Ancora sulla storia falsificata – Filippo Giannini
Autorizzato dal suo autore
(*), riprendo questo articolo che evidenzia ancora una volta come la
Storia che ci raccontano sia falsata e funzionale alla creazione di
certi “miti”. Ancora una volta, insomma, è proprio il caso di dirlo:
Ingannati, fin dai tempi della scuola.
(*) Filippo Giannini è
nato a Roma. Architetto, ha lavorato oltre che in Italia, in Libia e
in Australia, vive a Cerveteri . E’ collaboratore di numerosi quotidiani
e periodici.
Sempre nel ricordo di Piazzale Loreto
SOLITE INFAMIE
Questa volta ad opera di Paolo Mieli
di Filippo Giannini
Ė vero: ho un caratteraccio! Sarà che ho ancora dentro di me lo spirito del
Balilla che non sopporta le
vigliaccate. Mi riferisco alla trasmissione di
Ballarò del 23 aprile 2013, quando in un intervento del direttore de
Il Corriere della Sera, Paolo Mieli, commentando uno dei tanti
inciuci riguardanti il connubio PD/PdL, ebbe a ricordare (cito a memoria): <
D’altra
parte anche nel 1944, Togliatti rientrato in Italia si alleò con la
Democrazia Cristiana e nel 1976 Il Partito Comunista di Berlinguer si
alleò con Aldo Moro>. Poi il signor Mieli non poteva mancare di ricordare (e te pare!?) che
Mussolini portò l’Italia allo sfascio della Seconda Guerra mondiale e alle infami leggi razziali.
Per prima cosa osservo: non è possibile che un simile personaggio non
conosca la Storia vera, e quindi la falsità di quanto asserisce.
Proviamo a dimostrare quanto sostengo.
Come e perché si giunse alla Seconda Guerra mondiale. Lo storico Rutilio Sermonti attesta (
L’Italia nel XX Secolo): <
La
risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale
conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania –
formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è
necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto
dell’Italia>.
Nella Conferenza di Ginevra sul disarmo (febbraio 1932), alla quale
parteciparono sessantadue Nazioni, l’Italia era rappresentata da Dino
Grandi e da Italo Balbo.
Grandi, a nome del popolo italiano,
sostenne il progetto di una parificazione al livello più basso degli
armamenti posseduti dalle singole Nazioni. Venne inoltre esposto il progetto mussoliniano tendente all’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento, in altre parole la messa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare ad una guerra di distruzione.
Di fatto, la Conferenza non trovò sbocco
alcuno per le opposizioni di Francia e Germania.
Possibile che il signor Mieli non ricorda che Mussolini propose il
Patto a Quattro (7 giugno 1933), proprio per integrare, con un patto
politico, l’Europa, mediante un direttorio delle quattro Potenze:
Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Il documento propositivo di
Mussolini cominciò a circolare nei tre Stati interpellati. Il documento
ebbe successo di siglatura, ma fallì quando, presentato per
l’approvazione ai parlamenti inglese e francese la siglatura non fu
rispettata e decadde definitivamente a Stresa nel 1935. Mussolini
camminava nella tradizione romana, carolingia e cattolica: aspirazione
antica sempre delusa. Mussolini aveva ammonito con lungimiranza:
“Fare crollare la pace in Europa significa fare crollare l’Europa”>.
Visto che ci siamo, signor Mieli, perché non ricordare che Mussolini,
quale Capo del Governo italiano si fece, ancora una volta, promotore
di un incontro che si svolse a Stresa, nei pressi del Lago Maggiore, tra
l’11 e il 14 aprile 1935, con i rappresentanti delle tre Potenze
alleate della prima guerra mondiale: l’Italia (Mussolini), Gran Bretagna
(MacDonald, J. Simon) e Francia (Laval, Flandin).
Al termine dei lavori fu stilato un documento nel quale i tre Governi
constatarono che il ripudio unilaterale posto in essere dal Governo
tedesco, nei suoi obblighi per il disarmo, avrebbe potuto pregiudicare
la pace in Europa e si dichiararono in perfetto accordo di opporsi con
ogni mezzo a qualsiasi ulteriore disconoscimento unilaterale degli
obblighi previsti nei Trattati e si impegnarono per una continuazione
dei negoziati per il loro riesame. Rinnovarono anche il loro impegno
per la sicurezza e l’indipendenza dell’Austria. Signor Mieli, perché
decaddero quegli acordi?
