di
Padre
Joseph Lemann
1
ultima
modifica: 14 aprile 2015
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PREFAZIONE
La famiglia dello scudo rosso: i
Rothschild
2
Ho letto con molto interesse libri,
fascicoli e siti internet su cosiddette teorie cospirative
secondo le quali dietro alle vicende politiche ed economiche ci
sarebbero potenti Logge massoniche. Fin qui nulla di strano. Non si
può negare infatti che la maggior parte di queste Società Segrete
fin dalle loro origini erano composte da influenti personaggi della
vita pubblica, politica e militare. La cosa però che ha destato la
mia curiosità è l’onnipresenza di un nome ben preciso. Un comun
denominatore rappresentato dai Rothschild. Questa famiglia, perché
di famiglia si tratta, appartiene secondo molti all’organizzazione
elitaria chiamata gli Illuminati di Baviera 3,
e governerebbe l’intero sistema bancario mondiale con tutto quello
che ne consegue. Se è vero che questo gruppo di burattinai muove le
fila della finanza, dell’economia e della politica mondiale, perché
allora il nome non figura mai da nessuna parte? Avete mai letto su
giornali o sentito alla televisione dei Rothschild e delle loro
vicissitudini? Sarebbero dietro le quinte di tutti i più importanti
affari e nessuno ne parla, non è un po’ strano? Per la verità,
vedremo alla fine
che qualcosa è trapelato dai media. Chi ha
ragione? Gli autori di svariati libri che puntano il dito contro un
sistema occulto, in cui la famiglia Rothschild riveste un ruolo di
primaria importanza, in grado di controllare l’intero sistema, o
invece chi al contrario afferma che tali ipotesi sono semplicemente
frutto di menti malate in preda
ad allucinazioni e manie di persecuzioni? L'esperienza mi suggerisce
che la verità sta sempre nel mezzo! Quindi prima di avanzare
qualsiasi ipotesi in merito andiamo a vedere chi sono e soprattutto
cosa fanno oggi i Rothschild. Per ripercorrere le origini torniamo
indietro nel tempo di circa duecento anni spostandosi in Germania,
precisamente a Francoforte. L'anno è il 1743. L'Adamo non proprio
biblico della nostra storia è Amschel Moses Bauer, un
semplice orafo tedesco con la passione, che oggi possiamo chiamarla
predisposizione, per prestiti e finanziamenti. Semplice orafo per
modo di dire naturalmente, visto che è il capostipite che ha dato
origine a un impero economico da mille e una notte.
Un impero nato
sotto le ali protettive dell'aquila romana contornata da uno scudo
rosso. Tale infatti è il sigillo che Amschel aveva collocato
sull'entrata della propria azienda. Un logo che divenne presto la
rappresentazione figurata dell’attività di Bauer. «La ditta dello
Scudo Rosso» veniva infatti chiamata. Quello che non tutti sanno
invece è che lo Scudo Rosso in lingua tedesca è Rothschild. Per
essere più precisi: Scudo Rosso è Rothen Schild, e da qui
Rothschild. Questo particolare è molto importante perché quando il
figlio di Moses, Mayer Amschel ereditò da suo padre la società
cambiò nome in Rothschild, e tale è rimasto immutato fino ai giorni
nostri. Mayer Rothschild da Gertrude Schnapper ebbe cinque
figli: Amschel (1773-1855), Salomon (1774-1855), Nathan (1777-1836),
Karl (1788-1855) e Jacob (1792-1868).
Non appena i ragazzi furono
istruiti a dovere sull’attività economica e finanziaria partirono
alla volta di altrettante capitali europee per aprire filiali ed
espandere l'impero esclusivamente patriarcale. Le donne avevano un
ruolo secondario nella gestione. Il primogenito Amschel essendo il
più anziano rimase a Francoforte per controllare la società base,
Salomon invece andò a Vienna, Nathan a Londra, Karl a Napoli e Jakob
a Parigi. La famiglia cresce, e cresce anche la necessità di un
nuovo emblema che li rappresenti al meglio. Cinque frecce che
s'incrociano intersecandosi in un unico punto è il nuovo stemma.
Le
frecce rappresentano i cinque fratelli e il punto d'intersezione è
lo scopo che unisce tutta la famiglia. Avrete già capito qual è
questo scopo. Senza nulla togliere all'operato dei fratelli, è
d'obbligo «spezzare una freccia» - visto che siamo in tema - in
favore di Nathan, il quale si distinse immediatamente per fiuto e
capacità imprenditoriali. Ricordiamo che agli inizi dell’Ottocento
l’Europa stava cambiando velocemente e questo poteva creare
certamente molte occasioni per uomini intelligenti e soprattutto
ricchi. Nathan approfittò di questa situazione e aprì a Manchester
un'impresa tessile. Il rapido declino delle esportazioni tessili
britanniche durante il blocco continentale costrinsero però Nathan a
tornare a Londra per estendere le proprie attività in ambito
finanziario. Le attività del figliol prodigo s'impennarono in
potenza e prestigio grazie anche al matrimonio con Hannah Barent
Cohen (1783-1850), la figlia di uno dei più ricchi mercanti
ebrei londinesi. I conti li sapeva fare molto bene! Conti che
dirottavano sempre più verso operazioni finanziarie speculative su
titoli britannici ed esteri, cambi valute, metalli preziosi, ecc...
Qualche esempio? Il Duca di Wellington non avrebbe potuto pagare il
suo esercito nella battaglia di Waterloo senza la mano, anzi il
portafogli, dei Rothschild. Dopo questa vittoria, la banca di Nathan
vinse il contratto per i pagamenti dei tributi agli alleati europei.
Anche il governo francese dovette usufruire dei fondi privati per
rimpinguare le casse nazionali svuotate dall’estenuante guerra
franco-prussiana. Salomon Rothschild a Vienna finanziava intanto il
debito estero austriaco attraverso contratti di prestito al Principe
Metternich. I cinque fratelli, pur lavorando a distanza, portavano
avanti la stessa tecnica, quella della riserva frazionale bancaria.
Questo permise la loro autonomia e indipendenza in ogni Paese in cui
operavano. Con queste enormi risorse economiche riuscirono a
intervenire persino a favore della Banca d’Inghilterra, quando la
crisi di liquidità del 1826 piegò le gambe al governo britannico.
Grazie ad una immissione di un grosso quantitativo di oro fu
scongiurato il peggio.
Ma la storia non finisce qui, perché nel
settore pubblico si distinsero per i finanziamenti della rete
ferroviaria in Francia, Italia, Austria, per il Canale di Suez,
permisero l’acquisto dei terreni minerari in Spagna, Sud America,
Sud Africa e Africa Occidentale. L'oro era così importante e
fondamentale per i Rothschild che dal 1919 fino ai nostri giorni la
banca ha ospitato e presieduto per due volte al giorno il fixing
mondiale del prezzo dell'oro. Vi rendete conto: stabilivano anche il
prezzo mondiale dell'oro! Addirittura sembrerebbe, e il condizionale
è d'obbligo, che una banca della famiglia abbia finanziato John
David Rockefeller (1839-1937) per la sua monopolizzazione della raffinazione
del petrolio che portò alla fondazione della Standard Oil. Cosa dire
delle ricostruzioni postbelliche?
Nelle guerre si sa, non vi sono
mai vincitori. Di per sé una guerra è sempre una sconfitta sia per
chi la provoca ma soprattutto per chi la subisce. Dall’ottica di un
banchiere però, una guerra è sempre una ghiotta opportunità di
investimenti, di prestiti, di ricostruzioni. Infatti dopo la Prima
Guerra Mondiale, precisamente nel 1922, i Rothschild misero a
disposizione fondi per la ricostruzione in numerosi paesi come
Francia, Germania, Cecoslovacchia, Ungheria. A questo punto ho
dovuto scacciare con la forza dalla mia mente un dubbio tremendo.
è
possibile che banchieri senza scrupoli fomentino a proprio
piacimento le guerre, magari finanziando entrambe le fazioni e
innescando la miccia fornendo poi i soldi per la ricostruzione? In
via molto ipotetica sì. Scatenare una guerra non è così difficile:
si forniscono le armi a entrambe le parti e si trova una motivazione
sufficiente: religione, petrolio, terrorismo, ecc... No! La perfidia
umana non può arrivare a tanto! Giusto?
A questo punto negare o far
finta di non vedere che l’impero dei Rothschild fin dai primi anni
del XIX secolo ha influenzato la politica, l’economia e la finanza
del mondo intero è un’offesa alla comune intelligenza. E oggi? Come
sono messi, anzi, visto che interessa pure la nostra cara Italia
come siamo messi? Forse la famiglia si è ritirata a vita privata e
si sta godendo un meritato riposo? Sbagliato. Certamente la vita è
rimasta sempre molto privata. Non riesco infatti ancora a spiegarmi
come la stampa, sempre più ricca di pettegolezzi e gossip e meno di
informazioni utili, non s’interessi della vita di questi personaggi
affascinanti e al limite del misteriosofico. Riescono - i media
- a scovare una star televisiva che si sta abbronzando nuda dentro
la caldera di un vulcano in pieno inverno e nessuno fà un servizio
sugli appartenenti alla famiglia più potente del pianeta.
