Filippo
Giannini
Come le potenze capitalistiche costrinsero l' Italia alla guerra
Il noto scrittore inglese Bernard Shaw in un'intervista concessa al “Manchester Guardian” , nel 1937, profetizzò: <Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo>. “Le cose da Mussolini già fatte”
erano in netto contrasto con i piani del grande capitale internazionale
che di volta in volta si è alleato a questi o a quegli interessi
nazionali per demolire o rettificare le situazioni che si presentavano
pericolose per i suoi piani e per la sua preminenza mondiale.
Il Duce si fece portatore, prima nel 1933, con il cosiddetto “Patto a Quattro” , poi nel 1935 con gli “Accordi di Stresa” , di iniziative intese a correggere quelle storture che sarebbero state le cause del secondo conflitto mondiale.
Ma per provare il
desiderio di pace che animava il Duce, possiamo tornare al febbraio
1932, e precisamente alla Conferenza di Ginevra sul disarmo, alla quale
parteciparono sessantadue Nazioni; l'Italia era rappresentata da Dino
Grandi e da Italo Balbo. Grandi sostenne il progetto di una
parificazione, al livello più basso, degli armamenti posseduti dalle
singole Nazioni. Venne, inoltre, esposto il piano mussoliniano tendente
all'abolizione dell'artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da
guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento: in altre parole
la messa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare ad una guerra
di distruzione. Tutto fu inutile: <si cadde nelle sacche dell'intransigenza inglese più che in quella dell'intransigenza tedesca>.
Intanto a nord delle
Alpi, oltre l'Austria, prendeva sempre più corpo l'ombra di un certo
Adolf Hitler e del suo nazionalsocialismo. Il seme fu gettato a seguito
della cosiddetta pace di Versailles e l'incubazione avvenne per il
perseverare dell'arroganza di alcuni Paesi che indispettirono oltre
misura il popolo tedesco. Fatti, questi, che Mussolini aveva da tempo
denunciato. Ci riferiamo al perseverare, da parte del Duce, nel
pretendere la revisione del trattato di Versailles. Queste le sue
parole: <Una pace che si fonda sull'ingiustizia è già una
pace morta. Se l'ingiustizia stava nei Trattati, si dovevano rivedere i
Trattati. Questa tesi l'ho sostenuta dal 1919 quando non ancora s'erano
asciugate le firme di Versailles. E' stata la tesi italiana da che presi
il potere. Da allora è stata messa all'ordine del giorno la seconda
guerra (…)> .
Fu veramente
l'ingenuità o una fortuita serie di errori di valutazione, da parte
delle democrazie, a determinare quella che fu la più grande catastrofe
che l'uomo abbia conosciuta? Abbiamo troppa considerazione per quella
che è stata l'abilità diplomatica del Regno Unito per ritenerlo
incapace di prevedere ciò che avrebbe comportato il perseverare con
quella politica. Quindi gli scopi della Gran Bretagna non erano quelli
comunemente affermati.
Rutilio Sermonti ha scritto in “L'Italia nel XX Secolo” : <Esse (le democrazie, nda) volevano un generale conflitto europeo, quale “unica risorsa”
per liberarsi della Germania – formidabile concorrente europeo – e,
soprattutto dell'Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira
alla verità storica: “soprattutto dell'Italia” > .
Quale migliore
occasione per liberarsi dal Fascismo che far intraprendere all'Italia
un'impresa coloniale particolarmente rischiosa come quella etiopica? I
mezzi e gli inganni messi in atto dalla Francia e dall'Inghilterra sono
riportati nel Capitolo VIII del 1° Volume e nel Capitolo XLIII del
secondo Volume, entrambi della collana “Benito Mussolini, l'uomo della pace” . In questa sede elenchiamo solo due “dei mezzi e degli inganni” ;
il primo riguarda le assicurazioni fornite dal Presidente del Consiglio
francese Pierre Laval e riconosciute dallo stesso Winston Churchill che
nel 1° Volume de “La Seconda Guerra Mondiale” ha scritto: < E'
accertato che durante i loro negoziati Laval fece a Mussolini numerosi
accenni all'indifferenza della Francia nei riguardi di qualsiasi evento
che dovesse verificarsi in Etiopia> . Il secondo riguarda l'atteggiamento inglese riportato nel così detto “Rapporto Maffey” , che esplicitamente attesta: <Parlando
in generale per quanto riguarda i locali interessi britannici, è
indifferente che l'Etiopia rimanga indipendente o venga assorbita
dall'Italia (…)>.
La tensione nei
rapporti italo-etiopici si aggravò alla fine del 1934, quando un
contingente abissino si accampò davanti al fortino di Ual-Ual, difeso
dai “Dubat” , soldati somali inquadrati nei reparti italiani. Il 5 dicembre di quell'anno, dopo che i “Dubat”
rifiutarono la richiesta abissina di sgombero, gli etiopici
scatenarono l'assalto e lo scontro si concluse all'alba del giorno
seguente con la vittoria italiana. Ma le nostre truppe lasciarono sul
terreno 120 morti. Rutilio Sermonti precisa, sempre nel volume citato,
che l'attacco abissino era guidato da un ufficiale inglese, e
precisamente dal colonnello Clifford.
