La dittatura perfetta avra´ la sembianza di una democrazia, una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno mai di fuggire. Un sistema di schiavitu´ dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitu´.
Conveniamo
tutti che la storia c'è la scivono e c'è la impongono i vincitori ma
poi nessuno prova a verificarla e correggerla. Questo è quanto ho
provato a fare io.
Con questo post voglio
ricordare ai miei compatrioti democratici-liberisti perchè ho simpatia
per i nazional-socialisti dei lavoratori tedeschi e perchè Hitler è
stato volutamente fattoci passare per "mostro" perchè è stato l'unico,
in altro modo (per la socializzazione dell'economia) anche Mussolini
(4), che aveva eliminato dalla Germania il capitale speculativo gestito
dai soliti banchieri usurai ai quali aveva tolta l'emissione monetaria
per ridarla al suo popolo (5).
Mi dispiace per chi ancora non conosce la materia delle emissioni monetarie in quanto continuerà a non capire niente (6).
Capisco che abbiamo ancora
degli "ipnotizzati" da questa cultura falsa e massonica che mentre non
si avvedono che oggi siamo sotto una subdola dittatura finanziaria quale
è la "commissione europea" (7), clan di criminali che si fanno chiamare
banchieri, non eletta da nessun organo democratico, che ci impone tutto
ciò che decide per schiavizzarci, continuano falsamente a cianciare che
le dittature sono le monarchie assolute (basterebbe conoscere il nostro
regno delle due Sicilie per non crederci (8) o il fascsmo o il
nazional-socialismo dei lavoratori tedeschi chiamato dispregiativamente
nazismo. O entrambi nazi-fascisti.
Vorrei tanto avere al governo
gente che ragiona ed opera in questo modo. Ma fin quando saremo
democratici-liberisti resta un puro sogno.
Un lusso che i
democratici-liberisti (inconsapevoli servi dei banchieri) non ne hanno
percezione e restano talmente rimbecilliti dalla continua propanda
massonica dei banchieri usurai che neanche si avvedono che la
“democrazia-liberista” dietro alla demagogia delle belle parole resta la
sostanza della moneta ad usura e del profitto a tutti i costi, causa di
inquinamenti di tutti i generi, dalla terra, al cibo, alla cultura,
eccetera.
Piano Kalergi: la grande sostituzione etnica dei popoli europei. Paolo Germani
Conoscere il famigerato Piano Kalergi è indispensabile, se vogliamo capire meglio ciò che sta succedendo in Europa. La denominazione “Piano Kalergi”
deve tuttavia ritenersi una denominazione convenzionale, perché di
fatto il Conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi, cui viene attribuita
la paternità del piano, non ha mai proposto o teorizzato
ciò che sta avvenendo oggi. Non almeno in questa forma. Il suo pensiero
è stato travisato e in parte anche deformato, forse ad arte. In ogni
caso, molti degli elementi che caratterizzano il Piano Kalergi sono
contenuti nell’opera politico-filosofica “Praktischer Idealismus”, pubblicata da Kalergi nel 1925. Il suo pensiero lo vedremo meglio nell’ultima parte del post.
I contenuti del Piano Kalergi
Il Piano Kalergi, così come viene comunemente inteso, è un piano volto a sostituire la popolazione europea con popolazioni provenienti da altri continenti, soprattutto
Asia e Africa. L’obiettivo del piano è quello di indurre una profonda
trasformazione nei popoli europei, fino a privarli completamente della
loro identità nazionale, religiosa e culturale,
rendendoli in questo modo più docili e malleabili, creando in seguito
imponenti fenomeni migratori. Una vera e propria sostituzione etnica per
ottenere una nuova Europa, senza identità, da fondere in un unico
grande stato sottoposto al controllo di enti sovranazionali. Questi ultimi non eletti dal popolo, ma saldamente in mano alla grande finanza mondialista, che di fatto verrebbe a governare e controllare l’Europa.
Articolazione del Piano Kalergi
Il Piano Kalergi si articola nelle seguenti fasi fondamentali:
Avviare un processo di disgregazione socio-culturale e religiosa delle popolazioni europee inducendo il fenomeno della denatalità.
Progressiva sostituzione delle popolazioni autoctone con popolazioni provenienti da altri luoghi.
eliminazione dei confini tra i vari stati europei e creazione degli Stati Uniti d’Europa;
graduale passaggio del potere dal popolo ad enti sovranazionali sottoposti al controllo della grande finanza mondialista.
Vediamo i punti uno ad uno.
1. Disgregazione socio-culturale e religiosa, denatalità
La disgregazione socio-culturale e religiosa dei popoli europei è necessaria per fiaccare ogni resistenza al cambiamento e per indurre un innaturale processo di denatalità. Vanno in questa direzione le seguenti trasformazioni sociali e culturali indotte dai regimi europei e dai mass media collusi:
pornografia diffusa in modo capillare a tutti i livelli;
diffusione della droga tra gli adolescenti;
eliminazione dei valori caratteristici della nostra tradizione culturale, quali ad esempio il matrimonio e la famiglia;
allontanamento dalla religione cristiana e dai suoi valori fondanti;
promozione di una cultura individualista ed egocentrista;
disimpegno sociale;
promozione della cultura del divertimento;
diffusione del gioco d’azzardo;
diffusione di aborto e mezzi contraccettivi;
emancipazione della donna con impegno lavorativo pari a quello dell’uomo;
induzione di pessime abitudini alimentari e di una situazione di perenne stress che portano come conseguenza la drastica diminuzione del numero di spermatozoi degli uomini in età fertile ed un incremento esponenziale dell’infertilità della donna;
dilagante promozione della sessualità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender).
Potrebbe essere interessante sapere che George Soros finanzia generosamente tutti i movimenti LGBT che operano in Europa, Arcigay compresa, e non fa mancare il suo sostegno alle associazioni che favoriscono aborto e diffusione dei mezzi contraccettivi. Inoltre, i mass media mainstream promuovono omossessualità e transessualità, e non perdono occasione per ergersi a difensori dei diritti del cosiddetto universo LGBT.
Hollywood, serie televisive, talk-show ed ogni manifestazione culturale
che si rispetti promuovono con altrettanto zelo modelli di
comportamento sessuale LGBT.
L’indebolimento culturale dei popoli europei è davanti agli occhi di tutti. In Italia è emblematico il progressivo smantellamento del sistema scolastico pubblico, un tempo di ottima qualità, oppure l’assenza di proposte culturalmente rilevanti nella programmazione televisiva pubblica. Un popolo ignorante è più facile da gestire.
2. Progressiva sostituzione delle popolazioni autoctone con popolazioni provenienti da altri luoghi
E’ sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo
in Italia, e non solo. Non occorre nemmeno dilungarsi a commentare,
basta guardare i barconi con migliaia di africani che giungono quasi ogni giorno sulle nostre coste (anzi, andiamo a prenderli). Vale la pena però sottolineare quanto segue:
i governi europei non fanno nulla per stabilizzare le zone da cui provengono i migranti, anzi, fomentano le guerre e intervengono militarmente, peggiorando la situazione;
c’è addirittura chi finanzia le associazioni che aiutano i migranti ad attraversare il tratto di mare che separa l’Italia dalla Libia. Stiamo parlando ancora di George Soros, tanto per intenderci;
alcuni politici, ad esempio Laura Boldrini, ma non solo lei, spingono per la migrazione selvaggia;
la Chiesa, e Papa Francesco in primis, preme per aprire tutte le porte ai migranti;
i permessi di soggiorno facili, i ricongiungimenti familiari generosi e l’elevato tasso di natalità degli stranieri dice molto su quale sia la volontà politica del regime;
tutti i media mainstream sono favorevoli all’immigrazione. Chi la rifiuta viene definito ottuso e razzista.
L’impressione è che ci sia una forte volontà del
sistema di potere, e qui giocano un ruolo fondamentale i mezzi di
comunicazione e di condizionamento di massa, per agevolare
l’immigrazione, generando una lenta quanto inesorabile sostituzione
delle popolazioni autoctone. L’obiettivo è portato avanti da molti
soggetti, in modo concertato. Si tratta di mass media, politici, esperti, benpensanti, think tank, cinema e TV. Tutti impegnati per favorire la grande sostituzione etnica.
3. Integrazione ed eliminazione dei confini, creazione degli Stati Uniti d’Europa
L’eliminazione dei confini nazionali e la creazione degli Stati Uniti d’Europa sono
progetti che stanno andando avanti da molti anni e difficilmente
potranno essere arrestati. Non occorre prodigarsi per commentare questa
parte del piano Kalergi. In pochi decenni siamo passati da una semplice area di libero scambio ad
un’area di profonda integrazione economica, finanziaria e monetaria.
All’inizio circolavano liberamente soltanto le merci, poi i capitali e
infine le persone. L’Unione Europea conta oggi 28 paesi membri, di cui 19 hanno adottato l’euro. Quanto manca per fondare gli Stati Uniti d’Europa e completare questa parte del piano?
4. Perdita di sovranità e governo della grande finanza
La cessione di sovranità nazionale è un problema dibattuto da molti anni. La famigerata Troika è ad esempio composta da Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Commissione Europea. Nessuno di questi tre organismi è eletto dal popolo. I primi due sono in mano alla grande finanza internazionale
ed esercitano un immenso potere su tutte le economie europee. Ma non
sono solo questi gli organismi sovranazionali non eletti che
condizionano la politica e l’economia. Ce ne sono molti altri, non meno
influenti. Basti pensare alla potente Banca per i Regolamenti Internazionali, l’ONU, la FAO, la Banca Mondiale, l’UNESCO, l’UNICEF, l’OMS
nel campo sanitario, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica
(AIEA), le agenzie di rating. Tutti organismi sovranazionali non eletti
che dettano regole e non si sa bene quali interessi rappresentino.
