GANDHI IN ITALIA PER CONOSCERE IL FASCISMO
LA VISITA A ROMA DEL GRANDE LEADER INDIANO
L’incontro con Mussolini a Palazzo Venezia.
Giudizi altamente positivi sulla personalità del Duce e sullo sforzo di
affermazione sostenuto in quegli anni dalla nazione italiana.
Di LUIGI CAPANO
Il primo documento che testimonia
l’interesse di Mussolini per l’India è, con tutta probabilità, un articolo
apparso sul “Popolo d’Italia” il 4 settembre 1921 intitolato “Verso il Suolo
Asiatico” che, traendo spunto dalla notizia di una rivolta dei musulmani
Moplah nel Malabar, dava ampio spazio a considerazioni politiche di
interesse più vasto, soffermandosi in particolare sulla figura
dell’agitatore Gandhi, “il paziente e costante messia delle Indie” (1), uno
dei grandi protagonisti della ribellione del popolo indiano contro il giogo
inglese.
“Che cosa succede, che cosa è
successo in una plaga dell’India grande e favolosa, in quella penisola che
ha la forma di un cuore fra due oceani? E’ una rivolta, limitata ad una sola
tribù, quella dei Moplas, o è l’inizio di una rivoluzione?” (2). Quel
risveglio asiatico che Mussolini intuiva dai fermenti rivoluzionari che
costellavano per ogni dove le terre d’Oriente avrebbe, secondo il suo
pensiero, segnato inesorabilmente il tramonto dell’egemonia europea, perché
gli inglesi avrebbero sì potuto sedare temporaneamente una rivolta ma
sarebbe stata, di fatto, una vittoria di Pirro: “La razza si è risvegliata.
E’ in piedi. Il raggiungimento della sua indipendenza non è più una
questione di possibilità; è una questione di tempo” (3).
L’attenzione di Mussolini verso la
politica indiana è testimoniata tra l’altro – come diceva Renzo De Felice
(4) – dalla presenza di alcuni testi nelle biblioteche di Villa Torlonia e
in Romagna, di cui molto poco è giunto fino a noi. Tra i molti libri
recuperati citiamo: C. Formichi, India ed indiani; Viator (5), L’India dove
va?; G. De Lorenzo, L’Oriente e L’Occidente.
Soprattutto nei primi anni ’30 vi
fu in Italia un fiorire di studi politici e culturali sui paesi asiatici e
segnatamente sull’India, culminato nella fondazione dell’IsMEO ad opera di
Giuseppe Tucci (1933).
C’era un fermento che vivificava
quei popoli orientali e che risuonava variamente nell’Italia di quegli anni,
attenta a raccogliere e ad assimilare, come di rado è accaduto nella nostra
storia, ogni sollecitazione che spingesse verso un profondo rinnovamento
della vita in ogni suo aspetto. Questo elemento dinamico, sempre presente
nel pensiero di Mussolini, è uno degli aspetti più rilevanti della
Weltanschauung fascista: “Non crediamo a una soluzione unica – sia essa di
specie economica o politica o morale -, a una soluzione lineare ai problemi
della vita perché – o illustri cantastorie di tutte le sacrestie – la vita
non è lineare e non la ridurrete mai ad un segmento chiuso fra bisogni
primordiali” (6).
Era in particolare dall’India che
provenivano più numerosi i segnali della ribellione. La situazione stava
precipitando. Gli inglesi, a quanto pareva, avevano i giorni contati e la
loro avventura coloniale in quelle terre sembrava volgere ormai
irrimediabilmente al termine.
La conquista britannica delle
Indie è stata, in realtà, il frutto di una imponente azione commerciale e
affaristica sostenuta dalla forza delle armi e condotta dalla celeberrima
British East India Company, nata come una vera e propria compagnia di
avventurieri del mare e divenuta in seguito padrona del più grande e più
ricco fra tutti i domini britannici. Le numerose rivolte che costellarono i
momenti più drammatici di questa impresa furono ferocemente domate:
ricordiamo fra tutte la rivolta dei sepoys – milizie indigene al soldo della
Compagnia – avvenuta nel 1856. Un tenente dell’esercito coloniale inglese
scrisse una lettera alla madre esprimendosi in questi termini: “Siamo stati
finora occupati a disarmare lungo le strade i reggimenti e a giustiziare i
ribelli. Il genere di morte, che a quanto pare, produce un’enorme
impressione sulla folla consiste nell’essere soffiati via dal cannone.
E’ veramente orribile a vedersi, ma in simili tempi non possiamo fare
tanti complimenti…” (7).
Con la fondazione del Congresso
Nazionale Indiano (1885), avallata dallo stesso Governo Britannico
nell’intento di controllare il nascente sentimento nazionale tramite un
organismo politico “addomesticato”, vengono di fatto gettate le basi per un
forte movimento anti-britannico. Gradualmente, col formarsi di un’autentica
coscienza nazionale, il Congresso comincia ad assumere la funzione di un
vero e proprio organismo unificatore dell’India, sino a divenire oppositore
assoluto della dominazione inglese.
