluzionarismo fasullo, parolaio e amorale.
    Fu forza morale e ideologica, fu concezione unitaria che portò a considerare le energie femminili e quelle maschili fuse in un'unica grande forza al servizio della Patria, nel crisma di una sola profonda fede percossa ma non domata dalle sconfitte e dal tradimento, dalle lacrime e dai lutti, che le migliori donne italiane vollero e seppero tradurre in forza di bene, in fioritura di nuove certezze. Una rivincita sulla pigrizia e sull'inerzia morale, sulla indisciplina, sulla meschinità, sulla vigliaccheria.
    Con coraggio morale e fisico senza ombre, con fermezza di principi e spirito libero e fiero, le Ausiliarie seppero infischiarsene dei visi ostili e ironici, troppo spesso chiusi in mutismo di compatimento o di diffidenza. Un genuino spirito volontaristico seppe divorare le distanze: e fu l'offerta senza calcoli e senza patti, dono luminoso e purissimo, esempio trascinatore, canto gaudioso, promessa e giuramento: "Siamo fiaccole di vita, siamo l'eterna gioventù!".
    Fu semplicità e armoniosa coerenza ad una linea di condotta che, fedele a coscienti regole di stile, seppe guidare azioni e parole, dopo aver orientato idee e giudizi; fu costume di vita che significò conquista di superiore equilibrio, di coscienza responsabile, di nuova dignità di pensiero e di azione.
    La consegna mussoliniana per la battaglia "sul fronte interno, sul piano politico economico e spirituale, sul piano dello stile" coinvolse, senza eccezioni sociali, studentesse e lavoratrici: fede, entusiasmo, spirito di sacrificio, disinteresse, umana solidarietà, furono tavole morali che impegnarono il fiore delle donne italiane.
    Contro la concezione di madri più o meno consacrate al sacrificio codificato della loro funzione, di spose e sorelle passivamente piangenti ed eternamente malinconiche nell'attesa, le Ausiliarie cancellarono la parola 'sacrificio' dal loro vocabolario; si mossero controcorrente, si gettarono alle spalle pregiudizi e cattiverie, sparsero il seme di un nuovo codice dei sentimenti e dei comportamenti, di una diversa accettazione di responsabilità di fronte al dolore e all'amore, primo fra tutti quello per la propria Terra.
    Disponibili ma non deboli, misero a frutto la innata capacità di sopportazione per lavorare oltre ogni limite umano, per resistere alle prove durissime e alle non poche privazioni; utilizzarono l'atavica carica aggressiva muliebre per affrontare e superare difficoltà smisurate, si sentirono parte attiva di una società che non era massa, ma comunione di spiriti consapevoli, altamente e idealmente sollecitati.
    Con mani tenere e forti, con capacità di amore intelligente e sublime, con dedizione incommensurabile, ma consapevole e genuina - mal celata dal sorriso scanzonato e dalla vivacità della presenza - resero in umiltà e silenzio servizi preziosi e talora disperati, compreso quello di sorridere e di trovare la forza per far sorridere pur nelle ore più tragiche:
    Splendida e generosa giovinezza femminile che seppe imporsi, con decisione e coraggio, alle opinioni preconcette e scettiche di donne e uomini, non solamente antifascisti; che esplodeva spesso in cori squillanti di fede e di sfida, ma ammutoliva nella spasmodica tensione dell'orecchio teso a percepire il lamento dei sepolti fra le macerie; che credette nella vita come in una sublime avventura eroica esente da bassezze e da miserabili personalismi.
    I "figli di mamma" compatiti e infantilmente vezzeggiati - assuefatti alla eterna lagna masochista, al perpetuo rimbrotto, al vittimismo sistematico di madri, spose, sorelle, figlie immature non compresero - come del resto la maggior parte delle donne relegate nell'antiquato concetto di una missione assistenziale ristretta alla piccola beneficenza di vecchio stampo - "la grinta", tanto più rara e ammirevole quanto più poteva essere, o sembrar difficile, il fatto di opporsi ad ogni specie di conformismo, di quelle che si mossero contro ogni facile e umana tentazione di tirare a campare o a sopravvivere, di chiudersi in un guscio di estraneità, di indifferenza o di egoistiche futilità, di preoccuparsi soltanto dei ristretti casi personali o familiari, in cambio di una piccola miserabile pace, che era soltanto una resa.
    "Combattenti" dal cuore puro, saldo, vigile e pronto che scelsero la "parte sbagliata" quando sarebbe stato tanto più comodo imbrancarsi in "quella giusta": ma entrarono in maniera dirompente nella storia oltre che nel costume, senza sofisticati gingillamenti su eventuali e improbabili contraddizioni di ruoli, senza macerazioni intellettualistiche e sentimentaloidi sulla emancipazione femminile o sulla contrapposizione dei sessi senza velleitarismi concorrenziali nei confronti degli uomini.
    Se mai, con l'identica maniera di sentire la Nazione, con lo stesso ideale, con le stesse passioni, gli stessi odii, lo stesso amore. Orgoglio di aver vissuto ciò che vivemmo è qualcosa che va al di là della vita e della morte, perché ci dà la coscienza del dovere compiuto nel nome di una Patria grande e magnifica, anche se irriconoscente, che comunque ci consentì di vivere il periodo più fulgido della nostra vita, che ci attanaglia con la nostalgia dell'entusiasmo.
    Furono pochi mesi che fecero una generazione di donne: infelice ma pura, il cui slancio non riuscì ad arrendersi all'inspiegabile tragico destino; una generazione alle cui scampate fu commesso il peso tremendo di dover continuare a vivere, cui fu riservato il privilegio e il castigo di essere state risparmiate. Eravamo senza vita, senza luce, senz'altra coscienza che quella della sconfitta, senza alcun rimpianto se non quello della carne inutile. E nel dolore profondo rinacque la speranza e fu ancora viva la fede.
    Si ritrovano - nelle purtroppo assai poche citazioni - volti ed episodi che - se per quelli d'oggi vogliono dire nomi come altri che il rispetto circonda ed esalta - per chi li visse significa ancora una lacrima di gioia o di dolore, una stilla di sangue cui si lega il perché di un momento storico che è diventato più grande della vita stessa. Si possono fissare o no date e nomi: per gli italiani e le italiane di oggi sono storia. Per chi ci fu sono leggenda di patimenti e di amori. Per tutti sono pagine di commozione e di grandezza.
 
 

 

 

SOTTO LE BOMBE DEI LIBERATORI Verona, gennaio 1945. La città scaligera viene colpita da una nuova aggressione aerea terroristica che mette a dura prova la resistenza della popolazione, già provata da lunghi anni di guerra. Abbiamo trovato, su un periodico dell’epoca, questo articolo che pone in risalto il comportamento delle volontarie della RSI in quella dolorosa circostanza.
 
 
(...)
Anche le Ausiliarie all’opera
    Quasi in nobilissima gara con i militari, le Ausiliarie dei vari Corpi Armati della città hanno dato larghe prove di abnegazione.
Molte di esse, guidate dalla loro Comandante (Elena Ranzi, ndr), non esitarono a recarsi prontamente sui luoghi colpiti, prodigandosi tutte nel soccorso ai feriti, nel recupero delle vittime, nella rimozione delle macerie e in lunghe ore di guardia ai luoghi resi insicuri dalle esplosioni. Quest’opera fu tenace, assidua, coraggiosa.
Qualche nome da segnalare: Coco Osmida, Rossetti Carla, Lavè Mariuccia, Clava Elisa, Ramognini Isa, Malatesta Mafalda, Franco Itala, Serpelloni Agnese.
Quest’ultima è stata vista infilarsi in fori impraticabili prodotti dallo scoppio delle bombe, tentando di udire se, fra le travi scomposte e le macerie pericolanti, qualche gemito avesse potuto rivelare comunque la presenza di una vittima rimasta sepolta. Essa, compiendo più volte i suoi pericolosi tragitti, riuscì a portare il primo conforto e il primo soffio di speranza a parecchie persone che, immobilizzate dal peso delle macerie, non potevano venir subito liberate. Più di una volta la coraggiosa ragazza è penetrata in passaggi pericolosissimi per mostrare la via ai salvatori onde impedire che una frettolosa opera di sgombero delle macerie finisse per causare perdite irreparabili.
Le Ausiliarie della Brigata Nera, anche in questa occasione come durante il precedente bombardamento del 28 dicembre, si distinsero in modo particolare.
Il 28 dicembre le Ausiliarie Tina Snichelotto e Claretta Enrica Uboldi, con raro esempio di abnegazione e sprezzo del pericolo, si prodigarono per il ricupero di masserizie da uno stabile gravemente pericolante.
Il 4 gennaio l’Ausiliaria Tosca Mosciatti, mentre ancora perdurava la furia dei "liberatori’’, accorreva sui luoghi maggiormente colpiti e, incurante del pericolo, si affaccendava attorno ai feriti, che medicava riducendo in bende un indumento e provvedeva poi a trasportare all’ospedale uno ad uno, da sola, con forza virile e magnifico comportamento.
Quasi in contrasto con l’opera di queste giovani donne, veramente italiane, non mancarono fenomeni di criminosa incomprensione, come quello della donnetta aggirantesi tra le rovine con il suo pechinese o altro cane bastardo che fosse. Questa sciagurata andava osservando ad alta voce che, se i "liberatori’’ fossero stati lasciati in pace, non avrebbero dato noia a nessuno.
L’Ausiliaria Luisa Micolis, che fra le macerie di una casa crollata stava compiendo sforzi sovrumani per salvare un materasso ad una famiglia rimasta senza tetto, fu innocentemente la causa di un "canicidio’’, perchè, nel liberare il materasso, rotolarono anche delle pietre, sotto le quali restò schiacciato il pechinese, o bastardo che fosse. (...)
Un altro caso, non però rimasto impunito, è quello di una donnetta sui trentasette anni, piuttosto signorilmente vestita, che, nella chiesa di San Nicolò, mentre si celebrava la funzione funebre in suffragio delle vittime del bombardamento di quel rione, commentava con falsa pietà l’accaduto, osservando che, in fondo, esse erano dovute alla mancanza di tempestivo aiuto e soccorso. Guardata severamente da un gruppo di Donne Fasciste presenti alla funzione, l’ignobile filo-inglese-americana-russa e zulù credette bene di dover uscire per andarsene in buon ordine. Ma la ritirata le fu tagliata dall’Ausiliaria Carla Rossetti, la quale, dopo averla seguita, l’affrontò e la gratificò di due sonori ceffoni, che le diedero modo di considerare quale sia la prontezza di intervento delle donne in grigioverde in siffatte congiunture. Osservava la scena di lontano un gagà, che, rivolto all’Ausiliaria, le prodigò un ambiguo sorriso. Apostrofato dalla stessa, che avanzando verso di lui lo invitava a farsi avanti, il gagà credette opportuno di ritirarsi con tutta prudenza. E l’Ausiliaria rimase padrona del campo.
(...)
 
 
 

PAOLO BUGIALLI NEL RICORDO DELLE AUSILIARIE P.O.W.
 
 
Perché? Cosa c’entra la scomparsa del noto giornalista con le prigioniere di guerra a Scandicci e Casellina?
C’entra, c’entra, eccome! Perché in quel lontano novembre 1945, in uno squallido edificio della Nettezza Urbana, sulla via Pisana alla periferia di Firenze, dietro una fitta cortina di filo spinato, languivano, dimenticate da tutti, quasi trecento ausiliarie prigioniere degli americani prima, e degli italiani poi. In quei lunghi mesi, solo alcuni esponenti della C.R.I. e dell’Arcivescovado fiorentino avevano fatto visita alle "repubblichine’’ recluse: ormai era autunno inoltrato e si disperava di tornare a casa (come invece era avvenuto per i POW di Coltano).
11 novembre - "Radio Campo’’ mette tutte in subbuglio: viene a vederci il cronista di un quotidiano fiorentino. Un giornalista che si interessa di noi?
Eccolo: è toscano, giovanissimo, con uno sguardo penetrante, vivace... L’ha spedito tra noi il direttore del quotidiano "La Patria’’, forse perché scriva un pezzo di colore su questo campo tutto al femminile... Il giovanotto ci mette subito a nostro agio: ci interroga, prende appunti, ascolta le nostre vicende dal 25 aprile in poi. Vuol sapere tante cose... Da quelle che hanno perduto in guerra il marito o il fidanzato, dalle volontarie della Decima (un drappello compatto di ragazze fiere e disciplinatissime); dalle "tripoline’’ figlie dei coloni, sorprese dalla guerra nelle colonie dell’Opera Balilla e arruolatesi nel S.A.F. Una giornata diversa dalle altre, che contribuì a rincuorarci, facendoci scordare malinconie e timori.
Dopo, tornammo ad occuparci dei quotidiani problemi: procurarci del cibo extra, del sapone, delle sigarette. E difendersi dal freddo, confezionando maglioni con la lana delle coperte "fregate’’ agli americani. Ricomincia l’attesa, spesso vana, della posta da casa.
Ancora qualche giorno ed arriva al campo il giornale di Bugialli. C’è un bel pezzo su di noi, nientemeno che a tre colonne! Chi ha la fortuna di possedere carta e penna lo ricopia minuziosamente, le altre se lo imprimono nella memoria. È la prima volta che qualcuno si interessa a noi e, quel che conta, tra le righe si avverte un calore umano, un senso di simpatia cui siamo da tempo disabituate.
Non solo: il giovane ci scrisse pure una lunga lettera, esprimendoci quanto non era stato pubblicato nell’articolo.
Anche la lettera venne diligentemente ricopiata e portata a casa, fra le altre povere cose, quando finalmente tornammo in libertà. L’ausiliaria Matricola 81g.608719H, mentre, commossa e orgogliosa, trascriveva le sue parole, formulò al giovane inviato alle prime armi l’augurio di diventare un giorno un grande giornalista.
La lettera è stata pubblicata integralmente sul n. 106 di Nuovo Fronte (marzo/aprile 1991). Fra l’altro, diceva: "... sappiate che se c’è chi vi disprezza, c’è anche (e non sono pochi) chi vi stima e vi ammira. Voi siete donne, donne nel più completo senso della parola, vere donne. (...) Sapete chi invidio? I vostri fidanzati o mariti, almeno loro saranno sicuri di avere delle donne, non degli avanzi anglo-americani’’.
La "penna graffiante del giornalismo’’ (come l’ha definita Il Giornale), si è fermata. Grazie, Bugialli. Alle tante espressioni di cordoglio, si uniscano quelle di chi ti ha conosciuto dietro il reticolato ed ha poi seguito le tue corrispondenze da tutto il mondo, fiera che le POW italiane ti abbiano offerto lo spunto per uno fra i primi articoli della tua brillante e lunga carriera.
 
