Il blog politicamente scorretto coordinato dall' avvocato Edoardo Longo
LUIGI CABRINI : UNA PREZIOSA TESTIMONIANZA STORICA
IL POTERE SEGRETO: LINEAMENTI DI UN’INQUIETANTE E SEMPRE PIÙ ATTUALE REALTÀ DI “DOMINIO OCCULTO” SU GENTI, RISORSE E NAZIONI
Breve saggio di antropologia
culturale, storica, socio-economica, politica e religiosa scritto in
occasione della ristampa di un documento di grande valore storico,
occultato dal regime democratico nazionale nell’arco degli ultimi sei
decenni.
Breve Premessa
Il Potere Segreto,
testo riproposto ai lettori nel dicembre 2012 grazie
all’interessamento, alle ricerche, al lavoro e alla dedizione
dell’avvocato Edoardo Longo titolare delle Edizioni della Lanterna che
ne hanno effettuato la ristampa, è un libro di storia che riappare dopo
62 anni dalla sua prima edizione del 1952: edizione praticamente
introvabile e mai diffusa in quanto messa subito sotto sequestro dalla
“censura democratica” in ragione delle testimonianze storiche che
riportava; testimonianze alquanto scomode e “improponibili” per gli
orientamenti generali di quel periodo post-fascista e post-guerra,
caratterizzati da un antifascismo che giustificava e autorizzava
qualsiasi tipo di intervento manipolativo sul pensiero, l’analisi
storica e sulla cultura più in generale.
Il Potere Segreto costituisce
una testimonianza storica rarissima, scritta da una persona
informatissima. Si tratta di Luigi Cabrini, segretario personale di
Giovanni Preziosi che fu ministro di Stato nel periodo fascista e
ambasciatore speciale del Duce nella Repubblica di Salò. Il Preziosi è unanimemente
ritenuto il più informato studioso italiano della “questione ebraica” e
della presenza massonica nei gangli del potere politico internazionale.
Il libro di Luigi Cabrini raccoglie i ricordi e le confidenze di
Giovanni Preziosi sulle cause occulte che generarono il secondo
conflitto mondiale e, in particolare, sulle trame di agenti e infiltrati
della massoneria e del giudaismo plutocratico nei gangli del potere
politico al fine di destabilizzare l’Italia fascista, unico regime
politico che aveva osato mettere fuori legge la massoneria.
Come detto, questo libro
comparve fugacemente nel 1952. Fu, però, posto subito sotto sequestro e
il suo autore, che era cattolico, venne internato in manicomio e
condannato alla damnatio memoriae a
causa delle scomode rivelazioni riportate nel suo scritto. In esso si
svelano infatti trame e legami ancora oggi poco conosciuti (come le
numerose infiltrazioni massoniche nelle gerarchie fasciste e
post-fasciste) che hanno dato un preciso orientamento al decorso storico
non solo dell’Italia ma dell’intero Occidente. Proprio per questo i
suoi contenuti, se adeguatamente estrapolati dall’ambito
ideologico-sentimentale dell’autore, sono di strettissima attualità
visto l’inquietante quadro complessivo che la congiuntura mondiale
attuale sta presentando.
Come dice l’Editore,
questo libro rappresenta un evento editoriale. Dopo la “censura
democratica” di oltre sessant’anni rivede, infatti, finalmente la luce
e, per chi abbia occhi per vedere oltre la cortina fumogena delle
sistematiche contraffazioni e mistificazioni della realtà, contribuisce a
fornire elementi particolarmente utili e pregnanti al fine di poter
decifrare il disegno e la “lunga mano” che reggono il percorso che
l’attuale umanità sta, più o meno consapevolmente, seguendo.
Le organizzazioni massoniche, sorte nel XVII secolo, manifestarono subito la loro natura di “Centri
Occulti di Potere” che, sotto sembianze rituali e simboliche miravano a
interessi materiali e di dominio sulle persone e sulle nazioni.
Situazione, questa, perfettamente descritta, con dovizia di interessanti
particolari storici, nel libro del Cabrini, situazione per cui si viene
poi a determinare la ricorrente assimilazione tra il termine
“Massoneria” e quello di “Centri di Potere Segreto”, materialisti e
immorali, miranti esclusivamente a contaminare e sovvertire con ogni
mezzo tutti i valori tradizionali dell’Occidente al fine di ridurlo
all’impotenza e prenderne il controllo totale.