Nel 1919 si impone sulla scena
politica indiana la figura di Mahandas Karamchard Gandhi che si farà
portavoce del malcontento popolare e condurrà fino alla fine dei suoi giorni
una lotta senza tregua contro l’invasore britannico con le armi implacabili
dell’ahimsa e del satyagraha (8).
La situazione precipitò verso la
fine del ’29 quando il Congresso, riunitosi a Latore, approvò un documento
che dichiarava aperta la lotta per l’indipendenza del popolo indiano. Questo
evento ebbe grande risonanza anche nel nostro paese. In quell’occasione
Virginio Gayda, direttore del “Giornale d’Italia” ebbe a scrivere: Il
risveglio dell’India riempirà di sé, esso pure, la storia di questo secolo
che leva di fronte alla razza bianca e alla civiltà occidentale le razze di
colore e lo spirito di altre tradizioni e di altre civiltà, più forti di
numero e più vergini nella loro coscienza” (9).
Conferenze fallite
Dietro la spinta dei disordini
provocati dalla disobbedienza civile fomentata da Gandhi il governo
britannico decise di convocare per il 12 novembre 1930 una Conferenza a
Londra per discutere il futuro dell’India ma non si ottenne alcun risultato.
Venne quindi convocata una seconda Conferenza per la fine del ’31 ed il
Congresso decise di inviare a Londra Gandhi come suo unico rappresentante
ufficiale. Ma anche questa seconda Conferenza, conclusasi ai primi di
dicembre, si rivelò un vero e proprio fallimento.
Durante il viaggio di ritorno il
Mahatma (10) visitò Parigi; poi fu in Svizzera, ospite di Romani Rolland,
uno dei maggiori divulgatori del pensiero di Gandhi in Europa. La tappa
successiva è l’Italia: Milano l’11 dicembre ed il giorno seguente, Roma dove
è ospite, a Monte Mario, nella villa del generale Moris, pioniere
dell’aviazione militare italiana. Nella capitale sosterà due giorni durante
i quali sarà trattato con ogni riguardo dalle autorità e dividerà il suo
tempo tra escursioni turistiche ai musei, alle grandi chiese, ai celeberrimi
monumenti romani e alcune visite ufficiali alle più importanti istituzioni
fasciste. Verrà ricevuto a Palazzo Venezia (e verosimilmente anche a Villa
Torlonia, come testimoniato da Donna Rachele e dal figlio Vittorio) da
Mussolini e a Palazzo Vidoni da Storace, da pochi giorni segretario del
Partito.
Sulla base dei documenti di cui disponiamo
traspare indubitabilmente il desiderio di Gandhi di visitare l’Italia,
conoscere da vicino il fascismo ed incontrare Mussolini, nonostante l’opera
di dissuasione di Rolland e di altri suoi amici antifascisti (11). In
un’intervista rilascita al “Giornale d’Oriente” (8 settembre 1931), organo
della comunità italiana del Cairo, il Mahatma confessa: “L’Italia mi ha
sempre interessato e desidero visitarla. Spero, anzi, che io possa tradurre
in realtà questo desiderio presto. Forse, al ritorno da Londra, dopo la
Conferenza della Tavola Rotonda, il mio itinerario mi condurrà a Roma”. E
aggiunge: “tra tutte le nazioni che, dopo la guerra, tendono con sforzi
vigorosi, ad affermarsi ed a creare una realtà, l’Italia occupa un posto
privilegiato e distinto. Perciò Mussolini, che è l’animatore di questo
risveglio, ha tutta la mia ammirazione”.
Il 12 dicembre alle ore 18,00 Gandhi è a
Palazzo Venezia dove si intrattiene con il Duce in una breve conversazione.
Di questo colloquio si conosce pochissimo. Miss Slade, fedele seguace del
Mahatma, assistette all’incontro e, molti anni più tardi, in una sua memoria
scrisse: “Mussolini si rivolse a Bapu (Gandhi n.d.r.) in un ottimo inglese e
gli pose un certo numero di domande riguardanti l’India…Quando furono
passati dieci minuti, si alzò dalla sua sedia dandoci così il segnale che
l’udienza era finita, e ci accompagnò dritti alla porta all’altra estremità
della stanza. Il generale (Moris, n.d.r.)ci disse poi che questo era un
comportamento del tutto inconsueto per Mussolini, che di solito non si
alzava dalla sua sedia, e neppure sollevava gli occhi quando i visitatori
entravano” (12). E Gandhi porterà sempre con sé il ricordo di quegli occhi.
Racconterà un paio di anni dopo al suo segretario: Mussolini ha gli occhi di
un gatto. Alla sua presenza si viene storditi…I suoi occhi si muovono
intorno, in ogni direzione, come se fossero in rotazione costante. Il
visitatore finisce per soccombere totalmente allo sgomento di fronte al suo
sguardo, come un topo che corra direttamente in bocca ad un gatto solo
perché è stato spinto dalla paura” (13).
La sera del 13 il Mahatma lascia la capitale.
Il mattino successivo, a Brindisi, si imbarca per l’India.
