STORIA
I
"Liberatori" di Trieste
di Vincenzo
Maria de Luca
La
critica principale che la ricerca storiografica filoslava e una precisa area
accademica italiana, di ispirazione comunista, muovono al moderno revisionismo
storico è il fermo rifiuto di quest’ultimo, nell’ambito della denuncia dei
crimini dell’occupazione titina della Venezia Giulia, a voler porre i partigiani
di Tito sullo stesso legalitario piano politico, culturale e militare degli
anglo-americani: pur nella loro comune lotta al nazi-fascismo.
In realtà,
anche alla luce dei tanti delitti anti-italiani perpetrati sul nostro
territorio, dallo sbarco in Sicilia del luglio ’43 all’assassinio degli
innocenti manifestanti per "Trieste italiana" nel novembre 1951 da parte della
polizia civile inglese nel capoluogo giuliano, non è moralmente né storicamente
credibile assimilare tutto questo alla sommaria mutilazione territoriale
jugoslava operata sulla Venezia Giulia e il Friuli orientale e alla epurazione
etnico-politica della componente autoctona italiana. Prevedibili conseguenze
queste della "carta bianca" che Tito aveva ottenuto su quell’area dai
generosissimi accordi internazionali di Teheran del novembre-dicembre ’43.
Già queste
prime, semplici considerazioni basterebbero ad evocare devastanti scenari di
critica storica contro quella ormai logora retorica dell’antifascismo militante,
già definito da Renzo De Felice "vulgata resistenziale", che ha sublimato la
data del 25 aprile ’45 come festività civile della "liberazione" nazionale
dall’invasore nazista. Di lì a una settimana, infatti, si sarebbe abbattuta
sulla Venezia Giulia, con l’ingresso a Trieste il 1° maggio delle truppe titine
del IX Korpus sloveno, una nuova, ferale invasione del nostro territorio ,
colpevolmente accettata questa volta dai "patrioti" delle brigate Garibaldi.
Definire
"ipocrita" a questo punto la festa del 25 aprile, come ho spesso fatto in questi
anni, non vuole essere perciò un insulto generalizzato alla lotta di liberazione
del movimento partigiano "in toto", bensì un forte stimolo alla diffusione della
verità storica non politicizzata e alla giusta condanna dell’imperialismo
stalinista che aveva in Tito la sua punta di diamante avanzata nello scacchiere
mediterraneo. Non senza velenoso sarcasmo, a tale proposito, così Churchill
commentava: "Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti,
il giorno successivo 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure questi 90
milioni di italiani non risultano dai censimenti".
É
indispensabile fare chiarezza su quei tragici avvenimenti dei primissimi giorni
del maggio ’45 al nostro confine orientale.
Al di là
del comunicato di Radio Londra, ripreso in seguito anche da Radio Belgrado, che
già il 30 aprile diffondeva la notizia che alle ore 12.30 Trieste era stata
liberata dalle avanguardie della IV Armata popolare jugoslava, nella quale il IX
Korpus era aggregato, solo il 1° maggio gli slavi riusciranno a entrare in città
e non si trattò affatto di una "liberazione militare". A tale data infatti gran
parte di Trieste era già sotto il controllo del Corpo Volontari della Libertà
italiano e degli oltre 50 centri di resistenza urbani disposti dal generale
Linderbach, che comandava tutte le forze tedesche dislocate a Trieste, solo il
castello di San Giusto, il Palazzo di Giustizia e poche aree del porto
continuavano a resistere.
Il 30
aprile ’45 il C.L.N. triestino, dal quale il partito comunista italiano si era
dissociato fin dal ’44, respinte sia le proposte di una temporanea alleanza con
i fascisti della R.S.I. in funzione anti-jugoslava, sia la richiesta del Fronte
di Liberazione sloveno di abdicare politicamente, unendosi alle truppe di Tito e
in considerazione del fatto che scontri a fuoco con i tedeschi si erano già
verificati nei giorni precedenti, diede infine l’ordine di insurrezione
generale.
Lo scopo
dichiarato era di contribuire, in prima persona, alla liberazione della città
dall’occupante nazista, assumendone subito l’amministrazione prima del temuto
colpo di mano del Comitato Esecutivo Antifascista Italo-Sloveno (C.E.A.I.S.),
controllato dal Fronte sloveno e appoggiato dai comunisti italiani, che premeva
per l'annessione della città alla Jugoslavia.