Una cosa è certa. La grande finanza internazionale ha saldamente in mano le redini economiche e finanziarie di
tutti i paesi occidentali e può fare ovunque il bello e il cattivo
tempo. A scanso di equivoci, ricordiamo che la grande finanza non
controlla soltanto enormi patrimoni, ma controlla soprattutto la fonte
stessa della ricchezza: sono loro quelli che hanno il potere di creare denaro dal nulla
per acquistare attività economiche e immobiliari, speculare in borsa o
sui mercati, creare indebitamento e dipendenza economica. Il loro potere
è totale.
Chi era il Conte Kalergi
Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi è stato un
politico e filosofo austriaco, fondatore dell’Unione Paneuropea ed è
stato il primo a proporre un progetto di Europa unita. Nato a Tokio nel
1894, dove suo padre Heinrich era ambasciatore per conto dell’Impero Austro-Ungarico. Sua madre, Mitsuko Aoyama, discendeva da una nobile famiglia giapponese di Samurai. Cresciuto in Boemia, completò gli studi ginnasiali e universitari a Vienna. Nel 1915 sposò Ida Roland,
un’attrice di origini ebraiche che ebbe grande influenza sulle sue idee
politiche. A seguito della Grande Guerra e del collasso dello Stato
asburgico, Coudenhove-Kalergi assunse dapprima la cittadinanza
cecoslovacca per poi naturalizzarsi francese.
Non stiamo parlando di una persona qualsiasi quindi, ma di un cosmopolita in piena regola. La sua opera fondamentale si intitola Praktischer Idealismus” ed è stata pubblicata nel 1925, col contributo finanziario di Louis Rothschild e Max Warburg così come di Robert Bosch, ricco industriale di Stoccarda.
Le idee di Kalergi
Kalergi pensava che in un futuro più o meno lontano il mondo dovesse essere abitato da una popolazione meticcia, simile a quella che abitava l’antico Egitto, formata da incroci tra popolazioni europee, africane ed asiatiche. Non ha mai espresso parole di disprezzo
per questo tipo di popolazione, come spesso si legge in false
traduzioni o in frasi estrapolate da un contesto in cui avevano un
significato completamente diverso. Questo è facilmente comprensibile: lo
stesso Kalergi era multietinico e multiculturale.
Egli pensava che questo processo di integrazione potesse essere in qualche modo accelerato, anticipando i tempi.
Pensava anche che la prima fase di integrazione potesse essere
guidata dagli ebrei, popolo che Kalergi aveva in grandissima
considerazione, come si evince da questo breve passaggio tratto da Praktischer Idealismus:
“La posizione di rilievo che oggi detengono gli ebrei, è dovuta soltanto alla loro superiorità intellettuale,
che li rende capaci di battere nella competizione intellettuale
un’immensa quantità di rivali, pieni d’odio e d’invidia. L’antisemitismo
moderno è uno dei tanti fenomeni di reazione del mediocre contro
l’eccellente; è una forma moderna di ostracismo riversata contro un
intero popolo. Come popolo, gli ebrei vivono l’eterna lotta della
quantità contro la qualità, dei gruppi inferiori contro individui
superiori, delle maggioranze inferiori contro le minoranze superiori. Die prominente Stellung, die das
Judentum heutzutage innehat, verdankt es allein seiner geistigen
Überlegenheit, die es befähigt, über eine ungeheuere Übermacht
bevorzugter, gehässiger, neidischer Rivalen im geistigen Wettkampf zu
siegen. Der moderne Antisemitismus ist eine der vielen
Reaktionserscheinungen des Mittelmäßigen gegen das Hervorragende; ist
eine neuzeitliche Form des Ostrakismus, angewandt gegen ein ganzes Volk.
Als Volk erlebt das Judentum den ewigen Kampf der Quantität gegen die
Qualität, minderwertiger Gruppen gegen höherrvertige Individuen,
minderwertiger Majoritäten gegen höherwertige Minoritäten (rif.
“Praktischer Idealismus”, pag. 52).
Piano Kalergi, conclusioni
Egli
nutriva grande stima e apprezzo per gli ebrei, che considerava
culturalmente più evoluti. Dal suo punto di vista, era quindi logico che
fossero gli ebrei a guidare il cambiamento della società. Non un
dominio, bensì una guida temporanea. Un proprio visionario.
Il famigerato Piano Kalergi non è sicuramente
attribuibile al Conte Kalergi. Molte frasi che si leggono in vari siti
internet sono state malamente estrapolate dal contesto dei suoi libri o
tradotte in modo scorretto. E’ profondamente ingiusto che un piano così
subdolo e violento, come di fatto è il Piano Kalergi, porti proprio il
suo nome. Sarebbe più corretto chiamarlo “Piano per la grande sostituzione etnica” o semplicemente “La grande sostituzione“. All’evidenza, questo piano, comunque lo si voglia chiamare, esiste per davvero e ne stiamo pagando le conseguenze. di Paolo Germani
Ezra Pound a 47 anni dalla morte, la poesia contro il potere dell’usura
Quarantacinque anni fa moriva a Venezia Ezra Pound.
E’ impossibile, in poche righe (ma anche con un intero libro) esaurirne
la grandezza. Pound è stato una delle intelligenze poetiche più grandi
del secolo scorso: geniale letterato, sublime organizzatore di cultura,
artista visionario e profetico, uomo dotato di una sensibilità politica
particolarissima, dote che gli permetteva di sperimentare un contatto
profondo e speciale con il tempo storico.
Il duro prezzo della coerenza
E’ per questo che oggi ci soffermiamo su un aspetto particolare della sua personalità e della sua opera: la sua lunga battaglia contro il potere dell’usura, una battaglia che Pound pagò duramente, con l’internamento nelle vicinanze di Pisa e poi con la segregazione in un manicomio negli Stati Uniti.
“Ezra Pound economista”
Ci soffermiamo su questo aspetto di Pound, anche per omaggio a un grande intellettuale di destra, Gianno Accame (fu direttore del Secolo d’Italia
dal 1988 al 1991), che a “Ezra Pound economista”, dedicò un libro,
oltre a numerosi saggi, articoli, conferenze. Un poeta economista è già,
di per sé, un notevole cortocircuito, unendo la libera creazione dello
spirito con l’aridità di quella che è stata definita la “scienza
triste”. Il fatto è che, per l’autore dei Cantos,
la poesia non era soltanto un’espressione letteraria: era uno strumento
di conoscenza, un’avventura filosofica, un modo di rappresentazione
della realtà storica che rompe le gabbie sia dell’ideologia sia dello
specialismo.
L’invettiva più celebre contro l’usura
L’usura, in questa prospettiva, è la tirannia del denaro,il potere dell’oro e di Mammona,
che soffoca i popoli e li rende schiavi (più o meno) inconsapevoli.
Così si legge nella sua celebre invettiva poetica: “Con usura nessuno ha
una solida casa / di pietra squadrata e liscia/ per istoriarne la
facciata/ con usura/ non v’è chiesa con affreschi di paradiso…”. Questa
la sconvolgente conclusione della poesia: “Usura soffoca il figlio nel
ventre/ arresta il giovane amante/ cede il letto a vecchi decrepiti/ si
frappone tra giovani sposi/ CONTRO NATURA / Ad Eleusi han portato
puttane/ carogne crapulano/ ospiti d’usura”. Parole che ci parlano non
solo di ieri. Parole imperiture e profetiche. Parole che ci parlano
anche dell’oggi, tempo in cui la tirannia della finanza globale pare non
conoscere più ostacoli. Oggi il potere dell’usura si presenta con
questi nomi e con queste parole: rating, spread, debito sovrano alle stelle. Anche
all’aver profondamente inteso questa lezione di Pound, si deve il fatto
che Accame sia stato uno dei primi esponenti della cultura, non solo di
destra ma italiana in generale, a intravedere, tra gli Anni Ottanta e
Novanta, i guasti che avrebbe poi prodotto il globalismo.
L’adesione al fascismo
L’adesione di Pound agli ideali del fascismo è
perfettamente coerente con questa ispirazione. E si tratta di
un’adesione convinta, fin dal 1925, anno in cui il poeta si trasferisce
in Italia. “Il primo atto del fascismo – scrive Pound – è stato salvare
l’Italia da gente troppo stupida per saper governare, voglio dire dai
comunisti senza Lenin. Il secondo è stato di liberarla dai parlamentari e
da gruppi politicamente senza morale. Quanto all’etica finanziaria,
direi che dall’essere un Paese dove tutto era in vendita, Mussolini
in dieci anni ha trasformato l’Italia in un Paese dove sarebbe
pericoloso tentare di comperare il governo”. Pound sarà coerente fino
alla fine con questi ideali e seguirà Mussolini nellaRsi. Poi la persecuzione. Ma anche un grande lascito ideale che non cessa di ispirarci e
incitarci.
IL “CAVALLO DI TROIA ANTIFASCISTA”: il metodo della demo-plutocrazia massonica mondialista per mantenere il potere.
Da
romainvictaaeterna
bibliotecafascista.org
Cari lettori e simpatizzanti, con questo articolo ci
proponiamo di ritornare su un argomento centrale rispetto alle nostre
battaglie politico-culturali, poichè è vitale che le tecniche di
assoggettamento e di abbrutimento di massa, adottate dalla
demo-plutocrazia massonica, vengano approfondite e palesemente
smascherate.
