domenica 12 gennaio 2020

Il Fascismo è l’unica teoria ...

Il Fascismo è l’unica teoria politica capace di sradicare il sistema liberal-plutocratico…checché ne dica il russo Dugin!

Abbiamo più volte e in vari modi stigmatizzato l’usurpazione da “sinistra” del Fascismo. Ad esempio in questa sezione,  qui e qui.
In realtà, già dai tempi del fu M.S.I. del “camerata Niccolai”, risultava evidente che tale mistificazione, non fosse affatto in contrapposizione a quella effettuata “da destra” dai cosiddetti “tradizionalisti evoliani”, ma che  questa manovra, nella sua interezza, rientrasse pienamente nell’indebita appropriazione dell’Identità Fascista avente un’unica regia, diretta sempre dai soliti mandanti: quella dei nemici dichiarati del Fascismo, i “pluto-massoni” mondialisti. Tale usurpazione ha costituito esattamente la prosecuzione della loro guerra, mossa in questo caso dal lato politico-ideologico, seguita a quella già mossa a suo tempo dal lato militare e terminata nel 1945 con la vittoria bellica degli Alleati, che ovviamente ha avuto e continua ad aver bisogno di strumenti di questo tipo per perpetuare in tutti i modi (dal vilipendio alla disinformazione, passando, come in questo caso per la mistificazione) la “damnatio memoriae” sulla rivoluzione mussoliniana, da sempre percepita come minaccia perennemente in agguato per il sistema plutocratico.  Una manovra finalizzata concretamente a legittimare e perpetuare ideologicamente e politicamente l’occupazione dell’area geopolitica Euro-mediterranea da parte dei “tutori a stelle e strisce” del sistema politico criminale demoplutocratico vigente. In un simile contesto, appare ormai persino inutile ritornare ad indagare “paternità” e sviluppi storici di tale manovra ( lo avevamo già fatto a suo tempo QUI  ed anche QUI), che nel caso italiano viene ormai consumata da decenni (anzi, si può dire fin dalla nascita di quella caricatura di “stato” partorita dalle menti contorte del comando militare anglo-americano e chiamata indebitamente “repubblica italiana”), poiché i “beneficiati” sono sempre i nemici di cui sopra! Quel che conta, in questo caso, è notare come per corroborare o magari rivedere tesi che alla fine, producono sempre e comunque, il rafforzamento del sistema liberale partitocratico, sono serviti e tutt’ora servono sempre degli “ideologi” che tirano fuori dal proprio cilindro le formule più disparate e contorte, magari rivedute e corrette, di argomenti già sostenuti, ma che tutti, da sempre, si oppongono in modo evidente alla disarmante chiarezza ed alla semplicità lineare della dottrina del Fascismo mussoliniano. L’esempio più recente è quello del teorico russo Alexandr Gel’evič Dugin.  Chi è costui? Alcuni potrebbero averlo sentito nominare in due casi: in relazione alla “ascesa” di Vladimir Putin, oppure in rapporto ai cosiddetti “movimenti populisti”. Dugin è un “filosofo ed ideologo”, intellettuale putiniano, che viene definito da alcuni la “mente politica” del movimento che sostiene il presidente russo. Per fare una “reductio ad unum“, basta andarsi a guardare cosa teorizza questo “luminare della politica”. Una sintesi del suo pensiero è presente in questa intervista. Fatalità, il “buon” Dugin cosa va mai a teorizzare?  …ovviamente il “tradizionismo Evoliano”! In quale salsa?  ….ovviamente, in quella del comunitarismo euro-asiatico, tanto in voga tra i gruppi del cosiddetto “socialismo nazionale”! Il camaleaontismo di queste idee, nate già vecchie, fa un po’ sorridere. Questo perchè nel “socialismo nazionale” duginiano, si può ficcare un po’ di tutto. Possiamo partire dalla critica sociale al liberlismo, per cui necessiterebbe uno Stato autoritario “Sociale”. Tale critica “socialistica” risulta essere un “comune denominatore” dei movimenti “socialisti nazionali”, i cui obiettivi finali, però, si fanno più “sfumati”: vi è, infatti, chi vorrebbe instaurare “semplicemente” una forma di Social-Democrazia, magari economicamente incentrata sulla “Socializzazione” delle imprese e la co-gestione  della produzione, mentre vi è, poi, chi si avvicina più alle teorie di Dugin e vorrebbe instaurare una sorta di Socialismo Tribale (tale è la declinazione del termine “Nazionale”, in questo caso), dunque razziale, anche detto Comunitarista (il “comunitarismo” come nuovo “sviluppo” del razzismo di marca prussiana), che si ri-allaccerebbe ad una visione “tradizionista” (ecco che tornano Evola e Guenon), dunque “federativa” di più “Comunità” (da cui il lemma “Comunitarismo“), legate ai propri usi radicati e non integrabili tra loro, facenti riferimento ad una identità “esoterica” e mitologica precisa. Nel Socialismo Comunitarista è possibile ritrovare, dunque, anche, ma non solo, riferimenti agli Dèi pagani, visti come elementi distintivi della “unione interna alla Comunità“; uniti, dal punto di vista Economico e Sociale, ad un “Comunismo localistico“, tale da “superare” il problema del fallimento del marxismo e dunque fondando una città-stato che implementi una economia solidaristica e paternalistica al suo interno. In breve, codesti Socialisti Comunitaristi hanno sviluppato e portato alle sue logiche conseguenze il pensiero Nazional-Socialista, così come declinato dalla “Kultur Tedesca” e, per essa, dalla Società Esoterica di Thule. Ebbene, chi conosce la nostra critica alla cosiddetta “area neo-fascista”, avrà di già ritrovato tutti gli elementi che la contraddistinguono, pure presenti nel pensiero di Dugin! Egli rappresenta il “nuovo ponte” che unisce la vecchia concezione “Conservatrice” della “destra” politica, nella quale si trovano gli elementi di un’autorità e di un ordine di tipo tribale, di una ” piccola patria” come “luogo dei padri fondatori” ristretto e ben circoscritto, dell’identità radicata nel “sangue e suolo”, della gerarchia come istituzione armonica preposta al funzionamento di una comunità, che però è ben lontana dalla concezione romana dello Stato e dell’imperium ad essa connesso. Volendo il Dugin esprimere a suo modo una Sintesi di istanze diverse e vaghe, è chiaro come il sole che la sua teoria, sempre “casualmente”, ben si presti alle varie possibilità  di strumentalizzazione già operate da decenni dai “due poli”, quello dei “destri” e dei “sinistri”, presenti nella realtà politica demo-plutocratica del cosiddetto “occidente libero” . Tali “due poli”, falsamente contrapposti, sono quelli rappresentanti il parlamentarismo democratico. E così ritorniamo prepotentemente, come sempre in questi casi, al medesimo punto dal quale partono tutte le critiche! Senza giri di parole, noi fascisti siamo assolutamente convinti che sia proprio questo il motivo per cui ciclicamente risultano in voga questi “pensatori alternativi”! Proprio perché le Nemesi si auto-alimentano e visti i risultati politici degli ultimi 72 anni, è evidente che la loro esistenza risulta, di fatto, funzionale al permanere del Sistema ed al suo fondamento imprescindibile: il materialismo.