L’iniziativa del C.L.N. triestino, che porta in quei giorni al controllo di
oltre due terzi della città e del porto, nonché a proficue trattative con i
tedeschi per la resa degli ultimi capisaldi, viene però vanificata dalla
lentezza con la quale l’VIII Armata britannica si dispiega tra i fiumi Livenza e
Tagliamento, permettendo a Tito di occupare per primo Trieste e facendo valere
pesantemente titoli di priorità sull’amministrazione della città. I reparti
corazzati neozelandesi arriveranno a Trieste solo il 2 maggio e lo stesso
generale Freyberg che li comandava, invitato da Tito a entrare in città in sola
veste di "ospite".
Fallimentare si era rivelata la politica del Comando Supremo alleato del
Mediterraneo, nella persona del generale inglese Alexander, che non seppe
opporsi con fermezza al colpo di mano di Tito, preoccupato solo del fatto che un
deprecato scontro armato con le truppe jugoslave potesse inasprire maggiormente
i già difficili rapporti con l’Unione Sovietica. Non dimentichiamo, a questo
proposito, che nelle istruzioni impartite il 30 aprile dal presidente americano
Truman, si raccomandava caldamente ad Alexander di ricercare la collaborazione
degli slavi prima di avanzare nella Venezia Giulia.
Tutto ciò
non poteva che legittimare un pericoloso precedente e di fatto, come poi
avvenne, compromettere del tutto l’italianità di quella regione.
Per la
resistenza italiana poi, si trattò di una doppia beffa: sia chi si batté dalla
parte di Tito che in quella contraria, vide frustate le proprie aspettative;
mentre ai partigiani italiani delle formazioni garibaldine "Natisone",
"Triestina" e "Fratelli Fontanot", che pure avevano lottato coraggiosamente per
la liberazione di Lubiana, non venne concesso per motivi di opportunismo
politico di entrare tra i primi a Trieste, ai partigiani del C.L.N., che
altrettanto coraggiosamente avevano preso le armi contro i tedeschi, venne
intimato di sciogliersi o di sostituire il loro bracciale identificativo
tricolore con quello jugoslavo recante la stella rossa. Questo portò gli stessi
dirigenti del C.L.N. a preferire all’impari confronto con gli slavi, l’uscita di
scena in attesa degli eventi.
Il 3 maggio
’45 veniva comunque diffuso clandestinamente un manifesto che invitava a lottare
contro il costituendo C.E.A.I.S. che, per la cronaca, si componeva di 11 membri,
dei quali 3 erano sloveni e 8 italiani "perfettamente allineati" con la politica
di annessione alla Jugoslavia della Venezia Giulia propugnata dal PCI di
Togliatti, Secchia e Longo.
Volendoci
soffermare ancora un attimo sulla reale efficacia della partecipazione jugoslava
alle operazioni belliche per la caduta di Trieste, non deve essere poi
sottovalutata la pressione che in quel contesto gli anglo-americani esercitavano
da tempo sul Reno, l’Oder e sull’Elba così come in Istria e in Slovenia. Tale
pressione, indebolendo la difesa tedesca sull’area adriatica, agevolò i successi
della IV Armata popolare jugoslava.
In merito
allo status di "liberatori" al quale tanto aspiravano le truppe di Tito, come
pure oggi storici di parte filo-slavi imbevuti di anacronistiche rimembranze
vetero-comuniste, la direttiva che già il 30 aprile giungono all’Armata
jugoslava a Trieste sono illuminanti: "smascherare ogni insurrezione che non si
basi sul ruolo di Tito, considerandola un aiuto all’occupatore, un inizio di
guerra civile ed un chiaro atto di insubordinazione all’autorità jugoslava". Ne
fece le spese il corteo che il 5 maggio sfilava per le vie di Trieste
sventolando bandiere tricolori e che venne preso a fucilate dai soldati titini
che uccisero 5 persone, ferendone alcune decine.
La banale
giustificazione addotta in seguito sarà che il corteo era costituito da
"fascisti", come se dopo il 25 aprile il primo pensiero dei cosiddetti fascisti,
non solo a Trieste ma anche a Milano e nelle altre città del nord, non fosse per
ovvie ragioni quello di rimanere il più possibile nell’ombra ma di mettersi
ostentatamente in mostra a rischio della vita.
La verità
era che gli occupanti slavi e filo-slavi, negli elenchi degli indiziati di
crimini di guerra o di colpe analoghe come il crimine di fascismo, di
collaborazione con il nemico, di spionaggio, ecc. , si vollero collocare anche i
partecipanti a manifestazioni filo-italiane e questo paradossale accostamento
tra criminali e semplici dimostranti (sui quali per giunta si era sparato) si
spiegava col fatto che nelle regioni occupate non si volevano voci di dissenso;
gli anglo-americani dovevano così aver l’impressione che "tutti" nella Venezia
Giulia fossero favorevoli all’annessione alla Jugoslavia.