 


LE AUSILIARIE CROCEROSSINE
Penna d'oca
 
 
    Le Crocerossine... - Si diventa infermiere della C.R.I. dopo due anni di corso. La consegna della grande croce da appuntare sul petto sancisce il diritto ad essere chiamata "Sorella" e ad essere equiparata al grado di sottotenente. Durante il corso, invece, l'allieva viene chiamata "Sorellina". E’ ben nota la divisa della crocerossina, come è ben nota la rigida disciplina che contraddistingue il Corpo. La caratteristica fondamentale rimane però il lavoro prestato "gratuitamente", il che lo trasforma in un'alta missione umanitaria. A lei spetta solo il vitto e l'alloggiamento; neppure la divisa viene data in dotazione. Questo fatto pose in seria difficoltà la Croce Rossa Italiana della R.S.I., costretta a fronteggiare la situazione di numerose infermiere profughe, prive anche del normale sussidio elargito ai profughi civili, in quanto esse, mangiando in ospedale, non dovevano provvedere al proprio sostentamento giornaliero. Per rimediare all'inconveniente venivano inviate negli ospedali tedeschi che, in base ad accordi, passavano L. 200 mensili a titolo di supplemento vitto come integrazione alla diversità della mensa; questa piccola somma veniva utilizzata, naturalmente, per le necessità più urgenti.
 
    LE INFERMIERE AUSILIARIE DELLA CROCE ROSSA
    Sorsero con la Repubblica Sociale. Il corso durava appena due mesi. La divisa ospedaliera era la stessa delle allieve, ma mentre nell'Italia Centrale infuriava la guerra e nessuno pensava alla divisa fuori servizio, al Nord si organizzava il Servizio Ausiliario Femminile che si affiancava al rinato esercito con tutte le sue specializzazioni. Di conseguenza le Infermiere Ausiliarie, come il Corpo di Sanità, pur appartenendo alla Croce Rossa , dipendevano dall'esercito e come i militari ebbero la divisa grigioverde fuori corsia, i gladi al posto delle stellette ed una crocetta rossa sulla manica. La divisa ospedaliera, da bianca divenne azzurra. cuffia compresa: sul grembiule bianco fu appuntata la sigla del S.A. sovrastata dalla Fiamma. Suo appellativo rimase "Sorellina" e il grado fu equiparato a Sergente. Il lavoro si svolgeva sotto la direzione dell'Infermiera Volontaria C.R.I., di cui condivideva la disciplina e lo spirito, ma ogni gruppo - pur abitando nello stesso ambiente - ebbe alloggio separato. Il trattamento economico fu lo stesso delle Forze Armate. Altra figura che si incontrava nel lavoro ospedaliero era l'Infermiera professionale. Fuori servizio vestiva in borghese, non lavorava in gruppo ma singolarmente, spostandosi dove più le conveniva e più guadagnava. Era una civile a tutti gli effetti che faceva della professione il proprio mezzo di sostentamento. La Crocerossina, invece, lasciava la sua vita privata, la sua occupazione, la sua carriera per portare, là dove veniva inviata, un soffio di calore umano e un po' di conforto, spinta unicamente da un senso di carità e di amor di Patria.
 
    COM'E' UNA "SORELLA"
    Così ebbe a scrivere, il 18 dicembre 1944, l'Ispettrice Commissaria di Verona a tutte le Infermiere dipendenti quale monito e programma di vita e di servizio.
 
    Anche nel suo volto di guerra la Patria ha la sua maternità. Infermiera, sii tu la maternità della Patria.
    Dalla guerra la Patria è ferita nei suoi figli migliori: sii tu dolcezza, armonia, luce nel sacrificio, del sangue e della vita.
    La guerra inevitabilmente scatena l'odio, la vendetta e perfeziona i mezzi di distruzione: tu dona l'amore, la concordia, la dedizione assoluta che espia e ricostruisce.
    Dalla guerra sorgono situazioni impensatamente tragiche che colpiscono nazioni, famiglie, individui: non meravigliarti mai, non scandalizzarti mai, compatisci sempre.
    Se un prigioniero ti chiama “Sorella”, pensa che egli non è più tuo nemico, ma un sofferente ospite della tua Patria.
    Sii intimamente buona e profondamente generosa, senza attendere ricompensa alcuna: tuo unico insuperabile onore sia servire la Patria come "Infermiera Volontaria di guerra"
    E vorrei anche riportare le parole conclusive del "Decalogo dell'infermiera" composto da un'ignota Sorella, parole che mi hanno sempre accompagnato nell'espletamento del mio servizio durante la Repubblica Sociale:
    “Dio conosce il tuo nome e lo benedice. Ogni lacrima ti ignora, ma ti battezza. Ogni labbro arso dallo spasimo della vita ed ogni cuore ardente dalla sete e dal desiderio di pace t'invoca: SORELLA!”

I TRE CORSI NAZIONALI DELL’O.N.B. Autointervista a due di noi
Velia Mirri e Nadia 
 
 
    Senza nulla togliere a quante hanno frequentato i corsi di Venezia e di Como riteniamo doveroso riproporre qualche notizia sui tre corsi che l'Opera Nazionale Balilla - in parallelo con quelli dell'Esercito repubblicano organizzò nella primavera/estate dei 1944. Essi accolsero le volontarie più giovani, non ancora diciottenni, provenienti dalle file della G.I.L. (tornata ONB dopo la costituzione della RSI).
    Il primo fu quello, ormai mitico, di Noventa Vicentina: vi parteciparono ben 326 ragazze, per la maggioranza studentesse, disciplinate, entusiaste, ben inquadrate. Avete presente la spettacolare foto di gruppo che le ritrae sulla scalinata dell'edificio scolastico che le ospitava? Parecchie si sono riconosciute (o hanno creduto di farlo) in quella marea di testoline brune e bionde. Purtroppo, il corso "Avanguardia" incontrò gravi difficoltà per un’epidemia di tifo, che causò pure un decesso. Qualcuna ricorda con quanta competenza e amorevolezza il Dr. Filippini, tenente della G.N.R., si prendesse cura delle ausiliarie colpite dall'infezione.
    Il secondo corso, "Ardimento", ebbe luogo a Castiglione Olona, provincia di Varese. Il terzo, che avremmo voluto denominare "Audacia" si tenne in settembre, a Milano, in una grande scuola di via del Turchino, angolo viale Molise. Purtroppo, una notte un gruppo di partigiani compì un attentato all'accantonamento e uno dei militi di guardia, Siro Gajani, perse la vita nella sparatoria. Così il corso prese il suo nome. Nadia e Velia sono due fra le "balilline" (una settantina circa) uscite da questo Corso. Dopo cinquant'anni e passa, ci siamo finalmente tornate assieme, in quel vasto edificio in puro "stile littorio", tuttora ben conservato e funzionante.
 
    E un pomeriggio e apparentemente non c'è nessuno. Alla custode diciamo la verità ("Tanti anni fa, abbiamo frequentato un corso in questa scuola... Possiamo dare un'occhiata?"). Quella ci scambia per maestre che hanno seguito uno dei tanti corsi di aggiornamento e ci lascia entrare senza fare storie, anzi si mostra assai gentile. Così perlustriamo in lungo e in largo sia l'ampio cortile che i locali e i corridoi.
    Ci scambiamo occhiate complici, durante questa simpatica "caccia ai ricordi", mentre ricomponiamo frammenti di memoria e insieme riviviamo quella lontana e incancellabile esperienza.
    Un po' sul serio e un po' per gioco, Velia intervista Nadia, e Nadia intervista Velia.... Così ci rendiamo anche conto, non senza sorpresa, che un ricordo, più un altro ricordo, non dà come risultato due ricordi, ma tutta una serie di ricordi, vivissimi e gradevoli.
- Nadia, tu che hai la classica memoria di elefante, trovi che questo posto sia come allora?
- Sì, nel complesso è tale e quale. Vedi, in questo cortile ogni mattina facevamo esercitazioni ginniche. Rammenti la nostra comandante? Si chiamava Italia Talpo, ed era una "orvietina", quanto mai preparata ed esigente. Ma anche noi, che venivamo dalle file della G.I.L., eravamo abituate all'esercizio fisico e non sentivamo, in genere, la stanchezza.
 
 
Primo Corso "Avanguardia" dell'Opera Nazionale Balilla (da Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze Armate della RSI-NovoAntico Editrice: per altre foto vedi Breve album fotografico di ausiliarie con didascalie)
 
 
- Com'era scandita la nostra giornata? Lassù, nelle aule al primo piano, avevamo le camerate.
- Sveglia presto al mattino, rifarsi il letto (ben teso, ovviamente), poi colazione nel grande refettorio a pianterreno, indi marce e ginnastica all'aperto... Il pomeriggio, invece, lezioni ed esercitazioni, a seconda della "specialità" scelta....
- Tu, Nadia, quale corso seguivi?
- Non ci crederai, ma volevo diventare marconista.
- Marconista? E usavi l'alfabeto Morse?
- Proprio così. Mi sembrava il modo più semplice per venire poi impiegata in un reparto operante... Noi marconiste avevamo anche composto una canzoncina, sull'aria di quel motivetto - jukelì jukelà - che tutte le ausiliarie conoscevano... "Siamo otto marconiste sempre allegre e mai tristi / pur facendo coi tic-tac strafalcioni in quantità".
- Tanto, poi, al fronte non ti ci hanno mandato, esattamente come me, che avevo scelto dattilografia.... Senti, ma la domenica si usciva?
- Al pomeriggio avevano qualche ora di permesso, però solo se veniva a prenderci qualche familiare. Una volta sono uscita con mia sorella maggiore Cinzia, del Corso "Italia". Andammo al cinema, a vedere un film con Osvaldo Valenti e la Ferida. Purtroppo ho dimenticato il titolo. Come vedi, anch'io ho qualche vuoto di memoria...
 
    Adesso le parti si invertono, e Nadia intervista l'amica.
- Tu, Velia, che stavi sempre con le "tripoline ", hai più saputo niente di loro?
- Purtroppo no, e non riesco a perdonarmi di non averle cercate abbastanza a guerra finita, dopo che uscimmo dal campo dì concentramento di Scandicci. Ma, come sai, erano per noi tempi duri; dovevano reinserirci nella vita civile, riprendere gli studi, affrontare i sacrifici causati dall'epurazione, e dalla nostra appartenenza alla Repubblica Sociale. Le tripoline... Le chiamavano così perché erano figlie dei nostri coloni in Libia. Durante la guerra, il regime fascista aveva provveduto a trasferire questi giovanissimi in Italia dove, in pratica - a seguito della perdita della "Quarta Sponda" - erano rimasti bloccati. Ospiti nei collegi della GIL, proseguivano gli studi ed erano assistiti e tutelati. Molti di loro, nel periodo della R.S.I., si arruolarono volontariamente nelle Fiamme Bianche o nel S.A.F. Come vorrei ritrovare qualcuna delle mie amiche di allora! Un gruppetto di loro prestò servizio, come me, al Comando Provinciale della G.N.R. di Vercelli. Erano ragazze splendide, efficienti e disciplinate: le vicende belliche le avevano abituate alla vita di comunità, all’autonomia e al senso del dovere.
- E del giuramento, cosa ti ricordi?
- Una giornata memorabile quel 30 settembre 1944. Eravamo tutte eccitatissime, rammenti? Venne Renato Ricci in persona a consegnarci i gladi. Per l'occasione, gli offrimmo un "Numero Unico" del nostro Corso, tutto "stampato" e disegnato a mano, con tanta passione. Se potessimo rintracciarlo... Un gruppo di redattrici aveva cercato di fermare sulla carta il nostro giovanile entusiasmo, le nostre sensazioni, la nostra voglia di prendere servizio, possibilmente vicino al fronte... Quanto a me, avevo collaborato con un trafiletto satirico sui "gagà", in cui esprimevo tutto il mio disprezzo per questa “specie animale" che aveva il suo habitat preferito nei bar e nei cinema, mentre tanti esemplari di una italica razza di "uomini" combattevano contro l'invasore. Avevo inoltre disegnato e colorato ad acquerello una ausiliaria in divisa estiva (camicia nera, sahariana e gonna-pantalone kaki). Mi sembrava bellissima, avendovi profuso tutta la mia dilettantistica vena pittorica. Altre ausiliarie avevano collaborato con articoli assai più impegnati, ovviamente.
- Terminato il corso, io, Luciana Minardi e la Poli venimmo assegnate al Comando Generale S.A.E di Como. Vennero a prenderci le Comandanti Renata Dragin e Maria Pia Campanella. E voi?
- Io e le tripoline fummo destinate, come sai, a Vercelli, ma siccome i trasporti non erano affatto sicuri, non si fidarono a lasciarci partire da sole. Così restammo all'accantonamento per un'altra settimana, prima che la Comandante Jolanda Ciuffini venisse a prenderci. Fu una settimana memorabile! Nelle poche ore di libera uscita, girammo in lungo e in largo Milano, divertendoci a "fare le turiste". A proposito: sai che "noi militari" si viaggiava gratis sui tram? In base al regolamento, non ci era consentito uscire da sole: come minimo, bisognava essere in due, e gli orari della "ritirata" erano ferrei. Altra novità per noi eccitante: si consumavano i pasti non più all'accantonamento di viale Molise, ma in un moderno edificio di via Marcora, dietro piazza Fiume (oggi piazza della Repubblica), sede di una mensa ufficiali. Fu quella, cara Nadia, una parentesi di assoluta spensieratezza fra il corso di addestramento e il servizio vero e proprio.
- E dopo la settimana di vacanza?
- Fine della cuccagna, ma il servizio vero e proprio, duro ma estremamente gratificante. Un servizio continuato senza interruzione fino agli ultimi di aprile... Ma questa, accidenti, è un'altra storia.
 
