di Maurizio Barozzi
Dal Fascismo al neofascismo
La storia non certo edificante del “neofascismo” italiano, con le sue
deviazioni nel destrismo e il suo filo atlantismo, può farsi risalire
all’infausta data dell’8 settembre 1943 quando, mentre la parte migliore
del nostro popolo aderiva all’appello di Mussolini per riprendere le
armi e salvare l’onore dell’Italia sporcato dal tradimento badogliano,
il resto maggioritario della popolazione restò indifferente ed una
esigua parte (in quel momento): gli antifascisti, fu addirittura
avversa.
Tra gli indifferenti o comunque i contrari a questo
richiamo della Patria e del Fascismo c’erano anche tanti cosiddetti
fascisti del ventennio, in genere una massa passiva, conservatrice, di
indole borghese e spesso di tendenza monarchica, che aveva aderito a suo
tempo e a suo modo al Fascismo perché questo aveva stroncato il
pericolo bolscevico, “faceva arrivare i treni in orario” ed aveva
garantito un certo progresso sociale e di prestigio alla nazione,
insomma perché le cose andavano bene.
Teniamola a mente questa
componente borghese e reazionaria, sostanzialmente pavida, già fascista
sui generis, anzi sostanzialmente antifascista, perché la ritroveremo in
misura via via sempre più preponderante nella componente qualunquista e
nazionalista del neofascismo del dopoguerra.
Dal settembre del
1943 Mussolini non si era limitato a rimettere in piedi uno Stato ed un
Esercito disintegrati dal tradimento badogliano; egli aveva anche
portato finalmente a compimento il lungo percorso storico ed ideologico
del Fascismo al quale vennero dati dei capisaldi politici e sociali di
enorme portata: la svolta socializzatrice per la
ricomposizione economica e sociale del mondo del lavoro e delle imprese
e l’impronta repubblicana da dare alle Istituzioni: era nata la
Repubblica Sociale Italiana (RSI) e allo stesso tempo era anche nato il
Partito Fascista Repubblicano, che con la costituzione a marzo del ’44
della Legione Autonoma “E. Muti” ed a luglio dello stesso anno delle
Brigate Nere poteva veramente definirsi un ordine di credenti e
combattenti.
Si calcola che aderirono attivamente alla RSI circa
800 mila italiani, ma questo calcolo è molto approssimato perché
bisogna considerare che, a causa della guerra, il territorio italiano in
quel momento si trovò spaccato, grosso modo, in due: da Roma in su,
nella giurisdizione della neonata Repubblica Sociale, mentre tutto il
Sud della penisola era occupato dagli Alleati. Si aggiunga poi la
ingombrante e scomoda presenza e ingerenza dell’esercito tedesco, reso
più nemico che amico dalle note vicende del tradimento (circa 600 mila
italiani erano stati nel frattempo deportati in Germania come massa di
lavoro; e peggio sarebbe andata se non fosse intervenuta la RSI nel
pieno delle sue funzioni).
Di fatto, tra coloro che aderirono
attivamente alla RSI, si finì anche per contare tutti coloro che,
dislocati nella parte centro nord della barricata, trovarono naturale
proseguire i loro impieghi nei servizi militari o civili delle nuove
Istituzioni repubblicane, con gli acquisiti inquadramenti burocratici e
di carriera i quali, comunque, assicuravano pane e lavoro.
Era
però evidente che, mano a mano che il territorio sotto la giurisdizione
della RSI si restringeva a causa dell’avanzata alleata, queste adesioni,
per così dire “d’ufficio” venivano meno. A testimonianza della
scelta piena e convinta per i valori ideali, storici e di combattimento,
nella visione della vita e del mondo che il Fascismo aveva espresso ed
incarnato fino ad allora, restava la minoranza inquadrata nel Partito
Fascista Repubblicano, sotto la guida del segretario provvisorio
Alessandro Pavolini. Una minoranza composita, rappresentata da elementi
di varia tendenza, ma che in genere si riconosceva nella nuova svolta
socializzatrice che Mussolini aveva dato al Fascismo, dove non
mancavano sia elementi che tendevano ad accentuare gli aspetti di
destra della politica fascista ed altri che invece, addirittura,
volevano spingere ad estremizzare ancor più a sinistra le innovazioni
sociali.
Le anime, insomma, che avevano da sempre caratterizzato
questo nuovo soggetto storico che era stato il Fascismo: la tendenza
repubblicana e quella monarchica, la tendenza rivoluzionaria e quella
conservatrice, la tendenza socialista e quella liberale, seppur
soggiogate dalla forte personalità e dalla prassi politica mussoliniana
ed anche se subordinate ai nuovi dettami politici e sociali della RSI,
non potevano di certo scomparire dall’oggi al domani.
Questo
nonostante che il compimento storico ideologico del Fascismo, attuatosi
con la RSI, fosse oramai fuori dai vecchi schematismi destra-sinistra; e
si poteva dire che il Fascismo aveva superato a sinistra lo stesso
marxismo, pur partendo dal principio di una disuguaglianza ontologica
degli esseri umani e da una visione spirituale della vita.
Nella
contingenza storica della RSI eravamo quindi ancora in presenza di varie
“anime” del Fascismo, tutte legittime, ma alquanto diverse dalla
sostanza propriamente rivoluzionaria del Fascismo repubblicano.
La fine della guerra, con la inevitabile sconfitta e la scomparsa dalla
scena politica di Mussolini, avrebbe certamente fatto riemergere queste
anime in tutte le loro sfumature e peculiarità.
Settembre 1943: fare di necessità virtù
Di fronte alla impellente necessità di riorganizzare lo Stato ed un
simulacro di esercito, senza i quali non avrebbero avuto senso il
concetto di Patria ed il Fascismo stesso, Mussolini si era quindi
trovato costretto a chiamare a raccolta quanti, fascisti o meno che
fossero, si rendessero disponibili a portare il loro contributo alla
ricostruzione della Patria devastata dalle armate straniere e dal
tradimento badogliano.
