DEMOCRAZIA DIRETTA E STATO SOCIALE
DEMOCRAZIA DIRETTA E STATO SOCIALE
un binomio indissolubile
Fin dalla
sua comparsa sulla terra l’uomo si è caratterizzato come essere sociale,
propenso ad unirsi per condividere e sviluppare con altri i comuni
interessi e per meglio tutelare e difendere le proprie conquiste
lavorative e sociali.
Escludendo
le società collettivistiche dove tutto è messo in comune e
l’individualità annullata, possiamo affermare che le associazioni o
microcomunità – da quella base rappresentata dalla famiglia unita da
vincoli di amore e di sangue a quelle in ambito lavorativo come i
sindacati e le associazioni di categoria – rappresentano le cellule del tessuto connettivo di una moderna, pluralista e ordinata società.
Questa
premessa è necessaria per comprendere lo spirito e le finalità della
Democrazia Diretta che si colloca all’interno di un ampio e articolato
processo teso al superamento del modello liberal-capitalista e al
ridimensionamento del ruolo dei partiti ricondotti nell’alveo
istituzionale.
Dimentichiamoci,
per il momento, dell’attuale sistema e pensiamo ad un qualunque
lavoratore, operaio, impiegato o professionista, inserito in un sistema a
Democrazia Diretta. Questi è chiamato ad eleggere, su base
territoriale, secondo il principio delle primarie e senza il filtro dei
partiti, il rappresentante della categoria di appartenenza.
Il nostro
lavoratore sarà motivato ad andare a votare e lo farà con la massima
attenzione e competenza affinché gli interessi della sua categoria, e di
conseguenza i suoi, siano perseguiti.
Lo stesso
vale per le altre espressioni significative della società: medici e
insegnanti, sindacati e industriali, uomini di scienza e di cultura,
casalinghe, sportivi, pensionati, immigrati… ogni realtà importante del
nostro Paese avrà il suo rappresentante in Parlamento che, di fatto,
sarà lo specchio fedele della società civile.
I
parlamentari risponderanno direttamente agli elettori da cui hanno
ricevuto il mandato e non avranno bisogno, come avviene ora, di crearsi
le clientele per assicurarsi la rielezione. Sarà sufficiente lavorare
bene, nell’interesse della categoria di appartenenza e di quello supremo
della Nazione. Non ci saranno più le tangenti ai partiti e le mazzette
ai politici.
Il
Parlamento sarà composto da esponenti qualificati e da persone
competenti. Non avremo più il tuttologo, il politico che un giorno fa il
Ministro della Sanità e il giorno dopo il Ministro dei trasporti, bensì
un medico a capo della Sanità, un ingegnere al dicastero dei Trasporti e
un magistrato al Ministero della Giustizia. Tecnici prestati non alla
politica, bensì alla Nazione.
Al vertice
dello Stato vedremo, anch’esso eletto direttamente dal Popolo, un
Presidente della Repubblica con funzioni di Primo Ministro svolgere il
delicato compito di governo della Nazione e di garante della pace
sociale, in grado di intervenire con autorevolezza e senso dello Stato
quando interessi di categoria o di parte, anche se legittimi, siano in
contrasto con quello generale. I principi guida saranno l’interesse
nazionale e l’autosufficienza, soprattutto in campo alimentare ed
energetico (basta mortificare la nostra agricoltura per importare gli
agrumi dalla Spagna, multare i nostri allevatori per importare il latte
dalla Francia, abbandonare le centrali idroelettriche per importare la
corrente dalla Svizzera…).
A livello
locale ci saranno le liste civiche, aperte a tutti e che si
confronteranno sulla base di programmi concreti sfrondati da demagogie e
interessi di partito.
Con
l’avvento della Democrazia Diretta i partiti continueranno ad esistere,
ma saranno ricondotti nel ruolo essenziale d’indirizzo e di garanti
delle libertà, senza ingerenze nella società civile e sconfinamenti
nella gestione della cosa pubblica. Usufruiranno di finanziamenti
statali, ma saranno tenuti alla compilazione della denuncia dei redditi
sottoposta al vaglio della Guardia di Finanza. Sarà inoltre introdotta
l’incompatibilità tra una qualunque carica di governo o istituzionale e
cariche di partito: chi decide di servire la Patria lo deve fare senza
alcun condizionamento o interesse di parte.
