domenica 20 luglio 2014

I "LIBERATORI" DI TRIESTE


STORIA


I "Liberatori" di Trieste

di Vincenzo Maria de Luca

La critica principale che la ricerca storiografica filoslava e una precisa area accademica italiana, di ispirazione comunista, muovono al moderno revisionismo storico è il fermo rifiuto di quest’ultimo, nell’ambito della denuncia dei crimini dell’occupazione titina della Venezia Giulia, a voler porre i partigiani di Tito sullo stesso legalitario piano politico, culturale e militare degli anglo-americani: pur nella loro comune lotta al nazi-fascismo.
In realtà, anche alla luce dei tanti delitti anti-italiani perpetrati sul nostro territorio, dallo sbarco in Sicilia del luglio ’43 all’assassinio degli innocenti manifestanti per "Trieste italiana" nel novembre 1951 da parte della polizia civile inglese nel capoluogo giuliano, non è moralmente né storicamente credibile assimilare tutto questo alla sommaria mutilazione territoriale jugoslava operata sulla Venezia Giulia e il Friuli orientale e alla epurazione etnico-politica della componente autoctona italiana. Prevedibili conseguenze queste della "carta bianca" che Tito aveva ottenuto su quell’area dai generosissimi accordi internazionali di Teheran del novembre-dicembre ’43.
Già queste prime, semplici considerazioni basterebbero ad evocare devastanti scenari di critica storica contro quella ormai logora retorica dell’antifascismo militante, già definito da Renzo De Felice "vulgata resistenziale", che ha sublimato la data del 25 aprile ’45 come festività civile della "liberazione" nazionale dall’invasore nazista. Di lì a una settimana, infatti, si sarebbe abbattuta sulla Venezia Giulia, con l’ingresso a Trieste il 1° maggio delle truppe titine del IX Korpus sloveno, una nuova, ferale invasione del nostro territorio , colpevolmente accettata questa volta dai "patrioti" delle brigate Garibaldi.
Definire "ipocrita" a questo punto la festa del 25 aprile, come ho spesso fatto in questi anni, non vuole essere perciò un insulto generalizzato alla lotta di liberazione del movimento partigiano "in toto", bensì un forte stimolo alla diffusione della verità storica non politicizzata e alla giusta condanna dell’imperialismo stalinista che aveva in Tito la sua punta di diamante avanzata nello scacchiere mediterraneo. Non senza velenoso sarcasmo, a tale proposito, così Churchill commentava: "Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti, il giorno successivo 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti".
É indispensabile fare chiarezza su quei tragici avvenimenti dei primissimi giorni del maggio ’45 al nostro confine orientale.
Al di là del comunicato di Radio Londra, ripreso in seguito anche da Radio Belgrado, che già il 30 aprile diffondeva la notizia che alle ore 12.30 Trieste era stata liberata dalle avanguardie della IV Armata popolare jugoslava, nella quale il IX Korpus era aggregato, solo il 1° maggio gli slavi riusciranno a entrare in città e non si trattò affatto di una "liberazione militare". A tale data infatti gran parte di Trieste era già sotto il controllo del Corpo Volontari della Libertà italiano e degli oltre 50 centri di resistenza urbani disposti dal generale Linderbach, che comandava tutte le forze tedesche dislocate a Trieste, solo il castello di San Giusto, il Palazzo di Giustizia e poche aree del porto continuavano a resistere.
Il 30 aprile ’45 il C.L.N. triestino, dal quale il partito comunista italiano si era dissociato fin dal ’44, respinte sia le proposte di una temporanea alleanza con i fascisti della R.S.I. in funzione anti-jugoslava, sia la richiesta del Fronte di Liberazione sloveno di abdicare politicamente, unendosi alle truppe di Tito e in considerazione del fatto che scontri a fuoco con i tedeschi si erano già verificati nei giorni precedenti, diede infine l’ordine di insurrezione generale.
Lo scopo dichiarato era di contribuire, in prima persona, alla liberazione della città dall’occupante nazista, assumendone subito l’amministrazione prima del temuto colpo di mano del Comitato Esecutivo Antifascista Italo-Sloveno (C.E.A.I.S.), controllato dal Fronte sloveno e appoggiato dai comunisti italiani, che premeva per l'annessione della città alla Jugoslavia.
L’iniziativa del C.L.N. triestino, che porta in quei giorni al controllo di oltre due terzi della città e del porto, nonché a proficue trattative con i tedeschi per la resa degli ultimi capisaldi, viene però vanificata dalla lentezza con la quale l’VIII Armata britannica si dispiega tra i fiumi Livenza e Tagliamento, permettendo a Tito di occupare per primo Trieste e facendo valere pesantemente titoli di priorità sull’amministrazione della città. I reparti corazzati neozelandesi arriveranno a Trieste solo il 2 maggio e lo stesso generale Freyberg che li comandava, invitato da Tito a entrare in città in sola veste di "ospite".
Fallimentare si era rivelata la politica del Comando Supremo alleato del Mediterraneo, nella persona del generale inglese Alexander, che non seppe opporsi con fermezza al colpo di mano di Tito, preoccupato solo del fatto che un deprecato scontro armato con le truppe jugoslave potesse inasprire maggiormente i già difficili rapporti con l’Unione Sovietica. Non dimentichiamo, a questo proposito, che nelle istruzioni impartite il 30 aprile dal presidente americano Truman, si raccomandava caldamente ad Alexander di ricercare la collaborazione degli slavi prima di avanzare nella Venezia Giulia.