La scelta repubblicana e la necessità di
trovare un correttivo alla esperienza negativa delle “nomine dall’alto”,
inoltre, aveva anche indotto a tollerare alcune personalità e
schieramenti politici e culturali “afascisti”, purchè si riconoscessero
nel trinomio Italia, Repubblica, Socializzazione. Così come il doveroso
imperativo di continuare a combattere al fianco dell’alleato tedesco,
per l’onore e la bandiera, vide anche lo splendido fenomeno
combattentistico di organismi militari particolari, quali la X Mas il
cui comandante, il principe Valerio Borghese, con doti militari di
coraggio e fascino non comuni, rappresentò un fenomeno a sé stante; che
non può però essere confuso con il Fascismo, essendo espressione di una
tradizione militare italiana che aveva così deciso di continuare il
combattimento; ma lo stesso comandante era, sostanzialmente, il
rappresentante di una certa aristocrazia conservatrice aliena dai valori
rivoluzionari e sociali che il Fascismo incarnava.*
• Nel 1959
Valerio Borghese fu espulso dalla FNCRSI avendo egli sponsorizzato un
candidato del MSI alle elezioni, contrariamente alla politica del non
voto della Federazione.
Sul Foglio di Orientamento della Fncrsi
marzo 2000, firmato Comitato Direttivo Fncrsi, si parlò di quella
pagliacciata che è passata alla storia come Golpe Borghese, e
riferendosi a Valerio Borghese si aggiunse:
<< Sulle capacità
di J. V. Borghese in campo navale, nulla quaestio, ma non su altri campi
(non s’improvvisa dall’oggi al domani un comandante di G.U.);
nondimeno, egli ebbe il privilegio di disporre di un eccellente S. M.,
dei migliori ufficiali del disciolto R. E. e di un’ottima truppa
composta esclusivamente di volontari.
Tuttavia, sin dalla fine del
’43, Borghese divenne preda degli emissari dell’ammiraglio badogliano De
Courten, tanto che il colonnello F. Albonetti (prefetto di palazzo a
Villa Feltrinelli fino alla destituzione di Renato Ricci da Comandante
generale della G.N.R.), dopo averlo più volte catturato, paventò
seriamente di doverlo fucilare, ma Mussolini si limitò a farlo
sorvegliare, al fine di valersene come fonte di notizie riguardanti il
Governo del Sud. Comunque, che egli abbia collaborato con i «servizi»
angloamericani durante e dopo la RSI, è un fatto storicamente
certo>>.
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In pratica, dovendo fare di necessità virtù, vennero dal Duce, in quel
tragico momento, anteposti gli interessi della Nazione a quelli della
fazione (il Fascismo).
Il punto debole di tutta questa
impalcatura eterogenea, con forti connotati di carattere emotivo, era
quello che essa si poteva reggere fin quando anche le condizioni
militari della guerra reggevano. Ma quando, con l’esaurirsi della
velleitaria controffensiva tedesca dell’inverno 1944 e lo spalancarsi
evidente del baratro della sconfitta il territorio repubblicano, che già
a giugno del ’44 aveva perduto Roma, cominciò ad essere invaso, la
massa di quegli “ottocentomila” prese a vacillare e molti, di fronte
alla imminente sconfitta, cominciarono a porsi il problema del “dopo”.
Il PFR bene o male tenne magnificamente, così come tennero fino
all’ultimo alcune strutture militari autonome (la “Muti”), ma il grosso
dei partecipanti alla repubblica entrarono seriamente in crisi. Tra
questi, varie personalità di ogni genere e spesso di alto livello
sociale, che avevano dato il loro pur valido contributo alla RSI o
altri, magari fascisti sui generis o addirittura neppure fascisti (i
cosiddetti “moderati”), o ancora molti ufficiali e sotto ufficiali delle
FF.AA repubblicane, sovente tutta gente con una mentalità più che altro
prevalentemente anticomunista, nazionalista e comunque di cultura
occidentale, erano già mentalmente predisposti a riciclarsi nel
dopoguerra magari sulla sponda dell’anticomunismo, nella speranza che, a
guerra finita, potesse esserci una spaccatura tra Alleati e Unione
Sovietica; seppellendo ovviamente le istanze rivoluzionarie del
Fascismo.
Non è un mistero - ed il valente storico Giuseppe
Parlato lo ha dimostrato con evidenti documentazioni - che i “contatti”
con l’Oss americano e ufficiali o elementi della RSI cominciarono a
verificarsi già molto prima del 25 aprile 1945. *
• Giuseppe
Parlato: Fascisti senza Mussolini - Le origini del neofascismo in Italia
1943-1948, Ed. Il Mulino. Con la sua ricerca il prof. Parlato ha
finalmente riportato quello che da sempre si sapeva, ovvero come gli
americani, anche attraverso l’OSS (il predecessore della CIA),
arruolarono, per i loro scopi e interessi, ufficiali e sotto ufficiali
(in particolare nella X MAS), reclutandoli tra i reduci della RSI e
favorirono, al contempo, il neofascismo italiano. A ruota, aggiungiamo
noi, si portarono su quella sponda ex gerarchi e gerarchetti,
giornalisti e manovalanza varia. Alcuni di costoro, nel dopoguerra si
resero disponibili a sostenere la causa della nascita dello stato di
Israele.
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Le
ricerche storiche ci consentono oggi di confermare quanto già all’epoca
molti avevano intuito: il Fascismo cadde, e cadde male, il 26 aprile
1945 in Como, dove per la loro scelleratezza e per la loro già ricordata
predisposizione mentale, i comandanti fascisti - defluiti all’alba del
26 aprile da Milano - arrivarono in armi a Como dove finirono per
sottoscrivere una vergognosa tregua, in realtà una vera e propria resa.
Erano arrivati a Como di prima mattina, ma non trovandovi Mussolini che
si era, prima dell’alba, spostato circa 30 Km più avanti a Menaggio,
invece di proseguire, senza neppure spegnere i motori - come osservò
Bruno Spampanato nel suo “Contromemoriale” - si fermarono ad attendere, a
discutere, ad avere approcci con un ectoplasma del CLN che si aggirava
attorno alla Prefettura, dove le autorità della RSI erano da tempo
intente a trovare una scappatoia indolore per il trapasso dei poteri.
Poi arrivarono anche un paio di emissari degli americani (Guastoni e
Dessì) e lo sbraco fu totale. Avvenne così che con il passare delle ore
una forza in armi di circa quattromila fascisti si squagliò come neve al
sole.