Il pensiero di Dugin è orientato alla creazione di una macro-federazione chiamata “EurAsia”, che abbraccia la Federazione russa e l’Europa. In realtà si potrebbe dire più precisamente ed in modo malizioso che sarebbe la Federazione Russa che si allargherebbe all’Europa, federandola a sè. Dove l’Europa viene vista come una “Comunità di Comunità”, ri-portata alla “Tradizione degli Avi e persino degli Dèi”, socialmente uniforme alla teoria del “Comunismo localistico” di cui sopra. Dugin, ha criticato e, di fatto, attacato il Fascismo Mussoliniano, esattamente allo stesso modo in cui questo viene delegittimato da decenni dai cosiddetti “neo-fascisti” nostrani, siano essi “del secondo” che  del “terzo millennio”, tutti sempre in cerca di evoluzioni impossibili ed aggiornamenti improbabili. La “quarta teoria politica” di cui Dugin sarebbe latore, infatti, mette sullo stesso piano una serie di “fallimenti politici”, che secondo il pensatore russo  sarebbero tutti derivati del liberalismo, tra cui annovera il Fascismo (sorvolando sul fatto che il Fascismo non ha fallito un bel niente, poiché caduto esclusivamente a causa di una sconfitta militare subita contro la più grande coalizione planetaria di nazioni che la storia fino ad oggi abbia mai visto, proprio perché, a differenza di quel che sostiene Dugin, esso costituisce la sola ALTERNATIVA al Liberalismo ed al suo contraltare gemello rappresentato dal Comunismo). Dunque, secondo Dugin, al Liberalismo, materialmente vincente, perchè ha mezzi e propaganda massmediatica su portata planetaria, forti e capaci di fare leva sulle debolezze umane, si dovrebbe contrapporre quello che a noi fascisti sembra chiaramente un debole ed improponibile, ancorché anacronistico “surrogato” di comunità tribale primitiva. La cosiddetta “Quarta teoria politica”, possiede in sé tutti gli elementi che consentono al liberalismo anglo-americano di continuare a dormire sonni tranquilli, godendo di un evidente rapporto di forza superiore, poiché il sistema di Dugin risulta intrinsecamente debole, in quanto oligarchico, dunque lontano dal riuscire a coinvolgere le masse popolari; frammentario e tendente a creare un “blocco federale” politicamente, culturalmente ed eticamente disomogeneo. Questa sarebbe la teoria politica che, secondo il politologo russo, dovrebbe essere capace di contrapporsi in modo vincente al blocco liberal-plutocratico esistente, provocando “l’esplosione del sistema liberale”!!
Ecco, dunque, la risposta alla domanda sul perchè tali autoproclamate “alternative” politiche prosperano, anche se sarebbe meglio dire, vengono insistentemente proposte e riproposte da decenni quali presunte credibili novità sistemiche, superiori al Fascismo! …perché TUTTE contemplano e accettano, sia pure come presunta “nemesi”, il sitema Liberale. Di fatto, lo scimmiottano e lo “invidiano”; addirittura, come nel caso di Dugin, affermano di volerlo utilizzare, quando invece è del tutto evidente, ormai da decenni, che sono proprio tutti codesti soggetti finto-alternativi ad essere utilizzati al fine di puntellare e rendere stabile la partitocrazia liberal-democratica pluto-massonica.
Non stupisce affatto, allora, quanto Dugin teorizza sui cosiddetti “movimenti populisti”, che costituirebbero, a sua detta, i presunti “contestatori del sistema” potenzialmente capaci di provocarne il collasso. Essi, invece, hanno, dimostrato chiaramente la loro reale portata: i risultati delle “elezioni” Francesi e quelle “amministrative” nostrane, infatti, non rappresentano una sorpresa inaspettata, tantomeno la fine del “populismo”, ma  costituiscono il vero obiettivo che il sistema plutocratico vigente  intende da sempre raggiungere utilizzando tali soggetti politici: essi rappresentano l’utile nemesi del Liberalismo mondiale di marca anglo-americana, che consente a quest’ultimo di continuare a prosperare. Tantomeno ci sorprende che Dugin formuli la sue teorie sul “superamento” del “posizionamento politico” dei cosiddetti “populismi” e per la “critica” al Liberalismo, usando TUTTI i filosofi e pensatori che quest’ultimo hanno “tenuto a battesimo”! Quella che auspica Dugin, in breve, è una “fusione” strumentale della Modernità Liberale alla visione Tradizionista Evoliana. Rimprovera ai Liberali di voler “imporre” il Liberalismo, ma non nega la necessità della sua esistenza, tantomeno la sua utilità. Utilizza una visione “esoterica e neo-pagana”, neo-politeista funzionale, per colmare il teorico “vuoto” lasciato dal liberalismo ai popoli europei, che a mezzo dei “populismi” dovrebbero contraporre la “Comunità federata duginiana” all’altra “Comunità federata d’oltreoceano”. Significativo come Dugin sostenga a chiare lettere che la “Modernità” sia uno strumento da usare, non un dogma da sposare o condannare. Ugualmente interessante che, per allargare la sua captatio benevolentiae, egli citi la “Romanità” quale elemento da “riscoprire”. Una “Romanità” che nella concezione Evoliana, Guenoniana, nulla condivide, ovviamente, con quella storicamente Reale, Vera, che invece è espressa perfettamente nella Concezione Dottrinaria del Fascismo Mussoliniano, a sua volta espressione autentica dello Sviluppo armonico della Civiltà Latina Cattolico-Romana.