I detentori della maggior parte delle ricchezze della terra, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, perché pretesero e ottennero le sanzioni contro l’Italia nel 1935?
Per difendere l’Etiopia? Ma non ci faccia ridere; l’Etiopia, forse
sobillata proprio da questi Paesi fu responsabile dell’attacco al
consolato italiano di Gondar, l’11 novembre 1934 (dove rimase ucciso un
militare di colore fedele all’Italia) e, come ricorda il giornalista e
storico svizzero, Paul Gentizon (
Difesa dell’Italia): <
Ancora
nel 1924 l’Italia che ha appoggiato lealmente l’accoglimento
dell’Etiopia nella Società delle Nazioni riceve festosamente a Roma Ras
Tafari, firma con lui un Patto di amicizia accompagnato dalla offerta di
un aiuto finanziario. Tutto ciò non disarma la boria e la malvagità del
governo abissino che respinge sistematicamente le domande di
concessioni e turba il libero commercio tra Eritrea e Etiopia con una
tacitamente organizzata guerriglia di rapina. Gli incidenti scoppiano a
catena e non si sa più come giustificarli o come accettarne le
giustificazioni. Dal maggio ’28 all’agosto ’35 si allineano 26 offese a
rappresentanti diplomatici, 15 aggressioni a cittadini italiani, 51
razzie: tutto ciò avviene in territorio italiano e i morti italiani non
mancano>.
La tensione nei rapporti italo-etiopici si aggravarono alla
fine del 1934, quando un contingente abissino si accampò davanti al
fortino di Ual-Ual difeso dai Dubat, soldati somali fedeli all’Italia,
al comando del capitano Roberto Cimmaruta. Lo storico Rutilio Sermonti (
L’Italia nel XX Secolo, Edizioni All’Insegna del Veltro, 2001) attesta che
le truppe assalitrici erano al comando del colonnello inglese Clifford.
Ual-Ual era una località posta al confine, sin da allora incerto, fra
Somalia ed Etiopia, ma mai rivendicato dal Governo Abissino.
II 5 dicembre di quell’anno, dopo che i Dubat rifiutarono la
richiesta abissina di sgombero, questi scatenarono l’assalto e lo
scontro si concluse all’alba del giorno seguente con la vittoria
italiana, ma le nostre truppe coloniali lasciarono sul terreno 120
morti. Si è scritto che dietro questo grave
incidente ci fosse la mano di Londra e Parigi; ma questo non è provato.
Bruno Barrella su
Il Giornale d’Italia del 18 luglio 1993, rammentando i fatti di Ual-Ual, scrive: <
È l’ultimo di una catena di episodi di sangue che avvenivano lungo uno dei confini più labili dell’epoca>.
Per risolvere pacificamente il dissidio creatosi a seguito
degli incidenti di Ual-Ual, venne istituita una commissione arbitrale
italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco di diritto
internazionale, Nicolaos Politis. La commissione, il 3 settembre 1935,
emetteva la sentenza attribuendo le cause degli scontri agli
atteggiamenti ostili di alcune autorità locali abissine, escludendo, di
conseguenza, ogni responsabilità italiana.
L’alleanza con il nazionalsocialismo? «
Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi nell’altro campo, la Germania non era più sola» (
La Seconda Guerra Mondiale, di Winston Churchill, 1° volume, pag. 209). Quasi con le stesse parole George Trevelyan nella sua
“Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, ha scritto:
<E
l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri
contatto con l’Austria e i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla
Germania>. E vogliamo dimenticare il più noto studioso del fascismo? Renzo De Felice (
Storia degli Ebrei sotto il Fascismo, pag. 137):
<Sulla
ineluttabilità dell’alleanza con Hitler e quindi della necessità di
eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di
disparità con la Germania>. Mussolini era conscio che
l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia
nazionalsocialista, di conseguenza se voleva eliminare le ultime
diffidenze tedesche, anche nel ricordo del
“tradimento italiano del 1915”
e giungere ad una reale alleanza militare, doveva adeguarsi alle
circostanze. Riteniamo che fosse questa e non altre la ragione della
scelta del Duce.