Erano le conseguenze di una mentalità non in linea con
l’ultima strategia di Mussolini, che stava sganciandosi dalle località
dove potevano arrivare gli Alleati al fine di restare libero e poter
contrattare una resa dignitosa, utile per la nazione ed a salvaguardia
delle vite dei fascisti; anche in virtù di certe compromettenti
(soprattutto per i britannici) documentazioni che portava con sé.
In quest’ottica il Duce aveva inteso l’ultimo ridotto in Valtellina, e
anche quando si rese conto che, per la defezione dei tedeschi e per le
quasi nulle opere di fortificazione - promesse ma non realizzate in
Valtellina -, la strenua e simbolica difesa era impossibile, ugualmente
intendeva recarsi in zona e raggiungere gli estremi confini, nell’ottica
di una sua strategia “temporizzatrice” e di sganciamento.
Ma
alcuni comandanti fascisti erano già mentalmente oltre, il loro
desiderio era quello di arrendersi al più presto agli Alleati.
E fu
quello che si concretizzò in Como, lasciando praticamente Mussolini
solo, ovvero senza scorta armata, in Menaggio, costringendolo a
muoversi mettendosi nelle mani dei tedeschi,traditori per finire
catturato da uno sparuto gruppetto di partigiani ai quali, a Dongo,
venne praticamente consegnato dai tedeschi.
E’ pur vero che le
contingenze del momento determinavano e consentivano approcci del
genere, ma quando queste “collusioni” andavano ben oltre certe
intenzioni e necessità, si evidenziava chiaramente una predisposizione
mentale al passaggio nello schieramento occidentale. Un trasbordo
ideale, prima ancora che materiale che, con l’Italia occupata dagli
eserciti Alleati e con la scusa dell’anticomunismo, sia che ci si
considerasse fascisti che afascisti, rappresentava un doppio tradimento:
tradimento ideale, perché seppure tra vari tentennamenti e
opportunismi, l’ideologia e la geopolitica di Mussolini aveva sempre
mantenuto una evidente costante di continuità su alcuni presupposti
essenziali tra i quali la proposizione di un modello di Stato in cui
l’etica e la politica erano prevalenti sugli aspetti economici e
finanziari (questo l’alta finanza non glielo aveva mai perdonato!) e
quindi nettamente in contrasto con ogni forma statale e istituzionale a
base liberista occidentale;
ma anche tradimento effettivo, perché se
è pur vero che dal momento dell’assunzione del potere (1922) e fino al
suo ultimo giorno nella RSI Mussolini, quale capo di uno Stato sovrano e
relativamente indipendente, anche se negli ultimi giorni ridotto
militarmente a misera cosa, poteva pur intraprendere iniziative per
accordi ed alleanze internazionali di qualunque genere egli ritenesse
opportuno per gli interessi della Nazione, dal momento esatto in cui,
con la sconfitta, si concretizzava l’occupazione Alleata, con il nostro
paese brutalmente colonizzato e subordinato militarmente, economicamente
e soprattutto culturalmente agli Stati Uniti d’America, ogni forma di
collaborazione con gli occupanti (il futuro atlantismo) rappresentava un
tradimento vero e proprio della Patria.
Era chiaro quindi che la
famosa contingenza di anteporre la Nazione alla fazione (il Fascismo),
non poteva più valere di fronte ad una Italia post ciellenista e
occupata dallo straniero.
Comunque la si voglia rigirare è indubbio
che per i fascisti, dopo la inevitabile sconfitta dell’aprile del ’45,
si prospettava un solo atteggiamento coerente con i postulati della
RSI e gli ideali del Fascismo repubblicano: operare, nella nuova realtà
del dopoguerra, dove il Fascismo sarebbe stato bandito dal consesso
politico e civile, qualunque veste si fosse giocoforza assunta, a difesa
delle conquiste economiche e sociali già attuate dalla RSI,
impegnandosi quindi nella lotta a tutto campo contro ogni restaurazione
monarchica e liberista e soprattutto contro l’occupante, in tutti i
sensi, americano.
Questa l’indicazione politica, magari
comprensiva anche di una lotta militare clandestina contro l’occupante,
scaturita dal convegno di Maderno del 3 aprile 1945 del Direttorio del
PFR, presieduto da Pavolini, ma anche il desiderio, rimasto
irrealizzato, di Mussolini di lasciare le conquiste sociali della RSI
alle componenti socialiste della resistenza.
Di fronte a questa
prospettiva, ogni diatriba interna ai fascisti, quelli tendenzialmente
di destra o tendenzialmente di sinistra, avrebbe dovuto essere
definitivamente superata.
E questo perché, al di là delle scelte
politiche, pur sempre opinabili o comunque condizionate da atteggiamenti
tattici di diversa opportunità, i fascisti usciti in qualche modo dalla
tragedia della sconfitta avevano un sacrosanto dovere, di fronte al
quale nulla poteva essere opposto, né aggirato con pseudo formulazioni
tattiche o necessità contingenti di lotta ad un presunto (e strumentale)
“pericolo bolscevico”: i fascisti, di qualunque tendenza fossero stati,
avrebbero dovuto lottare, a tutto campo, con tutte le loro forze ed il
loro impegno, per una prospettiva di indipendenza della patria, occupata
militarmente e stravolta economicamente e culturalmente dalla
colonizzazione americana.
Quindi la vera opposizione alla NATO,
considerando quella comunista una opposizione strumentale subordinata
alla dipendenza da Mosca, avrebbero dovuto farla prioritariamente i
fascisti ed i reduci della RSI i quali, tra l’altro, avevano un bagaglio
ideologico, storico e spirituale da opporre alle nefaste conseguenze
del cosiddetto “mondo libero” incarnato nella way of life americana.
Ogni fascista, che dietro qualsiasi motivazione o pseudo necessità
tattica fosse entrato in connubio con l’Oss americano, poi CIA, e avesse
accettato di entrare in determinate e famigerate strutture coperte,
preposte a quella guerra non ortodossa come, ad esempio, le strutture
della GLADIO, avrebbe dovuto essere tacciato di tradimento e trattato di
conseguenza!
Sarebbe oltretutto bastato un semplice ragionamento
politico ed un minimo di esperienza storica per capire che la
contrapposizione USA – URSS della guerra fredda era solo una
contrapposizione di livello tattico, non strategico, ovvero la necessità
di mantenere, negli accordi stabiliti a Yalta, i limiti assegnati nella
spartizione dell’Europa.