Non è un
po' strano? Lungi da me l'idea che gli editor non possano
fare servizi su certi banchieri internazionali, rimane allora la
spiegazione che forse a nessuno interesserebbe. Strano perché
personalmente preferirei leggere qualcosa su i «veri controllori»
piuttosto che leggere e/o vedere qualche personaggetto estivo che
pur di apparire nei giornali venderebbe la propria anima al diavolo,
in questo caso fotografi e giornalisti. Tornando al discorso di
prima, oggi la famiglia Rothschild non ha perso prestigio e potere,
semmai con il passare degli anni lo ha consolidato ulteriormente.
Incredibile ma vero. Passano gli anni e i loro sistemi si adeguano.
Oggi hanno sviluppato una divisione per il finanziamento d’impresa
al servizio di fusioni e acquisizioni. Operazioni queste all’ordine
del giorno. Basta aprire un qualsiasi giornale finanziario per
leggere che la multinazionale ics si è unita, o è in procinto di
farlo, con la transnazionale ipsilon. Fusioni il cui unico risultato
è la creazione di megacorporazioni amministrate da pochissimi e
composte da migliaia tra affiliate e holding. In fisica per
innescare una fusione nucleare tra atomi serve molta energia qui le
fusioni necessitano solo di soldi. Moltissimi soldi. Chi possiede
tutti questi soldi se non i banchieri? Vediamo adesso nel dettaglio
dove i tentacoli economici dei Rothschild sono arrivati nel 3°
Millennio.
Per problemi di spazio cito solamente le società più
conosciute e/o riguardanti il nostro Paese, ma chiunque volesse
approfondire consiglio di entrare nel sito ufficiale della famiglia
e stamparsi l'elenco completo. Fate scorta di carta! Tra le
straniere spiccano: De Beers (quella dei diamanti), la
Enron (fallita da poco), British Telecom, France
Telecom, Deutch Telekom, Alcatel, Eircom,
Mannesmann, AT&T, BBC, Petro China,
Petro Bras, Canal+, Vivendi, Aventis,
Unilever, Royal Canin, Pfaff, Deutch Post,
e moltissime altre. Torniamo adesso un momento in Italia poiché ce
n'è per tutti i gusti: Tiscali, Seat Pagine Gialle,
Eni, Rai, Banca di Roma, Banco di Napoli,
BNL Banca Nazionale del Lavoro, Banca Intesa,
Bipop-Carire, Banca Popolare di Lodi, Monte dei Paschi
di Siena, Rolo Banca 1473, Finmeccanica. Vi può
bastare? Penso proprio di sì!
Mi avvio a concludere nella speranza
che questa piccola e incompleta illustrazione possa almeno aver
fatto nascere qualche dubbio e/o curiosità in più su questa
incredibile e decisamente atipica famigliola. Non posso confermare
ma neppure smentire le pesanti e inquietanti affermazioni che
svariati autori pubblicano sui Rothschild. Tengo a sottolineare che
la cosa più incredibile è come i media in generale evitano di
trattare tali argomentazioni. Passi il discorso sulla cospirazione
globalizzata alla
George Orwell (1903-1950), ma qui i fatti
parlano chiaro. Le trame e gli intrecci economici pure. Sono sotto
gli occhi di tutti. Almeno di chi vuol vedere. Non posso
accontentarmi di leggere su La Stampa, del 7 giugno 1996, che
Lady Rothschild era l'ipotetica spia del KGB a Londra, o su
Il Giorno, del 29 agosto 2000 la cronaca della morte per
overdose all'età di ventitre anni di Raphael, figlio di Nathaniel
Rothschild. Queste rientrano nel deleterio e purtroppo tanto seguito
gossip. Le cose serie e importanti sono altre.
I
La casa dell'«insegna rossa» nella
vecchia via degli ebrei a Francoforte:
Culla ed inizi di una dinastia finanziaria
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) ha così descritto l'aspetto dello
Judengasse, il quartiere ebraico di Francoforte: «Una via stretta,
angosciante e sporca, con case imbrattate di fumo e una popolazione
brulicante». In quella via c'era una casa ornata con un'insegna
rossa, (in tedesco roth schild). È a questa insegna, a questo scudo
rosso che si ricollega il nome della famiglia che divenne la più
opulenta dell'Universo. Una dinastia di un nuovo genere doveva
uscire da questo luogo desolato. Un certo Mosé Anselmo (Moses Amschel), rigattiere di curiosità e di vecchie medaglie, si
guadagnava da vivere vendendo la sua merce di villaggio in
villaggio, con la sua modesta sacca sulla schiena.
Di lui si
racconta un episodio che ben descrive la sua caratteristica
prudenza. Un giorno, strada facendo, incontrò uno dei suoi
correligionari, anch'egli venditore ambulante, ma più fortunato di
lui poiché possedeva un asino. Su offerta cortese del suo collega,
Moses Amschel si alleggerì del suo fardello, che depositò sul
somaro. Arrivati sul bordo di un profondo burrone su cui era stato
gettato un traballante ponte di tavole, Moses Amschel fermò l'asino
e riprese la sua sacca rispondendo al suo compagno che lo
scherniva: «Talvolta accadono degli incidenti in passaggi come
questo, e poiché questa bisaccia contiene tutto ciò che possiedo,
non mi potete impedire di essere prudente». E fece bene perché
l'asino e il suo conducente si erano appena avviati sul ponte che
crollò sotto di essi trascinandoli nell'abisso 4.
Suo figlio
Mayer Amschel nacque nel 1743. Destinato dai suoi genitori a
diventare
rabbino, venne mandato a Fürth per seguire un corso di teologia
ebraica; ma non aveva alcuna vocazione. Il suo gusto lo portava a
collezionare e a trafficare antiche medaglie e vecchie monete; si
mise in contatto con i numismatici che apprezzarono la sua sagacia e
il suo giudizio, ed entrò come impiegato nella Banca degli Oppenheim,
ad Hannover. Vi restò per alcuni anni, godendo di molta stima da
parte dei capi di questa Banca. Sobrio, avveduto e attivo, egli mise
da parte un po' di denaro e si mise per per conto suo, acquistando e
vendendo medaglie e monete, unendo a questo commercio, in cui in
passato era un vero esperto, quello degli oggetti d'arte, dei
metalli preziosi e degli avanzi di depositi, fino al giorno in cui
potè dedicarsi esclusivamente alle operazioni di banca. Fu lui che
concluse l'acquisto della vecchia casa con l'insegna rossa nello Judengasse di Francoforte. Entrandovi, ne prese il nome, e divenne
il primo Rothschild.
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Da sinistra:
lo Judengasse, la casa dello «scudo rosso» e Mayer Amschel. |
La fortuna firmò questa denominazione. Vi si
stabilì con la moglie, Gutle Schnapper (1753-1849), la madre di tutti i
Rothschild, i cinque moderni Creso. Questa umile ebrea non stava
forse diventando come
Marie-Lætitia Ramolino (1750-1836), la madre
della stirpe dei Napoleone? Diciamo, en passant, che ella non
acconsentì mai a lasciare, per un più brillante soggiorno, la casa
dell'insegna rossa: vi abitò fino al 1849, anno in cui si spense
dolcemente nel suo novantaseiesimo anno di vita. Alla sua
reputazione di abilità, Mayer Amschel Rothschild univa quella di una
rara integrità. Era soprannominato «l'ebreo onesto». Egli si seppe
guadagnare la fiducia del Langravio 5 o Elettore di Hesse-Cassel,
Guglielmo IX (1743-1803). Questo sovrano aveva accumulato un tesoro,
un ammasso d'oro e di pietre preziose. Nel 1806, sopraggiunse il
grande crollo dei piccoli prìncipi tedeschi: i loro principati
furono invasi da tutte le parti dagli eserciti di Napoleone
Bonaparte (1769-1821).
A Guglielmo IX venne annunciata l'invasione
dei suoi piccoli Stati: precipitosamente, egli fece venire in
segreto, nel suo palazzo, Mayer Amschel. Da questo incontro e da ciò
che ne seguì iniziò la grandezza della casata dei Rothschild. I
dettagli precisi sono quasi sconosciuti. Le memorie di un testimone,
di un contemporaneo, del Generale barone
Jean-Baptiste-Antoine-Marcelin de Marbot (1782-1854), fanno un po'
di luce su questo evento; lasciamolo parlare: «Obbligato a lasciare
in fretta Cassel per rifugiarsi in Inghilterra, l'Elettore di Hesse,
che passava per il più ricco capitalista d'Europa, non potendo
portare con sé la totalità del suo tesoro, fece venire un ebreo di
Francoforte di nome Rothschild, un banchiere di terz'ordine e poco
ragguardevole, ma conosciuto per la scrupolosa regolarità con cui
praticava la sua religione, il che convinse l'Elettore a affidargli
i milioni in contanti. Gli interessi di questo denaro sarebbero
rimasti al banchiere che era unicamente tenuto a rendere il
capitale. Quando il palazzo di Cassel venne occupato dalle nostre
truppe, gli agenti del Tesoro francese vi trovarono oggetti di
valore considerevole, soprattutto quadri; ma non venne trovato
denaro liquido. Sembrava tuttavia impossibile che, nella sua fuga
precipitosa, l'Elettore avesse portato con sé la sua immensa
fortuna. Ora, poiché secondo le vigenti leggi di guerra, i capitali
e i redditi dei valori trovati in un Paese nemico appartengono di
diritto al vincitore, si volle sapere che ne era stato del tesoro di
Cassel. Siccome le notizie acquisite a questo riguardo avevano
accertato che prima della sua partenza l'Elettore aveva trascorso
una giornata intera con l'ebreo Rothschild, una Commissione
imperiale si recò da quest'ultimo, la cui cassa e cui registri
furono minuziosamente esaminati. Ma tutto fu vano: non si trovò
nessuna traccia del deposito fatto dall'Elettore. Le minacce e
l'intimidazione non ebbero alcun successo, cosicché la Commissione,
persuasa che nessun interesse mondano avrebbe indotto un uomo
religioso come Rothschild a spergiurare, gli impose un giuramento.
