Mussolini non pensò mai di fuggire QUELL’AEREO PER LA SPAGNA...
Marino Viganò
Furono in molti negli ultimi mesi della RSI, a studiare il modo per
portare il Duce in salvo. Ma Mussolini rifiutò piani e progetti e
respinse, senza discutere, persino le sollecitazioni del figlio
Vittorio.
Trascritto dal Cyberamanuense Fabrizio.
Milano, 30 aprile 1945, Istituto di medicina legale “Vittorio
Emanuele III”. Il dottor Pierluigi Cova, anatomopatologo, compila con
scrupolo il verbale di autopsia della salma di Benito Mussolini, che sta
eseguendo assieme al professor Caio Mario Cattabeni. Durante la
ricognizione, ecco saltar fuori un documento sorprendente:
Nella tasca posteriore dei pantaloni si rinviene una busta gialla
intestata al “Fascio Repubblicano Sociale di Dongo” senza indirizzo, che
contiene un foglio di carta da lettera intestato al Consolato Spagnolo
di Milano: il foglio, non sdrucito, porta la data del 14 settembre 1944
ed è scritto a macchina con caratteri scuri, in lingua spagnola: nel
complesso sono circa quattro o cinque righe: metà di una di queste porta
scritti in matita, con i caratteri della calligrafia spagnola, i nomi
di due coniugi “Isabella y Alonso” (segue il cognome che non ricordo).
In calce alla lettera, all'angolo superiore destro su tre righe, è
scritto con calligrafia minuta, a matita “a macchina in rosso, in
inchiostro rosso, poi cancellare”. Il testo della lettera non è
ricordato, ma il suo tenore è questo: Si pregano le autorità spagnole di
accogliere i Signori (i nomi sono sopracitati) profughi della guerra
attuale e cittadini spagnoli che vogliono rientrare in patria. Firmato
è, con firma ben chiara, il nome del Con¬ sole Spagnolo a Milano. La
lettera viene consegnata al generale medico partigiano perché la
depositi alla sede del Comitato nazionale centrale di Liberazione. Tra
noi presenti nella Sala Anatomica ci si pone la soluzione del problema
riguardante la lettera ritrovata: è una lettera troppo poco sgualcita
per essere dello scorso anno: indubbiamente è retrodatata al settembre
del 1944 ma è assai recente e i nomi dei personaggi sopra indicati sono i
falsi nomi sotto i quali dovevano celarsi Benito Mussolini e Claretta
Petacci: i nomi scritti in matita, avrebbero dovuto a suo tempo, secondo
le indicazioni date in calce al foglio, essere ricalcati con inchiostro
rosso (1) .
Reso noto per la prima volta nel settembre del '94 questo verbale,
solo in parte influenzato da emozioni del momento, ma nella sostanza
ineccepibile nella sua distaccata cronaca dell'evento, ha dato il via al
consueto carosello di voci e illazioni giornalistiche sulla pretesa
“fuga” in Spagna “organizzata” da Mussolini attraverso il consolato
spagnolo a Milano, compiacente fornitore dei documenti.
I viaggi di Marcello
Così sotto la solita dicitura “Rivelazioni”, ambiziosa almeno quanto
poco documentata, nell'intervista a Cova si legge: “Secondo me era
stato retrodatato e doveva servire a Mussolini e alla Petacci per
passare dalla Svizzera in Spagna, dove avrebbero trovato protezione.
C'era ancora Franco al potere, sicuramente li avrebbe aiutati".
L'ipotesi coincide con alcune circostanze storicamente appurate: anche
il fratello della Petacci, Marcello, fermato nelle stesse ore nel
Comasco, aveva con sé falsi documenti rilasciati dalla rappresentanza
diplomatica spagnola, ma che non gli evitarono di essere smascherato e
ucciso” (2).
Solo questo particolare, in effetti, è autentico. Marcello Petacci
entra in Svizzera il 20 aprile '45 da Agra, nel Luinese, con la
convivente Zita Ritossa e i due figli, munito di due passaporti spagnoli
con nomi fasulli (3). Inviato a Bellinzona per accertamenti, si rifiuta
di sottostare alle norme per i richiedenti l'asilo ed esige di essere
riaccompagnato alla frontiera. Rientra quindi in Italia dal valico di
Pallone sopra Luino con i familiari il 23 aprile, lasciando dietro di sé
una scia di illazioni sulla vera identità dei componenti il quartetto
di sedicenti “spagnoli”.
Il colonnello svizzero Antonio Bolzani, del comando territoriale 9b
del Canton Ticino, scriverà difatti nel suo libro di ricordi del
servizio attivo, pubblicato nel 1946, che sull'identità del “Castillo”
non era stato possibile “fare un preciso accertamento”, nonostante i
giornali ticinesi avessero ipotizzato trattarsi di Vittorio Mussolini e
famiglia:
"La famiglia Castillo, composta del padre, Don Giovanni
Castillo-Munoz di Giuseppe nato il 3.10.12, commerciante, della madre
Maria Castillo-Munoz nata Gonzales y Moreno (14) e dei figli Pietro (39)
e Ferdinando (41) comparve sul nostro orizzonte pacifico e neutrale il
20.4.45 e si adagiò con numerosissimo bagaglio a Cassinone di Sessa poco
dopo le ore 05.00.Secondo il capo dei Castillo il passaggio clandestino
dall’Italia in territorio di Sessa sarebbe avvenuto coll'aiuto di
alcuni passatori e portatori ai quali è stato pagato il compenso di un
milione di lire. I Castillo non caddero subito nelle mani delle guardie
di confine o della polizia, ma, trasportati alla chetichella a Lugano,
godettero di qualche interessata protezione e soltanto il giorno 21.4.45
sull'annottare com¬ parvero alla Casa d'Italia di Bellinzona. Qui il
Don Giovanni Castillo, che aveva un piccolo pizzo al mento e l'aria
discretamente fanfarona, si proclamò cittadino spagnolo, esibendo fior
di passaporto rilasciato dal Consolato di Spagna a Milano e dimostrò di
essere assillato dalla necessità inderogabile di trasferirsi in Spagna.