Ma quello di Ual-Ual
non fu che una fra le tante provocazioni compiute dalle truppe del
Negus, anche se risultò essere la più grave. Lo stesso Guido Gerosa (non
certo tenero verso il regime fascista), ha scritto nel suo libro “Io Mussolini” , pag. 37: < L'Eritrea
e la Somalia sono costantemente insidiate da bande di predoni che
trovano appoggi e protezioni presso le autorità etiopiche e che compiono
razzie e scorrerie per poi rifugiarsi subito nel “santuario”
del territorio abissino (…). L'episodio più grave è l'attacco al
Consolato di Gondar. Un gruppo di predoni abissini prende d'assalto la
sede diplomatica italiana, uccide un ascaro e ne ferisce parecchi altri.
All'Italia il governo del Negus offre delle riparazioni, ma si tratta
di un atteggiamento ingannevole: tanto che gli autori dell'incursione,
catturati dalla polizia etiopica, vengono lasciati tranquillamente
fuggire>.
Il Negus, forte
dell'appoggio franco-britannico, rifiutò sia di inoltrare le scuse, sia
di riconoscere le riparazioni richieste dal Governo italiano per i fatti
avvenuti. Questo atteggiamento fu tanto più provocatorio in quanto la
commissione arbitrale italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco
di diritto internazionale Nicolaos Politis, aveva emesso, il 3
settembre 1935, la sentenza con la quale attribuiva la responsabilità
degli scontri alle autorità abissine.
Venuto a mancare
quanto richiesto, il 3 ottobre 1935 le truppe italiane, al comando del
Generale De Bono, varcavano il confine etiopico.
Ha scritto Alessandro Lessona, allora Ministro delle Colonie: <Io
ho il privilegio d'essere l'unico collaboratore di Mussolini a
conoscenza del suo segreto pensiero e devo, per la verità, dichiarare
solennemente ch'egli si augurò sempre di evitare il conflitto armato con
l'Etiopia. Anche quando più decisi erano i preparativi, continuò a
coltivare la speranza che “ritenendolo deciso alla guerra” , si
potesse giungere a una soluzione pacifica. Cadono dunque le illazioni e
le responsabilità che si sono volute addossare sulle spalle di
Mussolini per aver voluto provocare la guerra etiopica e aver così
acceso la fiammella della seconda guerra mondiale> .
Il 7 ottobre successivo, sotto la spinta dei delegati francesi e inglesi, l'Italia fu dichiarata “Paese aggressore”
dalla Società delle Nazioni. Quattro giorni dopo cinquantadue Stati
decisero l'applicazione delle sanzioni. Si astennero gli Stati Uniti, il
Giappone e la Germania.
Se l'intento dei Paesi “democratici”
era quello di spingere l'Italia fascista nell'impresa etiopica per
portarla alla sconfitta militare, grande fu il loro scorno in quanto
l'Italia compì il miracolo di concludere quella campagna in appena sette
mesi. Mai nessun'altra impresa coloniale fu portata a termine in così
poco tempo.
Il 9 maggio 1936 Mussolini pronunciò da Palazzo Venezia quello che comunemente viene indicato come “Il discorso della proclamazione dell'Impero”.
Quando si affacciò al balcone un urlo immenso si levò dalla folla che
gremiva la piazza e le vie adiacenti. Egli, fra l'altro disse: <L'Italia
ha finalmente il suo Impero (…). Impero di pace, perché l'Italia vuole
la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando vi è
forzata da imperiose, incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e
umanità per tutte le popolazioni d'Etiopia. Questo è nelle tradizioni
di Roma che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino> .
Questi principi di civiltà sono confermati da Renzo De Felice nel suo libro “ Intervista sul fascismo” , pag. 52: <Non
si tratta di imperialismo di tipo inglese o francese: è un
imperialismo, un colonialismo che tende all'emigrazione, che spera,
cioè, che grandi masse di italiani possano trapiantarsi in quelle terre
per lavorare, per trovare quelle possibilità che non hanno in patria.
Insomma non si parte tanto dall'idea di sfruttare le colonie, quanto
soprattutto dalla speranza di potervi trovare terra e lavoro> .
E' proprio quello che francesi e inglesi non tolleravano: sarebbe stato
un esempio pericoloso per la politica coloniale dei Paesi che
volevano mantenere il principio che le colonie erano terre da
sfruttare. I timori britannici erano fondati. Si consideri, oltretutto,
che il Governo italiano prevedeva di inviare in Etiopia ben 15 milioni
di coloni e all'uopo stava predisponendo grandiosi lavori strutturali.
Tutto ciò fu un ulteriore motivo di ostilità nei confronti dell'Italia
fascista.