Egli si rifiutò di prestarlo; si pensò di arrestarlo, ma
l'imperatore si oppose a questo atto di violenza, giudicandolo
inefficace. Si fece allora ricorso ad un espediente poco onorevole.
Non potendo vincere la resistenza del banchiere, si tentò di
convincerlo con l'esca del guadagno: gli si propose di lasciargli la
metà del tesoro se avesse consegnato l'altra metà
all'amministrazione francese; quest'ultima gli avrebbe consegnato
una ricevuta pari al totale, corredata da un atto di pignoramento,
che provava che aveva ceduto unicamente di fronte alla forza,
documento che lo avrebbe messo al riparo da ogni reclamo da parte
del proprietario; ma la rettitudine dell'ebreo respinse anche questo
stratagemma, e alla fine venne lasciato in pace. I quindici milioni
restarono nelle mani di Rothschild dal 1806 fino alla caduta
dell’impero, nel 1814. A quell’epoca, essendo l'Elettore rientrato
nei suoi Stati, il banchiere di Francoforte gli rese esattamente il
deposito che gli aveva affidato. Vi figurate quale somma
considerevole aveva prodotto, in un lasso di tempo di otto anni, un
capitale di quindici milioni tra le mani di quel banchiere ebreo di
Francoforte?... Risale anche a quell’epoca la ricchezza della casa
dei fratelli Rothschild, che devono così alla lealtà del loro padre
l’elevata posizione finanziaria che ancora oggi occupano in tutti i
paesi civilizzati» 6.
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Da sinistra: Gutle Schnapper, Guglielmo IX
e il generale de Marbot. |
Non fu il vecchio Mayer Amschel ad
avere la
consolazione di rimettere tra le mani dell'Elettore il tesoro
affidatogli. Questo compito venne lasciato a suo figlio Nathan, nel
1814. Il fedele depositario era morto il 13 settembre 1812. Prima di
morire, egli aveva riunito attorno al suo letto i suoi cinque figli,
Amschel, Salomon, Nathan, James e Charles, e aveva detto loro:
«Restate sempre fedeli alla legge di Mosé; e non separatevene mai;
non fate niente senza i consigli di vostra madre; se osserverete
questi tre precetti che vi do diventerete ricchi tra più ricchi,
e il mondo vi apparterrà» 7. Le
predizioni del vecchio di Francoforte dovevano realizzarsi. Una
dinastia finanziaria era stata fondata 8.
II
Nathan Rothschild
e il duca di Wellington
Alla morte del padre, i cinque figli, pur restando uniti, si
sparsero per il mondo: Salomon andò a Vienna, Nathan prese dimora a
Londra, James si recò a Parigi, Charles andò a Napoli, mentre
Amschel, il maggiore, quello che portava il nome del padre, rimase
nella casa di Francoforte. I cinque Rothschild si erano così
insediati nei cinque grandi mercati finanziari d’Europa. Forti della
loro unione, dei loro capitali accumulati, del nome di loro padre,
erano pronti ad approfittare degli avvenimenti che stavano per
precipitare, dei cambiamenti che dovevano portare alla caduta
dell'impero, imminente e prevista. Sentinelle di un nuovo tipo, essi
rimasero in contatto tra loro grazie ai loro osservatori, scambiando
la parola di guardia degli antichi bastioni di Gerusalemme:
«Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, cos’hai visto
nella notte»? (Is 21, 11). Il Rothschild di Londra era Nathan. Fu
lui che era stato incaricato dal padre di riportare all'Elettore di
Hesse i quindici milioni affidati. Li avevano avuti, del resto, in
loro possesso fin dal 1806, per farli fruttare: «Mio padre mi aveva
spedito questi fondi, da cui trassi così buono partito che più tardi
il principe mi fece dono di tutto il suo vino e della sua
biancheria» 9. Questo Rothschild inglese era il più originale della
famiglia. Quando si era stabilito in Inghilterra e aveva tentato la
fortuna allo Stock-Exchange (la Borsa di Londra), le prime volte,
pochi si erano occupati di lui, «e le teste grigie dei veterani della
Borsa trattarono con qualche disdegno il figlio del banchiere di
Francoforte». Ma aveva conquistato velocemente il suo posto, quando
lo si era visto «in cinque anni moltiplicare 2.500 volte il suo
capitale, organizzando un servizio speciale di poste, investendo
somme considerevoli all’acquisto di piccioni viaggiatori,
moltiplicando i mezzi d’informazione sicuri e pronti». La caduta
dell'impero e la battaglia di Waterloo dovevano fornirgli
l'opportunità decisiva di inaugurare, sul primo mercato del mondo,
la sua supremazia finanziaria 10.
Nathan Rothschild aveva per amico
Arthur Wellesley, il duca di Wellington (1769-1852). Questa amicizia
datava dalla guerra contro la Spagna. Il governo britannico, molto
imbarazzato di dover far pervenire regolarmente al duca di
Wellington i fondi che gli erano necessari, si era rivolto alla casa
dei Rothschild. Si sdebitò di ciò con puntualità, inaugurando una
neutralità che consisteva nel fornire dell'oro a quelli che si
battevano in duello. Il poeta ha detto: «Per paura di indossare la corazza,
servi con fedeltà una damigella di ghiaccio che si chiama Neutralità»
11.
Nella casa dei Rothschild, la damigella era d'oro... Questa missione
di intermediario valse all'opulenta casa, in otto anni, 1.200.000
sterline (trenta milioni di franchi), e creò dei rapporti stretti
tra il duca di Wellington e Nathan Rothschild. L'Europa respirava da
quando Napoleone era stato relegato nell’isola d'Elba: era il
trionfo dell'Inghilterra. Esplose improvvisamente, come un tuono a
ciel sereno, la notizia dello sbarco dell'imperatore al golfo Juan,
della sua marcia veloce su Parigi e della fuga dei Borboni. L'Europa
fu sconcertata e il mercato di Londra sconvolto. Poco dopo, il duca
di Wellington prese, in Belgio, il comando delle forze inglesi; e
Nathan Rothschild, il suo amico, che comprese che la sorte
dell'Europa dipendeva dalla prima battaglia, e fidandosi poco della
sagacia dei suoi corrispondenti, lasciò Londra e arrivò a Bruxelles.
Poi, seguì lo Stato Maggiore del duca di Wellington a Waterloo.
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Salomon |
Nathan |
James |
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Charles |
Amschel |
Il duca di
Wellington |
III
Mont-Saint-Jean: L'agonia dell'aquila
sotto gli occhi dell'avvoltoio
«Dopo avere volato di campanile in campanile, fino alle guglie di
Notre-Dame», l'aquila era venuta a posarsi su di un albero del campo
di Waterloo. Dalla parte opposta, su di una rovina, la guardava un
avvoltoio. L'albero malinconico dell'aquila non è solo una leggenda.
Un contemporaneo di quella solenne giornata sembro essersi
appoggiato a quella pianta; il celebre scrittore François-René de
Chateaubriand (1768-1848) ha potuto scrivere: «Mi trovai di fronte
ad un pioppo piantato all'angolo di un campo di luppolo; attraversai
la strada e mi appoggiai in piedi contro il tronco dell'albero, con
il volto girato in direzione di Bruxelles. Il vento del Sud che si
era alzato mi portò più distintamente il rumore dell'artiglieria.
Questa grande battaglia ancora senza nome, di cui ascoltai l'eco ai
piedi di un pioppo e di cui un orologio di un villaggio aveva appena
finito di suonare il funerale sconosciuto, era la battaglia di
Waterloo! Ascoltatore silenzioso e solitario del formidabile arresto
dei destini, sarei stato meno commosso se fossi stato nella mischia:
il pericolo, il fuoco, la calca della morte non mi avrebbero
lasciato il tempo di meditare; ma, solo sotto ad un albero, nella
campagna di Gand, come il pastore delle greggi che pascolavano
intorno a me, il peso delle riflessioni mi prostrò. Di quale
combattimento si trattava? Era definitivo? Napoleone era là in
persona? Sul mondo, come sulla veste di Cristo, era stata gettata la
sorte? Successo o rovescio di uno o dell'altro esercito; quali
sarebbero state le conseguenze di quell'avvenimento per i popoli:
libertà o schiavitù? Ma quale sangue colava? Ogni rumore che
giungeva al mio orecchio non era forse l'ultimo sospiro di un
francese? Era una nuova Crécy, una nuova Poitiers, una nuova
Azincourt di cui avrebbero goduto i nemici più implacabili della
Francia? Se trionfavano, la nostra gloria sarebbe andata perduta? Se
Napoleone avesse prevalso, che ne sarebbe stato della libertà»?