Per uscire, dunque, dalle nebbie inconcludenti di “teorie politiche di quarta categoria”, provate ora a fare un breve raffronto con gli obiettivi e le modalità della Teoria politica del Fascismo che qui riportiamo  telegraficamente. Non volendo arrogarci il diritto di discutere in prima persona di tali questioni, con il rischio poi di incorrere nell’accusa di aver interpretato in modo scorretto principi e idee secondo la nostra personale sensibilità, ma in modo non corrispondente a quella del tempo di Mussolini, lasciamo allora ben volentieri, come è ormai nostro costume, la parola a chi scrisse sul Fascismo nel tempo del Fascismo da fascista; le conclusioni su quale sia la teoria politica più convincente le lasciamo a chi ci legge: Come fu sempre ribadito nella pubblicistica del Regime, il Fascismo, rappresenta un nuovo ordine sociale…
“Mussolini ha sempre affermato che il Fascismo in quanto idea, dottrina, realizza­zione è universale; italiano nei suoi particolari istituti, esso è univer­sale nello spirito. In tal senso deve prevedersi una Europa fascista, una Europa che ispiri le sue istituzioni alle dottrine e alla pratica del Fascismo; una Europa che risolva, in senso fascista, il problema dello Stato moderno. La sua con­cezione, contrapposta alle concezioni etiche degli altri Stati, le risol­verà tutte nella sintesi superiore della giustizia fra i popoli, come fra gli individui, nella cooperazione illuminata di quelli come di questi. Mussolini “fin dal 1914 afferma la necessità di mutare il costume politico, di dare al nostro popolo lo stimolo di una fede, di una passione, di una spe­ranza, di un mito; e negli anni seguenti sino alla marcia su Roma e all’impresa africana continua infaticabile questa opera di rieduca­zione morale, che deve far di ciascun italiano un fascista disinteres­sato, leale, responsabile, coraggioso, pronto a combattere disinteres­satamente e quotidianamente contro le forze ostili della natura e della storia con le armi del lavoro e con quelle della guerra; lavoratore e soldato. Di qui nasce l’imperativo: Credere, Obbedire, Combattere : tre ter­mini essenziali di ogni vita degna di essere vissuta : cioè di una vita animata da una fede, temprata a una disciplina, conscia di dover con­quistare i propri valori in un ininterrotto cimento agonale.” “In questo formidabile sistema costruttivo Mussolini respinge tra i tanti infiniti assurdi dottrinali, che hanno avvelenata l’anima delle moltitudini, il concetto di « felicità economica », che si realizzerebbe socialisticamente a un dato momento dell’evoluzione economica, con l’assicurare a tutti il massimo benessere. Così respinge il concetto ma­terialistico di «felicità» come possibile e lo abbandona agli econo­misti della prima metà del 700; nega cioè l’equazione benessere = fe­licità, che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa solo pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa”, certo che qualsiasi concezione della felicità spezza il ritmo della vita, fatto ad un tempo di piacere e di dolore, di sforzo e di calma. L’inesistenza della felicità non è che l’espiazione della col­pa di aver foggiato l’idolo della felicità; espiazione che consiste nel ri­costruire la vita nella sua somma integrale di gioia e di dolore, di sforzo e di pace, e nel sostituire all’idolo della felicità la pura adesione alla legge della vita, considerata come un comando che viene dai valori dello spirito e ci conduce verso quei valori. Questo è un considerare la terra come un luogo di passaggio sì, ma anche di premio, e perciò di gioia. E’ appunto nella lotta della vita che noi dobbiamo sentirne la bellezza; poiché è nella lotta; nel dolore, nella fatica, che l’uomo acquista, chiara, la coscienza di ciò che egli vale; piena ed