EreticaMente
Il “Gruppo dei 7” – o semplicemente G7 – è il vertice dei capi di governo e dei ministri dell’economia di quelli che una volta
erano i sette paesi più ricchi del mondo: USA, Canada, Giappone, più il
quartetto europeo Germania-Inghilterra-Francia-Italia. Costituito nel
1976, ha sempre svolto con zelo il ruolo per cui era stato concepito:
assicurare che la politica economica delle nazioni dell’Occidente
industrializzato non configgesse con gli interessi degli Stati Uniti
d’America. Così è sempre stato; ma – almeno nei primi vent’anni di vita
del Gruppo – rispettando le forme, facendo finta che i leader dei sette
paesi avessero pari dignità, che si facessero bene o male gli interessi
di tutti i partecipanti.
Le cose cominciarono a cambiare negli
anni ’90, dopo la fine dell’Unione Sovietica e la nascita di un’Unione
Europea che sembrava essere stata concepita apposta per favorire gli
interessi statunitensi. Addirittura, quando ancora ci si illudeva di
poter arruolare fra i vassalli anche la Russia di Putin, venne inventato
il G8 (G7+Russia), oggi di fatto scomparso.
La finzione “collegiale” del G7 è
continuata bene o male fino ai primi anni del XXI secolo, anche durante
la fase avventuristico-schizofrenica delle guerre di George Bush junior:
Afghanistan, Iraq e – negli ultimi mesi del suo mandato – il tentativo
di “usare” la Georgia per far scoppiare una guerra ai confini della
Russia. Perfino negli anni di Bush, dunque, si rispettavano le forme, e
ci si sedeva attorno a un tavolo per dare l’impressione di discutere e
di elaborare tutti insieme una linea d’azione.
Le cose, però, sono radicalmente
cambiate negli ultimi anni, a partire dall’insediamento del 44°
Presisdente degli Stati Uniti d’America, Barack Hussein Obama. Salutato –
solo perché nero – dagli osanna di quelli che una volta erano i
“progressisti” del mondo intero, insignito addirittura di un Premio
Nobel preventivo “per la pace” (incredibile ma vero!), Obama si è
rapidamente rivelato come il più duro, il più arrogante, il più
“imperiale” tra i Presidenti della storia americana. E questa sua
durezza ha applicato non tanto alla politica interna (dove anzi ha fatto
cose apprezzabili, a cominciare dalla riforma del sistema sanitario),
quanto piuttosto alla politica estera; ha attuato una politica di
aggressione mascherata (attraverso rivolte “spontanee” ed eserciti
mercenari) contro gli Stati considerati nemici degli USA e/o dei suoi
alleati israeliani e sauditi: contro la Libia di Gheddafi, contro la
Siria di Assad, contro la Russia di Putin. E ciò, senza curarsi delle
conseguenze negative per gli alleati europei di tali sconsiderate
aggressioni. E ogni riferimento ai danni recati all’economia europea
dalle sanzioni economiche anti-russe non è puramente casuale. Così come
non è casuale il riferimento all’assalto migratorio alle nostre coste,
gestito dalle fazioni libiche fondamentaliste.
Papa Obama non sembra preoccuparsi più
di tanto, ed anzi coglie l’occasione di ogni nuovo vertice del G7 per
rivolgersi ai vassalli con la spocchia del signorotto medievale, dando
per scontato che i sudditi – pardon, gli alleati – debbano
sbracciarsi per agevolare in ogni modo i disegni della politica
americana, gettandosi alle spalle i loro problemi. E a noi italiani la
politica imperiale del G7 (sia detto con la massima considerazione per
gli Imperi rispettabili del passato) ha causato e causa più danni che
agli altri. Incominciando dall’aggressione NATO contro la Libia di
Gheddafi (che ci ha privato di un mercato petrolifero cui accedevamo a
condizioni privilegiate) e finendo alle sanzioni economiche anti-Putin
(che hanno disastrato interi settori del nostro export).
I più recenti “vertici” del G7 (quelli
svoltisi dopo l’esplosione della crisi ukraina) sono stati autentiche
“chiamate a rapporto” dei subalterni, cui è stata di fatto imposta
l’agenda dei temi cui attribuire importanza (la guerra, per ora soltanto
economica, contro la Russia) e dei temi da ignorare (l’ISIS, la Libia,
l’invasione migratoria). Dopo i due vertici del 2014 – in Olanda e in
Belgio – è ora la volta di Garmisch-Partenkirchen, in Germania, con
l’ineffabile Angel Merkel a fare da padrona di casa. Si capisce che
madama si sente importante, e Obama – che non è fesso – le dà spago. Le
fa capire che sarebbe anche favorevole a una leadership congiunta
americano-tedesca, e Angelona va in brodo di giuggiole. Non capisce –
lei, la cancelliera – che l’unico modo per far potente la Germania dopo
la seconda guerra mondiale sarebbe un accordo con Mosca, per limitare lo
strapotere di Washington. E non capendo ciò, agisce entro un orizzonte
per forza di cose limitato. Può, tutt’al più, fare la voce grossa con la
piccola Grecia, ma più in là non può certamente spingersi.
Intanto, papa Obama ha formalizzato il
suo diktat, e gli altri si sono messi subito sull’attenti: bruciare le
tappe per giungere il più in fretta possibile alla firma del TTIP
(Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti),
ovverossia il funesto trattato di libero scambio USA-UE che farà
definitivamente dell’Europa un mercato aggiuntivo per la produzione
agricola e industriale degli Stati Uniti. L’America – si sa – tiene al
TTIP più che a ogni altra cosa al mondo, perché lo considera uno
strumento indispensabile per espandere la propria economia. Non si
capisce, però, quale sarebbe l’interesse dell’Europa a favorire
l’espansione dell’economia americana a proprio danno. Eppure, nessuno
tra i leader dei 4 paesi europei del G7 ha osato pipitiare. Solo la
Merkel – va riconosciuto – ha pur sommessamente accennato che «ci sono punti difficili da concordare sia per noi che per gli Stati Uniti».
E nessuno, naturalmente, ha avuto il
cattivo gusto di chiedere al Padrone del Mondo perché l’ISIS venga
lasciata avanzare indisturbata in Siria, Iraq e, ora, anche in Libia.
Tutti allineati e coperti, come bravi soldatini, pronti a immolarsi per
difendere la Grande Alleata e gli affaracci suoi.
Intanto, durante una pausa dei lavori del G7, il Vispo Tereso ha dichiarato ai giornalisti che «la posizione italiana è totalmente in linea con quella degli Stati Uniti su come sostenere la crescita». Ammirati, gli astanti hanno sottolineato la «piena sintonia» tra il papa yankie e il chierichetto toscano. Qualcuno – non temendo il ridicolo – ha parlato di «asse Renzi-Obama al G7 tedesco». Povera Italia!
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