 
NUOVO FRONTE  N. 163 E 164. Aprile-Maggio 1996  (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

IL PROFONDO INNOVAMENTO DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA SUL MONDO FEMMINILE
Dalla "PREMESSA" al "Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze Armate della RSI" (NovoAntico Editrice)
 
   Comprendere il fenomeno dei Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale italiana è praticamente impossibile, se non si analizza in breve la rivoluzione che il Fascismo operò nel mondo femminile durante il Ventennio.
   Per la prima volta in Italia, la donna venne valorizzata e resa autonoma nelle sue scelte e nelle sue prospettive: le fu affidato il settore a lei più congeniale dell'assistenza all'infanzia e alle categorie disagiate e, in tale compito, ebbe piena autonomia e piena responsabilità.
   Fu incoraggiata a dedicarsi allo sport (scavalcando la palese ostilità della Chiesa): furono creati l'Accademia Femminile di Educazione Fisica di Orvieto e i vari Collegi, retti dal Partito Nazionale Fascista, nei quali le ragazze "capaci e meritevoli", segnalate dagli insegnanti, venivano fatte studiare gratuitamente, a spese non dello Stato ma del Partito stesso. Tali "scuole" raggiunsero una notevole fama, anche a livello internazionale, per la serietà degli studi, la disciplina dello sport e la vita gioiosa e serena che vi si conduceva.
   Le organizzazioni femminili fasciste erano affidate esclusivamente alle donne e la Segretaria Nazionale rispondeva dei suo operato soltanto al Segretario dei Partito, il quale esercitava però la sola vigilanza amministrativa e di coordinamento.
   Le donne si dimostrarono all'altezza della fiducia riposta in loro. In quel particolare clima spirituale, fatto di amore per la Patria, senso della disciplina, del dovere e del sacrificio, le giovani d'Italia si formarono sia nelle scuole che nelle attività educative dell'opera Nazionale Balilla (divenuta poi Gioventù italiana dei Littorio), dei Fasci Femminili e dell'opera Nazionale Maternità e Infanzia.
   Allo scoppio della seconda guerra mondiale molte italiane parteciparono al conflitto quali crocerossine, oppure frequentarono corsi di pronto soccorso, coloniali, dell'Unione Nazionale per la Protezione Antiaerea(U.N.P.A.), o dei Servizio Avvistamento Aereo dell'Aeronautica Militare, esercitando le previste funzioni di visitatrici degli ospedali militari - in aiuto e supporto alle strutture ospedaliere stesse - o di assistenza sotto i bombardamenti. Bambine e ragazze delle scuole medie inferiori e superiori confezionavano indumenti per i soldati al fronte e andavano a visitare i feriti negli ospedali, mentre i militari di passaggio con le tradotte e quelli di stanza nelle caserme ricevevano generi di conforto accompagnati da un sorriso femminile.
 
 
Da "SERVIZIO AUSILIARIO FEMMINILE NELLE FORZE ARMATE DELLA RSI" NOVANTICO EDITRICE, C.P. 28 10064 Pinerolo (TO), Tel. +39 (0) 337 215.494, Fax +39 (0) 121 71.977, Segr.Tel. +39 (0) 121 74.417
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martedì 25 maggio 2021

L'AEREONAUTICA NAZIONALE REPUBBLICANA R.S.I.

 

REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: L'AEREONAUTICA NAZIONALE REPUBBLICANA




L'AVIAZIONE DELLONORE
Nino Arena
Con questa prestigiosa e meritata definizione trascritta nel gran libro della Storia, lAeronautica Nazionale Repubblicana ha portato il suo contributo di valore, di successi, di sacrifici nella lunga e perduta battaglia combattuta fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 dalle FF.AA. della R.S.I.
L'A.N.R. nacque spontaneamente come ripulsa fisica allarmistizio, lo stesso giorno in cui venne proclamato. Fu la risposta generosa e immediata di tanti aviatori al rispetto dell'alleanza, all'osservanza dei patti sottoscritti, all'impegno personale di reagire comunque al fatto ignominioso che la voce metallica della codardia diffondeva nel mondo attonito, stupito, incredulo degli amici, nemici, neutrali. Lo stesso impegno che aveva infiammato contemporaneamente, non meno di centomila soldati italiani sparsi su tutti i fronti a rifiutare il tradimento.

 
L'adesione morale di tanti aviatori, venne peraltro sostanziata da missioni di guerra continuate sino al giorno 11 settembre sulla testa di ponte di Salerno. I 180.000 aviatori alle armi erano stati dispersi dagli avvenimenti: 30.000 risultavano internati in Germania e Polonia, 25.000 erano rimasti al sud e in Sardegna, 4.000 si erano trasferiti in paesi neutrali, circa 6.000 si erano schierati con i tedeschi in Egeo, Jugoslavia, Francia, Italia centro-settentrionale: il resto si era autosmobilitato applicando integralmente l'ordine mai emanato ma da tanti eseguito del "tutti a casa".

 
Quando si riunirono per ricominciare, trovarono una situazione compromessa irreversibilmente: i tedeschi si erano appropriati come bottino di guerra di tutto il materiale di volo: non meno di 4400 aerei di ogni tipo già in carico alla R.A. e oltre un migliaio di aerei privati, della RUNA, di società diverse; il resto era al sud (circa 450 aerei), nelle officine di riparazione (800 aeroplani), e non meno di 300 erano stati distrutti o perduti per gli eventi armistiziali. Il personale presentatosi nella Luftwaffe, era stato messo agli ordini di un generale tedesco (Muller) autonominatosi comandante dell'aviazione da caccia italiana. Goering aveva emanato un bando di reclutamento per la Flak e la Luftwaffe e Kesselring disponeva l'assegnazione del personale italiano alla 2a Luftflotte di Wolfram von Richthofen, mentre fuori d'ltalia si applicavano identici sistemi con gli aviatori volontari, alcuni dei quali combattevano in Egeo contro la RAF e operavano in Jugoslavia e in Francia con i trasporti, la ricognizione marittima, il soccorso in mare.
A riannodare le fila di coloro che volevano ancora combattere per l'Italia senza condizionamenti di sorta, provvidero uomini di valore e di grande prestigio disponibili in elevato numero nella nuova Aviazione Legionaria italiana, come venne inizialmente denominata la nascente Arma Azzurra del riscatto. Comandanti come Bonomi, Tessari, Botto (il popolare "gamba di ferro" della Spagna) furono i responsabili al vertice dellANR e poi ancora Baylon, Vizzotto, Cadringher, Vosilla, Buri, Marini, Arrabito, Fagnani, Tondi, Peroli, Bertocco, Borgogno, Falconi, Bonzano, Alessandrini, Miani, Cori-Savellini, Tugnoli, Foschini, Zanardi, Pellizzari, Zigiotti, Quattrociocchi, Cerutti, Bisco, De Biase, Rossi, Raina, Maglienti, Pugnali, Agnello, Bertolini, Nicoletti-Altimari, Mazzotti, Fisicaro, Revetria, Morino, Simini, Salvadori, Alderighi, De Francesco, Gcntile, Sciaudone, Ruggeri, Cassinelli, Beneforti, Buffa, Nannini, Pratelli, D'lppolito, Vercelloni, Vecchi, Ajni, Baruffi, Di Bernardo, Reglieri, i migliori comandanti di reparto di volo della R.A. e con loro ufficiali superiori del GARI, dei Servizi, di Commissariato, di Sanità Aeronautica e fra questi Atlantici, cattedratici illustri, tecnici di valore, professori emeriti del C.S.A. Il nerbo dell'Arma Azzurra si era presentato al richiamo di Botto con 20 generali, 284 ufficiali superiori del ruolo naviganti, 205 dei servizi unitamente alla parte più numerosa, a giovani ufficiali e sottufficiali: rappresentanza volitiva, temprata da cento e cento battaglie nei cieli in tre lunghi anni di guerra dura, difficile per l'insufficienza del materiale di volo e delle dottrine; inadeguata come livello tecnologico e operativo nel confronto con aviazioni più preparate a combattere una guerra moderna come la Luftwaffe, la RAF e l'USAAF. Erano i cento e cento comandanti di squadriglia, sezionari, gregari di formazione, ufficiali e sottufficiali piloti i cui nomi diverranno famosi ancor più nei 20 mesi della RSI: Visconti, Bellagambi, Cuidi, Drago, Malvezzi, Andreoni, De Reggi, Bruna, Falco, Brighenti, Lazzarini, Pierotti, Barberisi, Benini, Caudarella, Geymet, De Camillis, Fantini, Torresi, Tarantola, Scabello, Troisi, Giordanino Liconti, Boni, Greco, Masoero, Magagnoli, Bonet, Concato, Vicariotto, Mantelli, Colombo, Merati, Faggioni, Sponza, Ruggeri, Perina, Nioi, Calistri, Pezzé, Balli, Duval, Casali, Palumbo, Bertuzzi, Pandolfo, Minardi, Neri, Leonardi, Albini, Bellucci, Del Prete, Valeno, Chinca, Merani, Daverio, Jasinski, Albani, Byron, Zuccarini, Neaschi, Gallone, Morettin, Jellici, Spazzoli, Biagini, Marchesi, Robetto, Gorrini, Stefanini, Fioroni, Marinone, Trevisan, Colonna Fabio e Oddone, Barioglio, Tomaselli, Bartolozzi, Sbrighi, Giacomello, Levrini, Erminio, Cavatore, Sajeva, Pirchio, Laiolo, Svanini, Vezzani, Cavicchioli, Marconcini, Torchio, Storchi, Morandi, Di Cecco, Cuscunà, Brunello, Arrigoni, Petrignani, Ligugnana, Talamini, Marchi, Scarpa Zavatti, Burei, Chiussi, Mancini, Giannelli, Luccardi, Abba, Filippi, Sarti, Longhini, Brini, Fagiano, Squassoni, Vignoli, Volpi, Camerani, Cavagliano, Archidiacono, Benzi, Baldi, Covre, Desideri, Feliciani, Mazzanti, Ancillotti, Sanson, Fomaci, Talin, Barcaro, Lana, Pocek, Giuntella, Bonetti, Balli, Tortora, Alessandri, Micheli, Riccardi, Vianello, Cavallo, Sacco, Cigarini, Casiraghi, Taberna. Non mancarono all'appello gli artiglieri dell'AR.CO. e i paracadutisti inseriti armoniosamente nell'ANR in quanto madre naturale di specialità connaturate col cielo: i generali Galamini, Giorgi, Ortona, Bisco e Fiaschi con i colonnelli Franzosini, Soncini, Scatena, Frattini, Gallerani e i comandanti di gruppo Amerio, Gambassini, Cavalli, Buffa, Giacomi, Lattanzi, Paganuzzi, Giordano e Balzanelli e per i paracadutisti il tenente colonnello Dalmas, i maggiori Romeo, Vitale, Sala, Rizzatti comandanti di grande prestigio per i battaglioni fra cui Bussoli e Faedda, Alvino e Bernardi, Giannoni e Capozzo e decine e decine di ufficiali a livello di compagnia e plotone, il comandante della scuola paracadutisti di Tradate capitano De Santis con un numeroso nucleo di istruttori reduci da Tarquinia e Viterbo: un elenco infinitamente lungo di nomi e di reparti tutti meritevoli di menzione e di ricordo per onorevole comportamento, che lo spazio non ci consente di elencare ma che il nostro cuore non può dimenticare.
                                     TEN. BOSCUTTI
 