Però quando ebbe sentore del vento sospettoso e infido che aleggiava
intorno a lui capì che non sarebbe stato trattenuto, sollevò obiezioni
sulla meschinità dei pagliericci in grembo ai quali avrebbe dovuto
riposare la spagnolesca sua maestà e far adagiare la moglie schizzinosa e
i due bambini irrequietissimi, che toccavano tutto, anche i fucili
mitragliatori della guardia, e chiese - lui che aveva pagato un milione
di sia pure lire italiane, per venir qui - di poter ritornare in Italia.
Non ce lo lasciammo chiedere una seconda volta e tutti i
Castillo-Munoz-Gonzales y Moreno furono riaccompagnati a Cassinone di
Sessa nella notte del 23.4.45 e respinti in Italia (4).
In realtà i partigiani di Dongo avevano identificato già il 28
aprile '45 il personaggio per la “superspia” Marcello Petacci, fratello
di Clara (5). Il sedicente “Molano” o “Castillo” infatti rientrato a
Milano, accodatosi il 26 alla colonna Mussolini in ritirata sul Lario,
presenta anche a quei partigiani gli stessi passaporti spagnoli con nomi
falsi. Scambiato ancora per “Vittorio Mussolini”, viene infine
riconosciuto e fucilato con la sua vera identità assieme ai più alti
gerarchi della R.S.I. (6).
Ma è pensabile che Mussolini abbia bisogno come i Petacci di
passaporti, sia pure falsificati, per tentare un espatrio in Spagna? La
sua fisionomia sarebbe forse così comune da poter essere nascosta sotto
un nome fasullo? Oppure le autorità spagnole avrebbero necessità di
rilasciare documenti contraffatti per consentirgli l'ingresso nel paese?
Ipotesi del tutto ridicole. A questo si aggiunga il ritrovamento dei
documenti in una busta intestata al “fascio repubblicano” di Dongo: il
che significa una loro manipolazione dopo la cattura. Per una volta
tanto, anche lo “storico” Silvio Bertoldi azzecca la conclusione più
corretta sulla faccenda:
Un salvacondotto spagnolo in tasca a Mussolini? È una novità.
Ritengo più probabile che a utilizzarlo dovessero essere Claretta e il
fratello. Mussolini voleva che tutta la famiglia Petacci riparasse in
Spagna, ma Claretta rifiutò, come noto, per restargli vicina. Non volle
imbarcarsi sull'aereo in partenza da Ghedi e lo raggiunse a Menaggio.
Forse aveva lei, inizialmente, in tasca quel salvacondotto. E nella
notte che passarono insieme, dopo essere stati catturati dai partigiani,
Claretta passò il documento a Mussolini (7).
Insomma, alcuni dei documenti rilasciati a Marcello o a Clara
Petacci, sequestrati a Dongo, inseriti nella prima busta capitata
sottomano, devono esser finiti poi in tasca a Mussolini. Si tratta forse
degli stessi passaporti concessi ai Petacci e ad altri del loro clan
già nell'estate del '44, ricordati dal con¬ sole generale di Spagna a
Milano, Fernando Canthal y Giron, dopo l'udienza a Gargnano dell'8
luglio (8). O di altri, rilasciati più tardi, quando il 22 aprile del
'45 l'imbarazzante famiglia si dirige verso la Spagna.
La questione passaporti sembra dunque chiara.
Ciò non toglie che diversi gerarchi, tenuto conto della piega presa
dalla guerra si siano dati davvero da fare tra la fine del '43 e gli
inizi del '45 per trovare una via di scampo a Mussolini. Tra queste vie,
preferita è appunto quella della Spagna, paese ritenuto amico, oltre
che "a portata d'aereo": diverse commissioni si occupano della questione
e redigono relazioni, alcune delle quali sottoposte a Mussolini.
Una delle prime conferme delle varie iniziative - oltretutto nemmeno
fra loro collegate - per tentare di mettere in salvo Mussolini suo
malgrado e nei modi più fantasiosi, si ha del '50 dalle memorie di
Antonio Bonino, vicesegretario del P.F.R. per la sede di Maderno
dall'ottobre '44 all'aprile '45, uscite a Buenos Aires sotto forma di
libro e a Milano in versione condensata come serie di articoli (9).
Bonino ideatore di un paio di quei progetti di salvataggio, afferma
di aver saputo in visita di congedo da Guido Buffarini Guidi, appena
sostituito quale ministro degli Interni (21 febbraio '45), che anch'egli
ne era al corrente. Anzi, che Buffarini aveva a sua volta preparato
qualcosa del genere con l'aiuto del capo di gabinetto Eugenio Apollonio
(arrestato dai tedeschi e deportato a Dachau quel giorno stesso per
rappresaglia al licenziamento di Buffarini Guidi) (10).