Per quanto concerne infine il proliferare nell’Occidente moderno di
sette “pseudo-spirituali” di matrice orientale si tratta di quel
carattere confusivo proprio dell’Occidente moderno e contemporaneo in
cui viene sistematicamente contraffatto e impropriamente divulgato
(spesso con una precisa e pianificata volontà di intenti da parte di
“Centri Occulti” propriamente preposti a tale funzione corruttiva e
distorsiva) lo spirito “Tradizionale” e “Metafisico” delle dottrine
orientali.
Il principale esempio di questo tipo di pratica è rappresentato dalla
cosiddetta “Società Teosofica” (che tanta fortuna ha avuto e continua ad
avere in tutto il continente americano) fondata ad inizio novecento
dalla sensitiva russa Hélena Blavatsky e che si è poi articolato in una
complessa rete di ramificazioni, alcune delle quali individuate anche
nel resoconto dello stesso Cabrini.
b) La Grande Depressione di Karl Polanyi (1886-1964).
Per dare un riscontro a più ampio respiro ai contenuti presentati
nell’opera del Cabrini, riteniamo particolarmente indicato fare un
riferimento comparativo con un testo di antropologia economica di un
autorevole autore in materia, scritto una decina di anni prima (tra il
1940 e il 1943) del libro di Luigi Cabrini. Stiamo parlando de La Grande Trasformazione
ad opera dell’autore ungherese Karl Polanyi (1886-1964). Si tratta di
un testo importante perché anticipa i temi della ricerca propriamente
antropologica, in ambito socio-economico, da parte di un autore il cui
nome solo in tempi relativamente recenti si è cominciato a conoscere in
Italia (mentre era già molto conosciuto in altri paesi, soprattutto in
Francia, Inghilterra e Stati Uniti). Karl Polanyi, infatti, con i suoi
studi sulle società arcaiche e primitive (e con una vasta produzione di
scritti socio-economici che hanno ricevuto ampio riconoscimento da parte
di tutti gli studiosi del settore), è figura di primo piano
nell’antropologia economica e nell’economia comparata, con un’influenza
che si estende anche a storici e a sociologi.
Il testo in questione costituisce un’acuta analisi sulla crisi delle
istituzioni liberali e la “grande trasformazione” da esse subita negli
anni 30 del secolo scorso; un’analisi che ne ricerca le origini (proprio
con significativa coincidenza geografica con certi precisi riferimenti
storici riportati nel testo del Cabrini) nell’Inghilterra, in questo
caso ricardiana, in quelle che sono le caratteristiche proprie della
“Società di Mercato” posta in rapporto alle società primitive. Tutto ciò
confluisce in una critica del liberalismo tra le più severe e radicali
che, sorprendentemente, non manca di avere impressionanti punti di
contatto con quanto riportato, con modalità espositive certamente meno
tecniche, dal Cabrini nel suo testo Il Potere Segreto. Siamo negli anni della seconda guerra mondiale e
il testo di Polaniy rappresenta qualcosa di più di una semplice
testimonianza del malessere degli intellettuali quale si manifestava in
quel preciso momento storico. È infatti un testo che va nella
costruzione, tante volte auspicata da più parti, di una “Scienza
unificata delle società umane”. Non opera di storia, di economia, di
sociologia, anche se investe gli ambiti specifici di tutte e tre le
discipline. L’elemento centrale della Grande Trasformazione è
il capovolgimento dell’idea liberale che la “Società di Mercato”
costituisca un punto d’arrivo “naturale” nel percorso della Società
Umana. Per Polanyi l’idea propugnata dall’economia politica classica di
un sistema in cui l’economia è venuta a sottrarsi al controllo sociale,
rappresenta un’artificiosità che diviene particolarmente evidente nei
momenti di transizione e all’inizio e alla fine del ciclo che lui
ritiene concluso dell’esistenza storica di tale tipo di società.
L’analisi di Polanyi passa per una “anamnesi” e una “diagnosi” della
“Società di Mercato” e dell’individuazione dei punti cruciali di
tensione che ne determinano il crollo o la “trasformazione”. Nel fare
ciò mette a fuoco, in maniera tecnica, quei passaggi storici
maggiormente pregnanti, il più importante dei quali, come detto,
coincide perfettamente e sorprendentemente con quanto riportato, con
differente stile narrativo, nell’opera di Luigi Cabrini.
c) “Potere Segreto” e “Alta Finanza”, una singolare convergenza.