L'ANR fu un organismo snello, moderno, svincolato da preconcetti e da elefantiasi burocratica anche se non mancarono all'inizio tentativi maldestri e fuori luogo da parte di alcuni personaggi gallonati, che anteposero alla loro adesione onori, prebende, apparati di servizio e annesso cerimoniale forse ricordando i tempi in cui spadroneggiavano al Ministero, intenti a preparare facciate rutilanti e vuoti sostanziali che avrebbero pesantemente condizionato la R.A. nel confronto bellico; capirono subito che qualcosa era cambiato e scomparvero ritornando nel buio.
Il compito che Botto si accinse a portare avanti era semplicemente impossibile: la guerra incalzava minacciosa a breve distanza da Roma, i tedeschi avevano il controllo di tutto, c'era da rifare ex novo e mancavano le cose più elementari; chiunque al suo posto si sarebbe arreso alle difficoltà trovate e frapposte dall'occupante. "Gamba di ferro" non si perse d'animo, iniziò a dialogare con i tedeschi fissando pochi ma concreti punti di incontro e di certa fattibilità, impose metodi formali negli incontri, battagliò quando lo ritenne necessario, opponendosi per quanto possibile alle loro richieste non di rado assurde mitigando con diplomazia asprezza e arroganza, imponendo rispetto dei diritti e dei doveri, forte dell'adesione della parte migliore e più significativa dell'aviazione italiana, della delega a lui conferita dagli aviatori quale simbolo vivente del valore e dell'ostinazione, una garanzia e una bandiera da non ammainare.
Nei suoi colloqui con i generali Muller, Korten, Richthofen, Kesselring, Manckhe riuscì a strappare concessioni, consensi, incoraggiamenti e aspetti concreti:
1) cessazione degli arruolamenti indiscriminati e incontrollati di personale per Flak e Luftwaffe
2) scioglimento del comando "Italianischen Jagdflieger" di Muller
3) piena autonomia di servizio per l'ANR con diritto di reclutamento, richiesta di personale già in servizio nella Luftwaffe, rilascio degli aviatori internati in Germania previo selezione politico-morale dei volontari
4) riconsegna di materiale di volo e di servizio per le più urgenti necessità di ripresa dell'ANR
5) ricostituzione delle Specialità dell'Artiglieria Controaerei e reparti paracadutisti (anche del R.E.)
Queste richieste furono accettate in gran parte ed ebbero il nulla osta potente e temuto del Reichsmarschall Hermann Goering.
La politica d'azione dellANR, nel quadro della rinnovata alleanza militare con la Germania, venne impostata realisticamente su quanto era stato possibile realizzare tenendo nel debito conto gli interessi precipui della RSI, il suo impegno politico-militare col Reich, la sua partecipazione obiettiva e soggettiva.
Il progetto Botto che venne discusso col Ministro della Difesa Nazionale maresciallo Graziani, portato a conoscenza di Mussolini, e approvato dal consiglio dei Ministri risultava così articolato:
1) Azione e partecipazione difensiva primaria del territorio nazionale da attacchi aerei nemici (reparti da caccia e gruppi AR.CO.)

 
2) Azione e partecipazione offensiva contro il potenziale bellico anglo-americano (reparti da bombardamento, aerosiluranti, paracadutisti)
3) Azione e partecipazione ausiliaria e di supporto allo sforzo bellico - diretto e indiretto - nel quadro dell'alleanza militare con la Germania (reparti da trasporto, organizzazione tecnico-logistica, infrastrutture).
Con queste premesse era possibile partecipare attivamente alla guerra comune con le FF.AA. tedesche, assolvere la responsabilità di proteggere il territorio nazionale, contribuire indirettamente allo sforzo bellico dell'Asse su tutti i fronti. Una partecipazione totale e fattibile per la presenza di 35.000 uomini suddivisi fra 6.000 aviatori (piloti ufficiali e sottufficiali, specialisti di volo, dei servizi tecnici, e telecomunicazioni) 10.400 avieri per la sorveglianza e la manutenzione delle infrastrutture: aeroporti, caserme, depositi, magazzini, servizi di guardia; 10.000 artiglieri dell'AR.CO. suddivisi in 2 Rgt. con 6 gruppi organici e 2 gruppi autonomi; 2.400 paracadutisti con un reggimento su 3 Btg. e 2 reparti autonomi; una organizzazione addestrativa/didattica con 20 strutture complementari (reparti di volo, scuole, centri addestrativi per piloti, allievi piloti, specialisti, artiglieri, paracadutisti) che occupava complessivamente un migliaio di uomini; un Rgt per le Telecomunicazioni e il personale necessario al funzionamento dei comandi centrali e periferici. Rimanevano fuori organico dall'ANR circa 12.000 fra ufficiali, sottufficiali, specialisti del ruolo permanente assistiti economicamente dalla RSI e 4.000 altri aviatori non immessi in servizio per esuberanza di personale. Fra il personale assistito figuravano i prigionieri della R.A. nei POW Camps alleati e gli aviatori in servizio con la R.A. del governo Badoglio, le cui famiglie erano rimaste prive di sostegni economici nel territorio della RSI.
Non fu possibile ripristinare alcune Specialità di volo: ricognizione, osservazione aerea, soccorso marittimo in quanto direttamente esplicate dalla 2a Luftflotte con propri reparti e personale italiano, mentre venne disciolta la Specialità Bombardamento in quanto Mussolini pose un suo personale e irremovibile veto allimpiego sul territorio italiano per non provocare danni e vittime da parte degli aviatori italiani della RSI: un giusto e apprezzato provvedimento.
La Specialità Caccia Terrestre venne organizzata su 3 Gruppi di volo (su 9 prima e poi 12 squadriglie complessivamente), un reparto complementare/addestrativo, 3 scuole addestrative a diversi livelli, un Ispettorato di Specialità.
Gli aerosiluranti furono strutturati su un gruppo operativo su 3 squadriglie, un reparto complementare su 2 sqd., un Ispettorato di Specialità.
Gli aerotrasporti ebbero 2 gruppi organici e un gruppo complementare (in parte proveniente come personale dalla disciolta sqd. da bombardamento "Ettore Muti".) Un gruppo autonomo da trasporto venne messo a disposizione della 2a Luftflotte e fu istituito un Ispettorato di Specialità.
                                         CACCIA RSI
 
Per le esigenze dello SM/ANR e le necessità del Q.G. del Duce, venne costituito il Reparto Aereo di collegamento su 3 sqd. dotate di aerei diversi per differenti necessità. Uno speciale organismo (denominato Gruppo Trasporto Velivoli) raggruppava alcune decine di piloti incaricati di trasferire aerei nuovi, revisionati, da riparare o salvaguardare da attacchi nemici trasportandoli su aeroporti dellAustria e della Germania. Nel frattempo erano stati avviati alla demolizione non meno di 5000 aeroplani e circa 10000 motori avio non suscettibili di utilizzazione trasferendo nel Reich circa 1200 aerei del bottino di guerra tedesco in parte poi utilizzati dalla Luftwaffe assieme ai 63 plurimotori passeggeri dell'Ala Littoria, LATI e Aviolinee Italiane requisiti al momento dellarmistizio.
Continuava invece la produzione di aeroplani già ordinati dalla R.A., gran parte dei quali rientravano nelle immediate esigenze d'impiego della Luftwaffe: quadrimotori P. 108/T, trimotori SM. 82 e Fiat G. 12, assaltatori Re 2002 e CR. 42, Caccia G. 55, addestratori Ca. 313/G e velivoli scuola monomotori.
La partecipazione della RSI allo sforzo bellico della Germania in campo aeronautico si estrinsecò anche in altre forme con la presenza di 2 Btg. specialisti nel 200° Rgt. Awistamenti/Telecomunicazioni per le postazioni radar del nord Italia; 8000 avieri fra graduati e truppa erano in servizio nei posti di avvistamento aereo territoriali (Flu. Ko.), 15000 specialisti operavano in Germania e nei paesi occupati nell'organizzazione tecnica della Luftwaffe e 150.000 artiglieri erano in servizio nella Flak in Italia, Francia, Belgio, Olanda, Ungheria, Jugoslavia (fra questi 10000 carabinieri). Uno sforzo dunque non indifferente, non sempre conosciuto in tutte le sue manifestazioni di servizio, gravoso, che comportò pesanti sacrifici (non meno di 800 i militari della Flak caduti in combattimento).
Completavano la struttura dell'ANR circa 300 volontarie del Servizio Ausiliario Femminile immesse nei comandi, reparti di volo (alcune operarono nell'Europa orientale), scuole, paracadutisti, servizi.
I reparti operativi
La presenza massiccia e qualificata nell'ANR di piloti e specialisti non presentò per il Capo di SM comandante Baylon particolari problemi per il personale, anche se fu necessario riqualificare ad un più elevato standard professionale i piloti della Caccia, la cui esperienza di guerra non offriva più, con l'evoluzione costante del combattimento nei cieli e l'applicazione generalizzata di metodi moderni e tecnologici, quelle garanzie operative che per anni avevano impedito all'aviazione italiana di reggere il confronto con amici e nemici.
Le modeste esperienze di guida-caccia del passato avevano lasciato il campo a nuovi criteri d'intervento con avvistamento radar a distanza, valutazione della situazione nella centrale tattica, decollo temporizzato su zone e quote prestabilite dove il controllore inviava notizie aggiornate. Suggeriva così indicazioni e punti di riferimento convenzionali, spostamenti di rotta delle formazioni nemiche, loro consistenza dando con l'apprezzamento della situazione, utili informazioni al comandante della formazione per applicare la tattica più congeniale e realizzare il miglior risultato.
Fu necessario un periodo d'ambientamento e collaborazione tattica con la Luftwaffe, lapplicazione di formazioni di combattimento razionali, lassegnazione di velivoli competitivi come MC. 205/V e FIAT G. 55 armati con mitragliatrici e cannoni da 20, dotati di elevata velocità e tangenza per competere, finalmente ad armi pari, con i potenti P. 47 e P. 51 dell'USAAF e i famosi "Spitfire's" della RAF.
Furono costituiti nell'ordine il 1° Gruppo CT (maggiore Luigi Borgogno poi capitano Adriano Visconti), il 2° Gruppo CT (tenente colonnello Aldo Alessandrini poi maggiore Carlo Miani) mentre incontrava alcune difficoltà la costituzione del 3° Gruppo CT (capitano Fernando Malvezzi) iniziata nell'estate 1944 e conclusa soltanto nella primavera del 1945. Oltre ai tre gruppi di 1^ linea, veniva costituita la squadriglia Caccia complementare (capitano Giovanni Bonet poi capitano Giulio Torresi) ugualmente addestrata e disponibile operativamente per la difesa del Piemonte. Dopo un periodo di addestramento in comune con il 77° JG. sui campi di Lagnasco e Cervere nel cuneese, il 1° Gruppo CT si trasferiva nel Veneto - aeroporto di Campoformido - da dove iniziava una lunga e sanguinosa battaglia cogliendo significative vittorie sulle formazioni di bombardieri americani e sui caccia di scorta ottenute con la perdita di tanti valorosi piloti del reparto.
Trasferito a Reggio Emilia prima, Vicenza successivamente, il reparto al comando del maggiore Visconti - promosso al grado superiore per meriti di guerra - veniva colto nell'agosto dallo stupido e controproducente golpe del maresciallo Richthofen, che provocava l'interruzione dellattività operativa e la disarticolazione del reparto fino allautunno allorché il 1° Gruppo, al completo di piloti e specialisti, andava in Germania per il passaggio sui caccia Messerschmitt Bf. 109. Nel frattempo l'industria aeronautica italiana aveva subito gravi distruzioni per gli attacchi aerei alleati che avevano interrotto la produzione. Un selezionato gruppo di piloti veniva assegnato all'addestramento dei caccia a razzo Me. 163 "Komet" sul campo di Rangsdorf, in previsione che anche al reparto italiano sarebbero stati assegnati i velocissimi intercettori della Luftwaffe. Rientrato in Italia, il 1° Gruppo CT si schierava sui campi di Malpensa e Lonato Pozzolo da dove riprendeva le intercettazioni delle formazioni nemiche sino all'aprile 1945 allorché il reparto si consegnava dopo un accordo col CLN nella caserma di Gallarate. Qui, nonostante la garanzia d'incolumità fisica, i partigiani uccidevano proditoriamente con raffiche di mitra alle spalle il maggiore Adriano Visconti, asso dell'Aviazione italiana nella 2a Guerra Mondiale e il sottotenente Valerio Stefania.
In 46 combattimenti e 85 missioni belliche il 1° Gruppo CT. aveva abbattuto 113 aerei alleati più 45 probabili, perdendo in azione 49 piloti. Fra le sue fila si contavano 2 M.O. v.m. (una come proposta per l'attività del maggiore Visconti in 5 anni di guerra con 26 abbattimenti) laltra assegnata nel dopoguerra al maresciallo pilota Luigi Gorrini per i 19 abbattimenti a lui accreditati.
Il 2° Gruppo CT. costituito a Bresso e dotato inizialmente di Flat G. 55, venne spostato per motivi di sicurezza sul campo di Cascina Vaga nel Pavese e ad iniziare dalla fine dell'aprile 1944 cominciò ad operare ostacolando la penetrazione occidentale (Corsica/Sardegna) dell'aviazione alleata mentre al 1° Gruppo era stata assegnata la difesa della provenienza orientale (Puglie).
I bombardamenti alleati sulle industrie aeronautiche avvenuti nella primavera del 1944 (Macchi, Aeritalia, Breda, Caproni, Piaggio, Alfa Romeo, Isotta Fraschini) avevano comportato una riduzione produttiva e per questo motivo i responsabili dell'ANR assegnarono al reparto i primi Bf. 109 ceduti dalla Luftwaffe, considerando anche che molti piloti avevano già avuto in dotazione il "Gustav" nella primavera del 1943 in Sicilia e in Italia centrale. La tendenza generale era di assegnare a tutti i reparti dell'ANR caccia Bf. 109 per standardizzare la linea ed eliminare problemi tecnici e organici. Addestramento e metodi di combattimento tattici in relazione alla grande disponibilità di velivoli Messerschmitt da parte tedesca. Il passaggio sui caccia tedeschi coincise col trasferimento del reparto sui campi di Ghedi, Villafranca Veronese, Aviano da dove il 2° Gruppo operò ininterrottamente sino al mese di agosto, subendo come gli altri reparti dell'ANR, in conseguenza del golpe tedesco, un periodo di forzata inattività. Poi in ottobre la ripresa con l'assegnazione di nuovi Bf. 109 di versioni più sofisticate e più veloci.