Il "piano Tamburini"
"Mi colpì la sua conoscenza di particolari da me ritenuti riservati
alle persone strettamente interessate; infatti stavo in quei giorni
predisponendo alcune iniziative per salvare il duce nel caso di un
disastro. Avevo preso contatti colla medaglia d'oro Enzo Grossi, con
Apollonio funzionario del ministero dell'Interno; col direttore dell'Ala
d'Italia e col console Casalinuovo. Era stata prevista la possibilità
di un imbarco a Genova su un sottomarino di cui Enzo Grossi avrebbe
preso il Comando; si era predisposto un apparecchio a lunga autonomia
del tipo che aveva eseguita la crociera Roma-Tokio; un ufficiale della
Decima Mas avrebbe preso il comando di un piccolo sottomarino a Trieste
ed il colonnello di aviazione Casalinuovo, cugino del console
Casalinuovo, era pronto a paracadutarsi nella conca della costa jonica
per accogliere, col sottomarino in attesa a Trieste lo sbarco del duce,
qualora a suo tempo fosse stata scelta questa decisione. Infine
Apollonio, funzionario del ministero degli Interni, aveva rintracciate
due ville che davano l'assoluta garanzia di poter occultare il duce per
un lungo periodo di tempo e mi doveva accompagnare a visitarle, quando
improvvisamente venne arrestato dai tedeschi. Nel colloquio con
Buffarini appresi, non senza stupore, che egli era a conoscenza
dell'iniziativa Apollonio. Mi espresse infatti il suo rammarico per
l'avvenuto arresto che mi veniva a porre nell'impossibilità di
effettuare la già predisposta visita alle due ville, visita
preventivamente stabilita con Apollonio per il giorno successivo a
quello in cui venne arrestato. Confermò che il duce non intendeva
lasciar muovere alcun passo per la propria salvezza in caso di disastro;
si disse però felice di incoraggiare qualsiasi tentativo in materia,
anche in contrasto colla volontà dell'interessato. Probabilmente era
anche a conoscenza di tutto il complesso delle iniziative da me prese,
ma non ne fece cenno. Io, nel timore volesse indagare su questi da me
considerati segreti e come tali scrupolosamente rispettati, mi chiusi
nel più impenetrabile mutismo (11)".
Esiste poi una versione resa in terza persona sempre nel '50 a
Ermanno Amicucci da Tullio Tamburini, capo della Polizia della R.S.I.
dall'ottobre '43 al giugno '44, che fa risalire la sua personale
iniziativa di salvataggio addirittura “alla fine di dicembre del 1943 o
ai primi di gennaio del 1944”, cioè con largo anticipo sui rovesci
militari per un preciso motivo: “la preparazione di esso richiedeva un
lungo periodo di tempo, soprattutto nei riguardi della salvezza del
duce, dovendosi predisporne tempestivamente i mezzi idonei”. Mussolini
però avrebbe respinto l'offerta di Tamburini, secondo il suo racconto,
già nella primavera del '44:
Il piano "sommergibile"
"Tamburini, che era stato a lungo prefetto di Trieste, conosceva
assai bene Augusto Cosulich, l'amministratore dei cantieri dell'Alto
Adriatico di Monfalcone dove si fabbricavano non soltanto navi e
sommergibili, ma anche aeroplani. Lo fece venire a Maderno e gli disse
di aver bisogno urgente per i suoi servizi di polizia di un aeroplano e
di un sottomarino di lunga autonomia. Cosulich rispose che nei cantieri
esistevano ancora quattro apparecchi “Cant Z”, danneggiati da un
bombardamento: uno tuttavia avrebbe potuto essere riparato con una certa
sollecitudine e messo in condizioni di servire. Avrebbe avuto
un'autonomia di cinque o seimila chilometri, portando non più di dieci o
dodici persone. Tamburini gli chiese che vi fosse costruita una cabina
con aria condizionata per l'eventualità che dovesse trasportare una
persona ammalata di cuore (come egli era). Per il sottomarino, Cosulich
disse che era pronto a costruirlo e che gli avrebbe potuto fornire
presto un preventivo. Occorrevano tuttavia sei mesi, e bisognava stare
attenti che i tedeschi, i quali controllavano i cantieri, non se ne
impossessassero appena pronto. Il sommergibile avrebbe potuto avere
un'autonomia di un centinaio di giorni di navigazione subacquea, più del
doppio in emersione, ed avrebbe avuto una stazza di 120 tonnellate
[...]. Il comandante Enzo Grossi, interpellato in via riservata da
Tamburini, si offerse di guidare il sommergibile e di scegliere
l'equipaggio. Per l'aeroplano lo stesso Mussolini avrebbe dovuto
scegliere piloti e personale tecnico [...]. Gli equipaggi avrebbero
dovuto essere in tutto di una ventina di persone: quattordici per il
sommergibile, cinque per l'aeroplano. La spesa globale per condurre a
termine questo piano si sarebbe aggirata sui due o tre miliardi di lire,
che naturalmente, per buona parte occorreva convertire in valuta aurea o
pregiata [...]. Un giorno del marzo del 1944 Tamburini chiese
un'udienza speciale a Musso¬ lini per riferirgli intorno a cose di
grande importanza: avrebbe bisogno almeno di due ore di colloquio.
Mussolini lo ricevette una mattina alle sette concedendogli di
intrattenersi con lui fino alle nove.
Tamburini portò al duce carte geografiche, progetti, cifre, disegni e
gli espose il suo piano in ogni particolare [...]. Mussolini stette ad
ascoltarlo, fra l'interessato e il divertito [...]. Fatto sta che il
piano non lo mise di buon umore. Dopo aver accennato, con riso amaro, a
Verne e a Salgari, disse a Tamburini: “Queste faccende non rientrano fra
i vostri compiti. Non dovete più occuparvene. Ho il mio piano e
provvederò io al momento opportuno. Non me ne parlate mai più” (12)".
Nel '63 ne parla anche Enzo Grossi, ufficiale sommergibilista,
medaglia d'oro della R.S.I., comandante della base di “Betasom” a
Bordeaux fra il settembre '43 e l'aprile '44, poi della seconda
divisione di Fanteria di marina della Decima Mas dal gennaio '45. Non
soltanto conferma le dichiarazioni di Bonino e di Tam¬ burini, ma
precisa la data dell'ultimo colloquio sulla questione, avvenuto a
Gargnano nel febbraio del '45. Allora, secondo la sua testimonianza,
Mussolini avrebbe respinto di persona il salvataggio prospettatogli
ancora una volta:
"Qualche giorno dopo chiamò S.E. Tamburini e mi espose un suo piano
inteso a porre in salvo la vita del Duce, purché io potessi disporre di
un fidato equipaggio di sommergibile. Mi spiegò che con il beneplacito
dei Giapponesi sarebbe stato allestito un grosso sommergibile che al mio
comando doveva prendere il mare, al momento opportuno, con a bordo la
famiglia di Mussolini e i miei con¬ giunti. Tutto era stato previsto per
mantenere il segreto e per soddisfare le esigenze dei familiari
dell'equipaggio; durata prevista della missione: un anno. Mi impegnai in
senso affermativo. Tamburini si propose di parlarne a Mussolini.