L’analisi socio-economica proposta da Polanyi nel suo testo La grande depressione
è molto articolata, ma qui ci occuperemo di passare sinteticamente in
rassegna quello specifico settore che si attaglia mirabilmente alle
testimonianze storiche e alle considerazioni riportate nello scritto di
Luigi Cabrini. Seguendo la lucida e acuta analisi di Polanyi, la civiltà
del diciannovesimo secolo poggiava su quattro pilastri istituzionali:
1) Il “Sistema dell’Equilibrio del Potere” fra gruppi e singole potenze
che per un secolo impedì, appunto, che tra le Grandi Potenze
scoppiassero guerre lunghe e devastanti; 2) La “Base Aurea
Internazionale” che era il simbolo di un’organizzazione unica
dell’economia mondiale; 3) L’utopia del “Mercato Autoregolato” che, al
momento, stava producendo un benessere senza precedenti; 4) Lo “Stato
Liberale. Si tratta di due istituzioni di tipo economico e due di tipo
politico che nel loro insieme determinano i tratti caratteristici della
storia della Civiltà Occidentale Moderna. Come osserva il nostro autore,
la “Base Aurea” dimostrò di costituire l’asse portante e decisivo del
sistema e la sua caduta fu la principale causa della catastrofe in
quanto provocò anche la repentina caduta delle altre istituzioni che
erano state sacrificate nel vano tentativo di salvarla. Il nucleo
centrale di tale sistema era invece rappresentato dal “Mercato
Autoregolantesi” che rappresentava l’aberrante innovazione e ciò che
diede origine ad una civiltà specifica che trovò la sua “Sede
Originaria” nell’Inghilterra del XIX secolo.
Sempre seguendo l’analisi di Polanyi, il diciannovesimo secolo ha
prodotto un fenomeno inedito negli annali della Civiltà Occidentale,
ovvero una “pace” di cento anni nel periodo che va dal 1815 al 1914.
Infatti, come afferma il nostro autore, a parte la guerra di Crimea (un
avvenimento più o meno coloniale), Inghilterra, Francia, Prussia,
Austria, Italia e Russia furono impegnate a farsi guerra solo per un
periodo, si fa per dire, di meri diciotto mesi, mentre un raffronto con i
secoli precedenti dà una media che va dai sessanta ai settanta anni di
guerre importanti per ciascun secolo.
Questo improvviso e acuto interesse per la “pace”, che sorge a partire
dal 1815, era anzitutto promosso da quei soggetti che più ne
beneficiavano, cioè quel cartello di sovrani e di feudatari le cui
situazioni patrimoniali erano minacciate dall’onda rivoluzionaria di
patriottismo risorgimentale che spazzava il continente. Fu così che per
circa un terzo di secolo la Santa Alleanza rappresentò l’elemento
coercitivo per l’attuazione di una politica di “pace”. Dal 1846 fino al
1871 (periodo considerato uno dei più confusi e convulsi quarti di
secolo della storia europea) il mantenimento della “pace” fu un po’ meno
saldo in quanto la forza calante della reazione si scontrava con la
forza crescente del “Processo di Industrializzazione”. Nell’ultimo
quarto di secolo, quello successivo alla guerra franco-prussiana, il
risorto interesse per la “pace” è rappresentato da quella nuova e
poderosa entità che era il “Concerto Europeo”. Tale rinnovato interesse
per la “pace”, però, aveva bisogno di uno strumento sociale adeguato per
poter dare i suoi frutti e sia la “Santa Alleanza” che il “Concerto
Europeo” avevano dei limiti oggettivi ben precisi. Entrambi
rappresentavano infatti soltanto raggruppamenti di stati indipendenti e
sovrani, pertanto sottoposti all’ “equilibrio del potere” ed al suo
meccanismo intrinseco: ovvero, “la Guerra”. Ecco quindi irrompere sulla
scena un fattore sorprendente in grado di costituire quello “strumento
sociale adeguato”, capace di operare in “modo coperto” sul sistema,
sostituendo il ruolo fino a quel momento svolto da dinastie e
episcopati, rendendo così effettivo l’interesse per la “pace”. Questo
fattore “anonimo” e “sovranazionale” era costituito dall’ Alta Finanza (la haute finance).