 
Il reparto non ebbe mai riposo, sostenne 48 combattimenti, effettuò 142 missioni belliche abbattendo 114 aerei nemici oltre a 48 probabili, perdendo in azione 42 piloti.
Fra i suoi piloti si distinsero altri assi dell'ANR come il capitano (poi maggiore) Mario Bellagambi con 12 vittorie riconosciute e il capitano Ugo Drago con 11 abbattimenti accertati fra l'aprile 1944 e l'aprile 1945.
Il reparto si sciolse ad Orio al Serio dopo un accordo col CLN di Bergamo, fortunatamente rispettato dai responsabili della resistenza.
La storia del 3° Gruppo CT., erede della tradizione del 4° Stormo e del cavallino di Baracca, ebbe sin dall'inizio travagliate vicende per ritardi nella preparazione del personale e per l'assegnazione di idoneo materiale di volo. Dislocato sul campo di Cervere, col comando a Fossano, svolse una certa attività addestrativa sino all'estate 1944, subì le conseguenze della tentata costituzione della Legione Aerea Italiana, proposta da Richthofen per assoggettare gli aviatori dell'ANR agli ordini della Luftwaffe, e, dopo un periodo di riorganizzazione, venne inviato in Germania per l'addestramento sul Bf. 109. In marzo un primo nucleo di piloti rientrava in Italia partecipando a missioni di intercettazioni in unione col 2° Gruppo CT mentre il grosso del reparto rimaneva bloccato in Germania dalla fine della guerra e il restante dislocato fra Desio e Seriate, si consegnava a ufficiali della R.A. col materiale di reparto.
Non meno valorosa e sacrificata fu la vicenda della squadriglia complementare "Montefusco" chiamata ad assolvere con la difesa del Piemonte, compiti notevolmente superiori alle sue capacità organiche e d'azione.
Comandata dal capitano Giovanni Bonet, pluridecorato al v.m. con 20 vittorie nei cieli (verrà decorato di M.O. v.m. alla memoria dopo il suo abbattimento) partecipò con una dotazione mista di MC. 205 e FIAT G. 55 a numerose intercettazioni, a combattimenti aerei, abbattendo 7 aerei alleati e perdendo in azione 7 piloti fra cui il comandante Bonet, i capitani Torresi e Bartolozzi, il sergente Arrigoni.
Nell'estate la "Bonet" veniva assegnata al 1° Gruppo CT e passava con aerei e piloti nel gruppo "Visconti" partecipando alle vicissitudini operative sino alla fine della guerra.
La specialità aerosiluranti, che tanti successi aveva donato alla R.A. fino al momento dell'armistizio, si ricostituì per merito di alcuni suoi comandanti di prestigio, così come fatto con la Caccia dai valorosi comandanti di squadriglia. Fra essi sono da citare il capitano Carlo Faggioni, che chiamò a raccolta piloti e specialisti del 132° Gruppo AS., recuperò aerei e materiali un po ovunque e si trasferì dalla Toscana in Lombardia fra i campi di Lonate Pozzolo e Venegono, con campo di riordino e approntamento a Merna di Gorizia. In breve fu costituito un gruppo su tre squadriglie, intestato al nome di uno fra i più valorosi comandanti della specialità: il maggiore M.O. v.m. Carlo Emanuele Buscaglia creduto morto in azione, ma invece salvatosi pur gravemente ustionato, ricoverato in ospedale ad Algeri e poi in un POW Camp degli USA. Assieme al reparto operativo vennero costituite due squadriglie complementari e addestrative che svolsero attività di volo fra Venegono e Bettola del Garda. Vennero assegnati inizialmente al gruppo una quarantina di trimotori S.M. 79.
La prima azione venne effettuata il 10 marzo nel mare davanti la testa da sbarco di Nettuno con la partecipazione di 6 trimotori al comando di Faggioni, Bertuzzi, Sponza, Ruggeri, Teta, Balzarotti partiti dal campo - trampolino di Perugia/S. Egidio. Nonostante la violentissima reazione contraerea, venivano colpite e affondate alcune navi alleate. Non rientrava il velivolo del tenente Teta abbattuto da caccia notturni. Da quel giorno le azioni si susseguirono ininterrottamente con altri attacchi e il 14 marzo in azione il trimotore del tenente Sponza perdeva l'elica del motore destro ma veniva salvato dalla perizia del valoroso ufficiale che lo riportava in salvo con l'equipaggio a Perugia. Riceveva per il suo comportamento dal generale Tessari un encomio solenne. Il 10 aprile, (durante il volo di trasferimento da Lonate Pozzolo a Perugia) la caccia alleata abbatteva in fiamme 5 trimotori causando la morte di 27 fra piloti e specialisti.
Nell'azione del 10 aprile veniva abbattuto in fiamme dal tiro c.a. davanti a Nettuno l'aereo del comandante Faggioni che precipitava in mare con la perdita dell'intero equipaggio. Alla memoria del pluridecorato comandante veniva assegnata la M.O. v.m.
Ugualmente abbattuto anche il trimotore del tenente Ottone Sponza che riusciva ad ammarare salvando ancora una volta l'equipaggio catturato indenne da marinai americani. Si perdeva anche il velivolo del capitano Valerio e si salvava solo il 2° pilota M.llo Jasinski lanciatosi col paracadute vicino Medesano.
Al posto del valoroso capitano Faggioni subentrava il capitano (poi maggiore) Marino Marini, altro asso della Specialità, pluridecorato al v.m., che risollevava il morale del reparto, lo preparava a nuove imprese, lo rinsanguava con altri equipaggi e altri trimotori.

 
Ai primi di giugno 12 SM. 79 si portavano sul campo trampolino di Istres in Francia, e da qui nella serata dal 4 giugno, 10 trimotori decollavano diretti alla lontana base di Gibilterra per una missione ai margini dell'autonomia e delle possibilità di riuscita. Si concluse positivamente col siluramento di navi alla fonda e col grande risultato morale e tecnico di aver portato a termine una così impegnativa operazione. Tre aerei erano costretti ad atterrare in Spagna per sabotaggi operati nelle officine aeronautiche SIAI e Agusta alle pompe di prelievo carburante. Grandi feste accolsero gli aviatori reduci dallimpresa di Gibilterra.
La notizia della morte di Buscaglia a Campo Vesuvio mentre tentava di decollare con un "Baltimore" della R.A., colse di sorpresa tutti gli aviatori della RSI che credevano morto il valoroso comandante. Fu necessario modificare il nominativo del gruppo AS. che venne giustamente intitolato al capitano Carlo Faggioni.
Nel mese di luglio, venuti meno gli obiettivi nel mare di Anzio/Nettuno, il gruppo "Faggioni" si trasferiva a Treviso per una missione sul porto di Bari gremito di navi alleate. Nella notte sul 6 cinque SM. 79 attaccavano le navi colpendo mercantili e una nave da guerra. Ammarava per danni ricevuti dal tiro c.a. il trimotore del tenente Del Prete ma l'equipaggio si salvava col battellino e rientrava a Lonato Pozzolo con altro aereo pilotato dal tenente Perina.
Una squadriglia si trasferiva in Jugoslavia per un ciclo di azioni in Egeo con partenza da Salonicco (Megara) ed Eleusis e iniziava le missioni sin dal giorno 9 luglio e poi l'11 (coste libiche), 14, 21 e 4 agosto. Si perdevano nelle missioni aerei ed equipaggi abbattuti da caccia, o dal tiro c.a. o colpiti per errori d'identificazioni dalla Flak.
Dopo il golpe d'agosto, il gruppo "Faggioni" veniva riordinato, riequipaggiato con nuovi aerei e considerato pronto per nuove missioni. La prima era effettuata il 29 novembre nelle acque della Corsica, poi il 24 dicembre nel porto di Ancona e il 5 gennaio 1945 nell'Adriatico meridionale con affondamenti di navi sorprese senza scorta. Fu l'ultima azione del gruppo "Faggioni".
La fine della guerra colse il gruppo fra Ghedi, Lonato Pozzolo e Malpensa con una dotazione di una ventina di SM. 79 poi recuperati dall'aviazione del sud.
I risultati ottenuti comprendevano 14 missioni di siluramento e 16 di ricognizione armata, i siluri lanciati erano stati 54, il TSL. affondato pari a 115.000, i velivoli perduti 59 con 86 caduti fra piloti e specialisti.
Il maggiore Marino Marini asso degli aerosiluranti italiani, era stato proposto per il suo passato di valoroso combattente per l'assegnazione del M.O. v.m. Mentre l'attività della Caccia e degli Aerosiluranti aveva corrisposto agli impegni istituzionali stabiliti nella partecipazione della RSI al comune sforzo bellico con l'alleata Germania - difensiva per la Caccia e offensiva per gli Aerosiluranti - laspetto complementare previsto nella collaborazione di guerra venne esplicato con l'attività dei due reparti da trasporto: il 1° intitolato alla M.O. "Terracciano" e il 2° "M.O. Trabucchi". Essi vennero inviati sul fronte orientale con circa 80 trimotori SM. 81/T e SM. 82 contribuendo in modo determinante alle operazioni di guerra che vedevano la Wehrmacht gravemente impegnata a fronteggiare la spinta offensiva dell'Armata rossa giunta ormai alle porte orientali del Reich.
I due reparti, rispettivamente al comando del tenente colonnello Egidio Pellizzari il "Terracciano" e del maggiore Alfredo Zanardi il "Trabucchi", operarono fra la Cecoslovacchia, la Polonia, la Russia bianca, la Finlandia e le repubbliche Baltiche per poi spostarsi nella Prussia orientale e in Pomerania quando le avanguardie russe giunsero nella zona di Koenigsberg. Essi trasportarono materiali, soldati, feriti, particolari di ricambio per panzer con un impegno ed una partecipazione totale che riscossero l'incondizionato plauso della Luftwaffe.
Rientrati in Italia sul finire del 1944, i due reparti ormai privi di apparecchi furono trasformati in btg. azzurri antiparacadutisti ed assegnati alla divisione Azzurra (generale Marziale Cerutti) posta alla difesa di aeroporti e zone di interesse aeronautico fino al termine del conflitto.
Non meno importante fu l'attività svolta dal R.A.C. (Reparto Aereo di Collegamento) alle dirette dipendenze dello SM/ANR (maggiore Bernardo Quattrociocchi). Esso disponeva di una trentina di aerei fra monomotori / plurimotori per assolvere le numerose incombenze di servizio fra cui i contatti all'estero con le rappresentanze diplomatiche della RSI, oltre al trasporto di militari, piloti e specialisti, posta e plichi speciali (fra cui valuta per le zone oltre confine in cui operavano reparti della RSI), lancio di rifornimenti, addestramento di piloti e specialisti di bordo e tutti i compiti propri di un reparto multimpiego e necessario al funzionamento degli enti di comando della RSI e dell'ANR.
Gli altri reparti di volo dellANR svolsero attività addestrativa a diversi livelli (scuole di 1° e 2° periodo, scuole di perfezionamento Caccia, squadriglie autonome e complementari come ad esempio quella da bombardamento "Ettore Muti" con trimotori Cant. Z 1007ger (poi disciolta per impossibilità d'impiego). Fra questi reparti è doveroso citare il nucleo sperimentale di volo del capitano Adriano Mantelli che preparava al volo gli allievi piloti utilizzando veleggiatori "Canguro" e "Asiago" a Cascina Costa nell'inverno 1945. La voglia di cielo di tanti ragazzi cui le circostanze avevano impedito di coronare le loro aspirazioni giovanili era così appagata.
Anche l'AR.CO. nell'ambito della difesa territoriale svolse con i suoi gruppi opera encomiabile, impiegando circa 300 bocche da fuoco da 90/53, 75/46 e 100/47 e 400 mitragliere da 37/54 e 20/65. In 654 azioni di fuoco furono abbattuti sicuramente 156 aerei nemici e 65 probabili sparando 265.240 colpi di cannone e poco più di 400.000 proietti di mitragliera.
La novità di rilievo nellANR fu la presenza dei reparti paracadutisti (prima dellarmistizio di pertinenza del R.E.) che apportarono entusiasmo, vivacità giovanile e una ventata di rinnovamento nellArma Azzurra.
I primi reparti provenivano dalla Sardegna (XII/184° Rgt.) al comando del maggiore Rizzatti, il cui battaglione unitamente a reparti minori, si era ribellato all'armistizio, si era portato in Corsica con la 90a Pz.gren.Division combattendo contro degollisti e badogliani, che tentarono a più riprese di sbarragli la strada. Aviotrasportato in continente dapprima a Pistoia e poi sul litorale laziale a nord di Roma formò il raggruppamento "Nembo" assieme ad altri reparti ugualmente ribelli al tradimento (btg. "Ciclone" del capitano Manlio D'Abundo, nuclei del X° Rgt. Arditi, di NP, delle scuole di Tarquinia e Viterbo). L'altro reparto di una certa consistenza fu il III/185° Rgt. della "Nembo" (capitano Edoardo Sala) che dalla Calabria dove si trovava per combattere l'avanzata alleata, rifiutava l'armistizio e unendosi alla 29a Pz.gren. Division si spostava alla testa di ponte di Salerno per contenere la pressione alleata verso Napoli, che avrebbe impedito la ritirata delle unità tedesche provenienti dalle Puglie/Basilicata. Trasferitosi poi sul litorale laziale, il Btg. "Sala" si univa ai reparti del Raggruppamento "Nembo". In dicembre, decisa la costituzione di un Rgt. paracadutisti italiani per accordi fra ANR e Luftwaffe, il raggruppamento si portava a Spoleto per iniziare l'addestramento tattico con istruttori paracadutisti tedeschi, mentre gli ufficiali seguivano corsi tattici in Francia e Città di Castello.
L'ANR, avvalendosi dell'esperienza del tenente colonnello Edvino Dalmas (già comandante del 1° Btg. d'assalto paracadutisti in Tunisia e poi del Btg. ADRA) istituiva il Raggruppamento Arditi Paracadutisti e la scuola paracadutisti di Tradate, iniziando l'arruolamento di volontari per il costituendo Btg. allievi e affidando la scuola al capitano Luigi De Santis, già esperto istruttore a Tarquinia e Viterbo. I primi lanci furono effettuati presso la Fallschirmschule di Friburgo, dove 150 volontari provenienti dal Raggruppamento "Nembo" si brevettarono paracadutisti. Gli allievi di Tradate eseguivano nella primavera del 1944 i lanci a Venegono, costituivano poi il III° Btg."Azzurro" (capitano Alfredo Bussoli) e raggiungevano a Spoleto il Rgt. paracadutisti "Folgore", che comprendeva già il 1° Btg. "Folgore" (Maggiore Mario Rizzatti), il 2° "Nembo" (capitano Guglielmo Recchia) reparti di specialisti e complementi addestrati da personale tedesco con armamento ed equipaggiamento fornito dalla Luftwaffe.
Lo sbarco alleato ad Anzio/Nettuno del 21 gennaio 1944, fu l'occasione attesa per ritornare al combattimento e un primo battaglione di paracadutisti al comando del capitano Corradino Alvino, partiva da Spoleto a fine mese, e veniva inserito nella 4a divisione Fallschirmjager (generale Heinz Trettner). Esso partecipava con grande valore e sacrifici alla battaglia difensiva per bloccare gli alleati nella testa di ponte, battendosi sino al maggio allorché giungeva da Spoleto l'intero Rgt. "Folgore" assegnato al 1° Corpo Paracadutisti (generale Schlemmer) per difendere Roma dal sud. Fra la fine di maggio e i primi di giugno il "Folgore" si batteva con grande valore ad Ardea, Castel di Decima fosso dell'Acquabona, Pratica di Mare, Castel Porziano, Acilia contrastando la strada per Roma alle divisioni inglesi 1a e 5a e al 46° Rgt. corazzato lasciando decine di morti sulle strade consolari attorno alla capitale, numerosi feriti e dispersi, venendo citato all'ordine del giorno dal Q.G. del Fuhrer per il suo comportamento. Morivano fra gli altri il maggiore Rizzatti e il giovane volontario Ferdinando Camuncoli, che unitamente al tenente Leonida Ortelli venivano decorati di M.O. v.m.
Ricostituito nel nord Italia dopo aver subito perdite pari al 40% dei suoi effettivi, il Rgt. "Folgore" veniva assegnato all'Armata "Liguria" ed inviato sulle Alpi occidentali per la difesa dei passi del Monginevro, Moncenisio, Piccolo San Bernardo. Al comando del maggiore Edoardo Sala combatteva come sempre con determinazione, valore e sacrifici meritandosi altre ricompense che il Capo di SM/ANR comandante Baylon appuntava di persona ai paracadutisti meritevoli sulla linea del fronte.
Il Rgt. rimaneva sul confine sino ai primi di maggio e ricevuto l'onore delle armi dagli alleati a San Vincent era poi avviato alla prigionia.
Con la fine della guerra perduta con onore, si chiudeva l'epopea dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana che aveva assolto fino all'ultimo con abnegazione, sacrifici e valore il suo impegno onorevole di riscatto nazionale, di salvaguardia della vita e dei beni degli italiani con la difesa dei cieli d'ltalia. L'aspetto storicamente più meritevole di menzione, fu la grande responsabilità assunta dall'autunno 1944 di sostituire nei compiti difensivi la 2a Luftflotte di von Richthofen, rientrata in Germania nell'estate, di operare da sola nel più vasto contesto strategico assegnato sul fronte italiano al comando del Gruppo d'Armate C del feldmaresciallo Albert Kesselring.
Una piccola aviazione, nata fra mille difficoltà, osteggiata e minacciata in più occasioni dagli altezzosi alleati tedeschi, temuta dagli anglo-americani non tanto per potenza numerica ma per l'aggressività dimostrata in più occasioni (16 i bombardieri abbattuti in un solo giorno nel novembre 1944) assurgeva a compiti di primaria importanza sostituendo la Luftwaffe scomparsa dai cieli italiani. La lunga battaglia si concludeva nel sangue della primavera del 1945 con uccisioni arbitrarie, prelevamenti, assassini, emarginazioni dei superstiti, avvilimento per i prigionieri, offese e mortificazioni anche da chi era stato beneficiato, aiutato, assistito nei momenti difficili e poi i processi, le condanne ingiuste per i combattenti dell'onore, le discriminazioni, l'epurazione e la perdita del grado, delle ricompense, la cancellazione dai ruoli dell'Aeronautica per i perdenti, in molti casi la fame e il suicidio di uomini valorosi che all'Italia e all'Aviazione avevano dato tutto.
La triste ma secolare legge per i perdenti.
Bibliografia
Arena N. - L'Aeronautica Nazionale Repubblicana - 1°/2° Voll., Modena, Stem/Mucchi.
Arena N. - Battaglie nei cieli d'ltalia - 1943/45 - Genova, Intyrama.
Arena N. - Per lonore d'ltalia -1943/45 - Roma
Baldrati P.A. - Storia delle FF AA. della RSI - Milano