Qualche giorno dopo lo stesso Tamburini mi comunicava che tutto era
andato a monte poiché il Duce si negava perentoriamente a quella che
considerava una fuga. In occasione di un colloquio che ebbi nel mese di
febbraio del 1945 Mussolini mi ringraziò per quanto ero disposto a fare e
mi disse: comprendo perfettamente quali sentimenti hanno indotto
Tamburini a progettare la nota missione sotto¬ marina e ringrazio anche
voi su cui potrei fare il massimo affidamento, ma io non ho nessun
interesse a vivere come un uomo qualunque” (13)".
La proposta "Niccolini"
Queste le iniziative della primavera-estate 1944. Un altro tentativo
sarebbe stato ideato - con meta la Penisola iberica - verso fine anno,
su proposta di Mario Niccolini, ispettore dei Fasci repubblicani in
Spagna fra l'aprile e il settembre '44, quindi segretario generale dei
Fasci all'estero e d'oltremare presso la Direzione nazionale del P.F.R.
sino al gennaio del '45. L'idea, anch'essa respinta o almeno non
considerata con sufficiente attenzione, sarebbe originata dalla
constatazione che il governo di Franco non avrebbe potuto garantire
l'asilo a Mussolini e ai suoi gerarchi, sia pure per un periodo
determinato di tempo, ma che un rifugio era possibile presso famiglie di
combattenti spagnoli della guerra '36-'39.
"Il governo spagnolo assolutamente no: Franco non avrebbe mai
permesso un passo del genere, perché Franco aveva svolto una politica
troppo realistica, era troppo “spagnolo” per compromettere il paese.
Però, io avevo sostenuto una tesi con Renato Ricci: sarebbe stato
possibile trovare un asilo provvisorio a Mussolini, ma fuori del
controllo del governo spagnolo. Sarebbe dovuto essere tra spagnoli,
siccome lo spagnolo è di temperamento molto generoso, molto impulsivo ed
ero sicuro che negli ambienti di coloro che avevano combattuto la
guerra civile si sarebbe trovato un rifugio con sufficiente facilità.
Ma, comunque, in contrasto con le autorità spagnole che, certamente,
ufficialmente non avrebbero mai acconsentito ad accogliere Mussolini.
Non sarebbe stato difficile. La Spagna è grande, non è sovrappopolata e
un rifugio si sarebbe trovato facilmente, se non in Spagna, in un'isola
spagnola fuori del continente. Questo è ciò che io avevo suggerito a
Renato Ricci: un trasporto aereo in Spagna e la ricerca, là, di un
rifugio temporaneo, salvo poi negoziare con gli Alleati o chi per essi.
Io ne parlai, appunto a Ricci ed egli prese in considerazione la
proposta, parlandone con Vittorio Mussolini che era ispettore dei Fasci
in Germania. Poi Ricci mi rispose: “Caro Niccolini, hanno detto che
provvederanno loro, che sono sicuri, che hanno già predisposto tutto,
che è già tutto previsto”. Questo è accaduto nel dicembre '44, prima di
Natale e dopo la famosa offensiva tedesca di von Rundstedt nelle
Ardenne, che abortì. Fu allora che mi resi conto che non c'era più nulla
da fare, che andai da Ricci e gli sottoposi quella proposta. Io avevo
pensato a due possibili soluzioni: un aereo o un sommergibile. La
proposta partì da me personalmente: io chiesi addirittura di andare a
parlarne personalmente in Spagna. Conoscevo l'ambiente spagnolo proprio
perché avevo partecipato alla guerra civile a fianco di truppe spagnole e
quindi avevo tanti amici, là: trovare appoggi non era difficile, anche
se non nel governo o fra le autorità. Si era prima del Natale del '44 e,
dopo due o tre settimane, Ricci mi diede una risposta negativa.
Mussolini e gli altri, infatti, contavano molto di poter organizzare il
“ridotto” in Valtellina (14)".
Sembra dunque che con gli inizi '45 tutte le proposte si siano
arenate. Viene invece allora studiato un altro piano, sempre con meta la
Spagna o le colonie spagnole in Atlantico. Ne parla oggi, per la prima
volta, Ugo Noceto, capitano dell'Aeronautica, sequestratario delle ditte
“Glaxo” e “Tiberghien” di Verona, amico di Vittorio Mussolini e di Orio
Ruberti della segreteria particolare del Duce, collaboratore di Piero
Cosmin, capo della provincia di Verona dal settembre '43 e di Venezia
dal maggio al luglio '44. La vicenda prende avvio il 15 febbraio '45:
"Troppe ambulanze"
“Il fatto più eclatante, che secondo me avrebbe potuto riuscire, è
avvenuto quando Piero Cosmin ha lasciato la prefettura di Venezia ed è
stato distaccato al ministero degli Interni. È andato ad abitare a Bodio
Lomnago, sul lago di Varese, nella grande villa di Piero Puricelli.
Ricordo ancora i due cani esquimesi della villa, perché da Milano ci
andavo quasi tutti i giorni, ci dormivo e parlavamo del più e del meno,
poi tornavo a Verona. Cosmin aveva la mia Lancia “Aprilia”, io ho avuto
una macchina destinata a re Boris di Bulgaria, fabbricata dalla
carrozzeria “Garavini”, che Cosmin mi ha fatto avere con dei permessi.