Trasmetteva
in lingua italiana Radio Belgrado il 31 maggio ’45 alle ore 22.45:
"Nessuno può mettere in dubbio che ragioni economiche oltre che politiche
esigono Trieste alla Jugoslavia. É semplicemente assurdo negare ad una
Jugoslavia che tanto contributo ha dato alla causa degli alleati, il diritto di
liberare il suo territorio; e noi combattenti della libertà questo dobbiamo
comprendere e sostenere".
Analizziamola questa presunta "liberazione" che coinciderà con 45 giorni di
terrore, arresti, deportazioni e infoibamenti, con Tito intenzionato ad
espandersi fin oltre il Tagliamento. Quarantacinque giorni per Trieste e Gorizia
ma per la Venezia Giulia non sarebbe bastata la fine della guerra. Infatti, se
il 9 giugno ’45 in base agli accordi di Belgrado sull’evacuazione di Trieste da
parte jugoslava, i titini lasceranno la città, niente più sarà possibile sapere
della cosiddetta "Zona B", ora sotto amministrazione slava, ed in genere
dell’intera regione giuliana. Quella di Trieste non fu una liberazione bensì
un’occupazione militare in piena regola.
Appena giunte in città le formazioni titine, pur manifestando
apparente amicizia verso i patrioti italiani, impedirono loro con forza il
proseguimento parallelo della lotta, provvedendo al disarmo e dichiarandoli
soggetti, come tutti gli altri italiani, all’obbligo del servizio militare nelle
truppe di Tito. Stesso trattamento anche per quei carabinieri che già da tempo
collaboravano con i partigiani del C.L.N. mentre furono emanati ordini tassativi
a mezzo manifesto, decisamente lesivi della sovranità italiana:
-
Non erano validi gli ordini da questo emanati;
-
Unica autorità riconosciuta era l’Armata slovena;
-
Mobilitata.
-
Non si riconosceva l’autorità del C.L.N. italiano;
azione coatta degli uomini dai 17 ai 50 anni;
-
Processi sommari per gli inadempienti.
Quando
il 2 maggio ’45 entrarono a Trieste i primi reparti neozelandesi di Freyberg, il
primo carro armato della colonna portava a bordo la bandiera italiana con lo
stemma sabaudo. Al suo apparire, le finestre di Piazza Oberdan e di via Carducci
si adornarono immediatamente di molteplici tricolori. A questo punto il carro
alleato venne fermato dagli sloveni che imposero di sostituire la bandiera
italiana con la propria ribadendo il concetto con esplosione di colpi di arma da
fuoco in aria. Contemporaneamente agitatori slavi provenienti dall’altopiano
carsico unitamente ai partigiani titini, diedero il via a tutta una serie di
intimidazioni anti italiane, entrando nelle case ed imponendo con la forza di
sostituire tutte le bandiere italiane con altre slovene o rosse, oppure sparando
contro le finestre imbandierate di italianità.
Dal 3 al 10
maggio vennero emanate ben 9 ordinanze speciali a Trieste, tutte drammaticamente
lesive della libertà e della dignità umana. Eccone alcuni punti fondamentali,
per meglio comprendere le reali intenzioni dei "liberatori" titini:
Dall’ordinanza n. 1:
Punto 1)
Nella città di Trieste ogni potere viene assunto dal Comando Città di Trieste
che proclama lo stato di guerra.
Punto 5)
Domani, 4 maggio alle ore 1 di mattina, tutti gli orologi vengono spostati
indietro di una ora, in modo da conformare il tempo con quello del resto della
Jugoslavia.
Dall’ordinanza n. 3:
Punto 2)
Qualsiasi equipaggiamento militare, veicoli, ordigni, velivoli, carburanti,
lubrificanti, inventario, archivio, tutta la moneta, valori e preziosi, viveri,
bestiame, manufatto di tabacco e tutto quanto apparteneva all’esercito di
occupazione nemico, è bottino di guerra dell’Armata jugoslava e deve venire
consegnato nel termine prescritto.
Dall’ordinanza n. 4:
Punto 2)
Tutti gli istituti bancari e assicurativi restano chiusi fino a nuovo ordine; i
rispettivi locali e le casse, saranno sigillate da funzionari del Comando Città
di Trieste.
Punto 3)
Ogni azione tendente a turbare l’esecuzione del presente ordine sarà punita dai
Tribunali Militari.
