È morto Rutilio Sermonti: una vita nella trincea
dello spirito
Rutilio Sermonti è stato tumulato nel cimitero di Palidoro (Roma)
Camerata Rutilio Sermonti:
Presente! Presente! Presente!
Testamento spirituale di Rutilio Sermonti
Ascoltatemi, carissimi amici e compagni di fede.
Questo non è un addio.
L'addio, sarete voi a darmelo, quando io non potrò
più farlo, dato che, fino all'ultimo respiro,
intendo adempiere al giuramento che prestai il 28
ottobre 1939 allo Stadio dei Marmi, al Duce
presente. È un testamento e una consegna, e, come
tale, va redatto presso alla conclusione della vita,
ma ancora nel pieno possesso delle proprie facoltà
mentali, come il destino ha voluto conservarmi
tuttora.
Mi rivolgo a voi, che mi siete più vicini nei
ranghi, ma vi faccio carico di serbare in cuore le
mie parole e di divulgarle al massimo e con ogni
possibile mezzo a tutti coloro che giudicate pronti
a riceverle, il giorno in cui mi porrò in congedo
illimitato.
Per tutta la vita, ho cercato di servire il nostro
comune ideale. Come tutti, ho certo commesso errori
ed ingenuità, ma posso orgogliosamente affermare,
sfidando chiunque a contraddirmi, di non aver mai
accettato il più insignificante compromesso con la
laida baldracca cui si usa dare il nome di Libertà,
nè con i suoi logorroici manutengoli.
Ora che il fardello del legionario comincia a
premere sulle mie dolenti spalle, e che il mio passo
malfermo necessita dell'appoggio affettuoso dei
giovani fedeli, credo quindi di potere, senza
mancarvi di rispetto, rivolgermi a voi in tono quasi
paterno.
La prima verità da intendere è questa: che il
compito che ci siamo assunti non è da uomini, ma da
eroi.
Non è affermazione retorica, questa, ma
rigorosamente realistica.
E, se così numerosi tentativi di riunione delle
nostre forze sono falliti, è stato perchè si è
voluto affrontarli da uomini e non da eroi. E gli
uomini, anche di buon livello, hanno una pletora di
debolezze, di vanità, di fisime, di opportunismi,
che solo gli eroi sanno gettarsi dietro le spalle.
Come tante altre parole, anche "eroe" ha bisogno di
una definizione.
Non intendo, con essa, riferirmi a un comportamento
eccezionale dettato da un attimo di esaltazione, di
suggestione e di sacro furore, che può portare fino
a «gettare la vita oltre l'ostacolo».
Intendo definire quel fatto esistenziale e
permanente, detto «concezione eroica della vita»,
che accompagna il soggetto in tutte le sue azioni e
pensieri, anche apparentemente più tranquilli.
Eroe, è quindi chi riesce a spezzare i vincoli
condizionanti che lo legano, ora ad ora, alla grigia
materialità del quotidiano, per seguire ad ogni
costo la suprema armonia del cosmo, il sentiero
della super-vita e della partecipazione al Grande
Spirito.
L'eroe è quindi portato a fare il proprio dovere,
senza bisogno di alcuna costrizione, ed ha nella
propria coscienza un giudice ben più acuto e
inesorabile che un pubblico impiegato seduto dietro
a un bancone.
Libero, non è chi non ha padrone, ma chi è padrone
di se stesso, e quindi l'eroe è il solo tipo umano
veramente libero. Non è che l'eroe non si allacci
anche lui le scarpe, non paghi il telefono, non
incassi lo stipendio o non partecipi magari a una
compravendita. Solo che, per lui, quelle sono
incombenze necessarie ma accessorie, secondarie: non
sono «la realtà della vita», come per l'uomo
qualunque. Servono a campare, ma vivere per campare
gli toglierebbe il respiro.
Per questo, il nostro primo imperativo dev'essere:
«tutti eroi!».
Il mio testamento spirituale potrebbe finire qui,
perchè tutto quel che ho fatto, detto e
abbondantemente scritto in tanti anni, non è che la
conseguenza di quell'impostazione.
Voglio però aggiungervi un paio di consigli, che
ritengo possano essere utili per la vostra
continuazione della lotta.
Il primo è di adottare un ordinamento (e una
formazione) fondato sui doveri e non sui diritti.
Sul piano meramente logico, sembrerebbe la stessa
cosa. Se Tizio ha un diritto, ci dev'essere un Caio
che ha il corrispondente dovere verso di lui. Se
quindi io dico: «Tizio ha diritto di avere X da
Caio», è sinonimo del dire «Caio ha il dovere di
dare X a Tizio». Che differenza c'è? C'è, la
differenza. E sta nel fatto che, mentre il proprio
dovere si può FARE, il proprio diritto si può
soltanto RECLAMARE. Ne consegue che, se tutti fanno
il loro dovere, e tale è la maggior cura dello
Stato, automaticamente anche tutti i diritti vengono
soddisfatti, mentre, se si proclamano diritti a
piene mani, e tutti li reclamano, si fanno solo
cortei con cartelli e una gran confusione e
intralcio al traffico (protetto da stuoli di vigili
urbani), ma il popolo resta a bocca asciutta,
eccettuati i sindacalisti.
La seconda esortazione ha carattere operativo.
Un uomo solo, un Capo, può impugnare la barra delle
massime decisioni, ma deve possedere qualità
eccezionali, che ben raramente si riscontrano. In
sua mancanza, un gruppo di tre, quattro, cinque
persone accuratamente selezionate, possono svolgere
la funzione decisionale con sufficiente prontezza e
saggezza. Un organo più numeroso, può funzionare
solo a patto che vi sia una rigorosa divisione di
funzioni e relative competenze, tra cui quella di
sintesi, svolta da pochissimi. Ma soprattutto, deve
dominare in esso l'assoluta unità di intenti, al di
fuori di qualsiasi carattere agonistico (tipo
maggioranza e opposizione). In mancanza di tali
requisiti, l'organo numeroso è del tutto inutile,
anzi gravemente dannoso, perchè vengono a dominare
poteri "di fatto" fuori di ogni controllo.
Vi dico questo, sia in vista degli organi dello
Stato organico che intendiamo istaurare, sia per
quanto riguarda agli organi interni di "nostre"
formazioni. Per queste ultime, anzi, il pericolo
delle vaste "collegialità" (vedasi il pessimo
esempio del MSI-DN) è ancor più grave, perchè
fattore della degenerazione demagogica e
incapacitante delle compagini stesse.
Lasciate quindi al belante gregge democratico la
ridicola allucinazione di comandare tutti, e
coltivate la nobile, virile e feconda virtù
dell'obbedienza. Nessuno nega che il temperamento
ambizioso sia uno stimolo per l'azione, ma ognuno
stia in guardia: al minimo accenno che esso tenda a
prevaricare in lui sulla dedizione alla Causa,
sappia mortificarlo con orrore.
La vittoria nella «grande guerra santa» è quella.
Se potrò costatare l'accoglienza da parte vostra di
queste mie esortazioni, saprò di non aver vissuto
inutilmente.
Ed ora, non avendo più la forza di stare al remo,
torno a darmi da fare al timone.
Enos, Lases, iuvate!
- da FNCRSI -
Rutilio