Dicevo di quel tentativo che, sono sicuro, sarebbe riuscito. Eravamo ai
primi del '45, Cosmin è stato chiamato da Buffarini Guidi: “Vieni domani
a Milano, in corso del Littorio 9 - era un rifugio segreto di Mussolini
- e porta anche il tuo amico aviatore”. Cioè, io. Ci siamo andati.
Buffarini Guidi ci dice: “Qui le cose si mettono male, oramai non c'è
più niente da fare e bisogna cercare di salvare Mussolini in qualche
modo. Lui non vuole, ma bisogna cercare in modo assoluto di salvarlo,
perché se Mussolini è in salvo, o in Spagna o in Argentina, può far del
bene all'Italia. Lui non vuole, ma volente o nolente bisogna portarlo
via. Guarda, qui ci sono degli indirizzi dove si può vedere di trovare
qualche cosa. L'unica soluzione è l'aereo, perché è troppo conosciuto”.
Cosmin ha risposto: “Va bene, ma bisogna che sia d'accordo anche
Vittorio”. E Buffarini: “Aspettate, che Vittorio viene subito”. Vittorio
è arrivato, ha detto senz'altro di si, ma ha ribadito: “Guardate che
però mio padre non vuole. Comunque, interessatevi”. Io avevo un po' di
pratica di aviazione e ho detto: “Nei campi dove si attivano i pochi
aeroplani italiani, ci sono anche i tedeschi. Anche a partire, hanno
un'autonomia di un'ora e sono aerei da guerra, un affaraccio”. Pensa che
ci ripensa, dico: “Lasciami tentare, Piero, vado io perché forse ho la
strada”. Quand'ero ufficiale di collegamento, avevo i campi di Novi
Ligure, Revaldigi, Sarzana, Genova-Lanterna e Villanova d'Albenga, e li
giravo sempre. Mi recavo di frequente anche all'Aeronautica “Piaggio” di
Finale Ligure e ho visto che avevano un idrovolante e un anfibio.
Collaudatore ufficiale della “Piaggio” era un mio grande amico Aldo
Moneti, ufficiale dell'Aeronautica là distaccato, oltre al Genio
aeronautico. Ho detto a Cosmin: “Lasciami andare a parlare con Moneti”.
Moneti mi ha portato dall’amministratore della “Piaggio”, e abbiamo
trovato il mezzo di portar via Mussolini. Forse un mezzo non bello, ma
che sicuramente sarebbe riuscito: un'aeroambulanza. Quanto
all'autonomia, ce n'erano pochi tipi, uno dei quali partiva da Finale,
faceva tutta la Sardegna e poi ritornava. Poteva portare tre persone e
l'attrezzatura, per cui levando quest'ultima Moneti - grande pilota, non
come me - era sicuro. Il progetto è: pigliamo quest'apparecchio
attrezzato, lo portiamo all’Aeronautica Macchi” di Venegono avvertendo
il capo della provincia di Varese, Enzo Savorgnan di Montaspro e lo
teniamo pronto. Moneti soggiorna a Bodio Lomnago, a villa Puricelli, e
al momento opportuno volente o nolente, prendiamo il duce e lo portiamo
via. Da Venegono andiamo a Villanova d'Albenga all'hangar, facciamo il
pieno di benzina, poi via verso l'isola di Gallinara, poi volo radente
con l'apparecchio leggero e l'emblema della Croce Rossa fino a Tolone.
Prima di Tolone - la parte più difficile, secondo Moneti - traversiamo
il golfo del Leone e andiamo o alle Baleari o alle Canarie. L'autonomia
c'era, a patto di non portare scarponi né altro che potesse diminuire la
velocità. Il golfo del Leone era molto pericoloso per il vento. Ho
battuto a macchina la relazione con disegni e piani. Telefoniamo a
Buffarini Guidi: “Bene! bene! Portali a corso del Littorio 9, a Milano”.
Ma ho l'impressione che Vittorio Mussolini non abbia mai avuto questa
mia relazione, perché ho portato io stesso questa relazione a Milano,
poi ho aspettato, ma non è successo niente. Da Finale, sempre
telefonate: “Cosa dobbiamo fare?”. Bisognava pagare l'aereo alla
“Piaggio” e un piccolo compenso a Moneti, con un soggiorno di almeno un
mese in Spagna perché l'aereo non sarebbe più ritornato. Dopo qualche
tempo, Cosmin mi dice: “Andiamo da Savorgnan”. Ci andiamo, telefoniamo
ma non riusciamo mai a trovare Buffarini Guidi. Poi finalmente parliamo
con gli Interni e ci dicono: “Complimenti per questo piano, ma teniamolo
in sospeso perché c'è un nuovo ministro, Paolo Zerbino, che ha l'idea
che tutto si può accomodare tramite il cardinale Schuster”. Cosmin,
testardo, dice: “lo non ci sto!”. Telefona, cerca di mettersi in
contatto con Vittorio Mussolini, ma non ci riesce: silenzio da tutte le
parti. Allora mi dice: “Vieni, Ugo, andiamo a Milano in corso del
Littorio 9, oppure direttamente a Gargnano a villa Orsoline. Qualcosa
facciamo: io ho una questione amministrativa da risolvere, tu devi avere
il rimborso delle tue spese”. Il mattino dopo lo raggiungo, facciamo
colazione, poi scendiamo. Cosmin accarezza i cani, si curva e lo vedo
stramazzare. Telefono a Savorgnan, lui è arrivato con un dottore:
“Niente da fare, tubercolosi galoppante. Bisogna trovare un posto di
ricovero”. I sanatori erano in località pericolose per via dei
partigiani, lui voleva stare vicino a noi, abbiamo fatto un po' di
prepotenza e l'abbiamo ricoverato alla clinica “La Quiete” di Varese.