Chi si avvantaggiò di questa situazione fu Hitler che vedeva prendere sempre più forma il suo disegno tracciato nel “Mein Kampf” : un'alleanza politico-militare tra Germania e Italia. Alleanza non gradita a Mussolini.
Il 3 maggio 1936 il “Fronte Popolare” vinse le elezioni legislative in Francia, dando inizio ad un periodo pernicioso sia per la Francia che per l'Europa. Il “Fronte Popolare” , costituitosi il 14 luglio 1935, comprendeva: il Partito comunista, il socialista SFIO e da altre organizzazioni antifasciste.
Léon Blum, socialista, formò un governo “antifascista”
il 22 giugno 1936. Mussolini rilasciò un'intervista all'ex ministro
socialista francese Malvy, ribadendo la propria disponibilità a
collaborare con Francia e Inghilterra. <La situazione è tale> iniziò Mussolini <che
mi obbliga a cercare altrove la sicurezza che ho perduto dal lato della
Francia e della Gran Bretagna. A chi indirizzarmi se non a Hitler? Io
vi devo dire che ho avuto con lui dei contatti, ma sin qui mi sono
riservato di decidere. Valuto perfettamente che cosa succederà. Innanzi
tutto sarà l'Anschluss a breve scadenza, poi sarà la volta della
Cecoslovacchia, della Polonia e delle ex colonie tedesche. Per dire
tutto, sarà la guerra. E per questo ho evitato di impegnarmi. Vi ho
fatto venire perché informiate il vostro Governo della situazione. Io
attenderò ancora, ma se prossimamente l'atteggiamento del Governo
francese nei confronti dell'Italia fascista non si modifica, se non si
darà l'assicurazione di cui ho bisogno, l'Italia diventerà alleata della
Germania>.
Questa preziosissima
testimonianza, che dimostra la precisione con la quale Mussolini previde
gli avvenimenti successivi, fu riportata da E. Bonnefour nella “Histoire politique de la troisième republique” . Il “Fronte Popolare”
non raccolse l'offerta e l'Italia fece trascorrere diversi anni prima
di unire le sue sorti alla Germania di Hitler: il che mostra anche
quanti sospetti Mussolini nutrisse nei confronti del Führer.
Ad aggravare ancor più la situazione internazionale fu la Spagna col “Frente Popular” , una coalizione di sinistra che aveva vinto le elezioni del 16 febbraio. Ne “La guerra di Spagna” , a pag. 75, dopo aver esaminato alcuni avvenimenti precedenti, Bernard Michal nota: <Il fatto più significativo di queste nuove alleanze (nel “Frente Popular” ,
nda) è la partecipazione dei comunisti. Questi ultimi, fino a quel
momento poco numerosi in Spagna, per la prima volta si alleano a partiti
di sinistra. L'ordine di questa brusca virata era stato dato da Mosca,
durante il settimo Congresso del Komintern, che si interessava da tempo a
quello che succedeva al di là dei Pirenei (…)>.
In Spagna, dopo il
responso popolare le violenze ripresero con maggior vigore rispetto a
quelle, già numerose, che si erano verificate prima delle consultazioni
popolari. Sono significativi alcuni dati all'epoca ufficialmente forniti
dagli organi governativi: nei primi giorni del nuovo regime furono
commessi 209 assassinii politici e 287 ferimenti, 160 chiese distrutte,
251 incendiate, 381 sedi di partito e 46 redazioni di giornali
devastate, 145 attentati dinamitardi, 113 scioperi generali, 228
scioperi parziali. Nulla sembrava in grado di impedire la corsa
dell'estrema sinistra al potere e i loro leaders, in un clima di terrore
abilmente instaurato, e padroni dei principali centri di potere,
sembravano pronti a scatenare il colpo di Stato che avrebbe permesso
l'attuarsi della profezia di Lenin: <Dopo la Russia, il Paese
in cui si sarebbero verificate le circostanze più favorevoli per
l'instaurazione della dittatura del proletariato sarebbe stata appunto
la Spagna: dico che la storia mi darà ragione>.
Fu così che il 17
luglio 1936, alle ore 17, le guarnigioni spagnole d'Africa uscirono dai
loro acquartieramenti e si impadronirono del Protettorato. Era iniziata
la “guerra civile spagnola”.
Il “Frente Popular” da
Madrid scongiurò il Fronte Popolare di Parigi di inviare in soccorso
materiale bellico. Il 24 luglio stesso furono inviati oltre i Pirenei i
primi 20 aerei da combattimento. L'Urss annunciava, a sua volta la
propria solidarietà e le prime spedizioni di armi, carri armati e aerei
verso i porti spagnoli. Gli armamenti sovietici erano accompagnati da
specialisti rivoluzionari quali Lezcoski, Ridel, Primanoff, Bela Kun. E
tutti ebbero modo di vedere il Ministro della Difesa francese, Daladier,
sfilare dietro una bandiera rossa levando il pugno chiuso nel saluto
comunista.