Una ricerca completa e rigorosa sulla natura della “Banca
Internazionale” nel diciannovesimo secolo forse non è stata ancora
adeguatamente intrapresa, e questa misteriosa istituzione rimane tuttora
in buona parte avvolta in quelli che Polanyi definisce i chiaroscuri
della mitologia politico-economica. La haute finance (l’Alta Finanza) era un’istituzione anonima e “nascosta”, caratterizzante
il contesto socio-economico e politico dell’ultimo trentennio del
diciannovesimo secolo e del primo trentennio del secolo successivo, che
funzionava come principale fattore di raccordo e collegamento tra
l’organizzazione politica e economica del mondo di quel periodo in
quanto era in grado di fornire gli strumenti adeguati ad un sistema di
pace internazionale che operava sì con l’aiuto delle potenze, ma che
tali potenze non potevano né creare, né mantenere. A differenza del
“Concerto Europeo”, che agiva soltanto ad intermittenza, la haute finance funzionava
come una struttura organizzativa permanente dal carattere più elastico.
Era allo stesso tempo in contatto con i singoli governi (anche con i
più potenti) ma del tutto indipendente da essi. Era anche indipendente
dalle “Banche Centrali” (anche dalla banca d’Inghilterra), ma allo
stesso tempo era strettamente legata alle stesse. Altro elemento di non
secondaria importanza era quello rappresentato da uno stretto contatto
tra “finanza” e “diplomazia”, tanto che non era sempre facile stabilire
dove finissero i confini dell’una e iniziassero quelli dell’altra, quasi
che i ruoli fossero intercambiabili.
Come osserva sempre molto puntualmente Polanyi, sia il personale che le
motivazioni di questa singolare struttura organizzativa affondavano le
loro radici nell’ambito della sfera privata dell’interesse strettamente
finanziario. La “metafisica extraterritorialità” dei Rothschild,
dinastia di banchieri ebrei insediata nelle diverse capitali europee,
offriva una soluzione pressoché perfetta per le necessità di specie,
osserva sempre il nostro autore. Tale dinastia, infatti, non era
sottoposta ad alcun particolare governo e come famiglia incarnava molto
bene l’ideale astratto dell’ “Internazionalismo”. La lealtà dei suoi
componenti era esclusivamente rivolta verso una “ditta” che godeva di un
credito che le permetteva di costituire un punto di riferimento ed un
vero e proprio collante sovranazionale tra governo politico e impresa
industriale, e la sua indipendenza sorgeva dalle necessità del tempo che
richiedevano la presenza di un’ “entità sovrana” che godesse della
fiducia sia degli statisti nazionali che degli investitori
internazionali. Detta dinastia era tutt’altro che “pacifista” (la haute finance, infatti, non
era affatto intesa come una “struttura di pace”: questa funzione le
toccò del tutto accidentalmente): i suoi componenti avevano fatto la
loro fortuna finanziando guerre e qualsiasi altro tipo di attività
immorali di grande portata sotto il profilo del profitto. Erano persone
sorde a qualsiasi considerazione morale e non avanzavano alcuna
obiezione in riferimento ad eventuali “guerre secondarie”, brevi o
localizzate. In quel preciso momento storico i loro interessi sarebbero
stati ostacolati solo se una Guerra Generale tra le Grandi Potenze
avesse interferito con i fondamenti monetari del sistema. Polanyi non ha
alcuna esitazione nell’affermare che da un punto di vista organizzativo
la heute finance (l’Alta
Finanza) veniva a costituire il nucleo portante di una delle più
complesse istituzioni di controllo socio-economico e politico che la
storia dell’uomo abbia concepito e prodotto nell’arco della sua vicenda.
La motivazione di fondo della heute finance era
il “guadagno” e per raggiungerlo era necessario essere d’accordo con i
governi che avevano fini di potenza e di conquista. Tuttavia, si
ribadisce, il maggior pericolo che minacciava i capitalisti europei era
la guerra: non una guerra da parte di una “Grande Potenza” ad una
“Piccola Potenza”, ma una Guerra Generale tra le “Grandi Potenze”.