12.
Napoleone era certamente là in persona. Aveva nuovamente confidato
nella sua fortuna sui campi di battaglia, per acquisirvi il diritto
di ogni potere a suo piacimento. Come ai tempi barbari, i sovrani,
riuniti a Vienna, avevano messo una taglia di due milioni sulla sua
testa. Tre eserciti, il cui l'effettivo doveva superare gli 800.000
uomini, si erano messi in marcia per schiacciarlo sotto il loro
peso: gli inglesi, agli ordini di Wellington; gli austriaci,
comandati dal principe Karl Phillip von Schwarzenberg (1771-1817); i
prussiani, guidati da Gebhard Leberecht von Blücher (1742-1819). Ma
Napoleone era ancora il genio delle battaglie; aveva appena inflitto
perdite enormi a Blücher davanti a Fleurus, nel villaggio di Ligny;
e quarantott'ore dopo, l'aquila nell'ultimo volo impetuoso attaccò
Wellington a Mont-Sanit-Jean, presso Waterloo. Ma l'aquila era anche
la sua vecchia guardia. Al contro dei sovrani che l'avevano escluso
in modo così strano dalle leggi dell'umanità mettendo una taglia
sulla sua testa, i suoi soldati non desideravano altro che a versare
un'ultima volta il loro sangue per difenderlo.
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Da sinistra: de
Chateaubriand, von Schwarzenberg e von Blücher. |
Al suo ritorno
dall'isola d'Elba, aveva detto loro, rendendoli aquile a loro
volta, e presentando il piccolo battaglione che l'aveva accompagnato
nella sua isola: «Soldati! Ecco gli ufficiali del battaglione che mi
ha accompagnato nella mia disgrazia: sono tutti miei amici; sono
cari al mio
cuore. Tutte le volte che li vedevo, mi ricordavano i
diversi reggimenti dell’esercito. Tra questi seicento coraggiosi, ci
sono uomini di tutti i reggimenti; tutti mi ricordavano quelle
grandi giornate il cui ricordo mi è così caro: perché tutti sono
coperti di onorevoli cicatrici ricevute in quelle memorabili
battaglie. Nella calamità, siete voi tutti, soldati dell'esercito
francese, che amavo! Vi riporto queste aquile; che vi servano per
unificarvi; dandoli alla guardia, li do a tutto l'esercito; il
tradimento e alcune circostanze disgraziate li avevano ricoperti di
un velo funebre; ma, grazie al popolo francese e a voi, riappaiono
splendenti in tutta la loro gloria. Potete giurarci che si
troveranno sempre e ovunque l’interesse della patria li chiamerà!
Che i traditori e quelli che vorrebbero invadere il nostro
territorio non possano sostenere mai i loro sguardi»! Un brivido
generale nelle schiere della guardia era stato la risposta di una
devozione che giunse fino alla morte: questa abnegazione doveva
manifestarsi a Waterloo. Ecco l'aquila! Di fronte ad essa, guardava
l’avvoltoio. Non siamo noi che abbiamo affibbiato a Nathan Rothschild
questo appellativo; non
facciamo che riferirlo. In un opuscolo che
abbiamo sotto gli occhi, datato 1846, abbiamo trovato questo
doloroso passo: «La corruzione genera i versi. I cadaveri attirano
gli avvoltoi. Le grandi catastrofi fanno vivere l'aggiotaggio
13. I
destini dell'Europa stavano per essere decisi a Mont-Saint-Jean.
L'avvoltoio aveva seguito le tracce dell'aquila. Nathan Rothschild
era in Belgio, con gli occhi fissi su Waterloo»
14.
In queste poche
righe, quale ritratto! Né mantello broccato d'oro, né titoli di
nobiltà, correggeranno mai la fisionomia di questo Nathan, venuto
per speculare su questo solenne disastro. I libri di storia naturale
caratterizzano l'avvoltoio per gli occhi sgranati: quali occhi a
fior di pelle doveva dare l'ansietà del guadagno al finanziere che
seguiva lo Stato Maggiore del duca di Wellington! Si spiegò allora
l'ultimo volo dell’aquila; poi la sua agonia. A Mont-Saint-Jean,
Wellington si era fortificato in una posizione difensiva, molto
favorevole al freddo coraggio britannico.
Vedendolo quasi addossato
ad una foresta senza via d'uscita, l'imperatore calcolò che poteva
causargli un disastro, e malgrado la stanchezza dei suoi soldati e
un terribile fango, non resistette a questa tentazione. Separato
dagli inglesi da un piccolo avvallamento, al di sopra del quale la
sua artiglieria pesante li martellava, incaricò il Maresciallo
Michel Ney (1769-1815) di superare questo spazio e di sfondare il
loro centro. Le pendenze vennero avvallate; Ney si stabilì sul lato
opposto. Alcuni cannoni, truppe fresche e la battaglia era vinta.
Ma, volendo seguirlo, i pezzi restarono impantanati ai piedi delle
alture, e allo stesso tempo le riserve furono obbligate a fare
improvvisamente fronte a 30.000 prussiani apparsi sulla destra. Era
l'avanguardia di Blücher comandata da Graf Friedrich von Bülow
(1755-1816). Nonostante questi incidenti, i francesi mantennero le
posizioni, e gli sforzi di Wellington finirono solamente per
ritardare la sua disfatta fino alle sette della sera. Si credeva
perduto, quando improvvisamente una voce percorse il campo di
battaglia.
Che cosa diceva questa voce? Dopo aver sconfitto Blücher
a Ligny, Napoleone aveva incaricato Emmanuel de Grouchy (1766-1847) di
sorvegliarlo e di impedire di passare, mentre avrebbe attaccato
Wellington a Mont Saint-Jean. Ora, a metà della giornata,
l'avanguardia prussiana era giunta in soccorso degli inglesi: era
passata. E verso sera, Blücher in persona, essendo passato
anch'egli, si presentò con il resto delle sue forze sul campo di
battaglia di Waterloo 15. «Ecco Grouchy! In ritardo, ma ancora in
tempo», si dicono tra loro gli estenuati soldati dell'esercito
francese! Terribile delusione, senza eguali nella storia dei
combattimenti! Questi soldati erano spossati, mentre le truppe di
Blücher erano fresche. Una nuova battaglia, alle otto della sera,
era diventata impossibile: si buttarono gli uni sugli altri. Non era
più
una lotta, ma il massacro in una spaventosa disfatta. La guardia,
tuttavia, rimase impassibile. Si raggruppò in numerosi quadrati; con
essa, l'aquila seppe morire!
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Da sinistra: Michel Ney,
von Bülow ed Emmanuel de Grouchy. |
«Attorno a questa falange immobile,
lo
straripamento dei fuggiaschi trascinò tutto, tra i fiotti di
polvere, di fumo ardente e di mitragliamento, nelle tenebre solcate
da razzi, nel mezzo dei ruggiti di trecento pezzi d'artiglieria e
dal galoppo di 25.000 cavalli: fu come l’epilogo finale di tutte le
battaglie dell'impero. Due volte i francesi hanno gridato vittoria!
Due volte le loro grida sono state soffocate sotto la pressione
delle colonne nemiche. Il fuoco delle nostre linee si spense; le
cartucce si esaurirono; alcuni granatieri feriti, circondati da
40.000 morti, da 100.000 pallottole insanguinate, raffreddate e
attaccate ai loro piedi, restarono appoggiati in piedi al loro
moschetto scarico con la baionetta spezzata. Non lontano da essi,
l'uomo delle battaglie, seduto in disparte, ascoltava, con l'occhio
fisso, l'ultima cannonata che avrebbe sentito nella sua vita»
16.
Chiese di entrare in un quadrato della sua guardia per perire con
essa: i suoi Generali lo portarono con la forza.
Ma torniamo ad
altre ansietà, quelle dell'uomo del guadagno: «Nathan Rothschild si
è mescolato allo Stato Maggiore del duca di Wellington. Durante
tutta la memorabile giornata del 18 giugno, non lasciò mai il campo,
interrogando ansiosamente Pozzo di Borgo, il Generale Alava, il
barone Vincent, il barone Müffling, passando con essi dal timore
alla speranza, vedendo tutto compromesso quando Napoleone lanciò sui
quadrati inglesi un massa di 20.000 cavallerizzi, i più agguerriti e
più temibili d'Europa, stimando tutto perduto quando la guardia
risalì, fucile alla mano, il burrone di Mont-Saint-Jean. Su questo
grande tappeto verde dove si giocavano i destini d'Europa, era in
gioco anche la sua rovina o la sua fortuna. La sua stella gli
arrise; vide l'invincibile colonna oscillare sotto le ripetute
scariche di oltre duecento pezzi d'artiglieria, come un immenso serpente
colpito alla testa, e capì che tutto era salvo quando l'avanguardia
di Blücher sbucò dal passo di Saint-Lambert»
17. Spronando allora il
suo cavallo, raggiunse tra i primi Bruxelles, si gettò nella sua
diligenza e, la mattina del 19 giugno, arrivò ad Ostenda.