Il passaggio delle
forze nazionali dall'Africa in Spagna era impedito dalla marina che,
rimasta fedele a Madrid, bloccava lo Stretto di Gibilterra.
<L'alzamiento sembrò in quei giorni seriamente compromesso> ha scritto Renzo Lodoli. < Fu
allora che Francisco Franco, comandante delle forze d'Africa, bussò
alla porta del Consolato italiano di Tangeri e spedì con tutta urgenza a
Roma un suo emissario, il giornalista falangista Luis Bolin, con la
richiesta di acquistare per un milione di sterline dodici S/81 da
utilizzare nel primo ponte aereo che la storia militare ricordi.
Mussolini scrisse di suo pugno un “no” e un “archiviare”
sui due telegrammi pervenuti da Tangeri e rifiutò a Bolin la vendita
degli apparecchi. Appare evidente che Mussolini intendesse mantenere la
rivolta spagnola nell'ambito dei fatti interni di quel Paese>.
Purtroppo i governi “democratici” (Francia, Inghilterra, Stati Uniti) anche in questa occasione si schierarono con i “rossi” :
con quelli, cioè, che si resero responsabili della morte di 13 vescovi,
5255 preti secolari, 2669 sacerdoti e religiosi di vari Ordini, 283
suore, 249 seminaristi orrendamente trucidati. Mentre 20 mila chiese
furono distrutte, incendiate; crocefissi divelti e scalpellati. Era
chiara la volontà dei repubblicani di cancellare ogni traccia di
cristianesimo in terra spagnola.
Continua Renzo Lodoli: <Solo
dopo essere venuto a conoscenza degli aiuti francesi già in corso,
dopo che Hitler aveva a sua volta deciso l'invio di 20 “Junker 52”
da trasporto a Melilla, Mussolini, il 27 luglio, constatato che
l'insurrezione si stava tramutando in un conflitto internazionale tra
contrapposti interessi, consentì la cessione dei dodici aerei (…)>.
Mussolini poteva rimanere estraneo al conflitto spagnolo?
E' nostra convinzione
che se quella guerra civile si fosse mantenuta entro i confini
spagnoli, nessuna ingerenza italiana ne avrebbe modificato il corso. La
cosa cambiò aspetto quando Mussolini vide che alla Spagna era
interessata la Russia Sovietica. All'uopo è interessante una
osservazione di Domenico Settembrini, contenuta in “Fascismo, controrivoluzione imperfetta” , (volume stampato nel 1978): <Tutti
gli scritti di Mussolini dedicati alla questione russa andrebbero oggi
riletti. Ci si accorgerebbe che con tutto quello che abbiamo saputo dopo
(ripetiamo che il libro fu stampato nel 1978 e il “muro di Berlino” era
ancora ben dritto, nda), ben poco in realtà siamo venuti a conoscere di
cui egli non si fosse già allora perfettamente reso conto. Vide a nudo
il comunismo e ne fu atterrito> .
D'altronde
l'importanza che assumeva la Russia sovietica nel conflitto spagnolo fu
rilevata anche da Carlo Rosselli che il 9 giugno 1937, appena ritornato
dal fronte aragonese, scrisse testualmente: <L'Urss
interviene in Spagna al di là del giusto e del necessario, anche se
senza l'Urss non esisterebbe oggi una Spagna repubblicana> .
La guerra civile di
Spagna non era più un fatto isolato e una Spagna comunista, insieme al
Governo filo-comunista di Léon Blum, senza la contrapposizione militare
italiana e tedesca, avrebbe potuto controllare tutta l'area del
Mediterraneo occidentale e costituire un pericoloso trampolino per la
successiva sovietizzazione di tutta l'Europa. Non per nulla Stalin
considerava la guerra in Spagna la prova generale per la rivoluzione
bolscevica in senso generale. Non va dimenticata la partecipazione delle
“Brigate Internazionali” inviate in soccorso dei “rossi” dalla
Gran Bretagna, dagli Stati Uniti, dalla Francia e da altri Paesi che si
erano schierati con l'antifascismo. L'Italia veniva così sempre più
spinta verso l'area tedesca, anche se Mussolini non concedeva nulla di
più ad Hitler, almeno per il momento, oltre gli accordi di “buon vicinato”.
Il 21 ottobre 1936
venne firmato a Berlino, fra Ciano e von Neurath, un protocollo segreto
che tracciava una linea comune in politica estera. La formula venne
annunciata da Mussolini il 1° novembre di quell'anno. Senza rivelarne
il contenuto, in un discorso tenuto a Milano nel presentare i
protocolli, Mussolini fra l'altro disse: <Questa verticale
Berlino-Roma non è un diaframma, è piuttosto un asse attorno al quale
possono collaborare tutti gli Stati europei animati da volontà di
collaborazione e di pace>. Se si leggessero con attenzione queste parole si noterebbe che si trattava di un nuovo tentativo di ricreare quello “spirito di Stresa” che non aveva avuto seguito. Infatti egli sottolinea che l' ”Asse” non era un “diaframma” , ma uno strumento aggregativo per “tutti gli Stati europei animati da volontà di collaborazione e di pace”.