In tal senso ci pare utile tornare all’esempio del
mito di Odisseo e della sua strategia militare. Chi avrebbe mai detto
che l’inganno del re di Itaca, avrebbe avuto una fortuna tale da
costituire un esempio “valido” capace di attraversare addirittura i
millenni? Ricordate il “dono” che Ulisse “escogitò” per i Troiani? Sì,
esatto! Il Cavallo di legno! Un “magnifico dono”, che veniva
“gentilmente” offerto sull’altare della “concordia”! Ebbene, la furbizia
di Odisseo, il cui “secondo” nome è Nessuno, attuò lo stratagemma degli
stratagemmi: compiere un atto, dalle apparenze precise e determinate,
che mostra intezioni altrettanto precise, per poi raggiungere un
risultato assolutamente opposto a quello mostrato in principio, che con
l’atto anzidetto, non ha nulla a che vedere! Odisseo offre, in
apparenza, un dono per propiziarsi gli dei: un simulacro dalla foggia
magnifica. Il suo fine, però non è nè il dono, tantomeno l’opera
scultorea. Entrambi questi fini apparenti, non hanno nulla a che vedere,
se non incidentalmente, con lo scopo reale, che è la sconfitta militare
dei Troiani e la distruzione della loro città! Rendetevi conto della
genialità dell’idea, pur nel suo essere un atto vile e canagliesco. Il
“Cavallo di Troia”, infatti, viene portato nella città dagli stessi
troiani, senza colpo ferire, ignari della minaccia che incombe. Al suo
interno ci sono però i guerrieri greci, che approfittando delle difese
abbassate, col favore della notte escono dal Cavallo e spalancano le
porte cittadine facendo entrare il proprio esercito, che distrugge Troia
facendo strage dei suoi abitanti!
Capirete perchè questa storia, è assurta ad archetipo e
capirete anche perchè, il nome “cavallo di Troia” è tutt’oggi usato in
informatica, principalmente per indicare sistemi o programmi che,
attraverso una falsa identificazione, possono, per esempio, colpire i
nostri elaboratori, telefonini, dispositivi elettronici. E capirete,
inoltre, perchè, i primi utilizzatori dei “cavalli di Troia”, siano
proprio i cosiddetti “tutori delle libertà”!
Ebbene: lo stratagemma di “Nessuno”, a ben guardare,
costituisce il fondamento della cultura, della politica e dell’economia
attuale, oltreché, naturalmente, della strategia militare. Di “Cavalli
di Troia” è pieno, straboccante, il consesso delle nazioni “libere e
democratiche”, la cosiddetta “società civile” e il “mercato globale”. NULLA E’ QUELLO CHE SEMBRA! Capiamo
che la frase possa suonare per alcuni eccessiva, forse addirittura
inappropriata. Ma vi sono esempi concreti che mostrano la sempre verde
utilità dello stratagemma di Odisseo. Ad esempio, la discriminazione
pregiudiziale attraverso falsi archetipi pre-costituiti: immagini dai
contorni netti e definiti entrate prepotentemente nel nostro
immaginario, grazie alla propaganda martellante dei media servi del
sistema. Figure tipo quali il “complottista”; il “razzista” ; il
“facinoroso e violento”, che si riassumono tutte nella figura
dell’antidemocratico. Tutti tipi che vengono arbitrariamente
identificati dai media del sistema con alcune categorie politiche, che
da quel momento diventano “nemiche della libertà”. Tali ragionamenti
penetrano più facilmente le nostre difese mentali e culturali poiché si
avvalgono naturalmente di un “Cavallo di Troia”. Chi diffonde tali
stereotipi, infatti, utilizza il Cavallo di Troia della “Libertà” della
“Democrazia” o della “Cultura laica”, per farci accogliere subdolamente
ed incondizionatamente le proprie tesi fasulle, che di fatto
costituiscono un’arma propagandistica: tutto ciò con l’ausilio
irrinunciabile dei “troiani” contemporanei, che dormono il sonno della
ragione.
Affinchè la strategia del “Cavallo di Troia” sia
perfettamente vincente, c’è bisogno che vi sia una “maschera credibile”,
un “rivestimento” esterno “attraente” e “sgargiante”. In questo
contesto si inserisce la già citata, in molti nostri articoli, “Semina di Notizie”,
che rappresenta una tecnica sperimentata dai Servizi segreti mondiali.
Per “Semina di Notizie” si intende la miscela “sapiente” di notizie
false miste a verità, stimolata dagli stessi servizi segreti, anche a
mezzo dei cosiddetti movimenti di “contestazione”, da essi spesso
pesantemente infiltrati, se non addirittura emanazione diretta di tali
agenzie di intelligence. Così si comprende meglio perchè tali
“movimenti” siano generati e voluti dagli stessi eventuali “bersagli”
della “contestazione”. Essi costituiscono le utili “Nemesi” al fine di
mettere in pratica tanto le eventuali “reazioni” (esempio: “c’è
bisogno di intervenire contro la brutalità di tale movimento o di tale
manifestante contestatore; condanniamo senza appello l’aggressione, a
prescindere dai motivi, su cui si può e si deve avviare il confronto
democratico”), quanto la possibilità di delegittimare dall’interno
le eventuali giuste motivazioni della contestazione più verace,quando
essa tenda a mettere in discussione non un fatto particolare ma l’intero
sistema liberal-democratico in sé e per sé. Di solito la demolizione
scaturisce proprio dagli argomenti diffusi dai “contestatori”. Poichè se
all’interno della critica, vi sono bugie miste a verità, anche se
esiste una sola falsità, per quanto piccola o presumibilmente non
determinante, tutta la struttura della critica verrà comunque
appositamente delegittimata e inficiata. Dunque la “Semina di Notizie”,
costituisce una “inseminazione” dove vi sono “frutti” che, a tempo
debito, daranno il risultato auspicato da chi ha piantato i “semi
avvelenati”! Naturalmente, a contribuire alla “Semina” vi sono anche gli
“Inseminati”, consapevoli o meno che siano. Anzi: meno sono
consapevoli, meglio sarà in vista del risultato che si vuol ottenere. L’
“humus” della “democrazia liberale” in cui
essi sono stati “piantati” costituisce la condizione migliore per
impedire qualsiasi reale contestazione in grado di generare una seria
presa di coscienza contro il sistema. E’ sufficiente riconoscersi in
essa, a prescindere da tutte le contestazioni particolari che a tale
idea si possono muovere, per rappresentare un valido strumento alla
“Semina di Notizie”. Giacché è assodato che con il permanere di questo
contesto politico quale unico orizzonte possibile e immaginabile dalle
masse abbrutite dalla propaganda dei media liberal-democratici, è
chiaro, limpido, che NULLA, ripetiamo NULLA, potrà mai scalfire il
(dis)ordine costituito plutocratico mondiale.
Ogni ambito della Società cosiddetta “civile” è permeato dalla tecnica del Cavallo di Troia, con il mezzo della “Semina di Notizie“. A cominciare dalla cosiddetta “informazione generalista“.
I “media” sono strumenti di assoggettamento sotto il controllo di
“elites” pluto-massoniche che ne fanno ciò che vogliono, dosando anche
il quantitativo di “contestazione” al loro interno, sempre con la
tecnica di cui sopra. Vi sono, in questo contesto, alcuni casi eclatanti
di denuncia di tale stato di cose: ovvero della letterale pantomima in
cui siamo immersi. Dove si dimostra che i cosiddetti opinionisti
titolati e tuttologi, quelli accreditati le cui “credenziali”, quando si
gratta in fondo, si scoprono essere frutto di titoli e prebende
elargite dalle stesse agenzie che hanno l’interesse a presentare i
“loro” uomini come personaggi seri e competenti… proprio quelli che
quotidianamente imperversano nelle televisioni e sui principali
quotidiani europei, risultando alla fine “agenti” stipendiati della
disinformazione o se preferite dell’informazione “addomesticata”, al
soldo della C.I.A. e di altre agenzie governative a “Stelle e strisce” o
comunque del cosiddetto “occidente libero e democratico”. Tali casi di
denuncia, si risolvono con la MORTE “improvvisa e fortuita” del
deununciante. E’ capitato di recente: vedere QUI. Strana
“coincidenza”! Quindi, se si tratta di nemesi artificiali,
contestazioni fittizie e/o create ad arte per auto-tutelare il sistema
dall’eventualità della vera contestazione radicale, i soggetti in
questione rimarranno comunque “presenti” ufficialmente nella società;
viceversa se invece si tratta di accuse radicali, dipendentemente dalla
loro capacità di far presa, verrano estirpate, in vari modi e con vari
metodi, col risultato di far cadere nel dimenticatoio tanto la
denuncia, quanto chi l’ha fatta!
Lo stesso vale non solo per il mondo dell’informazione
ma anche per quello che si occupa della formazione culturale affidata a
scuole ed università. Eclatante, in proposito, è l’esempio della “Guerra al Fascismo” che, nonostante le apparenze, prosegue ininterrottamente da decenni ben oltre la data del 1945, quale “Guerra mondiale demo-pluto-massonica” ,
tanto in ambito politico quanto, di conseguenza, in ambito culturale.