Cosi, io che credevo di diventare un piccolo eroe, non ho potuto far
niente per Mussolini. Eppure, sono sicuro che il piano sarebbe riuscito,
anzitutto per l'abilità come pilota del capitano Aldo Moneti, e poi
perché l'aereo sarebbe passato inosservato: lui conosceva tutta la zona,
faceva tutta la costiera a volo radente e passava inosservato. Sarebbe
stato l'unico modo di metterlo in salvo, studiato da ingegneri
dell’Aeronautica. All'epoca c'era un asso di nome Francesco Lombardi,
abbiamo interessato anche lui, ed anche lui era d'accordo. Mussolini è
stato pri¬ gioniero fino all'ultimo, fin quando i tedeschi hanno levato
gli sbarramenti in riva al lago di Garda e le S.S. di guardia (15).
Forse Mussolini ne ha abbastanza di ambulanze, dopo l'indigestione
di trasferimenti con quel sistema nell'estate del '43. Ma è più
probabile che, come continuerà a ripetere, non intenda dissociarsi dalla
sorte degli altri fascisti che l'hanno seguito nell'avventura della
R.S.I.: ciò significherebbe un vergognoso abbandono di posto, un vero
tradimento della fiducia risposta in lui, il crollo definitivo anche del
“mito” Mussolini. Un destino sentito come peggiore della morte.
Difatti, quando ancora alla vigilia della fine il generale Ruggero
Bonomi, sottosegretario all'Aeronautica presso il ministero delle Forze
armate, gli prospetterà una via di salvezza presso la famiglia spagnola
della moglie del segretario particolare Luigi Gatti, ne riceverà un
ultimo e definitivo rifiuto:
"lo avevo fatto preparare da tempo un aeroplano su cui, nel più
stretto incognito, Mussolini avrebbe dovuto salire nei giorni
immediatamente precedenti il 25 aprile, per sottrarsi alla cattura da
parte dei partigiani e degli alleati. L'aeroplano era un
Savoia-Marchetti S 79, da me fatto trasferire segretamente presso il
campo di aviazione di Ghedi, in provincia di Brescia. Quel campo era
infatti uno dei pochi rimasti a disposizione della nostra aeronautica.
L'aereo recava a bordo un equipaggio particolarmente addestrato, deciso
nell'azione, avvertito dello scopo della missione e francamente votato a
condurla a compimento. Quanto alla destinazione, non avevo dubbi:
doveva trattarsi della Spagna, paese raggiungibile con poche ore di
volo, con una rotta che era quasi del tutto al di fuori dei controlli
nemici. Per di più la Spagna era governata da un uomo che doveva molto
al fascismo, che era mio personale amico e che manteneva nel conflitto
una posizione di neutralità in grazia della quale avrebbe potuto
accogliere un esule politico fuggiasco. In Spagna, era previsto,
Mussolini sarebbe stato accolto dai parenti della moglie di Gatti, suo
segretario particolare poi fucilato a Dongo, che era una spagnola. La
signora Gatti era stata da me messa al corrente di ogni cosa ed aveva
dato il suo pieno consenso. Nella peggiore delle ipotesi, se la
situazione internazionale di quei giorni avesse impedito a Franco di
compromettersi, conferendo asilo e protezione all'ospite, Mussolini
avrebbe potuto in un secondo tempo essere consegnato agli alleati,
sottraendolo però alla tragica fine di Giulino di Mezzegra. Per coprire
nel miglior modo possibile l'operazione, e dissipare ogni sospetto
tedesco, avevo provveduto a far iscrivere i membri dell'equipaggio
all'Aereo club di Ghedi come normali appassionati di volo, mentre erano
garantite ad ogni istante le scorte di carburante e la possibilità di
immediato decollo. La dimostrazione che il volo avrebbe avuto il cento
per cento di successo è data dai fatti. Quel volo ebbe luogo e
quell'apparecchio passò realmente e senza ostacoli in Spagna: fu esatta¬
mente il 22 aprile 1945.Sennonché non c'era Mussolini. Nella carlinga
dell'S. 79 sedevano quel giorno il professor Francesco Petacci, sua
moglie e sua figlia Miriam, la moglie dell'ambasciatore germanico a
Lisbona e l'avvocato Mancini, un amico dei Petacci che portava con sé
una documentazione dei crediti italiani nei riguardi della Spagna.
Atterrarono indenni a Barcellona, furono accolti nel paese come
profughi, ebbero salvezza e tranquillità. L'equipaggio venne internato
fino alla fine della guerra, l'aeroplano fu naturalmente sequestrato.
L'avventura si concluse senza risonanza di sorta. Quanto a Mussolini,
egli si rifiutò caparbiamente di lasciare l'Italia e di mettersi in
salvo. Mi espresse il suo rifiuto in forma categorica, quando mi recai
da lui per sollecitarlo a partire, con queste parole: “lo sono qui e
resterò qui fino in fondo. Che cosa volete che mi importi ormai, Bonomi,
di questa mia sporca pellaccia?”. Ripeto: avrebbe potuto salvarsi. Non
lo fece di proposito, e mi pare un sintomo della rassegnazione al
destino che molti avvertirono in lui negli ultimi giorni a Milano (16)".
Il figlio Vittorio ricorda
Di questa ostinazione a non voler partire per la Spagna nonostante
la praticabilità dell'offerta di Bonomi, il figlio Vittorio Mussolini ha
lasciato a sua volta testimonianza in un libro di memorie. L'offerta
sarebbe stata da lui rinnovata al padre il 25 aprile, nel primo
pomeriggio, alla vigilia del colloquio in arcivescovado con i membri del
C.L.N.A.I.:
"Il generale Bonomi, capo dell'aviazione repubblicana, mi aveva
confermato che sul campo di Ghedi, vicino a Brescia, c'erano ancora dei
trimotori “Savoia-Marchetti 79” in grado di prendere il volo. “Ieri ho
parlato con il generale Bonomi, a Ghedi ci sono due aerei pronti al
decollo... Si potrebbe raggiungere la Spagna, qui siamo alla fine...”.