Tutto ciò non poteva che legittimare un pericoloso precedente e di fatto, come poi avvenne, compromettere del tutto l’italianità di quella regione.
Per la resistenza italiana poi, si trattò di una doppia beffa: sia chi si batté dalla parte di Tito che in quella contraria, vide frustate le proprie aspettative; mentre ai partigiani italiani delle formazioni garibaldine "Natisone", "Triestina" e "Fratelli Fontanot", che pure avevano lottato coraggiosamente per la liberazione di Lubiana, non venne concesso per motivi di opportunismo politico di entrare tra i primi a Trieste, ai partigiani del C.L.N., che altrettanto coraggiosamente avevano preso le armi contro i tedeschi, venne intimato di sciogliersi o di sostituire il loro bracciale identificativo tricolore con quello jugoslavo recante la stella rossa. Questo portò gli stessi dirigenti del C.L.N. a preferire all’impari confronto con gli slavi, l’uscita di scena in attesa degli eventi.
Il 3 maggio ’45 veniva comunque diffuso clandestinamente un manifesto che invitava a lottare contro il costituendo C.E.A.I.S. che, per la cronaca, si componeva di 11 membri, dei quali 3 erano sloveni e 8 italiani "perfettamente allineati" con la politica di annessione alla Jugoslavia della Venezia Giulia propugnata dal PCI di Togliatti, Secchia e Longo.
Volendoci soffermare ancora un attimo sulla reale efficacia della partecipazione jugoslava alle operazioni belliche per la caduta di Trieste, non deve essere poi sottovalutata la pressione che in quel contesto gli anglo-americani esercitavano da tempo sul Reno, l’Oder e sull’Elba così come in Istria e in Slovenia. Tale pressione, indebolendo la difesa tedesca sull’area adriatica, agevolò i successi della IV Armata popolare jugoslava.
In merito allo status di "liberatori" al quale tanto aspiravano le truppe di Tito, come pure oggi storici di parte filo-slavi imbevuti di anacronistiche rimembranze vetero-comuniste, la direttiva che già il 30 aprile giungono all’Armata jugoslava a Trieste sono illuminanti: "smascherare ogni insurrezione che non si basi sul ruolo di Tito, considerandola un aiuto all’occupatore, un inizio di guerra civile ed un chiaro atto di insubordinazione all’autorità jugoslava". Ne fece le spese il corteo che il 5 maggio sfilava per le vie di Trieste sventolando bandiere tricolori e che venne preso a fucilate dai soldati titini che uccisero 5 persone, ferendone alcune decine.
La banale giustificazione addotta in seguito sarà che il corteo era costituito da "fascisti", come se dopo il 25 aprile il primo pensiero dei cosiddetti fascisti, non solo a Trieste ma anche a Milano e nelle altre città del nord, non fosse per ovvie ragioni quello di rimanere il più possibile nell’ombra ma di mettersi ostentatamente in mostra a rischio della vita.
La verità era che gli occupanti slavi e filo-slavi, negli elenchi degli indiziati di crimini di guerra o di colpe analoghe come il crimine di fascismo, di collaborazione con il nemico, di spionaggio, ecc. , si vollero collocare anche i partecipanti a manifestazioni filo-italiane e questo paradossale accostamento tra criminali e semplici dimostranti (sui quali per giunta si era sparato) si spiegava col fatto che nelle regioni occupate non si volevano voci di dissenso; gli anglo-americani dovevano così aver l’impressione che "tutti" nella Venezia Giulia fossero favorevoli all’annessione alla Jugoslavia.
Trasmetteva in lingua italiana Radio Belgrado il 31 maggio ’45 alle ore 22.45: "Nessuno può mettere in dubbio che ragioni economiche oltre che politiche esigono Trieste alla Jugoslavia. É semplicemente assurdo negare ad una Jugoslavia che tanto contributo ha dato alla causa degli alleati, il diritto di liberare il suo territorio; e noi combattenti della libertà questo dobbiamo comprendere e sostenere".
Analizziamola questa presunta "liberazione" che coinciderà con 45 giorni di terrore, arresti, deportazioni e infoibamenti, con Tito intenzionato ad espandersi fin oltre il Tagliamento. Quarantacinque giorni per Trieste e Gorizia ma per la Venezia Giulia non sarebbe bastata la fine della guerra. Infatti, se il 9 giugno ’45 in base agli accordi di Belgrado sull’evacuazione di Trieste da parte jugoslava, i titini lasceranno la città, niente più sarà possibile sapere della cosiddetta "Zona B", ora sotto amministrazione slava, ed in genere dell’intera regione giuliana. Quella di Trieste non fu una liberazione bensì un’occupazione militare in piena regola.
Appena giunte in città le formazioni titine, pur manifestando apparente amicizia verso i patrioti italiani, impedirono loro con forza il proseguimento parallelo della lotta, provvedendo al disarmo e dichiarandoli soggetti, come tutti gli altri italiani, all’obbligo del servizio militare nelle truppe di Tito. Stesso trattamento anche per quei carabinieri che già da tempo collaboravano con i partigiani del C.L.N. mentre furono emanati ordini tassativi a mezzo manifesto, decisamente lesivi della sovranità italiana:
  • Non erano validi gli ordini da questo emanati;
  • Unica autorità riconosciuta era l’Armata slovena;
  • Mobilitata.
  • Non si riconosceva l’autorità del C.L.N. italiano;
  • azione coatta degli uomini dai 17 ai 50 anni;
  • Processi sommari per gli inadempienti.