IV
LA BARCA DEL MILIONARIO ATTRAVERSO IL TEMPORALE
E IL COLPO DI BORSA
A LONDRA
Il mare era molto mosso. Nessun pescatore voleva rischiare
l'attraversata. Vanamente, Rothschild offrì 500, 600, 800, 1.000
franchi: nessuno osò accettare. Ma, c'è forse qualcosa di
insormontabile per la cupidigia? Infine, uno di essi acconsentì a
trasportare dall’altra sponda dello stretto il milionario, mediante
una somma di 2.000 franchi che Nathan aveva consegnato alla moglie.
Il pover uomo dubitava fortemente che avrebbe rivisto la sua capanna
e la sua compagna! La barca si allontanò. Al largo, la tempesta si
calmò. Mai il proverbio secondo cui la fortuna è con gli audaci
trovò più completa applicazione. Strana barca, come ben ricorderai,
per la tua felice audacia, quella di Cesare, ma non ricordi più che
proprio su questo mare del Nord la barca dei normanni che fece
piangere Carlo Magno?... La stessa sera, Nathan Rothschild sbarcò a
Dover. «Esausto, riuscì tuttavia a procurarsi alcuni cavalli.
L'indomani, lo si ritrovò al suo posto abituale, appoggiato ad una
delle colonne dello Stock-Exchange, il viso pallido e disfatto come
quello di un uomo che ha appena ricevuto un colpo terribile. Lo
smarrimento e lo stupore regnavano in Borsa, e l'abbattimento di
Rothschild non era affatto rassicurante. Lo si osservò, si scambiò
con lui alcuni significativi colpi d'occhio e si attendevano
disastrose notizie. Nessuno sapeva che era appena arrivato dal
continente e che i suoi agenti vendevano e compravano. Nella vasta
sala silenziosa, scossa da momenti di rumorosi clamori, gli
speculatori erravano come anime in pena, discutendo a voce bassa
sull'atteggiamento affossato del grande finanziere. Fu molto peggio
quando corse voce che un amico di Rothschild disse che Blücher, con
i suoi 117.000 prussiani, era andato incontro ad una terribile
disfatta, il 16 e il 17 giugno, a Ligny, e che Wellington, ridotto
ad un pugno di soldati, non poteva sperare di tenere testa ad un
Napoleone vittorioso, libero di disporre di tutte le sue forze.
Questo vociare si sparse come una striscia di polvere per tutta la
città. I titoli calarono ulteriormente; si pensava che tutto fosse
perduto. Tuttavia, alcuni matti sembravano tenere ancora duro,
perché si segnalavano, in certi momenti, alcuni importanti acquisti,
seguiti da una tregua. Vennero attribuiti ad ordini venuti
dall'esterno, dati alla vigilia della battaglia da speculatori male
informati; si produssero quando lo scoraggiamento si accentuava,
intermittenti e come per caso. Quella giornata e la mattinata
successiva trascorsero così. Solo nel pomeriggio esplose la notizia
della vittoria degli alleati. Nathan, con il viso radioso, la
confermava a chi voleva sentirla. D'un tratto la Borsa risalì alle
vette più elevate. Si compiangeva Rothschild; si valutava la cifra
delle sue perdite; si ignorava che, se aveva fatto vendere tramite
mediatori conosciuti, aveva fatto acquistare, su scala ben più
vasta, da agenti in incognito, e che, lungi dall'essere in perdita,
aveva incassato più di un milione di sterline di profitti» 18. Un
colpo di rete da trenta milioni di franchi: mai il mare del Nord si
era rivelato così pescoso!
V
Giudizio sul guadagno
dei trenta milioni
Che cosa si deve pensare di un simile guadagno? E quale impressione
è rimasta negli spiriti? Sembra che da un punto di vista morale si
devono considerare cinque cose intorno al lucroso affare di
Waterloo:
- L'impresa;
- Le probabilità;
- L'operazione finanziaria;
- Il silenzio osservato da Rothschild sull'esito della battaglia;
- L'astuzia con cui ha agito.
- L'impresa? Per lui è stata piena di stanchezze e di pericoli;
- Le probabilità? All'inizio sono state incerte, poiché nessun
pescatore voleva dirigere la sua fragile imbarcazione, e che ha
rischiato, davanti ad un mare in tempesta, di essere inghiottito dai
flutti;
- L'operazione finanziaria? Gli era permessa, dato che la
Borsa di Londra esisteva già dal 1571, inaugurata da Elisabetta I
(1533-1603), con il nome di Royal-Exchange. In ciò ebbe l'esempio da
molti banchieri e finanzieri;
- Il silenzio sull’esito della battaglia di Waterloo? Non era tenuto
a rivelare ciò che già sapeva, visto che era un semplice cittadino,
privo di un ruolo ufficiale, senza alcun dovere di informare il
pubblico.
- Ma la scaltrezza con cui ha agito? Ecco la linea nera sul guadagno
dei trenta milioni. Vedendo nella sala del Borsa il volto abbattuto
e funebre di Rothschild, porgendo orecchio al racconto della
disfatta di Blücher a Ligny, ci si affrettò a vendere, sbarazzandosi
dei suoi titoli. Ci si chiede: li avrebbero ceduti senza questo
volto, senza questo racconto? Alcuni dicono: «È probabile». Altri
affermano: «Le cattive notizie che giungevano dalle fonti ufficiali,
confermate dagli uomini di Stato, bastavano al cedimento del
mercato». E aggiungono: «Rothschild non era tenuto ad avere un volto
diverso dagli avvenimenti conosciuti, né a divulgare altri racconti
diversi da quelli che si leggevano sulla stampa ufficiale. La cosa
migliore per l'israelita era certamente quella di tenere certe cose
per sé, pur facendo acquistare in ribasso da agenti in incognito i
titoli sotto l’impressione del crollo, ma senza aumentare e premere
il crollo con la sua presenza affossata e la sua aria lugubre».
Dopo questa investigazione di carattere morale, si deve forse
ritenere che il tornaconto di Waterloo cade sotto l’influenza della
sentenza di
Padre Jean Mabillon o.s.b. (1632-1707):
«Le fortune
enormi e male acquisite sono un rivoltante scandalo pubblico».
Indubbiamente, certi pareri saranno condivisi in un mondo
superficiale. Ma il chi è favorevole a Nathan Rothschild farà fatica
a spiegare e a dissipare la dolorosa impressione che è rimasta negli
spiriti, e di cui riportiamo solamente l'eco più rispettosa:
«Impossibile vedere una fortuna la cui l'origine sia più onorevole
(il deposito affidato dal langravio di Hesse-Cassel). Ma un fiume,
chiaro alla sua sorgente e libero dal fango, non scorre sempre verso
la sua foce con ondate così limpide [...]. L'indomani della
battaglia di Waterloo, Nathan Rothschild realizzò, senza imbarazzo e
senza rimorso, un pesca da trenta milioni di franchi»
19.
Imbarazzata da questa deviazione, ancor più che dalle altre
interpretazioni sfavorevoli, l'opulenta famiglia si sforzò, in
seguito, di ricordare la purezza della sua sorgente e di respingere
il fango, scavando, nel mezzo della sua colossale fortuna, un letto
superbo alla beneficenza: la morale cristiana ispirerebbe anche di
meglio!...
VI
Un nuovo impero all'orizzonte
Parlando delle trattative degli alti personaggi dopo gli avvenimenti
che abbiamo appena narrato, Chateaubriand definì il potere di uno di
essi con questa frase: «Il padrone dei re ripartì: bisogna sapere se
gli si lascerà il tempo»! 20. Potrebbe sembrare, dalla maestosità
dell'epiteto e alla
sufficienza della risposta, che lo scrittore si
riferisse all’episodio di Napoleone a Dresda, che mentre stava
dettando legge all’Europa, era circondato da una corte plenaria di
re. Non illudiamoci: si trattava di Rothschild. La penna di Chateaubriand non ha affatto sbagliato scrivendo
«il
padrone dei
re». Infatti, la sera stessa in cui finì e scomparve l'impero
napoleonico, un altro iniziò a spuntare all'orizzonte. Che strano
impero! Non assomiglierà per nulla a tutti quelli che l'hanno
preceduto. Fin dal 1815, il nome preso in prestito dall'insegna
rossa brillava già come quello di una casata sovrana: «il padrone
dei re» si annuncia! Rothschild si servì dei mezzi che Napoleone
aveva utilizzato per introdurre e consolidare la sua dinastia, ma in
una forma necessariamente ebraica: Napoleone entrò nella famiglia
dei re come un soldato incoronato, con armi e bagagli; il suo
matrimonio fu una conquista. Rothschild vi entrò non per la camera
nuziale, ma attraverso la camera del Tesoro; e la vecchia Europa non
rimase meno stupefatta, né meno silenziosa. Napoleone aveva
immaginato di fare dei re. Non dava forse dei troni a tutti suoi
fratelli, «per creare dei punti d‘appoggio e dei centri di
corrispondenza per il grande impero»? La casa dei Rothschild si
installò e troneggiò ben presto in cinque capitali d'Europa: a
Francoforte, a Londra, a Vienna, a Napoli e a Parigi. Disponendo di
enormi capitali, i cinque fratelli stabilirono in tutti gli angoli
d'Europa degli uffici di corrispondenza. Essi erano informati delle
più piccole fluttuazioni dei fondi pubblici. Operavano solamente a
colpo sicuro, e le loro operazioni erano avvolte dal segreto più
impenetrabile. L'oro affluiva sempre nelle loro casse come una
crescente marea. Da un'estremità all’altra dal continente, i re li
colmavano di onori. Napoleone diceva: «Dov’è Drouot»?