Il vero contenuto di Yalta era la
cooperazione tra le due superpotenze che aveva consentito di dividere
popoli, governi e schieramenti politici dell’Europa in attivisti della
NATO o partigiani del patto di Varsavia, insomma tra scemi & più
scemi, imbalsamando sotto un tallone di ferro tutta l’Europa.
Anzi, se un espediente tattico doveva esserci, esso era quello di
inserirsi nelle contraddizioni di Yalta appoggiandosi, fin dove
possibile, alle inevitabili spinte dinamiche della geopolitica sovietica
per tentare di scardinare l’occupazione americana nel nostro paese.
La lotta dei fascisti italiani per l’indipendenza del paese dal
colonialismo americano si sarebbe dovuta riallacciare, per simpatia e
per rapporti di interscambio, con le altre lotte di liberazione dagli
yankee in atto nel mondo, lotte che di li a pochi anni si verificarono
nella Cuba di Castro e Guevara, in Vietnam e altrove.*
* A
testimonianza della posizione della FNCRSI, circa la guerra nel Vietnam
(così come anche l’appoggio dato alla lotta dei popoli arabi), mentre
tutto l’ambiente neofascista parteggiava per gli yankee e favoleggiava
inesistenti centurioni e hollywoodiani Berretti Verdi, ecco cosa scrisse
il Bollettino della FNCRSI nel suo N. 4 del febbraio 1968, dopo aver
fatto una analisi dell’aggressione americana al Vietnam, riportava:
“Così stando le cose, noi combattenti della, «guerra del sangue contro
l'oro» non possiamo che essere vicini a coloro i quali in qualsiasi
parte dei mondo difendono in armi la patria dallo straniero”.
In un
altro Bollettino della FNCRSI (il N. 15/16 dell’ottobre 1971) si
precisava: “Per contrastare le nostre tesi taluno elaborò la curiosa
teoria detta dei "centurioni". Usciti vittoriosi dal Vietnam e passati
sotto gli archi di trionfo allestiti dalla destra americana, questi
novelli centurioni, si sarebbero impadroniti degli USA e avrebbero mosso
subito guerra all'URSS ed alla Cina. Il disegno di certe organizzazioni
(il cui asservimento a qualche ambiente dello
S.M. fu
evidentissimo) prevedeva che le truppe ausiliarie della NATO (paras,
corsi di ardimento, ecc.) si sarebbero coperte di gloria nelle varie
fronti all'unico scopo di meglio consolidare il dominio ebraico-yankee
sul mondo. Senonchè, nonostante le abbondanti libagioni di droga per
vincere il terrore dei Viet-cong, i centurioni incominciarono a vedere
abbastanza chiaro...”.
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E questo non certo per una condivisione ideologica delle analisi
marxiste; ideologia che, a ben guardare, in quei paesi non era altro che
una nomenklatura, una opportunità dell’epoca; in definitiva il
comunismo, utopia al di fuori della portata umana, poco c’entrava con
quelle lotte rivoluzionarie.
La stessa Russa sovietica non era
altro che una abbrutita dittatura di Stato, che prima o poi sarebbe
implosa su sé stessa; era una enorme nazione che praticava un certo tipo
di “colonialismo”, teso non ad esportare un ipotetico comunismo, ma a
controllare e sfruttare le aree sottoposte alla sua influenza in base
agli accordi di Yalta.
Stante la collocazione dell’Italia, posta
sotto il tallone dell’imperialismo americano, occorreva fare di
necessità virtù, cercando tutti i punti di contatto con la politica
sovietica e proponendo al contempo, sul piano delle idee, quelle
soluzioni sociali che il Fascismo aveva intuito da anni. Proprio il
Fascismo era quindi in grado di scegliere le proprie alleanze senza
sconfinare in infatuazioni ideologiche e simpatie morali, ma allo scopo
di subordinarle semplicemente agli interessi della propria patria e alla
lotta di liberazione del nostro popolo.
Ma tutto ciò si è fatto in modo che non accadesse.
Lo spostamento a destra e su sponde atlantiche dei fascisti repubblicani
Oggi ciò che un tempo affermavano i fascisti repubblicani della
Fncrsi e che allora poteva sembrare esagerato, ossia un vero e proprio
tradimento finalizzato a spostare su sponde reazionarie e filo
occidentali la pur variegata massa dei fascisti, viene in genere
accettato da una storiografia obiettiva.
In sintesi, si ritiene
che in un periodo di sbandamento e di evidenti difficoltà, come fu per i
superstiti fascisti il primo dopoguerra, approfittando della
composizione eterogenea dei reduci della RSI, dietro una sottile
strategia massonica, sotto l’egida del Viminale democristiano, benedetto
da Washington e dal Vaticano e con l’apporto di alcuni traditori ideali
del Fascismo repubblicano ed altri persino mai stati aderenti alla RSI,
si riuscì a condizionare la nascita del Movimento Sociale Italiano, il
partito nato nel 1946 anche dallo sforzo generoso di tanti camerati che
volevano riprendere uno spazio politico per il Fascismo in Italia.
Nell’atto di nascita di quel partito si sovrapposero determinate forze
e conventicole, dotate di adeguati mezzi, che sempre più ne stravolsero
la politica e gli intenti ideali fino a farlo ben presto diventare
tristemente noto come l’incarnazione forcaiola del destrismo italiano,
ultra atlantico, conservatore e reazionario oltre ogni dire, ruota di
scorta per i momenti di difficoltà della politica parlamentare della
Democrazia Cristiana.
Anzi si tende oggi a supporre, seppur è
difficile provarlo con adeguati documenti (ma i fatti parlano chiaro),
che il MSI venne opportunamente creato proprio per adempiere a questi
scellerati fini (si veda a questo proposito l’articolo del ricercatore
storico Franco Morini “Nome MSI – paternità SIM” pubblicato su Aurora N.
44 novembre-dicembre 1997).
E’ inutile ricordare un penoso
cammino fatto di inganni, di strumentali contrapposizioni, di favolette
per imbecilli (come quella che non ci si poteva sedere a sinistra nel
parlamento perché lì c’erano gli assassini dei camerati… come se a
destra ci fossero gli amici!), mentre anni dopo un certo Caradonna
confidò
candidamente che il metodo migliore per portare i fascisti
dalla parte dell’atlantismo e dell’anticomunismo viscerale era stato
quello di farli scontrare il più possibile con i “rossi”.