Sembrò, finalmente,
che da parte inglese non si verificasse più una politica di
intransigenza verso l'Italia e questa fu favorita dal Primo Ministro
inglese Neville Chamberlain che il 28 maggio sostituì Baldwin. Nel corso
del 1937 Chamberlain accentuò la sua politica al punto di costringere
il Ministro degli Esteri Anthony Eden (antitaliano) alle dimissioni,
nominando suo successore, nel febbraio 1938, Lord Halifax.
Fu di certo un momento cruciale della storia con eventi di importanza fondamentale.
Sin dal 1920 Hitler aveva enunciato uno dei perni della sua politica: < L'imperativo
fondamentale è mettere fine al trattato di pace. Per ottenere lo scopo
dobbiamo manovrare tutte le leve e fare di tutto per portare dalla
nostra parte l'Italia>. Altro punto fermo della politica di Hitler era l'annessione dell'Austria alla Germania. Nella prima pagina del “Mein Kampf” è categoricamente affermato: <L'Austria germanica deve ritornare alla grande patria germanica> .
Il 25 luglio 1934
alcuni cospiratori nazisti uccidono il Cancelliere Dollfuss a Vienna. In
quei giorni la moglie e i figli del Cancelliere austriaco erano in
vacanza a Riccione, ospiti di Mussolini. E fu lo stesso Duce ad
informare Alwine Dollfuss della tragedia. Poi, infuriato, telegrafò a
Roma ordinando che quattro Divisioni venissero inviate al Brennero. La
reazione italiana impressionò Hitler e lo indusse a non portare a
compimento il progetto di annessione dell'Austria.
Grazie alla decisa
azione di Mussolini, l'Anschluss è rinviata. Francia e Inghilterra
applaudono al protettore dell'Austria, ma non vanno oltre l'applauso.
Infatti, i Governi di Parigi e Londra, invitati a mantener fede alle
garanzie assicurate al piccolo Stato danubiano, dopo lunghe
consultazioni, non mossero un dito. Ha scritto in merito il giornalista e
storico svizzero Paul Gentizon, nel 1945: <Solo Mussolini si
levò non soltanto a parole ma a fatti contro Hitler, il
nazionalsocialismo, il pangermanesimo. Se in quel momento le democrazie
occidentali lo avessero ascoltato, il destino del mondo sarebbe stato
ben differente> .
Da quella data fino
al 1937 molte cose cambiarono, ma non l'ostilità dei Paesi plutocratici
verso il Fascismo. Una svolta decisiva in questo senso fu il viaggio che
Mussolini compì in Germania il 25 settembre 1937. La regia per
presentare all'ospite italiano la potenza dell'armamento tedesco fu
accuratissima. Certamente la futura politica estera italiana risentirà
dell'impressione che Mussolini ricavò dalla forza della moderne armi
tedesche messe in mostra durante la sua visita. Altro fattore, non
secondario, fu l'accoglienza trionfale espressa genuinamente dal popolo
tedesco, che poneva ancor più in evidenza l' ostilità manifestata dai
Paesi democratici.
Al suo rientro a
Roma, alle 18,30 del 30 settembre, il Duce si recò subito a Palazzo
Venezia. Ma già un'imponente massa di popolo era convenuta nella piazza
per acclamarlo. Affacciatosi al balcone, Mussolini così sintetizzo le
finalità del suo viaggio: <Riporto dalla Germania e dai miei
colloqui con il Führer un impressione profonda e ricordi indelebili (…).
Obiettivi di questa amicizia: la solidarietà stretta fra le due
rivoluzioni, la rinascita dell'Europa, la pace fra i popoli degni di
questo nome >.
Novembre 1937: Ribbentrop viene inviato a Roma per sondare, ancora una volta, l'atteggiamento di Mussolini sulla ormai annosa “questione austriaca” e
il Ministro degli Esteri tedesco fu rassicurato: la questione austriaca
non costituiva più un ostacolo per l'amicizia tra Italia e Germania. <Sono stanco> disse Mussolini <di montare la guardia all'indipendenza austriaca >.
Molto probabilmente era convinto che, dopo l'impresa d'Etiopia e la
guerra di Spagna tuttora in corso e che assorbiva tanto materiale
italiano, non fosse il caso di rischiare oltre. Su questa decisione
influì certamente il disinteresse delle democrazie, ma soprattutto il
viaggio compiuto in Germania che lo convinse della potenza militare
tedesca.
L'11 marzo 1938 i
primi reparti della Wermacht penetrarono in Austria, accolti dalla
stragrande maggioranza della popolazione con grande entusiasmo. Questo
accadeva mentre Gran Bretagna, Francia e la stessa Società delle Nazioni
erano ancora impregnate a “fare la guerra” all'Italia (per la
questione spagnola) anziché preoccuparsi delle azioni di Hitler. Per
inciso va ricordato che in Austria nel plebiscito del 10 aprile
successivo, votarono per l'annessione il 99,75% degli austriaci.