Quando il 2 maggio ’45 entrarono a Trieste i primi reparti neozelandesi di Freyberg, il primo carro armato della colonna portava a bordo la bandiera italiana con lo stemma sabaudo. Al suo apparire, le finestre di Piazza Oberdan e di via Carducci si adornarono immediatamente di molteplici tricolori. A questo punto il carro alleato venne fermato dagli sloveni che imposero di sostituire la bandiera italiana con la propria ribadendo il concetto con esplosione di colpi di arma da fuoco in aria. Contemporaneamente agitatori slavi provenienti dall’altopiano carsico unitamente ai partigiani titini, diedero il via a tutta una serie di intimidazioni anti italiane, entrando nelle case ed imponendo con la forza di sostituire tutte le bandiere italiane con altre slovene o rosse, oppure sparando contro le finestre imbandierate di italianità.
Dal 3 al 10 maggio vennero emanate ben 9 ordinanze speciali a Trieste, tutte drammaticamente lesive della libertà e della dignità umana. Eccone alcuni punti fondamentali, per meglio comprendere le reali intenzioni dei "liberatori" titini:
Dall’ordinanza n. 1:
Punto 1) Nella città di Trieste ogni potere viene assunto dal Comando Città di Trieste che proclama lo stato di guerra.
Punto 5) Domani, 4 maggio alle ore 1 di mattina, tutti gli orologi vengono spostati indietro di una ora, in modo da conformare il tempo con quello del resto della Jugoslavia.
Dall’ordinanza n. 3:
Punto 2) Qualsiasi equipaggiamento militare, veicoli, ordigni, velivoli, carburanti, lubrificanti, inventario, archivio, tutta la moneta, valori e preziosi, viveri, bestiame, manufatto di tabacco e tutto quanto apparteneva all’esercito di occupazione nemico, è bottino di guerra dell’Armata jugoslava e deve venire consegnato nel termine prescritto.
Dall’ordinanza n. 4:
Punto 2) Tutti gli istituti bancari e assicurativi restano chiusi fino a nuovo ordine; i rispettivi locali e le casse, saranno sigillate da funzionari del Comando Città di Trieste.
Punto 3) Ogni azione tendente a turbare l’esecuzione del presente ordine sarà punita dai Tribunali Militari.
Dall’ordinanza n. 7:
Punto 1) Viene severamente proibita ogni manifestazione di sentimenti nazionali.
Punto 2) É vietato, fino a nuovo ordine, ogni raggruppamento per le strade e locali pubblici.
Dall’ordinanza n. 8:
Punto unico) Il funzionamento degli Istituti monetari di Trieste avrà luogo secondo le disposizioni della S.N.O.S. (Slovenski Narodno Osvobodilni Svet o Consiglio di Liberazione Nazionale Sloveno), filiale per il litorale sloveno.
Dall’ordinanza n. 9:
Punto 1) In data odierna (10 maggio 1945), l’Esercito jugoslavo pone il controllo sopra tutti gli enti economici e industriali situati nell’ambito del Comando Città di Trieste. Si intendono controllati: il porto con tutti gli edifici e gli impianti portuali già amministrati dai magazzini generali.
Punto 2) Tutti gli impianti e le gestioni industriali (industria del ferro, chimica, alimentare, le tipografie, le fabbriche grafiche, ecc).
Punto 3) Tutte le rimanenti grandi aziende commerciali, economiche e dei trasporti. Tutti gli enti marittimi (industria navale, società di navigazione e pescherecce, le società di salvataggio controllate per i bisogni della Marina Jugoslava dal Comando Costiero Marittimo di Trieste).
