ALEPPO / I CANNONI DELL' INFERNO
AVV. EDOARDO LONGO
Intervista a
padre Georges Abou Khazen, di Davide Malacaria
Ormai il 60% della
popolazione ha abbandonato Aleppo, la città siriana che sta diventando il
simbolo di questa guerra che dura tempo e che molti si ostinano a chiamare
civile, ma che di civile non ha nulla. Simbolo perché la presenza cristiana è
più numerosa che altrove in Siria, anche se ora è ridotta a un piccolo gregge.
E perché ormai da anni resta in un tragico stallo che vede metà città occupata
dai tagliagole anti-Assad che rendono impossibile la vita nei quartieri non
occupati. I cosiddetti ribelli vi imperversano con bombardamenti continui,
giorno e notte, e nei mesi scorsi hanno tagliato per ben due volte le tubature
che rifornivano di acqua l’intera popolazione civile. Il vescovo di Aleppo,
padre Georges Abou Khazen, racconta di quei giorni, quando flussi continui di
gente si affollavano presso le fontane edificate vicino a chiese e moschee per
tentare di limitare i danni di quell’atto terroristico che ha prostrato la
città. Una penuria di acqua che ancora continua, nonostante il ripristino della
rete idrica, aumentando i disagi di una popolazione stremata dai bombardamenti
continui.
È a Roma il vescovo … E
lo incontriamo alla Delegazione di Terra Santa, sua dimora provvisoria prima di
tornare alla sua città che da poco, rivela, sta conoscendo un nuovo orrore: i
cannoni dell’inferno, come gli jihadisti chiamano il loro ultimo ritrovato
balistico. Si tratta di bombole di gas che i cosiddetti ribelli anti-Assad
lanciano a grande distanza e fanno esplodere contro civili inermi, spesso
modificati applicando sulla bomba artigianale pezzi si ferro e altro che,
nell’esplosione, spandono all’intorno schegge, aumentandone la portata letale.
Una sorta di bombe a frammentazione fatte in casa, vietate dalle convenzioni
internazionali. Bombole di gas che probabilmente arrivano in Siria sotto forma
di aiuti umanitari alla popolazione…
Inoltre, prosegue il
presule, i miliziani hanno iniziato a usare i tunnel sotterranei che partono
dalla cittadella, l’antica fortezza di Aleppo, per raggiungere le varie zone
della città: in particolare per piazzare i loro ordigni esplosivi sotto gli
edifici storici; ormai il suk, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco,
è un cumulo di macerie.
A monsignore chiediamo
dell’Isis, che incombe a 20 chilometri da Aleppo. «Ora si parla tanto di Isis –
risponde – e americani e altri vogliono intervenire per fermarlo. Ma temo che
si stia ripetendo un tragico errore: ogni volta che gli americani sono
intervenuti militarmente in una regione hanno solo alimentato il caos e le
divisioni. A proposito di questo Isis c’è poi da ricordare che Hillary Clinton
di recente ha detto che gli Usa si trovano a combattere ciò che hanno creato
loro stessi. Già perché l’Isis fu creato per andare contro Assad… ».
Non che non serva
intervenire, specifica monsignore, ma per fermare questo mostro serve ben altro
che le bombe: «Anzitutto occorre fermare i finanziamenti e il flusso di armi
verso questi miliziani: hanno armi sofisticatissime, chi gliele dà?». Gli diciamo
che sui giornali italiani scrivono che questi armamenti sono stati saccheggiati
dall’Isis all’esercito iracheno. Sorride ironico: vero in parte, spiega, e in
parte no. «Poi bisogna smettere di comprare il petrolio dall’Isis», continua.
Anche qui accenniamo a quanto riferiscono i giornali, secondo i quali sarebbe
venduto ad Assad e agli iracheni. Sorride di nuovo: «Lo comprano le grandi
compagnie petrolifere, a dieci dollari al barile invece che a cento…», afferma
con sicurezza, come di cosa che in Siria sanno anche i sassi.
E invece continuano a
rullare i tamburi di guerra. «Un intervento militare – prosegue il presule –
aumenterà la destabilizzazione e renderà ancora più difficile la convivenza tra
islamici e cristiani. E dire che questa è andata avanti per secoli, nonostante
episodi critici. La Siria era esemplare in questo: c’era convivenza,
pluralismo, rispetto. Una caratteristica che ancora dura, anche sotto le bombe
cristiani e musulmani si sostengono a vicenda, si aiutano come possono. Questo
anche perché per secoli il punto di riferimento degli islamici è stata
l’Università di Al Azar, al Cairo, che propugnava un islam moderato. Oggi si
sta diffondendo un islam più intransigente, quello wahabita dell’Arabia
Saudita: i miliziani apportatori di morte e distruzione vengono da queste
scuole, sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria,
quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E
istituiscono i loro tribunali. Sono cose ignote all’islam della regione. E dire
che l’Arabia Saudita sembra sia l’asse portante dell’alleanza che si sta
formando contro l’Isis… ». Chiosa monsignore. Lo incalziamo, spiegando che in
Occidente si pensa che siamo di fronte a una guerra tra islam e cristianesimo.
Non è così, ripete: gli jihadisti ammazzano anche gli islamici che non la
pensano come loro, buttano giù le loro moschee. Non è così, ripete.
Gli Stati Uniti, oltre
a programmare l’intervento militare, hanno deciso di armare i ribelli moderati
siriani. Chiediamo a monsignore cosa ne pensa di questa decisione. «Moderati? E
quali sono? Ce lo dicano, noi in Siria non ne vediamo. Tutto il mondo ora parla
dell’Isis, ma tutti i gruppi armati che stanno insanguinando la Siria fanno
barbarie simili a quelle dell’Isis. Un tempo c’erano anche siriani tra i
cosiddetti ribelli, ma oggi l’80% di questi sono stranieri. Non ci sono
moderati in Siria. Tra l’altro lo stesso Obama ha detto solo un mese fa che
parlare di ribelli moderati in Siria è solo “fantasia”… non ne verrà nulla di
buono da questa decisione. Sono armi che vanno in mano a terroristi, ad Al
Qaeda». Tra l’altro racconta dei tanti siriani che sono fuoriusciti dalle fila
dei ribelli per tornare con Damasco. Un fenomeno carsico che ha interessato
centinaia, se non migliaia di persone, del quale l’Occidente ignora
l’esistenza.
Nessun commento:
Posta un commento