Da molti giorni mio padre era stato, da ogni gerarca che lo avvicinava,
tempestato di progetti di fuga e salvezza. Buffarini Guidi, aveva in
mente l'uso di un sommergibile atlantico ancorato a Trieste. Renato
Ricci un volo verso la Sicilia su un piccolo aereo o un Mas. Ma
l'indifferenza di mio padre per qualsiasi piano di salvezza rasentava
ormai la più ottusa testardaggine. Già non rispondeva con ironia ma
duramente. Mi disse: “È questa di Bonomi la soluzione migliore per
risolvere la nostra situazione? E in quale gigantesco velivolo
infileresti tutti questi fascisti che sono qui al Nord attorno a me?”.
Riuscii a trovare ancor fiato per mormorare “Potremmo dirigerci in
Baviera, e continuare la lotta contro i russi...”. “Siamo alla fine,
anche per la Germania i giorni sono contati...Gli Dei se ne vanno”.
Provai ad insistere e ne ebbi una risposta dura: “Nessuno ti ha pregato
di interessarti della mia personale salvezza. Sono in attesa di alcune
risposte importanti dalle quali dipende la mia decisione finale” (17).
“Lui non vuole, ma bisogna cercare in modo assoluto di salvarlo”,
così avrebbe detto Buffarini Guidi a Cosmin e a Noceto nell'invitarli a
predisporre il loro progetto di salvataggio. Una conferma, oltre a molte
altre, che le iniziative sarebbero partite dall'entourage dei ministri e
dei gerarchi, mai su istanza di Mussolini stesso: che anzi avrebbe
respinto tutte le proposte arrivate al suo orecchio. È una precisazione
doverosa per chi ancora si ostina a propagandare la pretesa “fuga in
Spagna” o l'ancor più fantomatica “fuga in Svizzera” di Mussolini.
NOTE
1. Archivio del Civico Museo del Risorgimento e di Storia
contemporanea (Milano), doc. n. 49.883. Autopsia di Benito Mussolini,
eseguita dal dottor Pierluigi Cova, Milano, 30 aprile 1945, ora anche
in: P. Cova, Un medico nell'anno primo della liberazione. “Quella divisa
grigio-verde sporca di sangue”, in “Corriere della Sera” [Milano] CXIX,
sabato 24 settembre 1994, n. 227, p. 31.
2. E. Rosaspina, Benito e Claretta. Passaporto per la salvezza.
Salvacondotto spagnolo nelle tasche del Duce. Era intestato ad Alonso e
Isabella, in “Corriere della Sera” [Milano] CXIX, sabato 24 settembre
1994, n. 227, p. 31.
3. Si veda sull'“affair Petacci” la documentazione pubblicata da: M.
Viganò, “In transito per la Svizzera”. Militari e civili attraverso il
Varesotto verso la Confederazione (1943-45), in: Istituto varesino per
la storia dell’Italia contemporanea e del movimento di liberazione (a
cura di), Mezzo secolo fa. Guerra e Resistenza in provincia di Varese,
Milano, Angeli, 1995, pp. 129- 172, qui pp. 167-169.
4. A. Bolzani, Oltre la rete, Bellinzona, Istituto Editoriale
Ticinese Grassi e Co., 1946, e Varese, Società Editrice Internazionale,
1946, pp. 195-196.
5. Archivio privato Franco Giannantoni (Varese). Raccomandata alla Commissione Provinciale di Epurazione, Agra, 2 giugno 1945.
6. Scrive Urbano Lazzaro, vicecommissario politico della 52a brigata
Garibaldi di Dongo: “Lei è console spagnolo?”; “Si” risponde “e ho
molta fretta”. Parla un italiano puro. “Mi faccia vedere i suoi
documenti, per favore”. Parlo con voce sospettosa e imperativa. Voglio
vedere se la sua reazione, perché mi piace poco quest'individuo: ha
l'aria di uomo superiore che mi urta. Provo soddisfazione a fargli
sentire che mi deve ubbidire, anche se mi disprezza. “Li ho già fatti
vedere a cento persone!” protesta. “Li faccia vedere anche a me”. “Ma
capisce che ho molta fretta, io?”. “E io molta curiosità”. buffa. Estrae
da una tasca tre passaporti dalla copertina gialla. C'è stampato:
“Consulado Espanol en Milan” e lo stemma nazionale della Spagna. Un
passaporto è intestato a Don Juan Munez y Castillo, L'altro a sua moglie
e un terzo per marito, moglie e figli. Esamino attentamente i tre
passaporti e trovo il falso: nei due passaporti individuali tanto lui
che lei erano nati nel 1914, su quello abbinato invece lei risulta
essere nata nel 1912. Sulle fotografie inoltre è stampato un timbro a
olio e non a secco, come ritengo debba essere sui passaporti. “Questi
passaporti sono falsi e lei è in arresto!” dichiaro. Ha uno scatto
d'indignazione. La signora al suo fianco impallidisce; quella sul sedile
posteriore mi lancia uno sguardo d'implorazione”: U. Lazzaro, Il
compagno Bill. Diario dell'uomo che catturò Mussolini, Torino, S.E.I.
1989, pp. 129-130.