Tanto, ma tanto ancora avrei da scrivere e condannare i veri
criminali dello scorso secolo, e mi riferisco a Franklin D. Roosevelt e
Winston Churchill, personaggi abominevoli che galleggiano su un mare di
sangue.
Passo ora a trattare l’argomento più infame: l’accusa di essere
Mussolini la concausa della reale, o bugiarda accusa del massacro degli
ebrei.
Signor Mieli, mi sa spiegare – e spiegarlo agli italiani – come
mai negli anni 1938-1942 gli ebrei che fuggivano dai Paesi occupati dai
tedeschi anziché rifugiarsi in Russia o in Inghilterra o negli Stati
Uniti si rifugiavano in Italia ed erano decine di migliaia? Eppure in Italia vigevano le leggi razziali.
Proverò a spiegarlo io, ma se sbagliassi, mi corregga. Se può.
Gli inglesi non usarono solo le parole, ma la violenza contro gli israeliti. Rosa Paini (storica ebrea,
Il cammino della speranza) riferisce che nel ’41 un folto nucleo di famiglie fuggito da Bratislava, imbarcato sul piroscafo
“Pendeho”,
composto da 510 profughi cechi e slovacchi, dopo aver navigato sul
Danubio giunse nel Mar Nero. Qui, e precisamente a Sulina, salì a bordo
il console britannico e informò i malcapitati che il suo governo li
considerava immigranti illegali: di conseguenza, se si fossero
avvicinati alle coste della Palestina, sarebbero stati silurati.
Dovettero quindi ripartire
e, superati diversi incidenti, giunsero all’isola disabitata di
Camillanissi dove non c’era nemmeno acqua. Sbarcati, assistettero
impotenti all’affondamento del battello. Dopo cinque giorni di
sofferenze sopraggiunse una nave della Croce Rossa Italiana che imbarcò i
profughi per trasferirli a Rodi, dove rimasero alcuni mesi e quindi
imbarcati e trasferiti in Italia. Fra i tanti vale la pena di ricordare
un altro dramma: nel febbraio del 1942 lo
“Struma”, una nave di
profughi proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il
permesso di sbarcare, e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar
Nero: settecentosettanta persone annegarono (Paul Johnson,
Storia degli ebrei, pag. 582).
Lo storico israelita Léon Poliakov (
“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”,
pag. 63) accusa apertamente il governo britannico ricordando che
qualche convoglio clandestino, formato con l’aiuto di Eichmann, tentò di
discendere il Danubio su barche, mirando alla Palestina, ma
le autorità inglesi rifiutarono il passaggio di questi viaggiatori perchè sprovvisti di visto. <Così
si assiste al paradosso che la “Gestapo” spinge gli ebrei verso il
luogo della salvezza, mentre il governo democratico di Sua Maestà
britannica ne preclude l’accesso alle future vittime dei forni
crematori>.
Oppure: L’esperto di sondaggi Elmo Roper osservò:
<Gli
Stati Uniti avrebbero certamente potuto accogliere un gran numero di
profughi ebrei. Invece, durante il periodo bellico, ne furono ammessi
soltanto 21 mila, il 10% del numero concesso secondo la legge delle
quote. La ragione di questo fatto era l’ostilità dell’opinione pubblica.
Tutti i gruppi patriottici, dall’American Legion ai Veterans of Foreign
Wars, invocavano un divieto totale all’immigrazione.
Ci fu più antisemitismo durante il periodo della guerra che in qualsiasi
altro della storia americana (…). Negli anni 1942-44, ad esempio, tutte
le sinagoghe di Washington Heights, New York, furono profanate>.
Un’altra testimonianza ci viene offerta dal
“Neue Zürcher Zeitung”, il quale il 18 gennaio 2000 ha pubblicato una lettera a firma di Susi Weill che, fra l’altro, ha scritto:
<I
miei genitori avevano tentato invano di emigrare in America, ed oggi è
un fatto stabilito che le rappresentanze diplomatiche americane in
Europa avevano ricevuto l’ordine di respingere tali domande>.
Quando fu necessario, il governo americano usò la forza, come ricorda Franco Monaco (op. cit., pag.175):
<Allorchè a un piroscafo carico di ebrei, partito da Amburgo, fu vietato l’attracco a New York, quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia>.