Per non
ricordare l’utilizzo di ex (ma veramente ex!) ufficiali della RSI,
impiegati per gli interessi dell’Oss; o gli apporti che furono dati
persino in favore della nascita dello stato di Israele, se è vero, come
sembra, che dal destrismo furono persino forniti gli esplosivi alle
bande sioniste - per gli attentati che dovevano forzare la nascita dello
stato israeliano - e ufficiali di marina per l’addestramento di
sabotatori sionisti. Senza dimenticare molti elementi, da tempo emersi,
che indicano persino un certo ruolo, di fatto confacente alle sporche
operazioni paramafiose e americane nella Sicilia del dopoguerra.
E’ meglio stendere un velo pietoso.
In sostanza l’operazione di trasbordo sulle sponde della reazione,
che venne da subito attuata non appena finita la guerra, ed in cui si
tuffarono un po’ tutti - anche perché c’era da spartirsi le briciole di
qualche fetta di seggi parlamentari o negli enti locali -, fu quella di
snaturare il Fascismo repubblicano socializzatore e soprattutto di
convincere i reduci della RSI, che avevano combattuto la guerra “del
sangue contro l’oro” a schierarsi, “per difendere l’Italia dai rossi”
sulla ignobile (e contraria agli interessi nazionali!) sponda atlantista
dell’Occidente e in supporto del neonato esercito post badogliano
democratico e antifascista.
Ed è chiaro che si ritrovarono, in
questo calderone del destrismo nazionale che andava così formandosi,
uomini e forze uscite dal magma qualunquista, gli pseudi fascisti
borghesi del ventennio cui abbiamo precedentemente accennato e che ben
si erano guardati dal partecipare alla RSI, addirittura i
venticinqueluglisti e gli ex monarchici, oltre ai partecipanti
“moderati” o “afascisti” della RSI ai quali non pareva vero, dietro il
dispiegarsi della guerra fredda, di attuare il loro desiderio degli
ultimi tempi di guerra: riciclarsi come anticomunisti!
Tutti
amalgamati sotto la pretestuosa scelta fuorviante del famoso e subdolo:
“non rinnegare, non restaurare”, un’esca missista buona per tutti gli
usi.
In realtà il Fascismo di Mussolini, repubblicano e
socializzatore lo si era rinnegato senza indugi, ed una mano la si era
data senza eccessive esitazioni per restaurare in Italia la monarchia -
fin quando ha potuto tenere (2 giugno 1946) -, il liberismo
ipercapitalista e la forma mentale più deleteria del Fascismo del
ventennio: borghese, bigotto e qualunquista.
E questo andazzo da
parte di vari personaggi che reggevano le fila del neofascismo, orfano
di Mussolini, era cominciato da subito, anche con quello così detto
clandestino (i FAR, ecc.), cioè prima che nascesse il MSI che poi se ne
assunse il ruolo e la strategia politica.
E pensare che già dal
primo dopoguerra anche Togliatti aveva cercato di catturare i reduci
della RSI e ancora oggi la collezione di “Candido”, il giornale di G.
Guareschi con le sue vignette e i suoi trafiletti, ci attesta questo
fenomeno; indice evidente di uno strato di ex repubblicani sensibili a
perpetuare il discorso sociale della RSI. Ma la manovra intercettatrice
dei comunisti rimase minimale, mentre quella destrista in pochi anni
risultò pienamente riuscita.
Un doveroso distinguo
Storicamente non sarebbe giusto giudicare drasticamente, con gli occhi
di oggi e con la conoscenza storica dei decenni seguenti, i rischi, le
scelte e l’impegno di tanti camerati che tra la fine del 1945 e il 1947
diedero vita o parteciparono ad una ripresa del fenomeno neofascista e
poi al MSI.
In effetti le intenzioni subdole e mistificatorie che
dovevano portare quel partito su determinate posizioni, stravolgendo e
rinnegando tutto il patrimonio storico della RSI, erano soprattutto
nell’animo e nella mente di coloro che agirono in questa maniera e non è
poi così importante andare a stabilire se questo avvenne perché ci
furono uomini manovrati e collusi con le centrali occidentali e
massoniche - e quindi dietro interessi inconfessabili - o perché costoro
erano comunque già predisposti, per mentalità ideologica e politica di
destra, a percorrere quella strada
che allora, venne asserito, fu
ritenuta una opportunità tattica per riprendere, in qualche modo,
l’attività politica del neofascismo.
Quando in futuro si
apriranno gli archivi statunitensi e vaticani potremo conoscere la
verità, ma già oggi, come dimostrato da vari ricercatori storici, certi
“contatti” con le centrali dell’Oss e le forze conservatrici della
Nazione sono stati ampiamente accertati.
In ogni caso, godendo di
adeguati mezzi ed “appoggi”, furono proprio un pugno di imbonitori e di
traditori ideali del Fascismo repubblicano che tennero le redini o
comunque vennero opportunamente fatti assurgere alle cariche direttive
di quel partito, in modo da guidarlo nei porti del destrismo nazionale.
Ma tutti gli altri, la gran massa dei reduci repubblicani e dei
giovanissimi, seppur animati da convinzioni politiche ed ideologiche
alquanto difformi, da spinte ideali di varia natura, non possono essere
liquidati, con il loro generoso prodigarsi per la ripresa del fenomeno
fascista in Italia, in un giudizio tanto drastico e negativo.
I
partecipanti alla nascita ed ai primi anni di vita politica del Msi
erano un composto alquanto eterogeneo, come eterogeneo e con tutte le
sue diverse anime era stato il Fascismo sotto la guida di Mussolini.
Il fatto è che agendo su queste diversità si fece in modo di isolare
e di snaturare la componente dei fascisti repubblicani, quella che
spesso viene grossolanamente definita “di sinistra”, per privilegiare ed
incanalare il MSI sulle sponde del destrismo e del filo atlantismo.
Ecco come il prof. Manlio Sargenti, tra i fondatori del MSI
milanese, rispondendo alle domande di A. Fontana, direttore della
rivista “Italia Tricolore” descrisse con molta efficacia quei momenti e
quelle scelte:
D: “Quali furono le motivazione che la spinsero alla scelta del MSI?”
R: < Movimento, a scegliere questa alternativa nonostante il pericolo a cui si andava incontro>>.
D: “Che posizione ebbe Lei quando il MSI aderì alla NATO?”