Per quanto ci riguarda ne abbiamo personalmente sperimentato gli
effetti, nelle vicissitudini che hanno direttamente interessato nel
tempo il nostro operato quale associazione culturale e politica
dichiaratamente e fieramente FASCISTA. Gli ambiti “politico-culturali”
con i quali abbiamo “dibattuto” e ci siamo confrontati, infatti, con gli
anni e l’esperienza maturata, abbiamo compreso che costituiscono
proprio quella “sentinella silente del sistema”
che è sempre ben “sveglia” in tutti i settori del viver “civile”. Per
la nostra parte, tale “sentinella”, che si occupa precipuamente di
“assorbire”, incanalare e addomesticare la critica radicale ai suoi
fondamenti ideologici, (come spiegato sopra), ha svolto il suo compito a
vari livelli. Emblematico quel che in principio ci appariva un fatto
inspiegabile, ovvero che al comprensibile silenzio in merito ai nostri
lavori sul Fascismo dei docenti universitari italiani (tutti, a vario
titolo, pienamente inseriti nella logica dell’antifascismo di Stato, in
virtù della quale potevano e possono esercitare la loro professione
nella repubblica delle banane antifascista) corrispondeva, al contrario,
un evidente interesse dei docenti stranieri, in special modo del mondo
accademico anglo-sassone!! …addirittura con l’acquisizione dei nostri
testi da parte di quelle che l’occidente “libero e democratico” ritiene
istituzioni baluardo del sapere laico, come alcune università americane e
britanniche. In realtà, plausibilmente, tutto ciò ha costituito solo un
tentativo per verificare se vi era la possibilità che le “nostre” tesi
potessero essere incanalate verso la normalizzazione, impedendo così che
proseguissimo col riproporre integralmente e senza alcun filtro
interpretativo che ne distorcesse il vero significato, gli argomenti
ideologici che già furono presentati dai teorici del Fascismo
mussoliniano. Ma, come dimostrano chiaramente le numerose pubblicazioni
presenti nel catalogo della nostra “Biblioteca del Covo“,
tale manovra non è andata a buon fine! Di fatto, per primi, abbiamo
osato affermare, sulla scia di quanto già scritto e provato a livello
ufficiale dagli stessi fascisti del Partito Nazionale Fascista dal 1922
al 1943, che la Dottrina ideologica nonché l’azione politica svolta dal
Regime di Mussolini, furono l’una lo sviluppo logico e coerente
dell’altra; soprattutto che l’Identità espressa dal Fascismo italiano
non ha nulla a che vedere né con le interpretazioni esposte
ufficialmente dagli storici antifascisti di qualsiasi estrazione
politica, liberale o socialista che sia, tantomeno con la caricatura
proposta dai gruppi del cosiddetto neo-fascismo post bellico, diretta
emanazione del sistema antifascista, che di essi si è avvalso per
radicare la propria visione distorta del Regime mussoliniano tra le
masse appositamente indottrinate in tal senso.
Ma quanti ricercatori, dopo anni di studi e sacrifici
sono in grado di non lasciarsi irretire nella trappola escogitata dal
sistema, magari spinti dalla necessità di trovare una collocazione
prestigiosa in grado di permettere loro di vivere dignitosamente?
Eppure, a ben osservare, nel caso in questione, la regia che si occupa
di stabilire quale deve essere l’interpretazione da dare in pasto alle
masse ignare ed istupidite, appare evidente! E’ forse un caso, ad
esempio, che l’esimio professor Griffin sia consulente editoriale nonché
attivo collaboratore del britannico ” Journal of Comparative Fascist Studies” (qui)insieme
a molti altri “illustrissimi” accademici europei, di cui abbiamo avuto
conoscenza diretta, poiché a vario titolo interessati a quel che abbiamo
scritto? Ed è forse un “caso” che il fine di tale
rivista storiografica, ovviamente accreditata nel consesso
internazionale delle laiche liberal-democrazie occidentali, in barba a
qualsiasi serio criterio di revisione storiografica rispetto ad evidenti
interpretazioni politicizzate ed a macroscopiche forzature ideologiche,
ugualmente presenti tanto in passato quanto negli odierni studi
dedicati al tema storico in questione (è il caso del fascismo e del
nazismo unificati e parificati nel segno del concetto di “religioni
della politica”, oltre che in quello del “nazionalismo esasperato” e del
“razzismo sterminatore”!), sia esattamente quello di pervenire ad una
accezione generica di quelli che vengono definiti “fascismi”, indirizzo
che nega volutamente l’unicità e l’originalità del Fascismo italiano,
esattamente in linea con quanto la “vulgata” antifascista si propone da
sempre, ovviamente affiancandovi gli immancabili giudizi moraleggianti
che farebbero dei cosiddetti “fascismi” (per costoro necessariamente
declinati sempre al plurale!) gli esponenti politici del “Male
assoluto”? E’ un caso, poi, che tale istituzione espressamente dedicata
allo “studio” del fascismo, pur raccogliendo contributi editoriali da
tutto il mondo, abbia la sua sede in terra britannica (la perfida
Albione!) e che attraverso essa si raccolgano, indottrinino ed
uniformino le nuove “leve” culturali della storiografia antifascista
internazionale? Avendo chiaro dove approdino tali “canali culturali”,
diviene ugualmente chiaro il perché si cerchi di ammantare di
“alternatività” e novità il lavoro dei soggetti che vi partecipano e
verso chi sia rivolta la presunta “apertura” culturale di cui sarebbero
portatori. Ancora una volta si ritorna alla tecnica del “Cavallo di Troia“!
Forse comincerà ad apparire più chiaro come la nostra
attività, contro quella che noi chiamiamo “usurpazione” dell’ identità
del Fascismo, che coinvolge tanto le istituzioni culturali e politiche
ufficiali liberal-democratiche pluto-massoniche quanto le cosiddette
formazioni neofasciste (“destre” o “sinistre”, nazionali o eurasiatiche,
o in qualunque modo esse si qualificano), scardini decenni di menzogne e
tattiche consolidate. Dunque, lungi dal costituire una una “gara” per
vantare chissà quale primato, né, tantomeno, “onanismo intellettualoide
da annoiati” come qualcuno dei soggetti di cui sopra ha avuto la
sfacciataggine di affermare, rappresenta bensì un’attività decisamente e
sostanzialmente anti-sistemica, nel senso più alto e vero, in quanto
che per combattere efficacemente un nemico bisogna prima conoscerlo e
comprenderne bene le tecniche. Ed è ormai evidente che gli “usurpatori”
costituiscono il prodotto delle tecniche di cui abbiamo parlato sopra.
Non a caso, l’inglese “Centre for fascist, anti-fascist and post-fascist studies”, diretto
proprio dal professor Matthew Feldman, uno dei maggiori collaboratori
del summenzionato professor Griffin, è l’organizzazione che ha tentato
di diffondere a livello accademico ed a mezzo di appositi articoli su
quaderni specialistici, lo stereotipo della continuità ideologica tra i
gruppuscoli del neofascismo italiano, in particolare del gruppo
denominato Casa Pound, col Fascismo storico, quando, come noi stessi
abbiamo già scritto in passato (VEDI QUI)
è del tutto evidente che si tratta di soggetti politici marginali,
pienamente inseriti nelle logiche partitocratiche del sistema
liberal-democratico antifascista, funzionali alla delegittimazione di
quelle che sono le vere istanze ideali presenti nel Fascismo
mussoliniano, da essi concretamente negate con fatti e parole, ad onta
delle apparenze equivoche. Ma la perfetta complementarietà tra le varie
parti che compongono gli ingranaggi del marchingegno propagandistico
antifascista,ormai appare sempre più evidente. Di
queste tecniche abbiamo avuto un esempio recente, con un convegno dai
contenuti nient’affatto casuali e patrocinato proprio da CasaPound. Il
convegno, di fine aprile, ha presentato il libro“Fascismi nel Mondo”,
di Sergio Pessot. Per avere una prova pratica e oggettiva di quanto
affermiamo da anni, basta leggere questa breve intervista all’autore (qui), I corsivi sono nostri:
Cosa l’ha spinta a indagare gli sviluppi dell’ideologia fascista nel mondo?
“Il motivo delle mie indagini è legato al fatto che questo fenomeno dal
1922 al 1939 ha investito 60 Paesi nel mondo, ma se ne è sempre parlato
pochissimo, a partire dal Dopoguerra, quando piuttosto il tema fu
rimosso. Quindi all’inizio del lavoro ero curioso di vedere dove mi
avrebbero portato queste ricerche. Così ora con questo libro mi
inserisco nel panorama storiografico internazionale, tra pochissimi
altri testi, mentre sui fenomeni europei la letteratura anche in Italia è
più ampia”.
Che tipo di studi ha condotto?
“Ne ho fatto un resoconto nell’ampia bibliografia alla fine del libro. E
sono presenti soprattutto testi esteri, pochi italiani”.
Cosa ha scoperto?
“L’ideologia, nella sua evoluzione in tutto il mondo che l’ha portata a differenziarsi in tanti fascismi, ha mantenuto un punto fermo, il corporativismo. E poi in quanti sanno dell’esistenza del partito fascista ebraico?”.
Quali invece le differenze più eclatanti?
“Per esempio in Sudafrica si è espresso in forma di razzismo, rispetto a
molti altri Paesi. In Argentina ha preso piede il fascismo
repubblicano, mentre in altre zone si è evoluto in organizzazioni
neonaziste tedesche, quando invece il nazismo dove arrivava spazzava via
il fascismo”.
Chiaro no? Ecco come MISTIFICARE l’Ideale del Fascismo, il cuore della sua originale Concezione spirituale, politica e MORALE, dietro l’apparenza della ricerca scevra da pregiudizi ideologici finalizzata alla chimerica verità scientifica! ECCO, ANCORA UNA VOLTA IL “CAVALLO DI TROIA”! Ecco
svelata la logica di una manovra di disinformazione politico-culturale
che cerca in vari modi e su più livelli di opporsi a quanto noi
pubblichiamo ormai da anni, da parte nostra con l’intento di definire in
modo chiaro ed inequivocabile i veri tratti de “L’Identità Fascista”,
cioè di quel che univocamente gli stessi fascisti di Mussolini
definivano come Fascismo… invece le “sentinelle del Sistema”, coerenti
con la propaganda bellica di coloro che da sempre costituiscono il
nemico irriducibile del sistema politico mussoliniano, cianciano di
“FASCISMI”, coniugando volutamente il termine al plurale, definendo il
corporativismo ( o la socializzazione delle imprese!) il vero tratto
distintivo di tale fenomeno politico… insomma basta saper fare 2+2 !