Dall’ordinanza n. 7:
Punto 1)
Viene severamente proibita ogni manifestazione di sentimenti nazionali.
Punto 2) É
vietato, fino a nuovo ordine, ogni raggruppamento per le strade e locali
pubblici.
Dall’ordinanza n. 8:
Punto
unico) Il funzionamento degli Istituti monetari di Trieste avrà luogo secondo le
disposizioni della S.N.O.S. (Slovenski Narodno Osvobodilni Svet o Consiglio di
Liberazione Nazionale Sloveno), filiale per il litorale sloveno.
Dall’ordinanza n. 9:
Punto 1) In
data odierna (10 maggio 1945), l’Esercito jugoslavo pone il controllo sopra
tutti gli enti economici e industriali situati nell’ambito del Comando Città di
Trieste. Si intendono controllati: il porto con tutti gli edifici e gli impianti
portuali già amministrati dai magazzini generali.
Punto 2)
Tutti gli impianti e le gestioni industriali (industria del ferro, chimica,
alimentare, le tipografie, le fabbriche grafiche, ecc).
Punto 3)
Tutte le rimanenti grandi aziende commerciali, economiche e dei trasporti. Tutti
gli enti marittimi (industria navale, società di navigazione e pescherecce, le
società di salvataggio controllate per i bisogni della Marina Jugoslava dal
Comando Costiero Marittimo di Trieste).
Tutte
indistintamente le ordinanze chiosavano con la roboante, enfatica dicitura
"Morte al fascismo, Libertà ai popoli".
Quanto
fossero aleatori i concetti di libertà e di liberazione per i titini, si può
evincere dalla lettura di alcuni dati forniti a caldo dal C.L.N. della città in
data 8 luglio ’45, appena un mese dopo i famigerati 45 giorni di occupazione
slava di Trieste: "Durante la permanenza delle truppe di Tito sono stati
deportati via da Trieste e mai restituiti 150 carabinieri, 150 guardie di
finanza e circa 70 appartenenti alla guardia civile della città oltre a 250
prigionieri tedeschi. In questi giorni le autorità alleate hanno rinvenuto i
corpi dei suddetti nella "foiba" di Basovizza.
Fino al
giorno 4 c.m., erano stati estratti 400 cadaveri di cui 8 soldati neozelandesi.
Di detta foiba esiste documentazione fotografica della quale sarà rimessa copia
quanto prima.
Altre foibe
sono state rinvenute a Pisino, Albona e Parenzo, località codeste, dell’Istria;
alla distanza ragguardevole di 400 metri da dette foibe si sente il lezzo di
cadaveri dei quali non è stato ancora accertato il numero. Ad Albona, centro
dell’Arsa, le vittime del furore slavo sono state gettate nei pozzi delle
miniere. Gli slavi hanno arruolato in Istria centinaia di italiani dopo aver
preteso da questi l’accettazione delle pregiudiziali dell’unione della Venezia
Giulia alla Jugoslavia.
Dopo gli
accordi di Belgrado, e cioè dopo che gli slavi hanno dovuto lasciare la città di
Trieste, hanno portato seco complete officine meccaniche, 120 milioni di lire
della banca d’Italia e moltissime radio e suppellettili varie di abitazioni
completando così i saccheggi precedentemente perpetrati".
Vennero
arrestati molti civili; persone scomode all’amministrazione titina che non
desiderava italiani nei pubblici uffici dove essa intendeva reiterare i suoi
furti (banche) e i suoi falsi (uffici municipali). Furono fermati cassieri di
banche solo perché in possesso di regolare porto d’armi e nulla si seppe più di
loro. L’arresto di impiegati comunali fu eseguito su larghissima scala a
Gorizia, Trieste e in molte cittadine istriane.
Nessun
italiano poteva più credersi sicuro nella propria vita; ogni notte dalle case
perquisite ne venivano portati via con gli autocarri alcuni che non tornavano
più. Come pure molti erano coloro che fuggivano verso l’Isonzo; verso una
speranza di libertà che in quel lembo d’Italia non era più diritto di alcuno.
L’elenco delle gesta dei "liberatori" di Trieste potrebbero estendersi ancora
per intere pagine; tuttavia a conclusione di questo excursus mi piace ricordare
le struggenti parole dello scrittore triestino Silvio Benco tratte dal suo
volume "Contemplazione del disordine":
"A Trieste regnavano terrore e morte…pareva che la stessa parola Italia dovesse
essere morta".
Articolo
tratto da "STORIA del NOVECENTO" numero 108
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