7. Rosaspina, Benito e Claretta. Passaporto per la salvezza, cit.
8. Si legge nel dispaccio a Madrid del console: “Per ultimo arriva
il vero motivo della mia chiamata. Mi dice il Duce: devo chiederle un
favore; alcuni giorni fa è partita per la Spagna una commissione
presieduta dal sig. Bianchi per risolvere questioni relative alla
cinematografia; non ho notizie se sono arrivati o se gli è accaduto
qualche incidente nel viaggio attraverso la Francia. Gradirei che si
interessasse se sono già entrati in Spagna. Effettivamente ho concesso
questi visti per un mese ai membri della commissione, per avermelo
chiesto con nota firmata e per telefono con la più grande insistenza il
sottosegretario del ministero della Cultura popolare, conte Manzoni
[...] Risulta che le due signore che figurano come spose dei detti
Bianchi e Mancini, non sono tali ma le famose sorelle Petacci, che han
preferito lasciare qui Mussolini. Vostra eccellenza ricorderà quanto si è
parlato delle relazioni illecite che questi teneva con queste due
sorelle intriganti e ambiziose e gli scandali ai quali ha dato luogo
questo fatto. Una indiscrezione della ragazza che le accompagna nel
viaggio mi ha aiutato a provarlo”: Personal y reservada, Milan, 8 de
Julio de 1944, in: A Zambarbieri, La repubblica di Salò e Mussolini
visti da un osservatore spagnolo, in “Humanitas” [Brescia] XXXVII
(1982), n. 2, pp. 288-294, qui p. 290 [mia traduzione dallo spagnolo], e
anche in: X Tusell - G. Garcia Queipo de Llano, Franco y Mussolini. La
politica espanola durante la segunda guerra mundial, Barcelona,
Editorial Planeta, 1985, p. 276.
9. Questa la versione sintetica pubblicata in Italia sempre nel '50:
“Che non ci fosse clima di trattative a Gargnano lo dimostrano anche le
preoccupazioni di una ristretta cerchia di persone, fra le quali io mi
trovavo, per avviare vari progetti diretti a salvare Mussolini.
Pavolini, Barracu, Apollonio, Lappo, Casalinuovo, la medaglia d'oro Enzo
Grossi e il sottoscritto sono stati i principali protagonisti di questi
progetti. Si era pensato in un primo tempo di portare Mussolini in
Spagna con un apparecchio dell'Ala Littoria. L'apparecchio era stato
anche trovato e non mancavano certo i piloti per effettuare il volo.
Naturalmente l'atterraggio sarebbe stato fatto in qualche punto isolato
della Spagna, d'accordo col governo di Franco e Mussolini sarebbe
“sparito" in qualche castello dell'interno. Si pensò che l'apparecchio
poteva essere intercettato, che un guasto improvviso avrebbe anche
provocato un atterraggio forzato in territorio nemico e si pensò allora
che il sottomarino avrebbe costituito un mezzo di trasporto più sicuro.
Ne vennero approntati due: uno a Genova e un altro a Venezia, il
comandante Grossi avrebbe pensato a mettere insieme un equipaggio
fidatissimo e garantiva in modo assoluto la certezza del successo.
Accennai questi progetti a Mussolini e li respinse sdegnosamente”: A.
Bonino, Mussolini da Gargnano a Dongo. Sperò di essere processato dai
nemici, in: “Tempo” [Milano] XII (1950), n. 12, pp. 16-17, qui p. 17.
10. Su questa intricata e a tratti indecifrabile vicenda: M. Viganò,
“La guerra fu vinta in Svizzera”. Un documento del Servizio
informazioni dell'Esercito elvetico sulla fine della R.S.I., in: “Italia
Contemporanea” [Milano] n. 199, giugno 1995, pp. 327-341.
11. A. Bonino, Mussolini mi ha detto, Buenos Aires, Edizioni del
“Risorgimento”, 1950, pp. 29-30, ora come: A. Bonino, Mussolini mi ha
detto. Memorie del vicesegretario del Partito fascista repubblicano
1944/1945 (riedizione critica a cura di Marino Viganò), Roma, Settimo
Sigillo, 1995 (in corso di stampa).
12. E. Amicucci, Mussolini respinse il piano di Tamburini, in: “Tempo” [Milano] XII (1950),n. 19,p.6.
13. E. Grossi, Dal “Barbarigo” a Dongo. Parte 13. Un sommergibile
per Mussolini, in: “Il Secolo d'Italia” [Roma] VII, sabato 25 gennaio
1958, n. 23.
14. Testimonianza all'autore di Mario Niccolini (n. Firenze 3014/1914), Milano, 8 aprile 1988.
15. Testimonianza all'autore di Ugo Noceto (n. Savona 10/4/1905), Milano, 2 giugno 1995.
16. S. Bertoldi, Parla Bonomi. Avevo preparato un aereo per la
salvezza del duce ma lui non ne volle sapere, in: “Oggi” [Milano] XVIII
(1962), n. 17, pp. 9-13, qui pp. 9-10, e: Id., La guerra parallela 8
settembre 1943 - 25 aprile 1945, Milano, SugarCo, 1963, pp. 60-62.
17. V. Mussolini, Il figlio del Duce racconta il “suo” venticinque
aprile di 44 anni fa. Mio padre mi diede il memorandum per evitare le
stragi del '45, in: “Controstoria” [Roma] I (1989), n. 2, pp. 5-12, qui
p. 11 conforme a quanto scritto già anni prima: “Mi feci animo e gli
parlai di un progetto che avevo sinora taciuto: “Papà, ieri sono stato a
parlare con il generale Bonomi. All'aeroporto di Ghedi ci sono ancora
alcuni 'S.M. 79' in grado di decollare. Potremmo raggiungere la Germania
o nel caso anche la Spagna. Prima di notte m'impegno a portarti sino a
Ghedi e partire. Piloti e benzina sono a disposizione, ma non bisogna
indugiare, perché gli angloamericani possono arrivare a Brescia in poche
ore...”. Mio padre si alzò di scatto dalla sedia e mi disse rudemente:
“Nessuno ti ha pregato di interessarti della mia persona: seguirò il mio
destino qui in Italia”. Ero certo che mi avrebbe risposto così, ma le
sue parole mi gelarono il sangue. Già Renato Ricci e Buffarini-Guidi che
avevano fatto un analogo tentativo al mattino, avevano ricevuto un
netto rifiuto”: Id., Vita con mio padre, Milano, Mondadori, 1957, p.
213.
STORIA VERITA’ N. 23-24 Settembre-Dicembre 1995 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
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