Fa notare De Felice che Gandhi, contrariamente
a quanto asserito dai suoi biografi (14), dovette trarre dal soggiorno
romano una impressione nel complesso positiva, a giudicare dal contenuto di
una lettera da lui scritta a Rolland il 20 dicembre, durante il viaggio di
ritorno in India (15) e dal fatto che un anno e mezzo dopo pare abbia detto
ad un connazionale in partenza per l’Europa che vi erano due persone che
avrebbe dovuto conoscere: Mussolini e Rolland (16).
Gandhi sbarca a Bombay il 28 dicembre e vi
trova una situazione di grande tensione aggravata dai severi provvedimenti
repressivi adottati dagli inglesi. Con l’avallo del Congresso decide di
riprendere la lotta contro il governo. Una settimana dopo – era il 4
gennaio 1932 – viene arrestato e rinchiuso per quindici mesi nel carcere di
Yerawada.
NOTE
1)
G. D’Annunzio, Carteggio
D’Annunzio-Mussolini (1919-1938) a cura di R. De Felice.
2)
Mussolini, Verso il Suolo
Asiatico, in Opera Omnia XVII, p. 120.
3)
Mussolini, op. cit.
4)
R. De Felice, L’India nella
strategia politica di Mussolini, in “Storia Contemporanea”, dicembre 1987.
5)
Pseudonimo di Gino Scarpa:
console generale a Calcutta, organizzò il viaggio di Gandhi in Italia nel
’31.
6)
Mussolini, La Dottrina del
Fascismo (a cura di Marcello Gallina). Questa concezione dinamica della
realtà occhieggia più volte fra le pagine dell’opera. Si legge ad esempio
che “lo spirito fascista rifugge da tutto ciò che è ipoteca arbitraria sul
misterioso futuro”.
7)
In Massimo Scaligero, L’India
contro l’Inghilterra, p. 10.
8)
Rispettivamente “non-violenza” e
“forza della verità”, due principi che nel pensiero di Gandhi sono
inscindibili, come emerge ovunque nei suoi scritti: “Nell’applicazione del
satygraha ho scoperto fin dai primi momenti che la ricerca della verità non
ammette l’uso della violenza contro l’avversario, ma che questo deve essere
distolto dall’errore con la pazienza e la comprensione. Infatti ciò che
sembra la verità ad uno può sembrare un errore ad un altro…In campo politico
la lotta per il bene del popolo consiste soprattutto nell’opporsi all’errore
nella forma delle leggi ingiuste”. E ancora: “Credo che nel caso in cui
l’unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io
consiglierei la violenza…Tuttavia sono convinto che la non-violenza è
infinitamente superiore alla violenza, che il perdono è cosa più virile
della punizione. La clemenza nobilita il soldato. Ma si ha v era clemenza
soltanto quando esiste il potere di punire.; essa è priva di senso quando
proviene da una creatura impotente” (da M. K. Gandhi, Teoria e pratica della
non violenza).
9)
Il Risveglio nell’India, in
Gerarchia, gennaio 1930. Dallo stesso articolo può essere utile estrapolare
questa interessante osservazione: “Non è da Mosca, come generalmente si
crede, ma dall’America e dalla Germania, che parte l’incitamento alla
resistenza antibritannica; in India come in Cina. La Germania spende molto
per avvicinare alla sua cultura e alla sua influenza spirituale, attraverso
le scuole, le università ed i libri, la gioventù intellettuale dell’India.
Ma lavora anche con le sue banche, le sue compagnie commerciali e la sua
navigazione. Gli Stati Uniti uniscono all’azione economica quella politica,
con una sottile propaganda che rincuora la resistenza e la silenziosa
rivolta indiana in una quotidiana corrosione del prestigio britannico”.
10)
Letteralmente “Grande Anima”,
come Gandhi veniva chiamato dal suo popolo.
11)
Si legge nel diario di Rolland:
“Mussolini ha espresso il desiderio di vederlo, e poiché questo desiderio
era condiviso…Gandhi è andato dal Duce, con Mira, Desai e il generale Mosir”.
12)
In Gianni Sofri, Gandhi in
Italia.
13)
In “Harijan” (il giornale di
Gandhi), 24-10-1948.
14)
Si veda, ad esempio, Giorgio
Borsa, Gandhi.
15)
Nella lettera a Rolland si
legge: “Mussolini è un enigma per me. Molte delle riforme che ha fatto mi
attirano… La sua attenzione per i poveri, la sua opposizione alla
superurbanizzazione, il suo sforzo per attuare una coordinazione tra
capitale e lavoro, mi sembrano richiedere un’attenzione speciale…Il mio
dubbio fondamentale riguarda il fatto che queste riforme sono attuate
mediante la costrizione. Ma accade anche nelle istituzioni democratiche. Ciò
che mi colpisce è che, dietro l’implacabilità di Mussolini, c’è il disegno
di servire il proprio popolo. Anche dietro i suoi discorsi enfatici c’è un
nocciolo di sincerità e di amore appassionato per il suo popolo. Mi sembra
anche che la massa degli italiani ami il governo di ferro di Mussolini”.
16)
Dal Diario di R. Rolland.