martedì 9 settembre 2014

LAVORO E PARTECIPAZIONE

Lavoro e partecipazione

Come sottolineato nel Libro Bianco della Comunità Europea, il volume di ricchezza prodotta negli ultimi venti anni è aumentato dell’80%, mentre l’occupazione totale ha registrato solo un incremento del 9%.
Questo dato fa sicuramente riflettere ed accredita la consapevolezza dell’indebolimento del nesso tra sviluppo ed occupazione, dal momento che è ormai accertato che non bastano tassi di crescita  più elevati  per mantenere un correlativo tasso di occupazione.
Il ritardo nella comprensione di tale fenomeno è da attribuire al fatto che per anni si è ritenuta la disoccupazione come un fatto unicamente congiunturale, caratterizzato da circostanze transitorie e si è tentato di dare risposta al problema  predisponendo soltanto correttivi settoriali allo squilibrio tra domanda  ed offerta.
Infatti, sono state poste in atto politiche spesso demagogicamente tese ad avvantaggiare taluni segmenti dell’offerta, soprattutto di carattere generazionale,  e non l’accesso al lavoro in generale.
Non è dunque un caso se oggi se ne paga la conseguenza con un sempre più rilevante numero di ultraquarantenni fuori dall’area dell’occupazione ed a rischio di emarginazione e di esclusione dal senso di appartenenza alla società ed alla comunità nazionale.
Il fallimento delle politiche occupazionali nel Mezzogiorno d’Italia è stato caratterizzato, in questi ultimi anni, da interventi a volte assistenziali ed a volte parcellizzati, ma senza mai incidere in maniera strutturale sul fenomeno.
Inoltre, l'idea di fondo che i salari contrattuali siano troppo alti è assolutamente infondata, dal momento che la politica del contenimento del costo del lavoro non ha prodotto gli effetti sperati e l’occupazione nel settore privato coincide, purtroppo, in larga parte, con l’occupazione irregolare, dove le retribuzioni sono già abbondantemente al di sotto di quanto previsto dai contratti nazionali.
Appare pertanto ineludibile la necessità di adattare le forme ed i costi contrattuali alla struttura produttiva e occupazionale propria dei nuovi modelli di "accumulazione snella", aventi come riferimento non più la grande industria ed il modello fordista o taylorista, ma le piccole e medie imprese.
Da anni si parla di piccola e media impresa spesso in maniera strumentale e quasi sempre per attirare consensi politici, senza che sia mai stato attivato un preciso progetto destinato al definitivo consolidamento del settore.
E' ora, invece, di cominciare a considerare l'importanza di tale tessuto produttivo, inserendolo in un progetto socio-economico e di sviluppo incentrato sugli ideali della partecipazione dei lavoratori alla gestione ed agli utili delle aziende, sulla base della libera accettazione di statuti partecipativi che consentano alle singole imprese di stabilire il livello interno di coinvolgimento, di responsabilità e di rappresentanza del lavoro.
E questo, in un contesto nuovo di democrazia aziendale che definisca - assicurando la partecipazione attiva alla vita dell'azienda di tutte le maestranze - gli obiettivi della crescita, le caratteristiche della quota flessibile della remunerazione, i tempi, i modi, le forme della produzione e la indispensabile qualità della stessa.
Insomma, la sfida della democrazia partecipativa non può non passare, innanzi tutto, attraverso l'importante esperienza del mondo del lavoro e la rivisitazione e la trasformazione dei vecchi rapporti di produzione e dei vecchi modelli.
 
MICHELE CHIODI
                                                                                                                                            

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