Facciamo presente, ancora una volta, che a sostegno di
quanto affermiamo noi fascisti de “IlCovo” in materia di Fascismo, non
ci sono le sterili chiacchiere di qualche dotto democratico benpensante
tantomeno di qualche sconosciuto improvvisato esegeta, ma i documenti
ufficiali di CHIARA FONTE FASCISTA, nei quali, ad esempio, manco a farlo apposta, si afferma senza giri di parole che (Enciclopedia Italiana, Appendice, voce “Partito Fascista-organizzazione”, 1938):
“Nei giudizî
dati intorno al fascismo, da uomini delle più diverse tendenze
politiche o culturali, nei varî paesi del mondo, si può tuttavia
segnalare – al disotto delle divergenze di valutazione suggerite dal
contrasto di presupposti teorici, di simpatie, d’interessi – qualche
elemento comune, che permette di contraddistinguere con sufficiente
chiarezza tre momenti spirituali, quasi tre fasi, attraverso cui la
cosiddetta opinione pubblica mondiale è passata. E queste fasi si
possono determinare anche cronologicamente in modo abbastanza preciso;
per quanto residui della fase precedente perdurino anche durante la
successiva, e persino residui della prima nel corso della terza. Chi
abbia presente la storia del movimento fascista non farà, poi, fatica a
constatare che queste fasi corrispondono anche, a un dipresso, ai
diversi “periodi” in cui la storia stessa del fascismo si può
suddividere. È stato, insomma, il fascismo stesso che con la sua azione
politica concreta e, attraverso questa, con la determinazione sempre più
netta delle sue dottrine, ha per forza propria contribuito a modificare
il giudizio che ne veniva dato fuori d’Italia e costretto l’opinione
pubblica mondiale a passare dall’incomprensione allo studio, da questo
all’imitazione degl’istituti o all’accoglimento delle dottrine del
fascismo o, quanto meno, ad accettare la formulazione e la
determinazione che il fascismo stesso veniva dando dei principali
problemi politici. Si direbbe che vi sia stata,
inizialmente e per parecchi anni, una specie di assoluta incapacità a
scorgere nel movimento ciò ch’esso conteneva ancora in potenza, come
germe non del tutto sviluppato; così come nella maggior parte degli
studiosi stranieri del fascismo si nota, anche dove uno sforzo in questo
senso venga tentato, una straordinaria difficoltà a scorgere la logica
intima, la continuità storica che ricongiunge il fascismo d’oggi a
quello del 1919 e all’interventismo del 1914 e, più ancora, a tutta la
tradizione storica italiana…Il
secondo è che in quasi ogni stato si è visto il sorgere di movimenti
politici organizzati, che nelle premesse teoriche, nei programmi
d’azione, nelle forme dell’organizzazione, spesso anche nel nome,
richiamano, in maniera più o meno palese, il fascismo, da essi imitato o
seguito con maggiore o minore chiarezza e coscienza, con più o meno
profonda comprensione: in qualche paese, movimenti politici affini al
fascismo hanno già assunto il potere e incominciato ad attuare riforme
più o meno profonde e sostanziali. Per movimenti siffatti, si può con
serena obiettività osservare che la difficoltà maggiore consiste
precisamente in un problema d’intelligenza storica: si
tratta per essi di determinare quanto, nel programma ideale e
nell’azione pratica del fascismo, è particolare, esclusivamente
italiano, prodotto cioè di una tradizione, di circostanze, di esigenze e
condizioni proprie dell’Italia, e quanto invece è universale, trascende
cioè ogni contingenza, anche storica, per assumere valore assoluto. È
chiaro che l’imitazione pura e semplice di aspetti esteriori, e anche
di istituzioni, leggi, costumi, adatti a un paese quale l’Italia, non
può dare grandi risultati, ove non sia accompagnata da un rinnovamento
degli spiriti.Siffatta imitazione
esteriore, peggio ancora l’adozione senza discernimento di istituti e
provvedimenti, è destinata a rimanere esteriorità, copia, gesto
infecondo: chi imitasse il fascismo in questo modo ripeterebbe
l’errore di quegli ingenui primi rivoluzionari italiani che andavano
chiedendo, per il Piemonte e per Napoli, senza neppure bene conoscerla,
la costituzione di Spagna. E nulla più che una simile imitazione sarebbe
contrario allo spirito vero, profondo, universale del fascismo. Il
quale si presenta oggi come una dottrina pienamente cosciente del
proprio valore, superamento di più vecchie dottrine politiche ed
economico-sociali. Ma, nel bandire il principio del nuovo assetto
corporativistico della società e dell’economia, nel propugnare la sua
nuova concezione dello stato, neppure il fascismo dimentica quella che
fu sua caratteristica fin dalle origini: lo spirito d’iniziativa
disciplinata, il coraggio freddo e spregiudicato di guardare in faccia
la realtà, la prontezza nel valutare le circostanze e nel saper mutare,
allorché esse siano mutate. Sicché il fenomeno
forse più interessante e significativo cui sia dato oggi di assistere è
precisamente quello che si manifesta in paesi dove un vero e proprio
movimento fascista, che abbia assunto questo nome e fatto proprio
pienamente il contenuto ideale del fascismo, ancora non esiste;
e dove, ciò nonostante, dottrine, idee, aspirazioni e sentimenti propri
del fascismo incominciano ad essere accolti nel patrimonio spirituale
di gruppi culturali e politici disparatissimi e sovente tali, per
origini o per necessità pratiche, che la rivelazione dell’origine e del
carattere fascista delle loro affermazioni programmatiche susciterebbe
in molti dei loro seguaci una reazione di meraviglia, forse dolorosa…In
Francia, astraendo da movimenti di carattere reazionario e strettamente
nazionalistico – la Lega repubblicana-nazionalista del Millerand, la
Federazione nazionalista cattolica del generale Castelnau, l’Unione
della gioventù patriottica, molto affine alla precedente – i quali in
sostanza poco o nulla avevano a che fare col fascismo, se pure fu loro
impropriamente dato qualche volta questo nome, un aggruppamento politico
più interessante, per qualche affinità col fascismo italiano, fu quello
che fece capo a G. Valois, autore anche d’un libro sul fascismo
francese (1926), in cui rivendicava alla
Francia, con G. Sorel, la creazione stessa del fascismo. A parte che ciò
significava confondere il fascismo con il sindacalismo rivoluzionario
di prima della guerra mondiale – e i rapporti, innegabili, tra i due movimenti non si esauriscono in quella formula semplicistica
– l’assemblea nazionale dei combattenti e dei produttori, tenuta a
Reims nel 1926, constatava l’inettitudine dello stato parlamentare, e
chiedeva il riconoscimento da parte dello stato dell’organizzazione
corporativa, che doveva servire di base a una ricostruzione sociale e
politica, per la quale il Valois chiedeva l’aiuto dei combattenti,
invitandoli a compiere la rivoluzione nazionale. Ma il movimento stesso
non ha più dato segni concreti della sua esistenza, o, quanto meno, di
vitalità e forza politica. Un altro movimento sorto più tardi a
Strasburgo sembrò, molto più che i precedenti, accogliere certi principi
fondamentali del fascismo, dichiarando indispensabili alla Francia: 1.
una riforma totale dello stato sulla base d’un governo e di
un’amministrazione veramente responsabili; 2. l’utilizzazione effettiva
di tutte le forze nazionali; 3. una riforma radicale della costituzione
col ristabilimento dell’autorità dello stato; 4. una rappresentanza
popolare sulla base corporativa; 5. la rivalorizzazione della morale
pubblica. La vitalità di questo movimento non si è manifestata
all’altezza del compito, ma le idee da esso agitate mostrano anche
adesso la loro rispondenza alle aspirazioni di larghe masse francesi,
che da varie parti e da gruppi differenti invocano innovazioni profonde e
radicali del regime parlamentare e dell’assetto economico
vigente…Significativo e importante, sotto questo aspetto, anche il
movimento, impropriamente battezzato dalla stampa col nome di neofascista, dei socialisti dissidenti
Montagnon, Marquet, Déat e altri, movimento rimasto senza largo
seguito, e con soltanto scarsi punti di contatto con il fascismo; “ma
che ha avuto il merito di far entrare la parola fascismo nel linguaggio
politico corrente”, contribuendo a far meglio conoscere all’opinione
pubblica francese, rimasta ferma alla concezione di un fascismo
puramente conservatore, la realtà della politica e dell’opera sociale
del fascismo. Un altro movimento, capeggiato dal Doriot, è sorto negli
ultimi tempi con un programma a sfondo sindacalista nazionale,
di riforme radicali. Da tale movimento è sorto il partito popolare, al
quale il suo capo ha impresso un carattere non privo d’interesse per la
sua combattività e per certi principî nei quali non manca né il riflesso
della dottrina fascista, né l’aspirazione all’ordine nuovo creato dal
fascismo…Anche in Inghilterra, accanto al franco riconoscimento del
valore del fascismo dato, p. es., da G. B. Shaw, oltre che da numerosi
uomini politici, l’inadeguatezza, e perciò la fine, del regime
democratico-liberale e del liberalismo economico-politico è ormai
proclamata chiaramente da uomini delle più diverse tendenze: da W.
