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Fiscal Compact, l’elisir ammazza Italia
di Giuseppe Biamonte
Il
2 marzo 2012 i paesi della cosiddetta Unione Europea sottoscrivevano
il diktat-capestro noto come "Fiscal Compact", vale a dire il
famigerato Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la gestione
delle economie dei paesi Ue. Un fantomatico toccasana, ben
congegnato dalla cupola eurocratica (i cui membri, è bene
ricordarlo, non sono elettivi), che a detta degli ideatori avrebbe
portato stabilità e crescita nelle economie europee.
In verità il trattato servì per svuotare i singoli Stati di una
consistente fetta di sovranità economica e politica da trasferire a
un Ente sovranazionale, di natura privatistica e vampiresca,
chiamato impropriamente Unione Europea. I suoi effetti disastrosi
non si sono fatti attendere.
Ne sanno qualcosa l’economia e lo stato sociale di paesi quali la
Grecia e la Spagna. Le ganasce poste alle casse pubbliche dei
singoli Stati dell’Unione, con il miraggio della parità di bilancio,
hanno fatto sì che il mostro creato in laboratorio potesse
intervenire, in modo particolare, sulla politica fiscale dei governi
fantoccio europei. In altre parole, via libera a tasse, balzelli e
vessazioni fiscali varie a carico degli inermi e incolpevoli
cittadini-lavoratori.
Partendo dall’assunto che uno Stato non può mai fallire – esempio
lapalissiano, durante la crisi del ’29, innestata anche allora dai
soliti noti, furono i provvedimenti economici per il rilancio
dell’economia e dell’occupazione presi negli anni Trenta in Germania
e in Italia, (in primis attraverso la messa in cantiere di colossali
opere pubbliche) che hanno permesso di schivare gli scogli
perigliosi senza danni letali - il trucco del risanamento ad ogni
costo è stata la cartina di tornasole di questi eurocrati dai lunghi
e aguzzi canini per promuovere interventi di rapina, chirurgicamente
mirati, volti all’accaparramento, attraverso la loro svendita, di
quei settori produttivi, soprattutto in Italia, tuttora in mano
pubblica e in buona salute (vedi Eni, Enel, Finmeccanica).
I talebani liberal-liberisti, fautori delle privatizzazioni
selvagge, avevano già iniziato anni addietro, al grido di "l’Europa
lo vuole", il saccheggio delle economie nazionali, prima col
Trattato di Maastricht nel novembre del 1993, poi, a seguire, col
Patto di stabilità e crescita nel 1997.
E il risultato di tale crescita è sotto gli occhi di tutti: lavoro
sempre più precario e pagato sempre meno; famiglie alla canna del
gas e migliaia di lavoratori nel baratro della povertà; contratti di
lavoro scaduti da anni, rinnovi col contagocce ma solo se il
sindacato sottostà ai desiderata dei padroni del vapore.
Nella tragicommedia eurocratica un posto d’onore, per quanto
riguarda l’Italia, spetta ai responsabili della politica nostrana.
La vigilia (guarda caso) degli ultimi ludi cartacei europei ci ha
mostrato, in tutta la sua miserevole realtà, quale sia il grado di
serietà e di attendibilità dei politicanti nostrani appartenenti ai
due blocchi-fotocopia.
Alcuni di loro, infatti, hanno recitato la parte dei pentiti,
facendo finta di sconfessare quanto da loro obbedientemente
sottoscritto a suo tempo a Bruxelles.
Casi eclatanti sono stati quelli di Fassina, ex viceministro
all’Economia e responsabile economico del PD che ha candidamente
ammesso: "fu un errore firmare il Fiscal Compact", cui ha fatto
subito eco l’ex satiro di Arcore, che ha bollato il trattato come
un’imposizione della teutonica culona.
Fatto sta che le marionette resteranno sempre marionette e non
potranno mai rivestire il ruolo di pupari, che spetta sempre ai loro
manovratori.
Per non restare al palo ora anche il cinguettatore fiorentino,
sempre più in affanno coi propri elettori e sostenitori, finge,
nella sua eccelsa abilità di venditore di fumo e di balle
stratosferiche, di ribellarsi alla troika dell’usura (Bce, Ce, Fmi),
come se fosse lui a dirigere la scassatissima baracca italiota.
La realtà è ben altra. Con un rapporto Pil/debito pubblico al 135%
il destino dell’Italia potrebbe essere tra non molto la bancarotta.
I tagli forsennati alla spesa sociale, ma non allo scandaloso costo
della politica, sono serviti finora soltanto a coprire in qualche
modo il buco determinato dagli interessi usurai pretesi dalla
finanza internazionale che specula sul debito italiano.
Ben venga, certamente, il referendum abrogativo del Fiscal Compact
promosso da un gruppo di economisti cosiddetti bipartisan.
Ma, temiamo, che abrogare quattro articoli del trattato non sarà
sufficiente.
Per scongiurare l’avverarsi delle profetiche parole del grande Drieu
La Rochelle:
"Povera
Europa, ti abbandoni ai quattro venti del tuo disastro. E non lo
sai. Sarai morta senza saperlo"
il
mostro va abbattuto e non soltanto indebolito.
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