R: <<... io fui della corrente che si oppose per i motivi che ora
soprattutto si rivelano determinanti; perché la NATO si è sempre più
rivelata lo strumento della supremazia americana e del controllo
dell’America sulla politica dei paesi che vi hanno aderito. Lo spirito
del MSI fu perduto nel momento in cui il Movimento votò a favore
dell’adesione alla NATO>> *.
* Vedi Italia Tricolore N. 8, Maggio 2008.
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In verità, almeno per le sue linee politiche e programmatiche,
dettate dai suoi dirigenti, lo spirito del MSI, nel senso della vera
continuità della politica del Fascismo repubblicano era già perso fin
dal momento della sua fondazione (26 dicembre 1946) perché, di fatto,
l’operazione che aveva condizionato la sua nascita proprio a questo
mirava.
Non è un caso che nell’autunno del 1947 il MSI partecipò
per la prima volta alle elezioni amministrative che si tennero a Roma
con una propria lista. Giovandosi anche della crisi che oramai aveva
investito il movimento qualunquista, il MSI raggiunse quasi il 4
percento dei voti e 3 seggi al Comune. Ebbene questi seggi furono
determinanti per la creazione della giunta di centro destra (41 a
favore, 39 contro) del democristiano Rebecchini!
Era quindi
iniziato, da subito, quel penoso cammino dell’apparentamento con i
conservatori, i liberali, i monarchici, i democristiani di destra, in
funzione di ruota di scorta o di supporto alla Democrazia Cristiana.
Funzione di sostegno e di salvataggio nei momenti di crisi politica,
richiesta e in qualche modo ricompensata, ma non gradita e comunque
trattata come la mano tesa dell’appestato, perché agli occhi
dell’opinione pubblica il MSI veniva fatto apparire come il partito del
neofascismo.
E questa contraddizione, questa mistificazione, che
portava gli antifascisti a inquadrare e definire il partito, che di
fatto era il più distante dal Fascismo, come la tentata ricostituzione
di un partito fascista, a chiederne addirittura lo scioglimento,
quando invece
avrebbero dovuto, come poi in effetti sottobanco
facevano, cullarlo, coccolarlo e proteggerlo per il loro interesse
nell’agitare un antifascismo di maniera, un pericolo fascista
inesistente e di averlo all’opposizione relegato in una nicchia
reazionaria e priva di prospettive.
La contraddizione evidente di
sbandierare un pericolo fascista in un “qualcosa” che fascista non era
se non nella riproposizione insulsa e nostalgica e con il passere degli
anni sempre più sfumata di qualche icona, di qualche “saluto al Duce” e
superficialità del genere, ha cristallizzato l’immagine falsa di questo
Movimento che agli occhi dell’opinione pubblica cercava di apparire come
un partito democratico della destra nazionale, mentre invece alla sua
base faceva intendere di essere il continuatore del Fascismo, sia pure
di un Fascismo, per esigenze tattiche, in “doppio petto”.
Non
solo fuorvianti e strumentali erano le richieste dell’antifascismo
parlamentare nel voler chiedere lo scioglimento del MSI, ma addirittura
erano funzionali proprio alla salvaguardia di quel partito tanto utile
un po’ a tutti.
E’ inutile continuare a tracciare la storia di
questo partito che comunque riuscì a manovrare e gestire una non
indifferente massa del popolo italiano, quella qualunquista,
conservatrice, di destra, seppur con sfumature e tendenze di altra
natura.
Le due vere anime di questo partito, nella loro apparente
contrapposizione, furono quelle di Pino Romualdi e di Giorgio
Almirante. Due anime che, a guardar bene, erano sempre state idealmente
fuori dal Fascismo repubblicano (già al convegno di Maderno, dell’aprile
’45, prima richiamato, Romualdi, pur vicesegretario del Pfr, uomo che
poi si rivelò di destra e di ideologia occidentale, si era dichiarato
contrario a quelle linee programmatiche indicate per il dopoguerra).
Romualdi quindi incarnava la componente di destra di questo partito,
mentre Almirante, che neppure aveva seguito il suo ministro Mezzasoma
nel suo ultimo viaggio, con le sue doti istrioniche aveva cercato di
manovrare l’altra, quella cosiddetta “sociale”.
Al primo si
può forse concedere l’attenuante di una sua convinzione ideologica e
politica su quelle posizioni, che fin dal primo dopoguerra, nella sua
clandestinità operò per spostare a destra e in senso occidentale la
massa dei reduci della RSI; al secondo neppure quell’attenuante, perché
la sua apparente collocazione su posizioni “sociali”, che all’interno
del partito lo portavano ad essere il leader delle componenti
socializzatrici o comunque “meno di destra”, erano sempre puntualmente
tradite con l’accordo dell’ultimo minuto con la direzione “liberale” di
Arturo Michelini che, di fatto, controllava le casse e le strutture del
partito: così al congresso di Milano del 1956, così a quello di Pescara
del 1965 fino a quando, divenuto finalmente segretario del partito nel
1968, gettò definitivamente la maschera “sociale” trasformando il
partito nella peggior Destra qualunquista e forcaiola che mai si era
vista in Italia.
Tutto questo andazzo, questo interpretare una
specie di Fascismo, proprio come lo vedevano e desideravano che fosse
gli antifascisti, finì, con gli anni, per realizzare una vera e proprio
mutazione antropologica del “neofascista”, conformandolo ai dettami
della conservazione, della reazione e delle più bieche specifiche del
destrismo
In ogni caso, a partire dal dopoguerra, a latere di
questo partito, sorsero anche vari gruppi e movimenti politici,
estremamente minoritari, che di fatto ne fecero la ruota di scorta,
perché al di là di una certa impostazione extraparlamentare, non erano
altro che il “MSI fuori dal MSI”, ma soprattutto agirono anche svariati
personaggi che le cronache giudiziarie dei decenni successivi ci hanno
mostrati, per quel periodo infame della strategia della tensione, essere
in servizio permanente effettivo del SID e/o degli Affari Riservati,
intelligence con le quali erano intimamente collusi.
E furono
anche queste collusioni e strumentalizzazioni a trascinare quasi tutto
un ambiente umano, oramai allo sbando e disorientato, nel più gretto e
sciocco servilismo all’atlantismo.