Churchill al laburista G. Lansbury, da lord Percy a D. Lloyd George. Ma
l’Inghilterra conta anche vere e proprie organizzazioni fascistiche. La
British Union of Fascists ha per capo sir Oswald Ernald Mosley, nato il
16 novembre 1896, già combattente alla fronte francese nella guerra
mondiale, membro della Camera dei comuni dal 1918, cancelliere del
ducato di Lancaster nel ministero MacDonald nel 1929-30. Il programma
enunciato dal Mosley comprende l’abolizione della lotta di classe,
attraverso l’abolizione delle Trade Unions e delle federazioni dei
datori di lavoro: le une e le altre dovranno essere assorbite in una
forma di stato corporativo, e la corporazione nazionale dell’industria
sostituirsi alla Camera dei lord. Il Mosley vede nel fascismo (“non
possono esservi diversi fascismi – ha detto in un’intervista – ve n’è
uno solo, quello del Duce”) un grande movimento di pensiero, che dovrà
essere comune a tutti i popoli civili, salvo, nelle attuazioni pratiche,
a concretarsi alquanto diversamente nei vari paesi, secondo è richiesto
dalle condizioni locali, dalle tradizioni storiche, ecc. Più di
recente, questo movimento, che ha ricevuto anche l’appoggio d’un
importante giornale quotidiano, il Daily Mail, sembra avere guadagnato
nuovo terreno, e in varî discorsi il Mosley ha ribadito le sue
affermazioni, presentandole come un vero e proprio programma di governo.
Più anziana di questa organizzazione è
l’Imperial Fascist League, che tuttavia s’ispira più direttamente,
nonostante il nome, ai principi nazionalsocialisti che a quelli
fascisti…L’influsso del fascismo si rivela anche nettamente nell’azione
di partito e di governo svolta dal nazionalsocialismo in Germania.
L’alacrità con cui il governo del cancelliere A. Hitler si è accinto a
riformare lo stato (v. Germania: App.), la natura di molti dei
provvedimenti presi o progettati, l’interesse con cui l’opera del
fascismo viene seguita e spesso imitata, infine dichiarazioni in questo
senso degli stessi capi del movimento ne sono una prova palmare. Nella
volontà di costituire un regime totalitario, di rimanere un movimento in
perenne sviluppo, nel rifiutare il parlamentarismo e l’individualismo,
nell’ideale dello stato forte a costituzione gerarchica, il
nazionalsocialismo s’ispira indubbiamente al fascismo che lo ha
preceduto. Esistono, si capisce, differenze dovute alle diversità di
tradizione, di condizioni ambientali, di struttura sociale e di
mentalità tra i due paesi; fra queste una differenza fondamentale è nel
modo stesso di concepire la nazione. Il fascismo intende infatti la
nazione idealisticamente e in conformità della tradizione spirituale più
viva e nobile del Risorgimento, come un’entità storica, fondata
sull’unità delle tradizioni, della cultura e della civiltà, del
sentimento e della volontà; tutta l’azione politica del fascismo, anche
nel campo demografico ed economico, mira a elevare e potenziare il tono
di vita, la produzione, la potenza e la ricchezza del popolo italiano.
Il nazionalsocialismo, svolgendo sotto questo aspetto dottrine già
esposte in Germania anche prima della guerra mondiale, p. es., da H. St.
Chamberlain sulle orme del resto di J.A. de Gobineau, identifica la
nazione con la razza (v. nazionalsocialismo, App.). Simili
differenze di atteggiamento spirituale che sono utili a marcare in più
precisa maniera le peculiari caratteristiche di ciascuno dei due grandi
movimenti rivoluzionari, aiutano anche a comprendere la diversità dei
metodi attraverso i quali essi giunsero alla conquista del potere“
Questa lunga e doverosa citazione mostra un fatto
chiaro e inoppugnabile: in ambito ideologico fascista si facevano già i
necessari distinguo tra la propria concezione politica e le sue
possibili derivazioni estere più o meno spurie, considerando
indirettamente quello che, senza un Regime Fascista e senza le sue menti
pensanti, sarebbe potuto accadere, ed in effetti è accaduto DOPO, per
adulterarne i contenuti ideali e in ultima analisi per annichilirlo come
alternativa politica al sistema liberal-democratico: la sua USURPAZIONE
di identità!
La stessa attenzione tributata alla “riscoperta” del
corporativismo (che non solo Pessot, ma anche altri storici europei del
Fascismo come ad esempio A. Costa Pinto, anch’egli collaboratore del già
citato professor Griffin, considerano come il tratta distintivo
dell’ideale fascista) denota una evidente incomprensione del fenomeno
politico in oggetto, che potrebbe essere facilmente superata solo che vi
fosse la volontà di comprendere davvero la questione e dunque dare
spazio a quel che nei documenti ufficiali diffusi dal Partito Fascista
si affermava al riguardo, ovvero che la concezione che sta alla base
della Dottrina del Fascismo, rifuggendo qualsiasi materialismo, ha un
imprescindibile PRESUPPOSTO RELIGIOSO:
…se il Fascismo è — come è — un
nuovo tipo di civiltà (così l’ha definito il Duce), e se di questa nuova
civiltà dovrà essere improntato il secolo (anche questo è suo
vaticinio), si chiede quale sia la nota più originale che distingue il
Fascismo dalle concezioni passate e da quelle contemporanee
(oltrepassate, anche queste, rispetto a esso). La concezione forse
economico-sociale? Certo, qui il Fascismo ha portato, nel mondo
sconvolto dalle lotte economiche, una parola di straordinaria importanza
e di decisiva novità: l’idea corporativa. Ma questa idea, presa fuori
del principio politico che la ispira e regge tutta quanta, può
abbassarsi al livello d’una questione soltanto di giustizia sociale,
importante e originale quanto si vuole, ma non tale, poi, da non poter
essere accettata anche in regimi molto lontani dal Fascismo. Diremo,
allora, ch’è la concezione strettamente politica quella che costituisce
l’originalità e importanza fondamentale del Fascismo? Intendo per «
concezione strettamente politica » ciò che suol definirsi anche il nuovo
senso dello Stato, di cui è stato ed è, indubbiamente, creatore il
Fascismo. Ma, anche qui, vogliamo restringere questa novità al carattere
« autoritario » e « totalitario », che lo Stato ha acquistato per
merito del Fascismo? C’è rischio — di nuovo — che questa concezione
dello Stato ci porti su la stessa linea di regimi molto lontani dal
nostro. Mi sembra che dobbiamo, allora, per sfuggire a questi rischi,
dichiarare che, sia la questione sociale e sia quella politica, vanno
vedute da un punto di vista ulteriore, più alto e comprensivo, il quale
solo, finalmente, dà il senso e il tono generale di quella concezione
che noi consideriamo esclusiva del Fascismo. Questo punto di vista
ulteriore, più alto e comprensivo, è, a mio avviso, la concezione totale
del mondo storico e della funzione che uno Stato deve in esso esplicare
al lume di un’idea ch’è politica, certamente, ma ha, insieme, un
presupposto religioso, anzi cristiano, anzi cattolico. In altri termini:
il Fascismo è una concezione politica sorta nella mente di un Genio
tipicamente italiano, ossia sorta dentro una tradizione di idee e di
sentimenti dominata dal senso realistico della storia e — insieme — da
una intuizione generale della vita ch’è propria del Cristianesimo
cattolico. (Armando Carlini, Saggio sul pensiero filosofico e
religioso del Fascismo, Prima edizione, Roma, 1942, Istituto Nazionale
di Cultura Fascista; Seconda edizione, Lulu.com, 2013, p. 189) Nella sintesi appena citata,
questa si davvero autorevole, si evidenziano in modo lampante TUTTE le
adulterazioni di cui stiamo trattando: a cominciare proprio da quella
sociale attinente il Corporativismo. Risulta ormai chiaro come per il
cosiddetto occidente “libero e democratico”, la strategia
migliore per disinnescare la “mina” politica rappresentata a tutt’oggi
dal Fascismo”, dopo averlo sconfitto militarmente un tempo, è consistita
e tutt’ora si concretizza nel soffocarlo culturalmente con qualsiasi
mezzo. Ed è il compito particolare che si sono dati TUTTI gli attori
politico-economico-sociali del sistema vigente in questi 70 anni di GUERRA PERMANENTE a
tale visione del mondo, evidentemente, visti gli sforzi profusi in tale
opera di disinformazione, ritenuta sempre capace di “rompere le uova
nel paniere” della plutocrazia!
Dunque, la conclusione logica, in questo scenario, non
può essere che una: opporsi alla lobotomizzazione imperante, volendo
realmente risolvere il vero problema principale di tutte le nazioni e di
tutti i popoli del pianeta, andando alla fonte unica di questo nostro
ideale luminoso che rappresenta il vero e solo nemico della
demo-plutocrazia massonica mondialista. Ecco spiegato perché noi
fascisti de “IlCovo” ci siamo dati questo compito titanico e
incredibile: quello di difendere e diffondere il FASCISMO, per far sì
che le menti ed i cuori delle umane genti possano, all’unisono,
risvegliarsi e tornare a camminare e lottare sul sentiero della Civiltà
Italiana Fascista, debellando quell’orribile inferno globale spacciato
per paradiso della libertà in cui stiamo vivendo!
Le rivolte anti sovietiche nel Caucaso, Anni ’40, e le repressioni staliniste.
Di Alberto Rosselli.