Non è sufficiente? E allora andiamo avanti.
Ha scritto Daniele Vicini su
“L’Indipendente” del 20 luglio 1993:
<Ebrei
e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare
senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.)
apparentemente più congeniali alle loro esigenze>. Dello stesso parere è Klaus Voigt che in
“Rifugio precario” osserva quanto fosse strana la dittatura fascista. Infatti scrisse:
<Fino
all’entrata in guerra dell’Italia non risulta neppure un caso di
condanna o allontanamento di un emigrante per attività politica (…).
Eppure dal 1936, la Germania è il principale alleato e quegli
“emigranti” sono suoi nemici. Polizia e carabinieri ricevevano
disposizioni dal Duce, chiare ed essenziali, anzi ridotte ad una sola
parola: “Sorvegliare”. Non arrestare>. Allora, Signor Mieli, come ripeto: in Italia vigevano le leggi razziali. Tutti pazzi?
Andiamo avanti, Signor Mieli? Volentieri, fino a che lo spazio me lo concede.
<
Mentre, in generale, i governi filofascisti dell’Europa
asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una
rete sistematica di deportazioni capi del fascismo italiani
manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…).
È significativo il fatto che i tedeschi non sollevarono mai il problema
degli ebrei in Italia. Certamente temevano di urtare la suscettibilità
italiana (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le
autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)> (Léon Poliakov,
“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220).
Andiamo avanti?
Poliakov scrive:
<Mentre i Prefetti (francesi)
ordinavano arresti e internamenti, allestivano convogli per la Gestapo,
le autorità militari italiane, a dispetto delle minacce, ordinavano
l’annullamento di tali ordini. Tra le autorità d’occupazione tedesche e
il Governo di Berlino, tra il governo di Berlino e il Governo di Roma,
tra le autorità di Vichy e i generali italiani vi era un continuo
scambio di note nervose e impazienti. La Germania chiedeva all’Italia di
agire nello spirito delle disposizioni tedesche. L’Italia rifiutava e resisteva>. Non solo, ma
il Governo italiano ottenne che gli ebrei italiani residenti nelle zone
occupate dall’esercito tedesco fossero esentati dall’obbligo di
mostrare la stella gialla. Lo stesso accadeva nella Legazione
di Bruxelles. Addirittura, secondo quanto scrive Martelli, che include
un documento nel quale descrive come il Consolato Italiano di Bruxelles
esigeva che venissero esentati dall’imporre la
stella gialla e
dai lavori forzati, anche gli ebrei greci perchè le truppe italiane
occupavano parte del territorio greco. Questo, evidentemente era troppo,
infatti un ordine del Conte Blanco Lanza d’Ajeta, del Ministero degli
Esteri di Roma, con un telegramma datato agosto 1942, imponeva di
<sospendere tutte le iniziative prese in merito ai cittadini ebrei greci>. http://motlc.wiesenthal.com
Lo stesso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro
“Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto:
<Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo.
Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli
ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli
ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler
restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla
legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni.
Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini
(…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane
protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità
italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia>.
Vedo che lo spazio a mia disposizione si esaurisce, allora oso
chiedere al signor Mieli: se quanto ho scritto risultasse vero, perché
tanta vigliaccheria verso l’unico statista onesto e capace che l’Italia
abbia avuto da secoli? Mi permetto di esporre la mia idea riferendomi a
quanto ha scritto Rutilio Sermonti, e riportato all’inizio di queste
pagine:
<La risposta poteva essere una sola: perché esse
volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi
della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>. E
la risposta viene per bocca dello stesso Benito Mussolini; nel corso di
una intervista che il Duce concesse nel suo studio presso la Prefettura
di Milano a Gian Gaetano Cabella, direttore del
Popolo di Alessandria,
nel pomeriggio del 20 aprile 1945, cioè sei giorni prima del suo
assassinio
: <RICORDATEVI BENE: ABBIAMO SPAVENTATO IL MONDO DEI GRANDI
AFFARISTI E DEI GRANDI SPECULATORI (…)>.
E quel mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori, oggi sono i padroni e il mondo è una loro colonia.
E l’abbiamo voluto noi, salvo pochi…e fra questi pochi, non ci sono i vari Mieli, Augias, Minoli ecc.