Di fronte a questo risultato Mussolini commentò: <E' assurdo imporre dall'esterno l'indipendenza ad un popolo che non la vuole> . Del resto l'idea dell' ”Anschluss” era austriaca e non tedesca.
Vedendo addensarsi nuove minacce sul cielo d'Europa, Mussolini al Senato, il 3 giugno, lanciò un nuovo ammonimento: <Complicazioni
gravi saranno evitate se, rivedendo i trattati di pace, dove meritano
di essere rivisti, si darà nuovo respiro alla pace. Questa è l'ipotesi
che io accarezzo e alla quale è ispirata la politica del governo
fascista e del popolo italiano >.
La Cecoslovacchia, un “organismo inventato”
sul tavolo della pace di Versailles, racchiudeva entro i suoi confini
una folta rappresentanza tedesca. Forte della dichiarazione di Neville
Chamberlain ( “La Gran Bretagna non è tenuta a scendere in campo in difesa della Cecoslovacchia” ),
la Germania aumentò la sua pressione su quel Paese. Il Governo
cecoslovacco estese ad altri cinque distretti la già proclamata legge
marziale alla quale seguì l'arresto del capo del partito
nazionalsocialista ceco, Konrad Henlein, e l'immediato scioglimento del
partito.
Questo nuovo evento
comportò una lunga serie di contatti fra le capitali europee, ma Hitler,
forte della convinzione che i governi democratici non si sarebbero
mossi a difendere quella “creatura” da loro inventata, inviò a Praga un ultimatum, fissandone la scadenza alle ore 14 del 28 settembre.
La mattina di quello
stesso giorno, alle 10, un'iniziativa franco-britannica coinvolse
l'Italia nella crisi: a Mussolini fu richiesto di intervenire presso
Hitler per proporgli una conferenza, proposta dalle 4 Potenze, mirante a
risolvere pacificamente la questione dei Sudeti. Ciano pose in
quell'occasione una domanda all'ambasciatore britannico: <Chiedo
a Perth se devo considerare la démarche come un invito ufficiale al
Duce ad assumere il ruolo di mediatore>. <Sì>. <Allora non
c'è tempo da perdere: l'offerta merita di essere presa in
considerazione>. Questa fu la risposta di Ciano.
Sollecitato dal Duce, Hitler rispose all'ambasciatore italiano Attolico, alle ore 12 di quello stesso giorno: <Dite al Duce che io accetto le sue proposte>.
La mobilitazione tedesca, già in atto, fu ufficialmente bloccata ed ebbe inizio la conferenza di Monaco.
Poco prima della
partenza di Mussolini per Monaco, l'ambasciatore americano gli consegnò
un messaggio di Roosevelt con l'esortazione di prestarsi per salvare la
pace. Mussolini sorrise: <Che felice combinazione> esclamò <nel
maggio 1937 avevo mandato a Roosevelt, tramite un giornalista
americano, la proposta d'indire una conferenza sul disarmo, ma il
Presidente americano non aveva mai risposto. Ora Roosevelt ha ritrovato
il mio indirizzo>.
La conferenza di
Monaco ebbe luogo il 29 settembre e vi parteciparono Hitler,
Chamberlain, Mussolini e Daladier. Fu proprio, per espresso volere di
Daladier, fortemente appoggiato da Chamberlain, che i cecoslovacchi non
fossero presenti alle decisioni che riguardavano così direttamente il
loro Paese. Solo dopo ripetute proteste essi furono ammessi nella sala.
Ecco come la scena viene descritta da Hubert Masaryk, allora Ministro degli Esteri a Praga: <All'una
e mezza di notte fummo introdotti nella sala in cui aveva avuto luogo
la conferenza. Erano presenti Mr. Chamberlain, M. Daladier, Sir Horace
Wilson, M. Léger ed io. L'atmosfera era opprimente; si stava per
pronunciare la sentenza (…). Mr. Chamberlain sbadigliava di continuo,
senza sforzarsi minimamente di nascondere gli sbadigli. Chiesi a
Daladier e a Léger se essi si aspettavano dal nostro Governo una
dichiarazione o una risposta all'accordo. M. Daladier era visibilmente
nervoso. M. Léger rispose che i quattro statisti non avevano molto
tempo. Aggiunse in fretta, con indifferente superficialità, che da noi
non si richiedeva risposta alcuna, che essi consideravano come già
accettato il piano>. (Dal rapporto ufficiale trasmesso dal dottor Hubert Masaryk al Ministero degli Esteri cecoslovacco).
Si conclude così un atto di giustizia verso il popolo tedesco nel modo più ignominioso. Infatti, quando fu “inventata”
la Cecoslovacchia nel 1919, Francia e Inghilterra (e Unione Sovietica
dopo) ne garantirono l'integrità e la difesa. Fu un atto di giustizia,
perché in base all'accordo, la cui intesa definitiva porta la data del
20 novembre 1938, la Cecoslovacchia restituì alla Germania 11 mila
miglia quadrate di territorio ove risiedevano 2.800.000 tedeschi, ma
anche 800 mila fra cechi e altre popolazioni di varie etnie.