Alla fine del diciannovesimo secolo la haute finance era
al massimo del suo potere e la pace sembrava sicura più che mai, ma
l’equilibrio era invece ormai giunto alla sua fine. Il fatto che fossero
rimasti solo due gruppi concorrenti di potenze (la “Triplice Alleanza” e
la “Controalleanza” che includeva la Russia) faceva sì che il
meccanismo dell’ “Equilibrio del Potere” cessasse di funzionare, non
essendovi più un terzo gruppo che poteva unirsi con uno o con l’altro
dei contendenti per contrastare chiunque cercasse di aumentare il
proprio potere. Allo stesso tempo cominciavano a manifestarsi i primi
sintomi di dissoluzione delle forme esistenti dell’economia mondiale, la
rivalità coloniale divenne sempre più accesa e la capacità della heute finance di
impedire l’allargamento dei conflitti cominciava rapidamente a
decrescere. Tutto ciò annunciava l’ormai prossimo e inevitabile disastro
e la trasformazione di un’intera civiltà negli anni trenta del
ventesimo secolo. Qui si arresta la penetrante e articolata analisi di
Karl Polanyi circa il Potere esercitato fino a quel momento sulle
Nazioni da quel “Singolare Organismo” dell’Alta Finanza.
Concludiamo questo paragrafo
sottolineando di sfuggita il fatto che l’autore in questione è stato uno
dei più brillanti intellettuali ungheresi. Proveniva, quindi, da quel
fecondo habitat intellettuale
della cultura centroeuropea ed ebbe occasione di confrontarsi e
interagire proficuamente con quasi tutti i maggiori pensatori europei a
lui contemporanei. Era di idee socialiste e nel 1908 collaborò pure con
esponenti della “Massoneria Culturale” ungherese alla fondazione del
Circolo Culturale “Galileo Galilei” a Budapest (nella cui sede
intervennero alcune tra le più eminenti personalità culturali europee di
quell’epoca) di cui fu anche Presidente. Non può certo, pertanto,
essere considerato un pensatore vicino
a posizioni come quelle del Preziosi e del Cabrini; ma nonostante
questo giunge comunque, tramite un’articolata analisi storica e
socio-economico di tipo tecnico, a convergere pienamente con certi punti
essenziali contenuti nello scritto del Cabrini.
d) “Potere Segreto”, “Alta Finanza” e “Globalizzazione”.
L’analisi di Polanyi ci conduce fino agli inizi del collasso del sistema
economico internazionale e a quelli della Grande Trasformazione del
primo trentennio del ventesimo secolo. Ripercorrendo rapidamente l’iter
storico successivo, abbiamo due conflitti mondiali di cui il secondo è
la conseguenza diretta del primo, la sconfitta della Germania di Hitler
(e dell’Italia fascista e del Giappone), la Guerra Fredda, il crollo del
Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica e il processo di
Globalizzazione, tuttora in corso, in cui si inserisce il miraggio di
un’Unione Europea costruita solo sulla presenza di una Moneta Comune.
A questo punto è però doveroso chiedersi come possa essersi trasformata un’Organizzazione come la haute finance che
Polanyi non ha esitato a definire “il nucleo di una delle più complesse
istituzioni che la storia dell’uomo abbia prodotto”. È alquanto
difficile pensare che un apparato così potente, ramificato ed elastico
(che è quindi in grado di adeguarsi, per fare i propri interessi, ad
ogni tipo di congiuntura assumendo sempre e comunque una posizione allo
stesso tempo “coperta” e “centrale”) si sia fatto imbrigliare dagli
eventi - che, in certa parte, è sempre riuscito a determinare e, come
minimo, a controllare - e che l’Alta Finanza dei nostri giorni sia ben
altra cosa da quell’apparato immorale, preposto a sfruttare tutto e
tutti, così analiticamente descritto da Polanyi. Anzi, di fronte a
quanto è successo e sta succedendo dagli esiti di quel primo trentennio
del ventesimo secolo c’è da ritenere che la haute finance si
sia trasformata in una macchina di potere e di dominio molto più
pericolosa e sofisticata di quanto non fosse in quel recente passato.
C’è anche da dire che dopo la fine del secondo conflitto mondiale si è
venuta a riproporre una situazione del tutto analoga a quella descritta
da Polanyi in riferimento alla cosiddetta “Pace dei Cento anni”
(caratterizzata, appunto, da piccoli e marginali conflitti a bassa intensità) in cui, come abbiamo visto, si è insinuato il potere della haute finance.
Abbiamo infatti: 1) Un meccanismo di equilibrio del potere ora
determinato dalla deterrenza rappresentata dalla presenza sulla scena
mondiale degli arsenali nucleari in possesso delle Grandi e Medie
Potenze; 2) Alla base aurea del precedente periodo fa in un certo senso
da contraltare il dollaro americano come punto di riferimento per gli
scambi internazionali; 3) L’evoluzione della mistificazione del “Mercato
autoregolato”; 4) Un progressivo aumento dei cosiddetti governi
liberali. Alla luce di tutto questo, non è infatti irragionevole pensare
che la haute finance - o
meglio, ciò che veramente le corrisponde in questo momento - abbia
assunto un ulteriore e forse definitivo salto di qualità di cui il
“Processo di Globalizzazione” in atto rappresenta la concreta
possibilità di un dominio assoluto, a tutti i livelli, su persone e
risorse dell’intero pianeta.