All'artiglieria; «Dov’è Murat»? Alla cavalleria. I re e i governi
diranno: «Dov'è Rothschild»?
è la coalizione dei capitali che
comincia, diversamente potente da quella degli eserciti.
Conquistatori di un nuovo genere, i capitali funzionano molto
meglio, per assicurarsi la supremazia, della stessa spada di Cesare.
Strano e insolito impero! Ridiciamoci sopra. Non rimarrà che la
Chiesa che, passando davanti all’insegna rossa, saluterà con la
stessa fierezza con cui i primi cristiani, entrando nell'arena,
accompagnavano il loro saluto a Cesare: «Ave, Cæsar, te judicaturi
salutant» 21.
L'antica cattedrale di Notre-Dame di Parigi, che ha
visto l'incoronazione del Cesare delle aquile (Napoleone), ha
sentito anche questa fiera e commovente perorazione, in cui la
profezia si mescola alla storia: «Quando l'imperatore Giuliano
l'Apostata attaccò il cristianesimo con quello stratagemma e con
quella violenza che porta il suo nome, e che assente dall'impero,
era andato a cercare nelle battaglie la consacrazione di un potere e
di una popolarità che doveva, nel suo pensiero, portare a termine la
rovina di Gesù Cristo, uno dei suoi collaboratori più intimi, il
retore Libanius, incontrando un cristiano, gli chiese, per deriderlo
e con tutto l'insulto di chi pensa di avere già la vittoria in
tasca, cosa stava facendo il Galileo; il cristiano rispose: “Sta
fabbricando una bara”. Qualche tempo dopo, Libanius pronunciò
l'orazione funebre di Giuliano l'Apostata davanti al suo corpo
contuso e al suo potere tramortito. Ciò che faceva allora il
Galileo, lo fà sempre, qualunque sia l'arma e l'orgoglio che si
oppone alla Sua croce. Sarebbe lungo riportare tutti gli esempi più
famosi; ma ne abbiamo alcuni che ci toccano da vicino e per mezzo
dei quali Gesù Cristo, all'estremità delle epoche, ci ha confermato
la nullità dei Suoi nemici. Così, quando Voltaire si strofinava di
gioia le mani, verso la fine della sua vita, dicendo ai suoi fedeli:
“Fra vent'anni Dio ne vedrà delle belle”, il Galileo costruiva un
feretro: era la bara della monarchia francese. Così, quando un
potere di un altro ordine, ma in qualche modo derivato da quello di
San Pietro, tenne il Sommo Pontefice in una cattività che presagiva
la caduta almeno territoriale del Vicario di Gesù Cristo, il Galileo
fece una bara: era la bara di Sant'Elena. E sempre così sarà: il
Galileo non fà che due cose: vivere della Sua persona e seppellire
tutto ciò che non è Lui» 22.
Questa enumerazione richiede un
supplemento, una domanda e una risposta all'incalcolabile e
preponderante fortuna del «padrone dei re»: il Galileo gli sta
preparando una bara? Sì, certamente. Ma voglia il cielo che questa
bara sia il sepolcro stesso del Golgota! Perché, nelle vicinanze, il
pentimento e la ricchezza potrebbero rinnovare magnificamente il più
acclamato dei trionfi: quello delle lacrime e dei profumi della
Maddalena, la ricca ebrea di Magdala! 23. Tutto ciò che precede è
stato estratto dal bel libro lavoro intitolato Napoléon 1er et les
israélites 24, ma essendo questo studio sui Rothschild troppo breve
per la nostra cornice, l'Autore ci ha autorizzato a completarlo con
un capitolo preso in prestito da un altro libro uscito dalla sua
penna tanto sapiente quanto feconda 25: Dopo avere parlato
dell'apostasia contemporanea e della fisionomia così odiosa dei
figli delle tenebre, lo scrittore espone l’insolenza del piano
settario:
- Insolenza del numero: i popoli che si dispongono contro Dio;
- Insolenza dello scopo: l'uomo che si sostituisce ovunque a Dio;
- Insolenza nell'esecuzione: poiché è della Francia e dell’Italia che
di preferenza ci si serve;
- Insolenza nel modo d'esecuzione: le leggi si ritorcono contro Dio
e contro la Sua Chiesa;
- Infine, si arriva all'insolenza negli ausiliari del piano
satanico.
E qui, lasciamo nuovamente parlare il saggio Autore.
VII
IL RUOLO DEL GHETTO
NELL'APOSTASIA CONTEMPORANEA
Nello spaventoso piano che viene eseguito c'è anche l'insolenza
delle ausiliari. L'imperatore Giuliano l'Apostata (331-363), quando
aveva tentato invano di distruggere la religione cristiana, aveva
chiamato alla riscossa due gregari: il paganesimo - di cui rianimò
le false divinità, le usanze e le feste - e il giudaismo, e per
questa ragione tentò di ricostruire il Tempio di Gerusalemme
distrutto dai romani nell'anno 70 d.C.). L'apostasia moderna, erede
del piano di Giuliano l'Apostata, ma con aspirazioni maggiori, si è
ricordata dei due antichi collaboratori. L'aiuto del primo si è
spiegato con fragore all'apertura della Rivoluzione Francese, ed è
rimasto celebre, giacché dal 1789 alla costituzione dell'impero
napoleonico, i costumi riconducibili alla Roma pagana, ad Atene o a
Sparta, rovesciarono i loro flutti impuri nella vita di una nazione
cristiana, e i boia danzarono, come gli antichi satiri, sui corpi
dei sacerdoti e dei cristiani massacrati; ma l'ausilio del
paganesimo si è esaurito, ed ora è il turno dell'ebraismo come
assistente persecutorio. Affrettiamoci a dire che la maggior parte
degli israeliti non è costituita da persecutori e che molti di essi
sono animati di disposizioni fraterne verso i loro concittadini
cristiani, ma che la malevolenza inveterata del giudaismo a riguardo
del cristianesimo è persecutrice. Inoltre, l'immaginazione d'Israele
non ha mai smesso di essere abitata da un sogno di dominio
universale; di modo che, a causa di queste disposizioni innate e
tradizionali di ostilità, e a questo sogno del dominio, tutti gli
ebrei partecipano - volente o nolente - al ruolo di persecutori
giocato da un certo numero di essi che hanno preso posto nelle Logge
massoniche, e addirittura le dirigono. Essi fanno causa comune;
tacitamente, accettano questa responsabilità, e la migliore prova è
che nessun rabbino o nessun israelita di una certa fama si è alzato
per protestare contro la persecuzione che affligge i cattolici. In
tempi non lontani, i Papi si sono alzati per proteggere gli ebrei
perseguitati; fino ad oggi, non un solo rabbino ha espresso la sua
riconoscenza. Dunque, tutto il popolo ebraico può essere considerato
se non come appartenente al campo dei persecutori, almeno come suo
alleato; assenti al Golgota, gli ebrei attuali non hanno smentito
il crimine dei loro padri, e portano sul loro capo il peso del Sangue
di Cristo; assenti dalle Logge massoniche, anche gli israeliti
onesti portano il peso della persecuzione contro i cattolici, perché
non hanno ancora avuto il coraggio di biasimarla e di smentire il
loro coinvolgimento.
Satana ha guardato questo popolo, e ha dovuto
dire: «Lo detesto, mi detesta, e tutti gli altri popoli lo
detestano. Lo detesto, perché da esso è nato il Figlio di Dio e
perché deve servire agli ultimi disegni della Provvidenza. Mi
detesta, perché, malgrado la nostra intesa sul Calvario, rimane
contro di me il difensore dell'unità di Dio. E i popoli lo
detestano, perché attira a sé tutte le borse dell'oro. Tuttavia, è
esso che diventerà, ancor più del paganesimo, l'aiutante più
prezioso nella lotta contro il cattolicesimo che detesto
sovranamente». Riprendi coraggio, Satana, ci sarà la mischia
degli odi! Infatti, per la prima volta, dai tempi in cui Giuliano
l'Apostata aveva cercato di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, il
popolo ebraico è tornato all'attacco, chiamato positivamente
dall'apostasia moderna. E l'insolenza accompagna tutti i suoi
movimenti: l'insolenza della sua fortuna di fronte alle disgrazie
dei cattolici.