mercoledì 19 maggio 2021

LA DIVISIONE SAN MARCO

 

LA DIVISIONE SAN MARCO            


L'EPOPEA DEI FANTI DI MARINA DELLA DIVISIONE "SAN MARCO". "QUANDO EL LEON ALSA LA COA" Questo fu il motto della grande Unità della Repubblica Sociale Italiana che si batte contro tutti i nemici fino al 30 aprile del 1945 - Un medagliere di grande rispetto testimonia il suo impegno.
Emilio Cavaterra
 
 
     Da una ribellione sentimentale marinara, dal vincolo a una fedeltà mai mancata nei secoli, e dalla rivolta contro la viltà giunta a schiantare ogni dignità della Patria, dal dolore per la rovina di tutti e tutto, nacque la 'San Marco'. L'anima della Divisione, inizialmente sorta da un gruppo di marinai delle Isole dell'Egeo, da un nucleo di Camicie Nere dei Balcani e da un Gruppo di Granatieri, era marinara e i marinai che combattevano a terra sono tutti 'San Marco'.. ".
    Con queste alate parole il generale Amilcare Farina, detto "papà" dai fanti di Marina repubblicani, ha cominciato a raccontare le origini della seconda Divisione di quel complesso delle Forze Armate della Repubblica Sociale italiana che fu il fiore all'occhiello del ricostituito Esercito della Repubblica mussoliniana: le così dette quattro "Grandi Unità".
 
 
Sui porti della Penisola
 
    E' una storia tutta da disvelare, ma soprattutto da divulgare, quella della "San Marco", e ciò non soltanto per le sue peculiarità militari (è appena il caso di rilevare, purtroppo, che nella grande opinione pubblica nazionale son più noti i "marines" americani, contro cui peraltro si combatté, che non i nostri, e ciò grazie a un martellamento pubblicitario senza confronti), ma anche per il grande valore e l'autentico impegno dei nostri fanti di marina che nulla hanno da invidiare ai loro omologhi statunitensi. Un impegno, quello degli uomini della "San Marco", che si evidenziò negli aspri combattimenti impegnati sui fronti della Penisola contro le armate "alleate" che risalivano dal Sud, all'indomani del loro rientro dal periodo di addestramento in Germania, fino praticamente al 30 aprile del 1945, quando il loro comandante, considerata l'inutilità di ogni ulteriore resistenza, accettò la resa con l'onore delle armi. No, si conoscono poco o punto le gesta dei fanti di Marina italiani, specialmente di quelli della Repubblica Sociale, e dunque non si ha cognizione di quel che di eroico è stato da essi compiuto sui vari fronti nei quali furono impiegati, dalla riviera ligure alla Garfagnana e fino alla "Linea Gotica". Non staremo qui a riportare, nella sua interezza, la storia di questa Divisione che orgogliosamente ostentava nelle mostrine rosse dei suoi militari il leone veneziano che nella iconografia tradizionale è solitamente rappresentato con una zampa poggiata sulla pagina del Vangelo aperta dove campeggia la scritta in latino ben nota: "Pax tibi, Marce, Evangelista meus". E anche questa ha una tradizione di tutto rispetto: sta a ricordare, infatti, quei nostri marinai che nella prima guerra mondiale, all'indomani di Caporetto, ebbero un sacrosanto moto d'orgoglio e chiesero, subito ottenendolo, di combattere a terra lungo la linea del Piave contro gli austriaci. Ma con una differenza piuttosto significativa: quel leone di ottant'anni fa, la sua zampa la poggiava spavaldamente sul Libro chiuso, nella copertina del quale campeggiava la scritta: "Iterum rugit leo", ovvero il leone (quello di guerra e dunque con la coda alzata) ruggisce ancora.
 
Funerale di un fante di marina della San Marco.
 
L'elogio di Kesselring
 
    Di lì il motto sarcasticamente espresso in puro dialetto veneziano, che ha accompagnato con il suo timbro apparentemente dissacratore i nostri fanti di Marina in tutte le loro imprese guerresche fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale: "quando el leon alsa la coa, tute le bestie le sbasa la soa". Questo, se si vuole, dà la misura del tipo psicofisico di questi soldati che per lunghi mesi si sono battuti con valore, meritando ampiamente il riconoscimento sia dal loro comandante che dal Maresciallo Kesselring, come fa fede l'ordine del giorno n°27 diramato l'8 marzo del 1945 XXIII dal Comando Divisione Marina "S. Marco" a firma del generale Farina, fino ad oggi sconosciuto, e che qui riproduciamo testualmente: "In relazione all'attività svolta in modo tangibilmente concreto dai dipendenti reparti nella lotta contro bande, il Comandante del Corpo Armata Lombardia ha inviato il seguente telegramma: 'Il Maresciallo Kesselring ha espresso il suo elogio per l'attività contro bande della Divisione 'San arco'. Si rallegra con la Divisione particolarmente per la cattura del Capitano inglese il cui interrogatorio ha fruttato preziose indicazioni per il Comando. Aggiungo il mio elogio a quello del Signor Comandante Supremo". E come postilla, "papà Farina" aveva aggiunto: "L'elogio del Maresciallo Kesselring vada a tutti gli ufficiali, sottufficiali, graduati e marò che, immedesimati del male che compiono i nostri fratelli traviati prodigano tutta la loro attività e la loro energia per stroncare l'attività ribellistica della zona. Ed è anche incitamento perseverare per conseguire sempre maggiori risultati e vendicare così i nostri compagni caduti sotto il piombo dei sicari al soldo del nemico". Avevano dimostrato, dunque, e con i fatti, di quale tempra fossero fatti e quanto positivo fosse stato l'addestramento ricevuto nel campo di Grafenwoehr, presso Norimberga, al termine del quale, il 18 luglio del 1944, Benito Mussolini tornò a visitare la terza Grande Unità per consegnare ad essa la Bandiera, "simbolo della nostra fede, del nostro ardimento".
    E suggellò quella cerimonia con queste parole: "Io sono sicuro che, quando i nemici multicolori della nostra Patria sentiranno il vostro grido 'San Marco', essi si accorgeranno di avere dinanzi a sé intrepidi cuori, decisi a tutto pur di conquistare la vittoria".
 