intera la nozione di ciò che egli è e rappresenta agli altri nella vita; è dalla lotta che egli ottiene giusta la valutazione del proprio essere e valore del mondo”. “Ecco il perchè dell’af­fermazione del Duce « il Fascismo è concezione religiosa, in cui l’uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una volontà obbiettiva che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole d’una società spirituale ». Di qui il Fascismo diviene concezione morale aristocratica, gerar­chica della vita; diviene misura, armonia, ordine, libertà, sintesi”. “Inteso come rivoluzione il Fascismo si contrappone radicalmente a tutta una serie di filosofie consacrate nella dottrina e nella prassi: l’il­luminismo, il liberismo, il materialismo storico ecc. Il Fascismo ha una dottrina, ma non professa nè adotta alcuna filosofia, solo ha optato su­bito per una riconsacrazione politica dell’ideale religioso, cristiano, cat­tolico, segnando al tempo stesso le frontiere dello Stato nel mondo spi­rituale. « Lo Stato, osserva il Duce, non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato Fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, sol­tanto rispettata, ma difesa e protetta ». La religione, in Italia, non è religione di Stato, ma è la Religione dello Stato. L’indipendenza filosofica del Fascismo è di suprema importanza per quel tanto di circoscritto e di afoso che in filosofia dà il « sistema » storicamente inteso da non permettere di compiere integrazioni più ric­che di qualsiasi costruzione concettuale come di preminenza rifulge la dinamica Mussoliniana. Basta la nuova concezione dello Stato Fascista che salva l’individuo, l’uomo in tutti i suoi affetti, in tutti i suoi sogni, in tutte le sue aspirazioni, in tutti i valori che costituiscono la sua spi­ritualità a dimostrare che il Fascismo è soprattutto una nuova conce­zione della vita, alta e nobile come una fede religiosa. Basta la nuova concezione del lavoro che non è più inteso come una umiliazione e as­servimento della natura umana, ma libera esplicazione, di una qua­lità essenziale dell’uomo, cioè la società, per imprimere all’etica fa­scista il sigillo dell’universalità. L’affermazione poi che il lavoro è il soggetto dell’economia, è un’affermazione rivoluzionaria incommensurabile”. “L’esperienza Mussoliniana è costata naturalmente, rinun­zia, tortura dello spirito, disciplina, obbedienza e fede nell’avvenire. Solo attraverso questi sforzi il popolo italiano si è indirizzato su una nuova dottrina di vita. Tre sono i punti cardinali di orientamento:
a) In primo luogo il Fascismo ha ripristinato lo Stato, già com­promesso dalle conseguenze della guerra mondiale e dall’invasione delle idee comuniste e socialiste. A tutte le tendenze dissolvitrici e distrug­gitrici il Fascismo ha opposto l’energica volontà di ridare l’autorità allo Stato, che è un concetto etico e storico ed al quale debbono essere subordinati gli individui nell’interesse della collettività. Le forze cen­trifughe possono essere domate soltanto dallo Stato: senza di esso non è possibile un superamento delle crisi nè si possono comporre armo­nicamente e vantaggiosamente tutti i contrasti sociali connessi al sistema capitalistico. Lo Stato è l’ente eterno, la concezione storica che ri­collega il passato ed il presente. Un onesto e giusto sentimento sta­tale, quest’è il primo postulato fondamentale del Fascismo. Esso si riallaccia alle tradizioni dell’antichità, alle tradizioni dell’Impero Ro­mano, che ha trovato nel Fascismo la sua più esatta espressione mo­derna. Il Partito, sotto gli ordini del Duce, ci si rivela nelle sue reali im­ponenti linee. Espressione e strumento dell’idea fascista, esso è un col­laboratore, un coadiutore, nel più lato senso, dello Stato, delle sue leggi, dei