Azerbaijan, 1941-1943. La Repubblica Socialista a
maggioranza mussulmana dichiara la propria fedeltà a Mosca, anche se migliaia
di cittadini preferiscono schierarsi con i tedeschi. Stalin ne approfitta per
sfruttare la regione e i suoi abitanti, molti dei quali verranno poi massacrati.
La guerra partigiana anti-sovietica in Caucaso. di Alberto
Rosselli
Sebbene nel corso del
secondo conflitto mondiale la repubblica socialista dell’Azerbaijan non sia
stata mai coinvolta, almeno direttamente, nelle operazioni militari che,
nell’autunno del 1942, in
Transcaucasia, videro contrapposte le divisioni della Wehrmacht e quelle
dell’Armata Rossa, questa piccola, ma strategica regione a maggioranza
mussulmana, nota per i suoi giacimenti petroliferi, pagò egualmente un elevato
prezzo alla causa dell’Unione Sovietica, ricevendo tuttavia da Stalin un
compenso fatto di soprusi e persecuzioni. Vessazioni, materiali e morali che,
con il passare del tempo, hanno fomentato tra la popolazione di questa porzione
islamica dell’Urss un profondo risentimento che, dopo la caduta del regime
comunista, negli anni Novanta è sfociato, come è noto, in una violenta
ribellione nei confronti di Mosca: rivolta a tutt’oggi appoggiata e cavalcata
dal terrorismo fondamentalista islamico.
Ma facciamo un passo
indietro. In seguito all’attacco tedesco del 22 giugno 1941, Stalin proclamò
l’inizio della cosiddetta “Guerra Patriottica”, chiamando a raccolta nelle file
dell’Armata Rossa diversi milioni di sudditi appartenenti ad etnie e religioni
differenti, ma facenti tutti parte dell’Impero Sovietico. Tra questi, gli azeri
mussulmani (oltre 720.000 individui) gran parte dei quali, tra il luglio 1941 e
il luglio 1944, vennero frettolosamente armati e spediti al fronte, dove,
dietro precisi ordini del Cremino, i generali russi li impiegarono nelle
operazioni più rischiose. Tanto che, nel settembre 1945, soltanto 290.000 di
essi fecero ritorno in patria. L’odio di Stalin (ma anche di Lenin) nei
confronti delle “minoranze” religiose del suo impero è cosa risaputa (tra il
1918 e il 1930, i sovietici avevano fatto sterminare circa due milioni tra kazaki, tagiki, turkmeni, kirghisi
e armeni), ma lo sfruttamento e l’eliminazione scientifica degli azeri assunse
aspetti e modalità del tutto particolari, soprattutto se si considera che
questa minoranza, al contrario di altre, dimostrò sempre – almeno durante il
Secondo Conflitto – un sincero attaccamento alla causa comunista.
Ciononostante, tra il 1945 e il 1947, Stalin non ebbe tentennamenti a sradicare
dalla loro terra e a trasferire (“per supremo interesse della nazione”) nei
campi di lavoro siberiani 300.000 civili nessuno dei quali, o quasi, rivide mai
più la propria patria. Seguirono poi altri “allontanamenti forzati” dettati
dalla necessità di “bonificare” la regione dall’elemento islamico,
consentendone la colonizzazione da parte di quello russo. La presenza in
Azerbaijan di numerose aree ricche di pozzi petroliferi, tra cui l’Eldorado
Nero di Baku, aveva indotto fino dal 1918 Mosca ad attuare questo duplice piano
di pulizia ed inglobamento della regione: piano che, con la scusa dei travagli
derivanti dalla guerra 1941-1945, il Cremlino poté accelerare a suo piacimento
Alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale, Baku era il più importante centro
petrolifero dell’intera Unione Sovietica. Nel 1940, dai suoi impianti – in
grado di produrre annualmente il 72% del totale del petrolio estratto in Urss –
vennero pompati 22,2 milioni di tonnellate di greggio; mentre tra giugno 1941 e
il giugno 1942, si estrassero qualcosa come 25,4 milioni di tonnellate: record
che, nel febbraio 1942, costrinse il Soviet Supremo a decorare 500 lavoratori
azeri, parte dei quali vennero in seguito inviati in Siberia “per contribuire
allo sviluppo energetico della Patria”. Volendo incrementare ulteriormente la
produzione dei pozzi di Baku, nell’inverno 1941-1942, Stalin fece aumentare, a
parità di salario, da 9 a
12 ore e mezza l’orario di lavoro degli operai azeri che vennero, inoltre,
costretti a rinunciare all’unico giorno di riposo settimanale. Nella primavera
del ’42, allorquando le avanguardie della Wehrmacht conquistarono l’Ucraina,
Stalin ordinò il reclutamento nell’esercito di 100.000 lavoratori della
provincia di Baku, obbligando altrettante donne e circa 5.000 ragazzi tra i 12
e i 15 anni a prendere il posto degli operai militarizzati. E’ stato calcolato
che, alla fine dell’estate del 1942, più di 25.000 operaie (cioè il 33% di
tutti i manovali presenti nelle installazioni di Baku) furono costrette a
prestare la loro opera pressi i pozzi a paghe dimezzate e con turni fino a 18
ore. Nel 1943, presso le raffinerie e gli impianti chimici il 38% della
manovalanza risultava composta da donne (quasi tutte ex contadine) e il 2% da
ragazzi: percentuali che, tra il 1944 e il 1945, arrivarono a toccare il 60%.
Dato l’esponenziale incremento delle malattie e della mortalità dovuti alla
fatica e alla fame (nel 1944, mille 500 tra donne e ragazzi persero la vita),
il Cremlino predispose che anche parte degli operai già pensionati facessero
ritorno ai pozzi, rinunciando a parte della pensione in cambio di due magri
pasti giornalieri. Va ricordato, infine, che le migliaia di contadine azere
precettate furono giocoforza costrette ad abbandonare le comunità agricole
della regione specializzate nella produzione di cotone, granoturco, lana,
tabacco e tè, mandandole in rovina e causando una spaventosa carestia che, nel
1945, costò la vita a circa 20.000 persone, soprattutto anziani e bambini.
Il 9 Agosto 1942, le
forze corazzate della Wehrmacht raggiunsero e conquistarono il centro
petrolifero transcaucasico di Maikop –
che, pur producendo soltanto un decimo del greggio di Baku, era stato in buona
parte sabotato dai russi prima della loro ritirata – proseguendo la loro
avanzata verso sud est, in direzione di Grozny e di Baku. Secondo gli
ottimistici piani di Hitler, l’attacco finale contro il grande centro
petrolifero azero sarebbe dovuta scattare il 25 settembre 1942. Ed anche se la
quasi totalità dei generali tedeschi dubitava circa la riuscita di una così
ambiziosa e difficile offensiva, in
occasione di un banchetto ufficiale, al dittatore venne servita una grossa torta
con riprodotta la mappa dell’Azerbaijan e la città di Baku. Le poche immagini
di questa cerimonia riprendono Hitler colto nel gesto tagliare una fetta irta
di microscopici pozzi petroliferi di cioccolato. “Speriamo sia di buon
auspicio” disse Hitler. “Se non otteniamo il petrolio di Baku, la guerra sarà
perduta” Nell’agosto-settembre del 1942, le divisioni della Wehrmacht si
lanciarono alla conquista di Groznj, ma dopo settimane di durissimi
combattimenti vennero bloccate dalle ben più numerose armate sovietiche.
Nonostante la battuta di arresto tedesca, Stalin, che ancora temeva per le
sorti di Baku, ordinò di sospendere tutte le operazioni di perforazione in
corso e di trasferire in Turkmenistan ed oltre il Mar Caspio (in Kazakistan) la
maggiore parte degli oleodotti, dei macchinari e delle attrezzature da
trivellazione. E fu così che, verso la fine di settembre del ’42, ben 764 pozzi
vennero sigillati e 81 kit di attrezzature di perforazione trasferiti via
ferrovia, assieme a migliaia di operai azeri, in Turmkenistan. Comunque sia,
per garantire egualmente un minimo di produzione per le immediate esigenze
dell’esercito, le autorità sovietiche riattivarono 25 vecchi pozzi da tempo
inutilizzati. Per trasportare gli enormi quantitativi di greggio contenuti nei
depositi, un gruppo di tecnici azeri e di esperti del genio navale russo
compirono un’incredibile prodezza rimorchiando da Baku a Krasnovodsk, località
situata sulla sponda orientale del Caspio, una squadra di chiatte con a bordo
traversine, binari e addirittura interi convogli ferroviari di cisterne. Non
solo. Per trasportare una maggiore quantità di prodotto, i russi trainarono con
rimorchiatori da una parte all’altra del mare enormi cisterne metalliche da 500
tonnellate riempite di petrolio fino a metà della loro capacità. Come accennato,
Stalin volle che, oltre alle attrezzature, anche la quasi totalità dei tecnici
e degli operai azeri di Baku venisse trasferita in Kazakistan e negli Urali per
rimontare gli impianti e per effettuare nuove trivellazioni. Ed è stato
calcolato che nel solo ottobre 1942, più di 20.000 operai azeri vennero
trasferiti, volenti o nolenti, in quelle lontane regioni. Deportazione che
indusse diverse migliaia di azeri a passare dalla parte dei tedeschi. Come è
noto, nell’autunno del 1942, molte migliaia di azeri (ma anche di georgiani,
ingusci, osseti, kabardiri, daghestani e, in minore misura, armeni) – che già
nel 1940 avevano cercato di ribellarsi ai sovietici – entrarono a fare parte
delle SS, combattendo con determinazione nella speranza di ottenere un giorno
l’autonomia delle proprie Patrie. (1)
(2)
Buona
parte delle imprese di trivellazione, con il personale al completo, furono
concentrate nell’area di Kuybishev, che venne battezzata la “Seconda Baku”, per
la presenza di oltre 15.000 tra tecnici e operai azeri. Costretti a lavorare
senza paga, per turni di 15 ore, questi coriacei lavoratori dettero prova di
capacità e forza d’animo a dire poco straordinari, montando impianti e
rendendoli perfettamente funzionanti a tempo di record. Ma a quale prezzo.