Il
Parlamento sarà, come ora, costituito da due rami, ma con composizione e
compiti diversi: la Camera dei Deputati, espressione della società
civile, si occuperà delle questioni sociali e il Senato della
Repubblica, espressione della politica, avrà compiti di indirizzo e di
politica estera. Le leggi dovranno passare al vaglio di entrambe le
Camere per essere approvate dal Capo dello Stato, previa verifica da
parte della Corte Costituzionale.
Di
provenienza politica saranno il Presidente della Repubblica e i
presidenti delle Provincie (le Regioni saranno soppresse) nel cui
Consiglio Direttivo siederanno, con pari potere e funzioni, i politici,
le rappresentanze sindacali interne e i delegati delle associazioni più
rappresentative degli utenti. Insieme, in un clima di concordia,
concorreranno al miglioramento dei servizi e al contenimento della
spesa.
La
concertazione tra le parti sociali, che oggi avviene all’esterno delle
Istituzione con la saltuaria e pavida intermediazione del Governo,
domani avverrà direttamente in Parlamento dove il confronto coinvolgerà
non solo le parti in causa, ma anche le altre realtà a cui oggi è negata
voce. Non avranno più senso gli scioperi (il diritto sarà comunque
garantito) e cesseranno i ricatti tipo Fiat: finanziamenti statali in
cambio della promessa del mantenimento dei posti di lavoro.
La nuova
Costituzione si armonizzerà in un rinnovato Stato Sociale con il
ripristino di tutte le conquiste sociali oggi sacrificate sull’altare
del libero mercato e della globalizzazione economica e si completerà con
la Socializzazione delle Imprese (partecipazione degli operai alla
gestione e agli utili delle grandi aziende) e con il diritto alla
proprietà della prima casa attraverso l’Istituto del Mutuo Sociale
finanziato e gestito direttamente dalle Provincie senza alcuna finalità
di lucro.
La
sovranità monetaria sarà ristabilita con il ritorno allo Stato della
Banca d’Italia, ora in mani private, e conseguente superamento del “signoraggio bancario” causa primaria dell’enorme e inestinguibile debito pubblico.
Il
ridimensionamento del potere bancario, il superamento della dipendenza
economica dai mercati internazionali e dei vincoli europei saranno i
primi obiettivi del nuovo governo nazionale, come pure la chiusura di
tutte le basi NATO e americane presenti sul nostro territorio, fermo
restando gli accordi di alleanza che dovranno essere ridefiniti a
partire dalla nostra partecipazioni alle guerre “umanitarie”.
I settori
strategici (energia, sicurezza, sanità, istruzione e trasporti) e i
servizi pubblici locali saranno sottratti alle logiche del mercato e del
profitto per essere gestiti direttamente dallo Stato, con uomini dello
Stato, scelti dallo Stato (e non dai partiti), competenti, motivati e
retribuiti in funzione del ruolo svolto.
Da questa
riorganizzazione anche il nostro disastrato ambiente ne trarrà
giovamento (ad esempio sarà introdotto l’obbligo per le nuove
costruzioni dei pannelli fotovoltaici il cui costo, calmierato dallo
Stato, sarà totalmente deducibile).
L’evasione
fiscale, altra piaga sociale, sarà combattuta riducendo le aliquote e
permettendo anche ai privati di detrarre le spese non voluttuarie.
Sono certo
che queste proposte faranno saltare sulla sedia (o meglio… sulla
poltrona) i politici di mestiere e i tanti che in questo sistema ci
sguazzano. Lotteranno con i denti e con le unghie per mantenere i loro
privilegi e le accuse di attentato alla democrazia e di ritorno al
Fascismo si sprecheranno, come pure i tentativi di bollare le nostre
idee come demagogiche e irrealizzabili.
In effetti,
come avrete compreso, non si tratta di semplici riforme, bensì di una
rivoluzione, prima culturale e di pensiero e poi politica.
La spinta
deve venire dal basso, da un serrato e approfondito dibattito e i
promotori non possono che essere i circoli culturali, le associazioni di
qualunque tipo e persone estranee ai partiti.
Le
rivoluzioni nascono dal malcontento popolare, ma rimangono sterili o
sfociano nel terrorismo se alla loro testa non si pone una élite
costituita da uomini puri che sappiano trovare, forte del consenso
popolare, le giuste strategie.
Questa è la
strada da perseguire. Senza ricorrere alla violenza o farsi tentare
dalle scorciatoie militaristiche. Non le vogliamo e non ne abbiamo
bisogno perché… la nostra forza è nelle idee.
Gianfredo Ruggiero
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