Tutte indistintamente le ordinanze chiosavano con la roboante, enfatica dicitura "Morte al fascismo, Libertà ai popoli".
Quanto fossero aleatori i concetti di libertà e di liberazione per i titini, si può evincere dalla lettura di alcuni dati forniti a caldo dal C.L.N. della città in data 8 luglio ’45, appena un mese dopo i famigerati 45 giorni di occupazione slava di Trieste: "Durante la permanenza delle truppe di Tito sono stati deportati via da Trieste e mai restituiti 150 carabinieri, 150 guardie di finanza e circa 70 appartenenti alla guardia civile della città oltre a 250 prigionieri tedeschi. In questi giorni le autorità alleate hanno rinvenuto i corpi dei suddetti nella "foiba" di Basovizza.
Fino al giorno 4 c.m., erano stati estratti 400 cadaveri di cui 8 soldati neozelandesi. Di detta foiba esiste documentazione fotografica della quale sarà rimessa copia quanto prima.
Altre foibe sono state rinvenute a Pisino, Albona e Parenzo, località codeste, dell’Istria; alla distanza ragguardevole di 400 metri da dette foibe si sente il lezzo di cadaveri dei quali non è stato ancora accertato il numero. Ad Albona, centro dell’Arsa, le vittime del furore slavo sono state gettate nei pozzi delle miniere. Gli slavi hanno arruolato in Istria centinaia di italiani dopo aver preteso da questi l’accettazione delle pregiudiziali dell’unione della Venezia Giulia alla Jugoslavia.
Dopo gli accordi di Belgrado, e cioè dopo che gli slavi hanno dovuto lasciare la città di Trieste, hanno portato seco complete officine meccaniche, 120 milioni di lire della banca d’Italia e moltissime radio e suppellettili varie di abitazioni completando così i saccheggi precedentemente perpetrati".
Vennero arrestati molti civili; persone scomode all’amministrazione titina che non desiderava italiani nei pubblici uffici dove essa intendeva reiterare i suoi furti (banche) e i suoi falsi (uffici municipali). Furono fermati cassieri di banche solo perché in possesso di regolare porto d’armi e nulla si seppe più di loro. L’arresto di impiegati comunali fu eseguito su larghissima scala a Gorizia, Trieste e in molte cittadine istriane.
Nessun italiano poteva più credersi sicuro nella propria vita; ogni notte dalle case perquisite ne venivano portati via con gli autocarri alcuni che non tornavano più. Come pure molti erano coloro che fuggivano verso l’Isonzo; verso una speranza di libertà che in quel lembo d’Italia non era più diritto di alcuno. L’elenco delle gesta dei "liberatori" di Trieste potrebbero estendersi ancora per intere pagine; tuttavia a conclusione di questo excursus mi piace ricordare le struggenti parole dello scrittore triestino Silvio Benco tratte dal suo volume "Contemplazione del disordine": "A Trieste regnavano terrore e morte…pareva che la stessa parola Italia dovesse essere morta".

Articolo tratto da "STORIA del NOVECENTO" numero 108


                                                                                                                                                           

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