Ma questo è niente a confronto di
quello che accadrà alla fine degli anni ‘60, perché quando in Italia
occorse mantenere certe collocazioni NATO del nostro paese, i servizi
d’oltreoceano non si fecero scrupoli a far esplodere bombe e innescare
provocazioni di ogni tipo, trascinando nel fango per prima cosa i loro
principali servi sciocchi, che poi nel giro di qualche anno vennero
anche scaricati e lasciati andare in galera o sbattuti nelle pagine di
cronaca nera.
La vera trasformazione del nostro paese,
culturale, sociale e istituzionale, infatti, passate le strette
contingenze e necessità internazionali, doveva gradualmente avvenire in
senso progressista e neo radicale, non conservatore!
E i
“reazionari”, sbattuti come mostri sulle pagine della cronaca nera
dovevano, con la loro immagine, contribuire indirettamente a questo
spostamento politico e culturale del paese.
Le “bombe”, usciti
dalla contingenza della crisi mediorientale (guerra arabo – israeliana
del giugno 1967 e quella del 1973 e conseguenti crisi internazionali)
che aveva determinato la necessità, costi quel che costi, di tenere il
nostro paese saldamente ancorato alla collocazione NATO (1964 – 1973
“destabilizzare per stabilizzare”), in conseguenza dell’ipotetico
pericolo che questa collocazione potesse essere messa in discussione
dalla presenza del più forte partito comunista d’Europa o dalle
iniziative imprevedibili dei governi di centro sinistra (già nei primi
anni ’60 si era dovuto ricorrere all’assassinio per bloccare le
iniziative economiche, ma con pesanti risvolti di politica
internazionale, di Enrico Mattei) dovevano quindi continuare ad
esplodere, anche in seguito, in modo da scatenare la caccia al
“bombarolo nero” e consentire uno spostamento progressista della nazione
che agevolasse al contempo l’”occidentalizzazione” dello stesso partito
comunista. Tutti eventi puntualmente verificatisi.
Accadde così
che venute meno le strumentali accuse agli anarchici per piazza Fontana,
in piena strategia della tensione, dopo la strage di Brescia e poi
quella dell’Italicus (agosto 1974), mezzo milione di persone
manifestarono in tutto il paese, persino nelle località balneari, contro
quelli che nell’immaginario collettivo erano stati fatti passare come
gli “attentati fascisti”.
Da quel momento la parola “Fascismo” divenne un luogo comune, sinonimo di bombarolo, macelleria cilena, reggicoda degli USA.
Mass media e magistratura si “inventarono” persino l’esistenza di
una “eversione nera”, quando era noto a tutti che i neofascisti, tranne
che negli slogan, (salvo rare eccezioni ininfluenti) non avevano mai
praticato alcuna lotta al sistema, ma erano sempre stati controllati,
se non al servizio degli apparati di sicurezza (per non parlare di
iscrizioni o frequentazioni di mafie, ‘ndrine o Logge massoniche) per
svolgere opera di provocazione o per coadiuvarli nella repressione del
comunismo.
Ed i responsabili diretti, indiretti o semplicemente
coinvolti in quelle strategie infami, che avevano contribuito a
consolidare queste ignobili equazioni, non potranno e non dovranno
mai essere perdonati da coloro che hanno combattuto la “guerra del
sangue contro l’oro”.
Non è infatti importante, né interessa
appurare se pseudo neofascisti di ogni sfumatura abbiano avuto le mani
sporche di sangue in funzione degli interessi statunitensi, o fossero
solo stati utilizzati per contorno alle stragi o semplicemente messi in
mezzo come utili idioti “USA e getta”, perché il risultato storico non
cambia di molto.
Le pagliacciate che si ebbero in ipotetici e
speranzosi golpe alla “vogliamo i colonnelli”, i tanti raduni e comitati
tricolore, la costituzione di Fronti e nuclei per la difesa dello
Stato, gli appelli alle cosiddette forze sane, ecc., hanno tutti fatto
parte di un film già scritto il cui degno finale è stata la liquidazione
non certo gloriosa di tutto un ambiente da tempo degenerato.
In
termini di neofascismo, quello che oggi in Italia ci ritroviamo è quello
che ieri è stato seminato, o che “qualcuno” ha contribuito a
determinare.
Non possiamo infatti ignorare che anche in Italia,
culla del Fascismo, siano da tempo presenti strani “aggregati” (non
vogliamo neppure chiamarli “gruppi” o “schieramenti”) che si rifanno, in
modo totalmente stravolto e mistificatorio, al Fascismo e ne
ripropongono demenzialmente simboli, slogan ed emblemi tra l’altro fuori
da ogni logica e dal tempo.
A questo si accompagnano, spesso,
fatti delinquenziali e cruenti, sotto gli emblemi di un razzismo rozzo o
banalmente xenofobo che finiscono per ottenere risultati diametralmente
opposti a quelli che si attestano, tanto da far ingenerare il sospetto
che proprio questa sia la vera funzione di queste manifestazioni.
Per chi è conscio delle conseguenze che abbiamo sempre subito a causa
dell’occupazione statunitense, del collocamento nella NATO e della
introduzione nel nostro paese della way of life americana, per chi
conosce il grande inganno che fu perpetrato ai danni dei reduci della
RSI e in particolare dei fascisti repubblicani quando, ancor prima della
fine della guerra, si cercò di portare quelle energie e quelle
esperienze su posizioni filo atlantiche e strumentalmente anticomuniste,
per chi comprende cause e conseguenze di quel periodo che vide
all’opera la precedente richiamata strategia della tensione, con i
tanti strani personaggi risultati poi collusi con gli Affari Riservati
e/o con il Sid (se non direttamente con la CIA), non è difficile intuire
una continuità operativa tra il vecchio anticomunismo viscerale, ormai
inservibile ed il nuovo pseudo razzismo a tutto campo.
Non è un
caso che l’ex colonnello Amos Spiazzi, già a suo tempo inquisito (ma
forse più che altro usato come capro espiatorio) per i fatti relativi
alla Rosa dei Venti e al cosiddetto Golpe Borghese, in un
libro-intervista con il giornalista Sandro Neri ("Segreti di Stato" per i
tipi della Aliberti), abbia ancora oggi evidenziato:
<> (Vedi la Newletter di
Storia in Rete di marzo 2008).