 
Da Arenzano a Capo Berta
 
    E lo dimostrarono quando, alla fine del mese di luglio, fecero ritorno in Italia per presidiare un nuovo schieramento in funzione antisbarco in Liguria, con i reparti attestati lungo un fronte di decine e decine di chilometri sia per estensione che per profondità, da Arenzano a Capo Berta. Ma i nostri "marines" furono costretti anche a rintuzzare gli attacchi partigiani, attuati con la tattica del "mordi e fuggi", che provocarono centinaia di vittime, favorendo anche il fenomeno delle diserzioni, le quali peraltro furono prontamente tamponate dal nuovo comandante Amilcare Farina, che aveva sostituito il generale Princivalle, con una serie di disposizioni di chiaro stile militare, grazie alle quali vennero ricompattati reparti senza che si facesse ricorso alle rappresaglie. Anzi, proprio per evidenziare, applicando l'antico motto secondo il quale "oltre la tomba non vive ira nemica", la continuità delle identità italiane in un momento che lasciava presagire "la morte della Patria", "papà Farina" volle far costruire un cimitero in quel di Altare, denominato "Croci Bianche", in cui furono tumulati i Caduti delle due parti. In quei giorni di impegno diretto sul campo, i fanti di Marina della "San Marco" presero posizione sul fronte della Garfagnana in appoggio ai reparti alpini della "Monterosa": erano i marò del battaglione "Uccelli" e del maggiore Botto, che per lunghe e aspre settimane contrastarono i reiterati tentativi dei "multicolori invasori”, peraltro superiori per numero e per armamento. Nonostante tutto, insomma, il valore dei nostri fanti di marina riuscì a sfondare il fronte tenuto dalla quinta armata angloamericana costringendola a ritirarsi fino a Lucca e dintorni. Poi arrivarono i giorni dell'ira, con il crollo delle difese germaniche e il conseguente ripiegamento dei reparti della Grande Unità verso il Nord per costituire l'ultima difesa, ma anche per salvare i complessi portuali, le industrie e le infrastrutture che avrebbero poi consentito, come in effetti fu, di avviare nel dopoguerra la ricostruzione dell'Italia.
 
 
 L'ultimo ordine di Farina
 
     E' datato 29 aprile 1945 l'ultimo ordine del giorno lanciato dal generale Amilcare Farina ai suoi marò, per riunirli nella città di Alessandria, "dove sarà proceduto alla smobilitazione personale immediata". E l'avvertimento finale: "Compiendo le operazioni con ordine e disciplina, la Divisione darà l'ultima conferma di essere stata una Unità regolare delle migliori tra quelle dell'Esercito". Ma questo stava a dimostrarlo anche il medagliere della Divisione, davvero esaltante e degno della grande tradizione militare italiana, specie di quella dei Fanti di Marina: 2 medaglie d'oro, 9 d'argento, 42 di bronzo, 98 croci di guerra al V.M., 83 encomi solenni, 20 promozioni M.G.; inoltre, numerose ricompense al V.M. germaniche consistenti in una croce di ferro di prima classe, 13 di seconda classe, 7 al merito di guerra con spade di 2a classe e un distintivo d'onore. Il Leone di San Marco ha così dimostrato di aver ruggito bene.
 
 
STORIA VERITA' N. 12, Maggio-Giugno 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

CHI È CON "SAN MARCO" MUORE CON "SAN MARCO"! Gli ultimi giorni della Divisione e il piano operativo "Nebbia Artificiale"
Pieramedeo Baldrati
 