Quale gioia, prima segreta e ora rumorosa, ha
generato in lui questa persecuzione? «Ora tocca a noi: la rivincita
del Talmud sul Vangelo! Viva il 1789, il nostro nuovo Sinai»! Per
troppo tempo si è detto: «Dagli all’ebreo»! Non è dunque un male che
oggi si dica: «Dagli al prete»! Insolenza
nelle compiacenze a
riguardo dell'apostasia dei cristiani. Alcuni ministri della guerra
hanno vietato ai soldati francesi di assistere alla Messa, persino
nel giorno di Pasqua; ma per i militari ebrei, alcune circolari
emanate dal Gabinetto del ministro, scritte di suo pugno, ingiungono
a tutti i capi dell'esercito di permettere agli ebrei di poter
rientrare nei loro focolari per celebrare la loro Pasqua. Le
eccezioni, i favori e le adulazioni prodigate agli ebrei sono ancora
più ripugnanti negli altri ministeri. Le patrie cristiane muoiono, e
a questi senza-patria vengono aggiudicate le loro spoglie! Insolenza
nel fasto. Solo ieri, l'ebreo era la favola e lo zimbello dei
popoli, fuggiasco e senza dimora fissa; e oggi, esso si è installato in sontuosi hotel e nei palazzi reali. Le riserve dei parchi
principeschi gli appartengono. I re si prostrano davanti al suo
scettro. Padre Henri-Dominique Lacordaire o.p.
(1802-1861) aveva
detto, a proposito dei costumi che cominciavano a ridivenire pagani
sotto Luigi XIV (1638-1715): «Nella camera in cui ha dormito San Luigi IX,
Sardanapale era coricato; Stambul aveva visitato Versailles e si
trovava a suo agio». Oggi, usando il suo magnifico linguaggio
direbbe: «Lo Judengasse ha visitato Versailles e si è trovato a suo
agio; nella camera dove hanno dormito i re di Francia, si appresta a
distendersi qualche spettro, lo scheletro di una razza fatta
appassire; e se i matrimoni misti continuano ad essere ricercati
dalle corone di duchi in preda allo sconforto, i giacigli reali non
sono più al sicuro»!
Insolenza nel tono dei suoi giornali. Non è precisamente il tono di
un villano rifatto, perché è stato re: popolo-re con Davide e con il
divino Messia! No, è il tono crudele e pieno di alterigia di un
umiliato che è rimasto orgoglioso, e che sente che sta per
ridiventare padrone. Quali ingiurie ignobili e grossolane non
scaricano giornalmente i vili di cui acquista la penna sull'augusto
Capo della Chiesa e sui cattolici? Mai questa frase pronunciata da
un tiranno dell'Alta Finanza è stata così reale: «Non so veramente
cosa faranno i piccoli cristiani per sopravvivere fra
cinquant'anni»!
Quale insolente dominio si prepara sotto le unghie
degli avvoltoi dell'Alta Finanza! Insolenza nei suoi modi
persecutori. C'è qualcosa di strano nella persecuzione
contemporanea; infatti, non è la violenza a caratterizzarla, ma
l'astuzia, l'ipocrisia, la tenacia e la pazienza. «Essa smaschera Caifa»: è il brivido generale! Nulla è a caso nei fendenti che
colpiscono i cattolici; tutto è calcolato, meschino e strisciante.
La società cristiana non è esposta negli anfiteatri alle tigri e ai
leopardi; la si fà sanguinare lentamente, alla maniera ebraica. Con
una derisione che fà esultare la sètta massonica, ciò oggi che resta
del regno temporale dei Papi, il Vaticano, un tempo era l'area
dell'antico ghetto all'epoca in cui San Pietro venne a Roma; ora, di
connivenza con l'apostasia, l'Alta Finanza avvolge e strangola il
Vaticano con costruzioni insolenti, per soffocare il Papato; il fumo
delle fabbriche penetra nei giardini del Papa, indizio di disprezzo
e preludio dell'asfissia.
Ecco l'aiutante! Il sogghigno di Satana e
del piano séttario non è immotivato: «Questa volta non vincerai,
Galileo»! Le cronache raccontano che quando Giuliano l'Apostata
decise di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, alcuni globi di
fuoco uscirono improvvisamente dalle viscere della terra e
divorarono, con una parte degli operai terrorizzati, i cantieri
dell'audace ricostruzione. Lasciamo in serbo all'Onnipotente il
segreto del fuoco che, certo, farà pentire gli ebrei massoni o
astiosi del loro concorso fornito all'apostasia dei Giuliani
moderni, e preoccupiamoci solamente degli israeliti onesti e ben
disposti, ricordando loro un episodio della loro storia che, con la
grazia di Dio, potrà diventare, per essi, un faro. Israele era in
marcia verso la Terra Promessa. Avendo appreso del suo passaggio, il
re di Moab, pieno di collera e di furore, fece venire in suo aiuto
dalle rive dell'Eufrate Balaam, un celebre indovino. Gli offrì dei
doni e gli disse: «Ecco un popolo è uscito dall'Egitto; ricopre la
terra e si è stabilito di fronte a me; ora dunque, vieni e
maledicimi questo popolo; poiché è troppo potente per me; forse così
riusciremo a sconfiggerlo e potrò scacciarlo dal paese». Segue
questa scena famosa in cui Balaam, condotto successivamente dal re
su tre diverse vette da cui si vedeva Israele accampatosi sotto le
tende e distribuito in tribù, benedì ogni volta anziché maledire, e
pronunciò queste commosse parole: «Come imprecherò, se Dio non
impreca? Come inveirò, se il Signore non inveisce? Anzi, dalla cima
delle rupi io lo vedo e dalle alture lo contemplo [...]. Come sono
belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Sono come
torrenti che si diramano, come giardini lungo un fiume, come àloe,
che il Signore ha piantati, come cedri lungo le acque» (Nm 23, 8-9;
24, 5-6).
Oh, israeliti onesti che non non avete paura della luce, Balaam, che ha benedetto i vostri padri con accenti commossi e pieni
di grandezza, è stato soprannominato «il profeta delle nazioni»;
tutti i profeti sono usciti da Israele, eccetto uno, e, quando
soggiogato dallo spirito di Dio che lo aveva visitato, pronunciò la
sua profezia, le sue labbra, in mancanza del suo cuore, si profusero
lodi e in benedizioni su Israele che gli si chiedeva di maledire.
Ebbene! Oh, israeliti retti nella giustizia e per i disegni di Dio!
Ecco presto venire la felice opportunità di rendere alle nazioni
cristiane e alla Chiesa loro Madre, la benedizione che vi fu data
nel paese di Moab. All'apostasia che conta sul vostro concorso per
il compimento finale dell'orribile piano che ha concepito, dite con
magnanimità: «Mi hai chiamato come aiutante nell’odio! Ma come
maledirò io quelli che Dio non ha maledetto affatto? Come detesterò
quelli che il Signore non detesta»?
E possiate aggiungere, vedendo
che la Chiesa trasporta i suoi accampamenti, come una sublime
viaggiatrice, attraverso il mondo, intatta e fiera nella sua bella
ordinanza, mentre le rivoluzioni sconvolgono tutti gli Stati, con
l'unità dei suoi Vescovi intorno al Papa, la devozione dei suoi
sacerdoti, l'ubbidienza di tutti i suoi figli, possiate, non solo
con le labbra, ma dal cuore, aggiungere: «Come sono belle le tue
tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele»! Ma prima che si produca
questo atto di illuminazione e di magnanimità, per quali dolorose
purificazioni dovranno passare i resti di Israele e i resti delle
nazioni cristiane? Infatti, come termine finale del piano séttario,
si preparano, per l'umanità, adorazioni mostruose. L'uomo ha bisogno
di adorare. Questo sentimento, questo culto, è inseparabile dalla
sua natura avida di essere soddisfatta. Essendo il suo essere finito
e limitato, e non trovando in sé di che cosa saziare le sue
ambizioni aperte sull'infinito, si precipita ai piedi di tutto ciò
che gli porta un poco della pienezza sognata e inseguita.
Se è
religioso, comprende che solo Dio è capace di colmare gli abissi del
suo essere, e adora solamente Lui. Al contrario, se è irreligioso, o
semplicemente frivolo, dissemina e prodiga le sue adorazioni a tutto
ciò che sazia le sue brame e accontenta i suoi capricci. Nelle
riunioni mondane, si profana questa parola, trovando adorabili le
cose più futili. In breve, l'uomo ha bisogno di adorare. Ora, se il
piano séttario si ostinerà a distogliere i popoli da Dio, verso chi
o verso cosa trascinerà le adorazioni della moltitudine? Poiché
anche le moltitudini hanno bisogno di adorare, esse gridano:
«Cercateci degli errori! 26 Cercateci degli idoli»! Il piano
séttario ci ha pensato. Questi idoli non somiglieranno in nulla a
quelli dell'antico paganesimo, perché i popoli trasformati dal
cristianesimo sono diventati troppo intelligenti per portare i loro
omaggi a simulacri di legno, di metallo o di pietra. Saranno
impersonali, e per ciò stesso più difficili da estirpare. Preparando
questi idoli in rapporto con l'umanità - che deve sostituirsi alla
divinità - il piano séttario ha detto alle moltitudini: «Adorerete
tre cose che sono le fonti di tutti i favori e di tutti i godimenti:
l'oro, la prostituta e il potere».
-
C'è l'adorazione dell'oro. Mai le viscere della
Terra sono state
più zelanti a fornirne, e la sete di a possederne è mai stata più
ardente e più ansimante. Gli antichi riderebbero, se vedessero le
loro superate forme di adorazione riapparire: tra le rovine di
Pompei è stata scoperta una bottega con questa insegna: «Salve
lucro»; oggi, la società moderna è in ginocchio davanti a questa
insegna. Gli ebrei danzarono intorno al vitello d'oro: lo spirito
del secolo è diventato ebraico, e, nell'accresciuto cerchio di
danza, tutti i popoli fanno a gara e si precipitano trascinati.