Ma l’osservazione e la conoscenza
di tutto questo non è neppure sufficiente per inquadrare quanto accade
in svariati paesi dell’occidente (il fenomeno, infatti, è comune a tutto
l’occidente) ed in particolare in Italia. Forse occorre anche
affrontare l’argomento da un punto di vista più introspettivo ed oserei
dire esistenziale. In una società priva di valori, dell’etica e del
senso dello Stato, com’è quella moderna, consumista e democratica, la
gioventù allo sbando e in cerca di sensazioni (specialmente quella con
impulsi delinquenziali e a volte purtroppo anche quella, che in tal modo
viene deviata, con attitudini di lotta), è attratta da simboli, forme
ed atteggiamenti trasgressivi, anche repellenti: anzi, più questi
simboli sono paventati e demonizzati dalla società e più essi
costituiscono un elemento di attrazione, da far proprio: per
distinguersi, per aggredire, spaventare i cosiddetti “borghesi”.
Insomma, contare qualcosa, sentirsi qualcuno nel branco e nascosti
dietro una simbologia comunemente fuori legge o ritenuta aberrante.
Negli anni ’50 un timido fenomeno trasgressivo erano i cosiddetti
teddy boys, ma da allora se ne è fatta di strada, oggi si ostenta
qualcosa di più truce, come per esempio il satanismo o, purtroppo, anche
la simbologia spregiativamente definita “nazifascista”.
Si da il
caso, infatti, che tutta una filmografia hollywoodiana, tutta una
pubblicistica antifascista, dalla Resistenza all’olocausto, ha descritto
il Nazionalsocialismo soprattutto, ma anche il Fascismo, come un
aggregato di maniaci, di psicopatici, di criminali, di delinquenti
assetati di sangue e così via. Anche l’industria dei fumetti ha
freudianamente ritagliato sulla tipologia del nazista un misto di sesso
perverso e criminalità.
Non erano altro che i vecchi contenuti
della guerra psicologica degli Alleati, divenuti col tempo e col
diffondersi della letteratura, del cinema e della televisione, un luogo
comune, una immagine indotta e fatta propria dall’inconscio collettivo.
Orbene, svariati gruppi cosiddetti “neonazisti” europei ed americani
(sic!), spesso creati a bella posta dalle centrali occidentali
“recitano”, di fronte all’opinione pubblica, questa miserabile parodia
del Fascismo, facendo addirittura propri slogan, atteggiamenti e modelli
che l’antifascismo aveva, a suo tempo, disegnato proprio per denigrare
il fascista.
Ecco, allora, che oggi ci ritroviamo bandiere e
simboli, bagnati dal sangue di centinaia di migliaia di caduti,
squalificati e riportati con scritte demenziali sui muri delle strade,
mostrati negli stadi di calcio, utilizzati nelle imprese da cronaca
nera, ostentati da tanti delinquenti e prezzolati che ne sono attratti,
ma probabilmente anche manovrati dai soliti mascalzoni.
Se, con
pazienza, si fa una esplorazione in Internet, risulta facile imbattersi
in qualche sito, comprensivo di forum, dove se ne vedono e se ne leggono
delle belle: tra svastiche, croci celtiche e slogan in misto inglese
(“white power”), tedesco e italiano, estrapolati dalle mode
correnti, si possono trovare canzoncine e poesie di cattivo gusto,
offensive per gli ebrei ed inneggianti alle camere a gas.
Pensate
un po’ “chi” può rallegrarsene! A “chi” possono giovare! Tanto più che
non bisogna ignorare il fatto che negli Stati Uniti, per esempio, è
stato di recente provata l’origine a dir poco “spuria” di vari
dirigenti, anche massimi dirigenti, di organizzazioni ultra razziste e
di estrema destra. Come se al “sistema” facesse oltremodo comodo la
presenza di queste organizzazioni ed il loro gestire minoranze di
giovani da indirizzare e strumentalizzare su determinati temi e azioni.
In ogni caso è difficile stabilire se questa aberrazione faccia
parte di una degenerazione becera e demenziale dei soggetti in questione
o sia invece l’opera di qualche “addetto ai lavori” appositamente
impiegato in queste nefandezze (forse un po’ tutte e due le cose, visto
che una volta “dato il via”, la demenzialità prosegue anche da sola).
A parte il buon gusto, infatti, queste esternazioni vanno ad
esclusivo vantaggio di chi si vorrebbe (falsamente) colpire in quanto:
1. guarda caso, con questi insulti, si fa propria la storiografia
dell’olocausto e la verità sulle camere a gas, la cui macabra
esaltazione indirettamente le va a convalidare e contribuisce a
veicolarne la versione storica. E questo mentre coraggiosi storici
e ricercatori, a rischio della propria libertà, provano a dimostrare la falsità della versione olocaustica.
2. si consente, per l’emozione suscitata, dietro episodi esecrabili o
scritti deliranti, di incrementare e far passare con naturalezza la
società multi razziale, come nel desiderio delle centrali mondialiste,
ed allo stesso tempo contribuire a suscitare l’odio verso l’Islam
ritenuto un ostacolo, soprattutto culturale, per il mondialismo.
3. si offre al sistema un’arma preziosissima per colpevolizzare e
mostrificare il dissenso scatenando, quando lo ritiene opportuno, una
repressione generalizzata verso chi, anche con altri e più seri
argomenti, porta avanti tesi revisioniste della storia e/o critiche al
mondialismo ed al sionismo.
La conseguenza immediata è infatti il varo di leggi liberticide articolate dietro la scusa di reprimere l’odio razziale.
Anche contro questa tendenza, di cui già dalla fine degli anni ’60
si cominciava ad intravedere e ad intuire le finalità, la Federazione
Nazionale Combattenti della RSI ha sempre combattuto cercando, con i
suoi uomini e il loro insegnamento di vita e con i suoi fogli di
orientamento politico e dottrinale, di opporsi alla degenerazione umana
di tutto un ambiente storico. E forse oggi possiamo dire che il Fascismo
ha avuto la sua vera testimonianza umana, ideale e dottrinale, proprio e
soprattutto nei camerati della FNCRSI.
Ma siamo andati troppo
avanti, dovremo tornare agli anni del dopoguerra quando, a poco a poco,
il grande inganno in cui stavano per essere coinvolti i fascisti ed i
combattenti repubblicani, dapprima subdolo e difficilmente avvertibile
(se presi dalle contingenze del tempo) diveniva sempre più evidente.