suoi orientamenti, in tutti i campi e settori; coadiutore po­tente e prezioso, che, creando l’unità spirituale della Nazione, crea nello stesso tempo il clima spirituale, l’atmosfera in cui lo Stato vive ed opera. Là dove lo Stato non giunge, giunge il Partito, con quella che fu definita « funzione capillare ». Dove la tecnica delle leggi e dei rego­lamenti appare, per la sua stessa natura, imperfetta per raggiungere gli scopi stabiliti, c’è il Partito a integrarla. La direttiva di una grande Nazione, le leggi di uno Stato potente rischiano di non dare tutti i loro frutti, se non trovano una premessa, una garanzia spirituale. Questa premessa, questa garanzia con il comando, l’incitazione, l’educazione, la disciplina, il Partito appunto rappresenta, e tutti vedono con quale efficacia e con che risultati. « Il Fascismo, osserva il Duce, come dottrina di potenziazione na­zionale, come dottrina di forza, di bellezza, di disciplina, di senso di responsabilità, di ripugnanza per tutti i luoghi comuni della demo­crazia, di schifo per tutte quelle manifestazioni che costituiscono la vita politica e politicante di gran parte del mondo, è ormai un faro che splende a Roma, ed al quale guardano tutti i popoli della terra, specie quelli che soffrono dei mali che noi abbiamo sofferto e su­perato ».
b) In secondo luogo il Fascismo considera come sua missione quella di ricondurre le masse ai principi morali e alle fonti della pro­pria fede religiosa. Mussolini che, in tutta la sua vita, ha sempre combattuto e respinto la concezione meccanica della vita e della storia, ha sentito in un paese cattolico che la scissione antago­nistica del potere civile dal magistero della Chiesa significava nega­zione del valore morale e religioso dei più fondamentali istituti giuri­dici, ed ha attuato il sogno grandioso della Nazione. Elevazione quindi morale e religiosa del popolo, e non soltanto economica come vorreb­bero le vecchie dottrine materialistiche. « Un popolo, osserva il Duce, non può divenire grande e potente, conscio dei suoi destini, se non si accosta alla religione e non la considera come elemento essenziale della sua vita privata e pubblica ». Alla fede religiosa l’etica Mussoliniana amalgama il culto della fa­miglia dove si inizia la prima gerarchia che esige l’unità di comando, dove si forma il primo nucleo sociale, che impone il sacrificio dei sin­goli al gruppo. Lo Stato si modella sulla famiglia assumendone la legge e resta saldo solo mantenendosi ad essa fedele. Qualsiasi offesa a quella legge nel diritto pubblico o nel costume si ripercuote sulla famiglia, che si dissolve, allo stesso modo che la decadenza della famiglia porta fatalmente alla disgregazione dello Stato. Religione, Famiglia, Patria, Stato, ecco i fattori basilari che perpetuano la civiltà, che tramandano i valori morali formatisi attraverso il tempo. Così operando il Fascismo non crea fratture nella storia dello spi­rito umano e tutto il passato gli appartiene come sacro retaggio da trasmettere alle future generazioni: esso non può essere in conflitto con la vita. Funzione sociale, quella del Fascismo, la quale considera innanzi tutto l’uomo come entità spirituale che postula una serie di rapporti sociali: « L’uomo non è quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui concorre nel gruppo familiare e sociale, nella nazione e nella storia, a cui tutte le nazioni collaborano ». E così la dottrina fascista, « nascendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro ». Differenza fondamentale, pertanto, dalle multiformi dottrine politiche, sulle quali piovono, dal di fuori, postulati e corollari di varie scuole e sistemi filosofici, dei quali spesso quelle dottrine e prassi po­litiche sono tentativi ed esperimenti a doppio fondo.