Nell’inverno 1942-1943, tremila tra tecnici e manovali perirono per il freddo,
la fame e i maltrattamenti subiti dalle guardie della NKVD. Ciononostante, nel
1943, gli azeri riuscirono ad incrementare del 66% l’intera produttività
dell’area petrolifera di Kuybishev. Come gesto di riconoscenza, Nell’estate del
1945, dopo averli sfruttati e ridotti a larve umane, Stalin fece deportare i
rimanenti 10.000 lavoratori azeri nei gulag siberiani, dai quali nessuno di
essi fece mai più ritorno. FINE NOTE: (1) Volontari azerbaijani,
georgiani ed armeni
Azerbajdjanische Legion or
Kaukasisch-Mohammedanische Legion
Sonderverband Bergmann (volontari georgiani ed
azerbaijani)
II.Sonderverband Bergmann Battalion (volontari
azerbaijani)
SS-Waffengruppe Aserbeidschan (volontari azeri)
Waffen-Gruppe
Aserbaijan(volontari
azeri)
Freiwilligen-Stamm-Regiment 2 (armeni ed
azerbaijani)
Georgische Legion
Freiwilligen-Stamm-Regiment 1 (volontari
georgiani)
SS-Waffengruppe Georgien (volontari georgiani)
I.Sonderverband Bergmann Battalion (volontari
georgiani)
SS-Waffengruppe Armenien (volontari armeni) NOTE: (2) La
rivolta cecena e ingusha anti-sovietica durò, tra alterne vicende, dal 1940 al
1944, ma venne duramente contrastata dai sovietici che, alla fine, riuscirono a
debellarla (anche se alcuni gruppi partigiani combatterono fino al 1947, e
l’ultimo insorto venne catturato e ucciso nel 1976). Nel febbraio 1940, l’esercito
insurrezionale ceceno comandato dall’intellettuale-guerriero Khasan Israilov (1910 – 29 dicembre 1944) strappava ai sovietici le località di Galanchozh, Sayasan, Chaberloi e una parte del
distretto di Shatoysky, instaurando a Galanchozh un governo
indipendentista. Subito dopo l’attacco tedesco alla Russia (22 giugno 1941) e
soprattutto all’inizio del 1942, diversi capi tribù ceceni di religione
musulmana, come Hasan Israilov e Mairbek Sheripov, presero
le armi contro i russi per spianare la strada all’avanzata della Wehrmacht in
direzione del Caucaso. Nel febbraio 1942, Mairbek Sheripov e il suo
gruppo iniziò l’insurrezione a Shatoi, Khimokhk, sconfiggendo le forze sovietiche
e minacciando di conquistare Itum-Kale, mentre nel vicino
Dagestan
i locali ribelli occuparono Novolakskaya e Dylym. Fu in questo periodo che l’Abwehr
preparò l’operazione Schamil, spostando
nel Caucaso il Nordkaukasische Sonderkommando Schamil, uno speciale contingente al quale venne
affidato il compito di sostenere i ribelli anti-comunisti ceceni. Circa
200 soldati tedeschi furono quindi paracadutati nella regione autonoma
caucasica del Karachai (92 all’interno della regione autonoma dei Kabardiri-Balkari
e 77 all’interno della Cecenia–Inguscezia). L’operazione di affiancamento ai ribelli andò
avanti per circa un anno, anche dopo la ritirata tedesca dal Caucaso.
Nell’agosto del 1943,
altri 20 commando germanici andarono a dare man forte ai partigiani ceceni
impegnati anche in una capillare opera di cooptazione di nuovi elementi anche
appartenenti all’Armata Rossa. E’ stato calcolato, a questo proposito, che tra
il 1940 e il 1944, ben 62.750 soldati sovietici di origine caucasica passarono
nelle file partigiane. Un’emorragia che indusse Mosca ad adoperare il pugno di
ferro e a ripristinare l’ordine in tutta la regione caucasica attraverso
l’invio di numerose divisioni. A partire dal 23 febbraio, le forze sovietiche,
poste agli ordini diretti di Lavrenty
Beria, scatenarono l’offensiva
travolgendo e schiacciando nel giro di
alcuni mesi tutte le bande ribelli. Non contento, Beria – con il placet di
Stalin – organizzò infine, , la deportazione in Siberia di ben 91.250 e 387.229
civili ingushi e checeni, molti dei quali vennero in seguito massacrati in
isolati campi di sterminio.
Americani, quelli che
oggi si ergono a giudici del mondo, lanciarono l'attacco atomico contro i
civili di un paese che si era gia arreso! : Il Fastidioso
6 agosto 1945, Hiroshima – 73 anni fa uno dei più
gravi e schifosi crimini contro l’umanità: gli Americani, quelli che
oggi si ergono a giudici del mondo, lanciarono l’attacco atomico contro i
civili di un paese che si era gia arreso!
Il 6 agosto 1945 alle ore 8:15, un aereo statunitense sganciò la bomba all’uranio Little Boy sulla città giapponese di Hiroshima.
Quella mattina, uomini, donne e bambini si apprestavano a vivere una
nuova giornata, del tutto ignari dell’orrore che stava per abbattersi su
di loro. A Hiroshima, l’esplosione della bomba generò in dieci secondi
un’onda d’urto che rase al suolo la città per un raggio di due
chilometri, uccidendo all’istante 70mila persone. In seguito, 70mila persone transitarono dalla vita alla morte senza rendersene conto, travolti da una vera e propria tempesta rovente che avanzò a 800 km all’ora. Forse, in quel giorno, i primi morti furono i più fortunati. Dei privilegiati rispetto
alle tante migliaia di civili che morirono in un secondo momento. È
davvero difficile pensare cosa abbiano provato quegli uomini e quelle
donne che si accingevano ad andare a lavorare o ad accompagnare i bambini a scuola. Non esistevano neppure le immagini di esplosioni atomiche, nessuno dei cittadini di Hiroshima aveva visto una tale luce o udito un tale suono così improvviso e devastante. Senza più la città intorno, senza punti di riferimento in un caldo torrido e colpiti da una forte pioggia radioattiva nera,
i sopravvissuti vagarono senza meta, poi molti, sperando di fermare le
terribili scottature, si gettarono nel fiume che però in alcuni punti ribolliva e ben presto si riempì dicadaveri che galleggiavano.
Tre giorni dopo, gli americani attaccano un’altra città giapponese, quella di Nagasaki: sganciano una bomba al plutonio, Fat man. Lo sgancio però non fu preciso e la bomba brillò in una zona della città difesa dai monti. Nonostante ciò, morirono subito 40mila persone e molte altre migliaia rimasero ustionate. Molte altre morirono in seguito. Oltre 70 anni dopo, è risaputo che questi crimini contro l’umanità furono
del tutto inutili al fine della vittoria statunitense. Hitler e
Mussolini erano già morti, il Giappone era sul punto di arrendersi. Lo
stesso Winston Churchill, primo
ministro britannico, affermò: “Sarebbe un errore supporre che il destino
del Giappone fu suggellato dalla bomba atomica. La sua sconfitta era
certa prima che fosse sganciata la prima bomba”. In realtà, quelle bombe
furono sganciate per due ragioni. La prima era di mandare un messaggio a Mosca; già durante il secondo conflitto mondiale si comprese che l’antagonismo futuro sarebbe stato tra le due potenze vincitrice della guerra, Usa e Urss. Secondo motivo era giustificare l’immensa spesa del progetto Manhattan, da cui scaturì la bomba atomica. Dopo quelle due esplosioni (le uniche vere armi di
distruzione di massa mai usate dall’uomo) gli Usa, sostituendo quello
britannico, divennero un nuovo, tracotante, impero che in 70 anni ha sottomesso con la violenza militare ed
economica quasi l’intero pianeta. Corea, Nicaragua, Congo, Vietnam,
Laos, Cambogia, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria sono
soltanto alcune guerre dirette o per procura che hanno imposto il dominio a stelle e strisce. A partire da quel 6 agosto, gli Usa sono diventati un’economia di guerra, un keynesismo militarista difficile da disinnescare per l’immensa rete di interessi che ha svuotato del significato etimologico i termini come pace e democrazia.
Se proprio dovevano manifestare la loro potenza malefica, quei due ordigni atomici potevano essere fatti brillare in zone disabitate del Giappone,
il mondo intero comunque avrebbe saputo di tale nuova arma. Invece, si
sono colpiti i civili prima a Hiroshima replicando poi, pur avendo visto
gli effetti di tale mostruosità, a Nagasaki. Circa 300mila civili furono uccisi, molti sono sopravvissuti tra immense sofferenze fisiche e psicologiche. Il presidente Obama,
addirittura premio Nobel per la pace (anche se nei suoi otto anni di
mandato gli Usa sono sempre stati in guerra), è stato il primo
presidente a visitare Hiroshima. Egli, ai superstiti presenti, non ebbe l’umanità non dico di chiedere perdono, ma nemmeno scusa.
Non l’ha fatto lui e non lo faranno altri presidenti, perché gli Stati
Uniti, come tutti gli imperi, si basano sulla guerra rendendo di
conseguenza le cerimonie di questi giorni inutili parate che non rendono
il nostro futuro più sicuro da probabili nuove esplosioni.