 
    Pubblichiamo il testo integrale del discorso commemorativo che l’Autore pronunciò a Livorno il 4 ottobre 1987, in occasione del Raduno dei veterani della Divisione della RSI.
    Signori Ufficiali, Sottufficiali, Graduati e Camerati Militari di Truppa della 3a Divisione Fanteria Marina "San Marco"!
    Davanti a Voi il mio pensiero va, in questo momento, agli 800 Caduti Noti, ai 486 Caduti Ignoti, ai 564 Dispersi ed ai 754 feriti della Divisione. Con Essi auspico che Voi ricordiate il Maresciallo creatore delle FF.AA. della R.S.I.
    Grande è stata la mia perplessità quando nelle andate settimane sono stato invitato dal Sottotenente Brenna a parlarVi, essa derivava dal non aver fatto parte della Vostra Grande Unità e quindi dal ragionato timore che venirVi a narrare la Storia, sia pure sintetica, avrebbe generato in taluno di Voi un senso di malessere morale se non di fastidio in quanto Voi avete "fatta" la "San Marco" non io che ne ho solo ricostruito nei dettagli l’esistenza.
    A quella del Sottotenente Brenna si sono aggiunte anche le insistenze affettuose del Vostro Presidente Capitano Martinozzi ed eccomi quindi tra Voi per rivivere una parte della Storia della Divisione.
    Io so per certo che nella maggioranza dei Veterani di "San Marco" (con esclusione del personale dei due Btg. al Fronte Sud) vi è ancora a distanza di non pochi anni un rammarico, un indistinto fastidio, e per dirla da "troupier" un magone grande... gli ultimi giorni... il ripiegamento... la resa. Ed appunto di ciò Vi voglio parlare per sciogliere finalmente quel velo di tristi ricordi in modo ufficiale e definitivo!
    È noto che la manovra strategica del ripiegamento della Divisione prese il nome di Kunstlicher Nebel (nebbia artificiale). Nome convenzionale definito dal Comando del Gruppo Eserciti poi Comando del Sud-Ovest per tutte le grandi Unità dipendenti. Meno nota la genesi, l’alternanza di intendimenti, l’esecutività che ora esamineremo. In sostanza si trattava di una manovra di ampio respiro che prevedeva l’arretramento di tutto lo schieramento del Gruppo Eserciti e l’assunzione di una nuova linea difensiva che dallo sbocco del lago Maggiore per il Ticino, il Po e le Foci Po fissasse il nemico. Tale manovra fu ipotizzata al Comando Gruppo Eserciti sin dal novembre 1944, ma non ne furono "messe in carta" le linee essenziali, di rimbalzo il Signor Generale Farina ne venne a conoscenza lo stesso mese presso il Comando del Corpo d’Armata "Lombardia", durante un rapporto.
    Tale manovra presupponeva l’abbandono al nemico dell’intero Piemonte, della Liguria, dell’Emilia, quindi del 50% del territorio della Repubblica... evidente quindi che il Generale Comandante non vedesse con eccessivo favore il tutto, specie se i movimenti fossero avvenuti sotto la pressione del nemico (che avrebbe attizzato una insorgenza all’interno) con prevalenza di forze aeree ed oltre a ciò per l’imponenza delle ipotizzate distruzioni. 
    Le offensive di Natale nelle Ardenne ed in Garfagnana, l’arresto imposto all’Est alla Armata Rossa fecero accantonare "nebbia artificiale" e nella mente del Generale Comandante prese forma un progetto (sino ad oggi o ignorato o comunque poco pubblicizzato) di "resistenza in posto in area difesa". Questo progetto che reca la data del 1° febbraio 1945 e che fu diramato a mano ai soli Comandanti di Unità come promemoria, SEGRETISSIMO, promanava da questi fattori: preservazione della unità organica dei Reparti (fattore di somma importanza per l’azione di comando e per la salvezza fisica degli uomini); conservazione di una parte di territorio sino ad una definizione politica onorevole e soddisfacente (testuale); ipotizzava una durata di tempo di 15-20 giorni.
    A differenza di altri Ridotti (rivelatisi poi dei canards) questo progetto fu autonomamente realizzato con ammassamento di scorte, di munizioni, viveri, carbolubrificanti e bestiame in piedi, sfruttando le antiche opere di fortificazione e le gallerie ferroviarie non armate della Liguria occidentale. Esso era ben differente dalle ipotesi di "nebbia artificiale" e vi si poteva antevedere una soluzione italiana all’atto della crisi finale.
    Il Generale Farina ne fece parola al Segretario Militare del Maresciallo, Generale Sorrentino, il quale però, nel corso della visita alla Divisione che il Maresciallo stesso effettuò nel marzo 1945, comunicò che non se ne doveva nemmeno parlare. Sfumava così l’occasione di fare della Divisione l’ultimo baluardo in armi della Repubblica, l’estrema difesa del Governo.
    Di "nebbia artificiale" si tornò a parlare il 31 marzo ad un rapporto presso il Comando del Corpo di Armata "Lombardia" alla presenza del Comandante Generale del Sud Ovest von Vietinghoff detto Scheel, che aveva sostituito il Maresciallo di Campo Kesserling nel gravoso incarico. E nel rapporto, sorvolando sulla presa di posizione alla linea Ticino-Po, si parlò soprattutto di distruzioni. Gli intendimenti emersi presupponevano l’adozione di "nebbia artificiale" solo all’ultimo momento e cioè sotto pressione nemica... l’ipotesi peggiore. Il Generale Farina si espresse chiaramente: il ripiegamento avrebbe portato a perdite ingenti senz’alcun costrutto, le distruzioni avrebbero gravemente compromesso l’economia italiana, l’ipotizzata orgia di distruzioni avrebbe avuto riflessi fortemente negativi sulle Unità italiane con probabilità di ribellione spontanea ed immediata (specie per Genova), in definitiva meglio la resistenza in posto e, comunque, desiderio di ordini chiari e precisi. Non vi fu opposizione da parte germanica, ma dalla riunione emerse che a Milano il Generale Wolff stesse architettando altre soluzioni. Comunque, ancora una volta, di "nebbia artificiale" più non se ne parlò.
    Nei giorni immediatamente precedenti vi era stato un colloquio tra il Generale Farina ed il Comandante Arillo, durante il quale si era parlato viceversa ancora di Area Difesa e la sintesi era stata subito trasmessa dal Comando "San Marco" al Maresciallo Graziani.
    Proprio su invito del Comandante Arillo il Generale si recò a Genova il 2 aprile per una cerimonia della Xa e vi incontrò il Comandante Borghese, che nel suo discorso ai marinai parlò di "difendersi contro tutti" ma poi in colloquio riservato con il Generale trattò quasi esclusivamente della difesa della Venezia Giulia... ed anche di Area Difesa più non si parlò.
    Scorsa tranquilla la prima settimana di aprile, se per tranquillità si deve intendere la staticità dei Fronti in Italia, poi il giorno 9 si scatenò sul Fronte Sud l’offensiva angloamericana. Per la verità (e lo si apprese nel dopoguerra) il Comandante del Sud-Ovest informò il Cancelliere del Reich e Comandante Supremo che una resistenza statica avrebbe avuto poche probabilità di successo, ma le sue proposte di arretramento alla linea Ticino-Po vennero al solito respinte.
    Sotto colore di trattazione di pratiche irrilevanti rispetto al profilo operativo, il Generale Farina inviò presso il Maresciallo il Capo di Stato Maggiore (del quale vedremo più tardi l’operato) ma nulla ne venne dal Comando Armata. E nulla ne venne anche dal Comando di Corpo d’Armata e si giunse così al punto che la situazione generale era cognita solo attraverso la radio nemica. Il Generale Farina avverte il rapido deteriorarsi della situazione, ed il 12 aprile ordina al proprio Stato Maggiore di riprendere alla mano gli studi su "nebbia artificiale", poi appronta un apposito Ordine del Giorno galvanizzante: "Chi è con San Marco muore con San Marco!".
    Il 14 aprile il Generale si reca al Btg. "Uccelli". È dello stesso giorno un ordine Superiore che modifica il trattamento da farsi ai partigiani catturati con le armi in pugno. Al suo rientro in Sede, il Generale viene a conoscenza dell’Ordine OP 27 del Comando Partigiano Piemontese comminante la pena di morte ai militari della RSI. Non sfugge al Generale il rapido deteriorarsi della situazione. Egli si reca a Savona il 18 aprile dove, amaramente, constata che "en cas de malheur" ognuno vuol fare di testa sua (testuale). Tornato ad Altare, rapidamente muta la dislocazione del I/5° nella zona di Stella, poi ha un colloquio confidenziale con il capo del D.V.K. circa "nebbia artificiale". 
    Il 20 aprile, mentre il Fronte Ovest tiene il Fronte Sud inizia, sotto violenta pressione nemica, il ripiegamento, il giorno dopo il Generale dirama l’Ordine del Giorno approntato.
    Il 22 si viene a conoscenza di un ordine di Alexander alle bande, dove le si incita ad usare anche i coltelli (il fair play degli inglesi). Alle ore 20,30 giunge dal Corpo d’Armata il preavviso di "nebbia artificiale", al che il Generale mette in "Allarme 2" la Divisione e riesce, fortunosamente, a far comunicare al II/6° l’ordine di raggiungere Genova al più presto. 
    Nella notte lo Stato Maggiore della Divisione appronta l’Ordine scritto di "nebbia artificiale". Eccovelo nella sua intierezza. Il Capo di Stato Maggiore non ha partecipato alla sua redazione. (Lettura dell’Ordine operativo). Per ordine del Corpo d’Armata, giunto alle ore 12,00 del 23 aprile, questo Ordine diviene esecutivo.
    I movimenti iniziano il 25 aprile su Acqui dove è giunto il III Gruppo Esplorante dopo contrasti con le bande, mentre i Servizi, il Comando Divisione ed il Btg. Trasporti passano indenni, il Btg. Raccolta subisce aspri contrasti dalle bande ed un bombardamento di artiglieria da parte di una colonna germanica effettuato per errore, al 5° Reggimento si ha la defezione del Comandante della C.C.R. (e conseguente eliminazione di gran parte degli uomini), il I/5° effettua senza danno i movimenti, il II/5° persa l’8a Compagnia (defezione del Comandante) procede faticosamente; il 6° Reggimento assicurerà la retroguardia, il suo III Btg. opera valorosamente sulla costa e raggiunge in giornata Savona, dove la 3a Compagnia Ferroviaria ha rintuzzato ogni velleità partigiana alla Stazione.
    L’Artiglieria è in movimento con scarso contrasto. Si può affermare che nella giornata i movimenti hanno avuto luogo abbastanza soddisfacentemente, ma un caso gravissimo si è verificato: il III Gruppo Collegamenti non si è mosso (sembra dopo colloquio del suo Comandante con il Capo di Stato Maggiore), vengono così a mancare alla Divisione in movimento gli indispensabili supporti delle trasmissioni radio non tanto nel suo interno quanto per ciò che attiene il Comando di Corpo d’Armata e le Grandi Unità laterali. Ciò non può che condurre alla catastrofe ed è la riproduzione esatta, pedissequa, di ciò che avvenne in Russia al Corpo d’Armata Alpino.
    Il Battaglione Pionieri, dove si è verificata qualche defezione isolata di ufficiali, ha perduto corpo e beni, un plotone (risulterà poi distrutto) ma giunge, sia pure faticosamente, in Acqui nel pomeriggio. 
    Le perdite della giornata sono ancora contenute e riguardano militari caduti per lo più per cecchinaggio sulle colonne, eccezion fatta al Gruppo Tattico "Valli" per il luttuoso equivoco già citato.
    In Acqui il Generale preliminarmente si reca dal Vescovo e gli fa noto che la Divisione se attaccata agirà duramente contro la città e non consegnerà alle bande il Generale Aichino ed i suoi del CISU. Parlamentari delle bande si presentano al Generale chiedendo la resa di "San Marco" e vengono rinviati con una proposta di tregua che consenta, senza spargimento di sangue, il libero transito di tutta la Divisione. 
    A questo punto si inserisce l’atto volontario del Capitano Martinozzi, che durante le trattative si offre quale ostaggio e viene portato con altro ufficiale presso le bande. In serata giungono i Reparti del 5° Reggimento e dell’Artiglieria e, sempre in serata, viene concordata con le bande una tregua di 5 giorni per il libero transito della Divisione. L’aviazione nemica, frattanto, attacca le colonne.
    26 aprile: un ufficiale della 3a Compagnia Amministrazione consegna alle bande i fondi della Divisione, mentre il Comando permane in Acqui, il III Gruppo Esplorante si è portato a Valenza Po, i Servizi marciano su Alessandria, il III Trasporti è duramente attaccato dall’aviazione tra Acqui ed Alessandria, la Colonna Sanitaria giunge a Valenza, i Pionieri oltrepassano Alessandria, il Gruppo Tattico "Valli" (avanguardia) raggiunge la Lombardia e sosta, così pure il Comando del 5°, mentre il suo I Btg. raggiunge Acqui seguito dal II. Il 6° muove verso Acqui il suo III Battaglione, ritorna verso Savona per liberare la 13a Compagnia accerchiata e poi, proseguendo nel movimento, entra in serata ad Acqui cantando tra lo stupore degli abitanti!
    L’Artiglieria in parte ha proceduto su Alessandria, in parte è ancora in Acqui. L’onore del III Gruppo Collegamenti è tenuto alto da un plotone che si ostina a non arrendersi alle bande in Ferrania. Ultima a lasciare Savona la 3a Compagnia Ferroviaria che ha inflitto notevoli perdite alle bande. Nel pomeriggio si presentano al Generale emissari delle bande "Mauri", facendo ben intendere che arrendendosi a loro l’incolumità degli uomini sarebbe assicurata, vengono respinti.
    In serata il Generale apprende da altri emissari "mauriani" la resa di Genova, quattro ufficiali germanici fortunosamente sfuggiti confermano la notizia.
    27 aprile: mentre il Comando Servizi della Divisione superato il Po raggiunge Mortara con tutti i suoi elementi ed i Trasporti, i Pionieri si portano a Valenza, il Gruppo "Valli" oltrepassa il Po e si ferma alle porte di Mortara. Il Comando 5° oltrepassa Mortara e si avvicina a Vigevano, il I e II/5° muovono verso Alessandria così come il I/6° ed il III/6°, il Comando 6° sosta in Acqui. Artiglieria: il Comando raggiunge Lomello sostandovi, il II/3° si trasferisce da Acqui in Alessandria, il III/3° giunge a Lomello con il IV. Le perdite della giornata sono elevate in tutti i Reparti.
    Nella mattinata un Maggiore inglese chiede di conferire con il Generale Comandante e gli propone la resa della Divisione, minacciando un intervento massiccio dell’aviazione. Il Generale gli oppone gli ordini che nel merito dovrebbe impartire il Maresciallo e chiude il colloquio dandogli appuntamento sulla linea Ticino-Po.
    "La decisione di respingere la resa è mia, soltanto mia... come può la "San Marco" iniziare il disgregamento di tutto il Corpo d’Armata? Abbandonare il 6° Reggimento? Lasciare nelle mani delle bande tanti camerati? Il mio è un atto di cameratismo, è un atto di fede!".
    L’ufficiale nemico, allontanandosi, mormora: "La "San Marco" ha firmato la sua condanna a morte".
    Nel pomeriggio il Comando Divisione raggiunge Valenza dove il Generale Hildebrandt del D.V.K., rientrando da Alessandria, giunge anch’esso più tardi in uno stato di agitazione estrema: ha appreso la notizia della morte del figlio decapitato dai russi ed ha visto in Alessandria il comportamento di quel Comando Piazza incline alla resa. Il III Gruppo Esplorante poco più tardi renderà gli onori alla memoria del Sottotenente Georg Hildebrandt durante una visita che i due Generali fanno. In serata il Generale ordina che tutti gli elementi di truppa liguri, emiliani e toscani siano lasciati in libertà. Nessuna notizia il Generale possiede circa i movimenti delle Grandi Unità della Frontiera Occidentale, della 34a Divisione e dei Cacciatori degli Appennini. 
    28 aprile: il Comando Tattico permane in Valenza, il Comando Servizi, oltrepassata Vigevano, giunge nelle vicinanze di Abbiategrasso, il Btg. Trasporti arriva a Cassinette di Lugagnano, tutti gli elementi dei Servizi sono con il Comando Servizi, il Btg. Pionieri si disloca a Torre Beretti, il Gruppo Tattico "Valli" giunge esso pure presso Abbiategrasso, il Comando 5° oltrepassa Vigevano con la Colonna Leggera ed i Distruttori Carro, il I/5° procede verso Mede con il II in retroguardia, il Comando 6° a Valmadonna, la Sezione pezzi della CCR/6° giunge a Valenza, la Colonna Leggera sosta in Alessandria, il I/6° oltrepassa il Po e marcia verso Vigevano, il III/6° si porta a Valenza e sosta.
    Dell’Artiglieria: il Comando oltrepassa il Ticino con il III/3°, il II/3° sosta a Valmadonna, il IV/3°, fatti saltare alcuni pezzi a Valenza riesce a raggiungere il Comando Reggimento. Il 3° Gruppo Costiero si arresta a Valmadonna.
    Il III Gruppo Esplorante nella serata tenta di passare per le armi il Capo di Stato Maggiore della Divisione, scoperto mentre telefona in Alessandria ai partigiani sulla presenza di Reparti e del Generale in Valenza, solo l’ascendente del Comandante riesce ad impedire l’atto.
    Dopo la partenza del Generale per Alessandria, il Gruppo perde un certo numero di uomini con un ufficiale che si allontanano verso la Lombardia antivedendo rappresaglie delle bande, specie dopo il ritorno da Alessandria del Generale con ufficiali delle bande.
    Nella mattinata il Capo di Stato Maggiore della Divisione, che nella notte si era fermato in Alessandria, arbitrariamente si presenta al Generale senza nulla riferirgli e dichiarando che se ne torna in Alessandria.
    Poi il Generale riceve da una staffetta partigiana una busta da parte del Generale Ollearo (Segretario Generale per l’Esercito Nazionale Repubblicano) nella quale vi è un foglio contenente notizie strabilianti: il Maresciallo Graziani prigioniero... il Governo catturato... Mussolini catturato sul lago di Como... Berlino accerchiata ed infine la preghiera di non arrecare danni alle popolazioni lungo il cammino dei reparti della Divisione!
    Nel pomeriggio il Capo di Stato Maggiore rientra in Valenza avvertendo il Generale che lo si attende in Alessandria per trattare.
    Il Generale si reca in Alessandria dove l’Ammiraglio Girosi gli propone la resa di "San Marco". Il Generale specifica le condizioni: per i reparti al di là del Po nessun provvedimento possibile; per i Reparti al di qua del Po concentramento in Alessandria Cittadella e trattamento da prigionieri di guerra; tregua d’armi; garanzia personale sull’eseguire le condizioni suesposte.
    Il Generale rientra poi in Valenza e rende noto il tutto al Comando di Corpo d’Armata (in transito) che però decide di passare il Po e di inoltrarsi in Lombardia.
    Mentre nella prima parte della notte i parlamentari avversari rientrano in Valenza, il III Gruppo Esplorante passa per ultimo il Po. Secondo le condizioni concordate restano in Piemonte: il Comando Tattico della Divisione e gran parte del 6° con un Gruppo di Artiglieria. Il Generale Comandante detta l’ultimo Ordine del Giorno della Divisione. Le truppe in Lombardia sono agli ordini del Colonnello Sordi.
    29 aprile: il Comando Tattico si trasferisce a Valmadonna e nel pomeriggio passa in prigionia di guerra in Alessandria così come il 6° con i suoi restanti reparti dell’Artiglieria, si consegna in Alessandria il II/3° unitamente al 3° Gruppo da Posizione Costiera.
    30 aprile: gran parte della Divisione, dislocatasi in terra lombarda, è ora agli ordini del Colonnello Comandante del 5° Reggimento, che viene raggiunto da una aliquota del Comando di Corpo d’Armata "Lombardia" con il Capo di Stato Maggiore Colonnello Morgantini. Il III Gruppo Esplorante entra in Vigevano e vi libera tutti i militari R.S.I. già prigionieri delle bande.
    Nel pomeriggio, sentiti tutti i Comandanti di Reparto, il Comandante ff. della Divisione Colonnello Sordi considerato: l’evolversi degli avvenimenti; la totale occupazione di Milano da parte di colonne corazzate nord-americane; la dichiarata volontà germanica di non difendere la linea Ticino-Po ma di ripiegare verso il Brennero; le condizioni proposte dal CLN di Magenta (libertà individuale agli uomini di truppa); dirama gli ordini verbali per il concentramento di tutto il personale della Divisione nel tardo pomeriggio e nella notte.
    Nella giornata, sulle truppe in movimento, aerei nemici a bassa quota hanno lanciato manifestini invitanti alla resa, nel pomeriggio altro lancio di manifestini a firma Graziani.
    Alle ore 24,00 del 30 aprile la 3a Divisione Fanteria di Marina "San Marco" cessa di esistere.
    Signori Ufficiali, Sottufficiali, Graduati e Camerati Militari di Truppa della 3a Divisione, ho cercato nella contenuta, sintetica disamina dei fatti accertati di sciogliere definitivamente le ombre anche cupe che sinora hanno avvolto gli ultimi giorni della Divisione, ombre che il dolore, talvolta trasformandosi in rancore hanno nel tempo rese ancora più cupe. Mi sono limitato a quanto attente ricerche hanno fatto cognito. Aggiungo ancora rilevandolo dal Diario inedito di Martini-Mauri, fortunosamente pervenutomi, che l’onore del III Guppo Collegamenti, assente agli avvenimenti narrati, fu salvato da quel plotone di genieri di Ferrania che si arrenderà solo il 30 aprile, dimostrando d’essere coriaceo almeno quanto i commilitoni che in armi giunsero alle porte di Milano.
    Non dimentichiamo che uguale "schiena" dimostrarono conduttori e scorta dell’autocolonna Sanitaria che, al comando del Maggiore Rippa, raggiunse l’Ospedale Militare di Milano-Baggio con i feriti. Con questi commilitoni avrei caro ricordaste i due Battaglioni al Fronte Sud ed il Deposito di Brescia ed il Comando Tappa di Milano, tutti hanno dimostrato di che stoffa fosse la "San Marco".
    Non rancore, rammarico ed oblio restino da oggi nel vostro animo, ma vi seguano le parole che il Vostro Generale scrisse in Alessandria, già prigioniero, la notte del 30 aprile: "Ora sono solo, solo con me stesso... di tutto, di tutti, il solo responsabile sono io. Quanto a suo tempo avevo fatto presente al Maresciallo si è avverato... la mia Divisione ha compiuto il suo ultimo dovere, il suo estremo sacrificio seminando di Caduti il suo cammino, dalle rive del Tirreno a quelle del Ticino-Po".
    "Anche se ancora ignoro le sorti del Deposito e dei due Battaglioni al Fronte (ma son certo che tutti si saranno comportati bene) ora so che la mia "San Marco" ha percorso il suo cammino arrivando, in massima parte, là dove le era stato ordinato giungere".
    "Lo stillicidio continuo di sangue dall’agosto ad una settimana fa, il cruento sacrificio di questi ultimi giorni, le vendette che presumibilmente da oggi avverranno, laveranno nel Tempo le inevitabili debolezze dei singoli che si sono smarriti".
    "Tutti, compatti o decimati, in ogni dove hanno marciato, saldi sotto attacco, indifferenti alla minaccia, sordi alla lusinga, volutamente ciechi all’evidenza, pagando pesante tributo di sangue, attenti solo al Dovere, decisi oltre il Dovere, fedeli al Giuramento, Soldati sino all’ultimo... per questo il mio futuro mi è indifferente...".
    Siano queste parole del Vostro Generale il Vostro Ideale Foglio di congedo. Sia onore a voi Uomini di "San Marco"!
 
 
STORIA DEL XX SECOLO N. 40, Settembre 1998 .