c) In terzo luogo il Fascismo ravvisa il suo compito più impor­tante nella lotta contro il marxismo e nel superamento della lotta di classe mediante lo Stato Corporativo. L’idea direttiva della riforma fascista nel campo economico e sociale è quella del superamento della lotta di classe patrocinata dal marxismo, è quella della collaborazione di tutte le forze fattive e creatrici del paese per un superiore interesse nazionale. La concezione dello Stato Corporativo poggia appunto sul­l’idea della collaborazione pacifica, della eliminazione delle lotte eco­nomiche, rovinose altrettanto per l’economia privata che per lo Stato. A parte ciò il Fascismo vuol creare una nuova etica economica. Musso­lini mira soprattutto a contribuire al superamento dei contrasti di clas­se, sempre nel quadro del vigente sistema economico e senza esperi­menti radicali e rivoluzionari, ed a pervenire in tal modo gradualmen­te ad una soluzione del problema sociale. Ma per fare il corporativismo pieno, completo, integrale, rivolu­zionario, non bastano le leggi; occorrono, secondo la dottrina musso­liniana, tre condizioni di ambiente: « un partito unico, per cui accanto alla disciplina economica entri in azione anche la disciplina politica, e ci sia al disopra dei contrastanti interessi un vincolo che tutti uni­sce, la fede comune. « Non basta, occorre dopo il partito unico, lo Stato totalitario, cioè lo Stato che assorbe in sè, per trasformarla e potenziarla, tutta l’ener­gia, tutti gli interessi, tutta la speranza di un popolo. « Non basta ancora. Terza e ultima e più importante condizione: occorre vivere un periodo di altissima tensione ideale ». Tale armonia crea l’uomo che, lungi dal ritenere la vita umana una lotta ad oltranza per l’affermazione dell’esistenza, dichiara nella vita un ideale più alto al cui raggiungimento tutti debbono cooperare sulla base di una serena giustizia sociale. Così concepito e attuato il Fascismo crea una forma politica, eco­nomica e sociale, e soprattutto uno stato spirituale diverso dalla de­mocrazia, della quale è oggi più che mai difficile definire la sostanza e i meccanismi di azione. Ma non è nè fu mai una dittatura come nei primi tempi si voleva far credere dai vanesi della politica, perchè si sostanzia dell’umanità delle masse ed è perciò la più grande de­mocrazia, non parolaia ma in atto, che conosca la storia dei regimi politici del mondo. Il concetto di Stato etico che Mus­solini ha praticamente contrapposto allo Stato liberale e l’insieme delle dottrine con le quali il movimento fascista ha reagito al « catalogo » ideologico del liberalismo e della democrazia, sono intimamente con­nesse a tutta la storia del pensiero italiano ed europeo delle prime critiche che giuristi e filosofi del Rinascimento mossero ai concetti fissati dal medio evo. Egli, l’antiveggente, prende sempre posizioni nette, lapidarie di fronte a quello che sarà per essere ancora una volta il fatale, ine­vitabile cozzo dei popoli in un’ora decisiva della loro storia, e lo si sente esclamare fin dal 1926: « Noi rappresentiamo un principio nuo­vo nel mondo, noi rappresentiamo l’antitesi netta, categorica, defini­tiva della democrazia, della massoneria di tutto il mondo, per dirla in una parola, degli immortali principi dell”89 ». Creare una società veramente di popolo dove nessun altro pri­vilegio fosse possibile fuor che di lavorare, di combattere, di sacrifi­carsi per il comune avvenire; sostituire alla dichiarazione dei diritti della Rivoluzione francese, dalla quale era nato il rovinoso individua­lismo liberale, una dichiarazione dei doveri; contrapporre la forza co­struttrice della disciplina a quella disgregatrice della libertà che degenera sempre in licenza, ecco i punti fermi dell’Etica Mussoliniana. (G. Pannese, “L’etica nel fascismo e la filosofia del diritto e della storia”, Roma, 1942; ristampa a cura di M.Piraino e S.Fiorito, 2017, Lulu.com, pp.15 /26)
IlCovo

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