E' noto il
determinante ruolo di mediazione e moderazione svolto da Mussolini. Il
Ministro degli Esteri francese George Bonnet notò il grande ascendente
che il Duce esercitava su Hitler <presso il quale sembra
svolgere un compito moderatore, proponendo formule conciliative nei
momenti in cui il Cancelliere cedendo ad uno dei suoi momenti di
collera, rimetteva tutto in discussione> . E il parere di Alan Bullock ( Hitler. A study in Tiranny” , pag. 428): E' quasi certo che fu l'intervento di Mussolini a pesare sulla bilancia> .
Molti in Europa ritenevano che Mussolini solo potesse essere in grado di eliminare le cause di un futuro possibile conflitto.
Sulla strada del
ritorno folle deliranti lo acclamarono come il salvatore della pace.
Della stessa opinione era la stampa mondiale. Negli Stati Uniti si
affermò: <Monaco è il più bel momento di Mussolini> .
Affacciato al balcone di Palazzo Venezia, così rispose alla folla che lo acclamava: <A Monaco noi abbiamo operato per la pace secondo giustizia. Non è questo l'ideale del popolo italiano?> .
Così, almeno per quei giorni, gli eserciti già mobilitati, rientrarono nelle caserme.
Churchill nel suo discorso alla Camera il 5 ottobre, disse fra l'altro: <Abbiamo subito una disfatta totale e senza scusanti (…). Ci troviamo dinanzi a un disastro di prima grandezza>.
Ma anche Mussolini
accusò gli stessi timori: era inquieto per il ruolo che stava assumendo
la Germania nel cuore dell'Europa. Il suo timore era alimentato dal
fatto che il Reich si affacciava ormai al Brennero. Queste
preoccupazioni vennero espresse a Bruno Spampanato: <Non
m'illudo su Monaco. Quei signori a Monaco avevano bisogno di chi gli
suggerisse, a ognuno nella sua lingua, un compromesso decente. Tutti
avrebbero fatto la guerra, ma nessuno era pronto. Nemmeno la Germania
che aveva puntato sulla lentezza delle democrazie nel reagire. A
settembre la guerra è stata solo rimandata> .
Tutti questi avvenimenti si svolgevano mentre in Spagna infuriava ancora la sanguinosa guerra civile e le “democrazie”
rifornivano di armamenti e uomini e si mantenevano sullo stesso
schieramento dell'Unione Sovietica, contro quello mantenuto dall'Italia e
dalla Germania. Negli Stati Uniti Roosevelt, violando le leggi dei suoi
Stati, consentì che nelle città americane venissero aperti uffici di
arruolamento per le “Brigate Internazionali”. Così operando, l'Italia veniva sempre più sospinta verso la Germania nazionalsocialista. Lo stesso Winston Churchill ne “La Seconda guerra Mondiale” , 1° Volume, pag. 209, ha scritto: <Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi nell'altro campo, la Germania non era più sola>. Quasi con le stesse parole George Trevelyan nella sua “Storia d'Inghilerra” , a pag. 834: <E
l'Italia, che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri
contatti con l'Austria e con i Paesi balcanici, fu gettata in braccio
alla Germania (…)> .
A fine novembre 1938 Ribbentrop era a Roma e, incontratosi con Mussolini e Ciano, iniziò con questa dichiarazione: <Il
Führer è convinto che dobbiamo ritenere inevitabile una guerra con le
democrazie occidentali, forse fra tre o quattro anni> . Dopo questa premessa, il Ministro degli Esteri tedesco continuò svelando il motivo della sua visita: <Dopo
quanto è successo a Monaco, l'Asse si trova in una situazione
eccezionalmente favorevole a una eventuale alleanza secondo le proposte
tedesche>.
Mussolini
aggirò abilmente l'offerta; il popolo italiano non è ancora pronto ad
andare, con un'alleanza militare, al di là dell'Asse. <Ci si può arrivare rapidamente> , aggiunse.
E' certo che temeva l'imprevedibilità della politica di Hitler, e si preoccupò di rendere “ermetiche”
le frontiere con la Germania. Questo proposito prese concretezza a
partire dall'autunno del 1938, quando dette ordine di passare alla fase
esecutiva del progetto di fortificazione del confine con la Germania
(Austria). I lavori furono concepiti e posti in esecuzione sotto la
direzione del generale Arturo Monti e superarono, per larghezza di mezzi
e di materiali, qualsiasi progetto similare. Questa linea difensiva
venne battezzata “Vallo Alpino del Littorio” . Le opere di
fortificazione continuarono anche dopo l'inizio della guerra a fianco
della Germania e vennero sospese solo nel 1941, a seguito delle proteste
della nostra alleata. Queste opere di fortificazioni al confine col
Brennero dovrebbero servire, ad alcuni storici per rivedere i giudizi su
“certe responsabilità” relative agli avvenimenti che seguirono. Mussolini attendeva quel “messaggio” da parte delle democrazie: “messaggio” che non giunse mai. Giunsero, invece, come vedremo, “messaggi” di ostilità accompagnati da inaudite provocazioni.