Dinanzi ai disastri che la scellerata politica economica intrapresa
dall’Unione Europea sta provocando in molti paesi (di cui la situazione
greca ed ancor più la recentissima incredibile crisi cipriota di questi
giorni sono una testimonianza inequivocabile) vi è un crescente numero
di esponenti della società civile e del mondo politico che comincia a
tirare in ballo la questione della “Congiura Massonica”. Ma la cosa più
interessante è che una certa parte dei loro interlocutori (dai più
disparati indirizzi di pensiero), che in precedenti occasioni
manifestavano un atteggiamento apertamente ironico e pure irrisorio,
oggi sono molto meno irridenti e molto più cauti nel manifestare
un’aperta negazione di fronte a tale eventualità che fino a poco tempo
fa era ritenuta un “infondato delirio ideologico” di alcuni esponenti
del pensiero reazionario più bieco e retrivo; e la singolare circostanza
che una testimonianza storica come quella offerta dalla riedizione
dello scritto di Luigi Cabrini, Il Potere Segreto,
sia avvenuta proprio in un momento come questo potrebbe far pensare ad
un caso di quella misteriosa “sincronia degli eventi” tanto cara agli
studiosi delle dinamiche della psiche umana.
Conclusioni.
A conclusione di questo breve saggio vorremmo rivolgere un invito a
tutti gli studiosi e alle persone che si interessano di “Scienze Umane e
della Cultura”. Vorremmo invitarli ad abbandonare, almeno per un
momento, un certo tipo di osservazione superficiale - cui spesso
corrisponde un certo tipo di improduttiva, facile e scontata retorica -
per cercare di verificare e di comprendere la ragione di fondo per cui
sembra che nell’anima dei popoli europei (nel loro, per così dire,
“inconscio collettivo”) sia come presente, e spesso ad uno stato di
latenza, un irrazionale sentimento antisemita: quasi vi fosse la
percezione inconscia che il popolo ebreo costituisca un tipo di
“alterità antropologica” pressoché irriducibile alla natura e ai valori
profondi dell’uomo europeo: e, proprio per questo, un’alterità
estremamente pericolosa per la coesione umana, sociale e spirituale del
contesto di fondo che è precipuo a tale uomo.
Analizzando la storia dell’Europa non si può infatti disconoscere il
fatto che tale tipo di sentimento irrazionale, spesso latente, si
comporta come un fiume carsico che a volte emerge in superficie con
tutta la potenza della sua forza distruttiva, assumendo veste razionale
(come è accaduto in un recente passato) in ideologie aberranti e in
comportamenti gravemente deviati e distruttivi
per poi rientrare nelle viscere dell’anima in attesa delle condizioni
favorevoli per una successiva nuova manifestazione esteriore. Una
ricerca seria e obiettiva in questo tipo di direzione, condotta da
persone qualificate e “senza interessi di parte”, potrebbe forse fornire
delle risposte del tutto sorprendenti e inaspettate al fenomeno del
tanto discusso e oggettivamente innegabile antisemitismo europeo.
Alla luce di quanto appena esposto in questo breve saggio, consigliamo un’attenta lettura del testo di Luigi Cabrini, Il Potere Segreto, in
quanto siamo certi che, al di là del comprensibile stile narrativo
proprio di una fase storica e del tipo di pensiero che la ha
maggiormente caratterizzata, non manca comunque di contenere e
trasmettere precise testimonianze storiche che, alla luce di quanto sta
avvenendo in questo particolare e delicato frangente in cui è
direttamente coinvolta l’intera comunità mondiale, permettono di
condurre una riflessione di ampia portata suffragata, appunto, da
elementi oggettivamente preziosi; riflessione, questa, particolarmente
urgente viste le impellenti e gravi contingenze che presenta e ci chiama
ad affrontare il momento cruciale attuale.
Rinnoviamo, infine, il nostro vivo e sincero ringraziamento all’editore
che si è profuso in un’iniziativa che, visto il contesto nazionale e
generale, poche persone avrebbero avuto il coraggio di intraprendere e
portare a compimento.
Rita e Paolo Marchetti
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