Rothschild appare alle folle come il principe dei beati, e, di tutti
i tempi, nessun luogo è più frequentato né universalizzato della
Borsa. Anche quelli che credono al Vangelo si lasciano pervadere
dalla febbre del guadagno.
Il Vangelo raccomanda: «Cercate prima il
regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date
in aggiunta» (Mt 6, 33). Ahimè! Prima di tutto si cerca il guadagno,
e il regno di Dio è divenuto il sovrappiù. In verità, a partire
dalla Rivoluzione Francese, l'oro è diventato la prima divinità
democratica, e per essere ammessi a baciare l’estremità del suo
scettro, non c'è bassezza che non si faccia e ignominia che non si
sopporta.
-
C'è l'adorazione della prostituta. Il
Libro dei Proverbi contiene
un'allarmante raccomandazione di cui i governi, quando erano buoni,
avevano fatto la loro linea di condotta per la salvaguardia dei
cittadini, con la stessa sollecitudine delle madri di famiglia:
«Ora, figlio mio, ascoltami e non allontanarti dalle parole della
mia bocca. Tieni lontano da lei il tuo cammino e non avvicinarti
alla porta della sua casa». Qual'è la casa che i Libri Santi, le
madri di famiglia e i buoni governi consigliano di evitare? Quella
della donna di malaffare. Il Libro dei Proverbi aggiunge: «Stillano
miele le labbra di una prostituta e più viscida dell'olio è la sua
bocca; ma ciò che segue è amaro come assenzio, pungente come spada a
doppio taglio. I suoi piedi scendono verso la morte, i suoi passi
conducono agli inferi» (Pro 5, 7-8; 3-5). Ora, volete cogliere con
un balzo del pensiero tutta la strada che l'apostasia ha fatto
percorrere alle patrie cristiane? Che si cerchi la risposta
pubblica, ufficiale e clamorosa che i governi danno oggi all'antico
consiglio di prudenza: «Non avvicinarti alla porta della sua casa».
Qual'è la casa che designano con questa interdizione? La casa di
Dio, la chiesa! Se vi avvicinate ad essa, se vi si vede superare la
sua porta, il vostro stipendio sarà soppresso, il vostro posto vi
sarà tolto, la vostra carriera sarà compromessa. Invece, per voi la
casa della prostituta è aperta e non avete bisogno di deviare il
vostro cammino. Così è stato stabilito e stabilizzato questo
spaventoso contrasto: la casa di Dio è proibita, mentre la casa
della donnaccia viene avvantaggiata. All'inizio della Rivoluzione
Francese, si vide un giorno, nella cattedrale di Notre-Dame di
Parigi, l'altare del Dio vivente spoglio, e una prostituta in trono
posta al di sotto di esso; dopo un secolo, ciò che si era osato nel
tempio è continuato ed è stato universalizzato nei costumi; gli
adoratori sono stati tolti a Dio e aggiudicati alla prostituta.
-
C'è l'adorazione del potere. In un Stato democratico senza Dio,
l'esercizio del potere, dal portafoglio del ministro fino alla
funzione del guarda-caccia, suscita e favorisce l'intesa tra la
tirannia e l'adulazione. Per arrivarvi, si consente al vergognoso
compromesso, alle ignobili promiscuità, alle basse e odiose misure
contro le persone per bene e contro la Chiesa di Dio.
- «Avrai questo posto di magistrato, ma dovrai ordinare degli
arresti». «D'accordo, ordinerò degli arresti»;
- «A te questo portafoglio di ministro, purché ti impegni a fare
passare quella legge». «Farò passare quella legge»;
- «Sarai deputato, ma voterai in questo senso».
«Voterò in questo
senso».
Il celebre Vescovo di Magonza, Mons. Wilhelm Emmanuel Freiherr von
Ketteler (1811-1877), dotato di un colpo d'occhio profetico, aveva
annunciato in questi termini, più di vent'anni fa, la deificazione
dello Stato: «Nel firmamento c'è un astro nebuloso di cui è
difficile dire se
cresce o se diminuisce, e, in quest'ultimo caso,
se non diminuisce che temporaneamente per poi crescere con una
rinnovata forza ed esercitare sul mondo la sua malefica azione.
Questo astro è la deificazione dell'umanità sotto forma del
dio-Stato [...]. Prima c'è stata la deificazione dell'uomo, e adesso
viene la deificazione del genere umano. Ora, la forma che meglio si
adatta alla deificazione dell'umanità è la forma dello Stato, e
infatti è là che oggigiorno affluiscono, come altrettanti piccoli
ruscelli, le opinioni più diverse. Il dio-Stato, lo Stato senza Dio:
ecco il tratto distintivo dello Stato moderno e, se non mi sbaglio,
la tendenza delle Società Segrete. Si degni il Cielo di
preservarcene in un prossimo avvenire! Se i nostri timori si
realizzassero, sarebbe un segno che siamo giunti a quei tempi di
terribili combattimenti di cui parla la
Sacra Scrittura»
27. Da
quando queste parole profetiche sul pericolo della deificazione
dello Stato sono state scritte, le cose hanno progredito
rapidamente: l'adorazione di questo mostro non sta forse diventando
pratica per le adulazioni e per l'esercizio del potere? Dedicarsi
anima e corpo allo Stato; acconsentire, per avere una carica, a
tutto ciò che chiede la sétta, è una delle forme d'adorazione in una
democrazia senza Dio. Si vedono andare e venire mute di ambiziosi,
simili a cani che si contendono la preda; si affrettano, si
succedono e si rovesciano. Gli ultimi arrivati leccano le sozzure
dei loro precursori, e tutti, come i cani che leccarono il sangue di Nabot il giusto (1
Re 21, 19), sono pronti a litigarsi i brandelli
della Chiesa cattolica! Adorazione dell'oro, adorazione della
prostituta, adorazione del potere; culto ammaliante, culto
lussurioso, culto democratico; ecco il presente; il genere umano si
prosterna e la sétta massonica applaude!
Ora, dietro a questa tripla
adorazione, si prepara un'insolente adorazione, il termine finale
degli intrighi dell'inferno: quale? L'adorazione arrogante
dell'Anticristo. Se un giorno, alla società, privata di Dio, si
presentasse una potente personalità che ricapitolasse in sé tutti
gli strumenti di seduzione inventati dal progresso moderno, e alla
quale il genio del male, Satana, avesse elargito tutte le attrattive
seduttrici tenute in riserva per il «figlio di perdizione» (2
Ts 2,
3); se questa personalità, consumando e abusando del suffragio
universale, trascinasse le moltitudini, e disponesse anche dei
popoli grazie a vittorie da conquistatore, cosa accadrebbe?
Così,
riprendendo ed estendendo la persecuzione intrapresa da Giuliano
l'Apostata, egli soffocherebbe in modo ancor più opprimente la
Chiesa con leggi ipocrite e feroci, e diminuirebbe il numero dei
servitori di Dio. Colpiti dal potere straordinario di questo
tiranno, gli ebrei lo riconoscerebbero come il Messia temporale che
si ostinano ad aspettare, e l'appoggerebbero con tutto il loro
potente capitale, mentre dal canto suo l'Anticristo li farebbe
trionfare sui cattolici. E se, giunto a questo apogeo, un simile
despota, un mostro di potenza anticristiana, invitasse ed eccitasse
i popoli, asserviti e abbagliati, alla ricerca sfrenata dell'oro,
dei godimenti voluttuosi e delle cariche dello Stato, distribuendole
alle sue basse creature, questo tiranno, questa formidabile
personalità, non sarebbe forse l'Anticristo? Ora, così come ha
rivelato l'Apostolo delle genti, l'uomo del peccato avrà la
sfrontatezza di chiedere per sé l’adorazione: avversario di Dio, si
innalzerà fino a sedersi nel Tempio di Dio, facendosi passare per
Dio stesso. Ma, aggiunge l'Apostolo, il castigo di questa delittuosa
arroganza, non si farà aspettare: Gesù Cristo lo distruggerà con il
soffio della Sua bocca, ossia con la più grande facilità (2 Ts 2).
Queste parole indiscutibili di San Paolo, paragonate a ciò che
accade ai nostri giorni e a ciò che si prepara nelle Logge della
sétta massonica, assolvono dal rimprovero di temerarietà le nostre
ipotesi che possono diventare delle realtà storiche, nel modo che
solo Dio sa. Il grande Vescovo di Magonza termina con queste parole
il bellissimo opuscolo citato più sopra: «Cristo o Anticristo:
questa antitesi racchiude tutto il mistero dell'avvenire»
28.
Perciò, dobbiamo ringraziare di tutto cuore Leone XIII (1810-1903), per aver
prescritto la recita di questa preghiera che si dice alla fine di
ogni Messa, in tutti i punti del globo, dal sacerdote, al quale si
uniscono tutti i fedeli: «San Michele Arcangelo, difendeteci nel
combattimento; siate il nostro soccorso contro la malizia e le
insidie del diavolo. Che Dio lo sottometta, ve ne supplichiamo. E
Voi, Principe della milizia celeste, per la divina potenza,
ricacciate nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni che
vagano per il mondo a perdizione delle anime. Così sia»
29.
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