La storia correva
inesorabile . Se gli statisti europei avessero accolto i decennali
avvertimenti di Mussolini, non ci sarebbe stata ragione alcuna che
Hitler divenisse il Führer della Germania. Il mantenere in vita gli
assurdi privilegi di Versailles pose la Germania in condizione di
provvedere da sola alle sue improrogabili necessità e alla tutela dei
suoi giusti diritti, nonché al proprio onore nazionale.
Fra i tanti, troppi errori (se poi tali furono!) commessi nel '19, non è davvero di secondaria importanza l'aver concepito un “corridoio”
per assicurare alla Polonia un accesso al mare, togliendo alla Germania
la città di Danzica e un ampio territorio i cui abitanti erano per la
stragrande maggioranza tedeschi.
Eppure Hitler, a
mezzo di Ribbentrop, nel rivendicare la correzione di quella stortura,
propose delle condizioni eccezionalmente ragionevoli: il Reich intendeva
costruire una autostrada e una linea ferroviaria a doppio binario che
attraversasse il “corridoio” per collegare la Germania con la
Prussia orientale. In cambio il Reich sarebbe stato disposto a
prolungare il trattato di amicizia con la Polonia portandolo da dieci a
venti anni; e avrebbe, infine, garantito le frontiere polacche. La
risposta di Varsavia fu negativa.
Perché il Governo
polacco si irrigidì di fronte a queste ragionevoli proposte di Hitler e
non volle dar inizio ad alcuna trattativa? Sappiamo che il 31 marzo 1939
Francia e Gran Bretagna si impegnarono a garantire l'indipendenza della
Polonia, ma sappiamo anche che questa Nazione venne tradita e
abbandonata alla mercè delle truppe tedesche prima e di quelle
sovietiche dopo.
Gli stessi Stati Uniti non facevano mistero delle loro predilezioni. In appendice del libro “Da Versailles al 10 giugno 1940” sono
stati allegati due documenti, uno datato 21 novembre 1938 e l'altro 16
gennaio 1939, dai quali risulta la risolutezza del Governo americano
nell'affiancarsi agli alleati europei per la difesa della Polonia.
D'altronde, da anni Roosevelt aveva dato alla sua politica estera la
veste di una crociata ideologica, atteggiandosi a paladino delle
democrazie contro le ideologie autoritarie.
Il 31 marzo 1939 Chamberlain ai Comuni rilasciò la storica dichiarazione che Gran Bretagna e Francia <avrebbero dato al Governo polacco tutto l'appoggio in loro potere>. Ma questa volta Chamberlain andò oltre: offrì le stesse garanzie a Romania e Grecia e propose un'alleanza alla Turchia.
In questo torbido
clima di emergenza continuava il balletto degli inganni tedeschi nei
confronti della loro alleata dell'Asse. Il 15 marzo Goering giunse a
Roma e presentò subito a Mussolini un interrogativo: quando sarebbe
dovuta iniziare la guerra?
Il Duce rispose che
l'Italia non poteva essere pronta prima del 1942-43 e Goering assicurò
che prima di quella data neanche la Germania sarebbe stata in grado di
attaccare. Ma ecco l'inganno: <Goering già sapeva che l'ordine d'attacco era stato fissato per il prossimo autunno> (” Il tradimento tedesco” , di Erich Kuby, pag. 67). Dopo questa assicurazione, Mussolini fece assegnamento su alcuni anni di pace.
Avendo avuto da
Attolico (ambasciatore italiano a Berlino) un rapporto allarmante che
annunciava come imminente un attacco tedesco contro la Polonia, il Duce
chiese all'ambasciatore di accelerare un incontro tra Ciano e Ribbentrop
per ottenere ulteriori garanzie.
Shirer scrive su “Storia del III Reich” , pagg. 525-526: <I
due Ministri degli Esteri si incontrarono a Milano il 6 maggio. Ciano
era arrivato con disposizioni scritte di Mussolini il quale intendeva
far capire ai tedeschi che l'Italia desiderava evitare una guerra per
almeno altri tre anni. Con sorpresa di Ciano, il Ministro tedesco
dichiarò che anche la Germania desiderava mantenere la pace per un
uguale periodo di tempo> . Facendo leva su queste garanzie offerte al collega, Ribbentrop ripresentò la necessità di un Patto militare.
Ciano telefonò a
Mussolini informandolo sull'esito dell'incontro e delle garanzie avute
da Ribbentrop (che poi erano la conferma di quanto Goering aveva detto
il marzo precedente).
Dal “Diario” di Ciano risulta evidente la preoccupazione degli italiani di non essere più colti di sorpresa di fronte al “fatto compiuto” ,
come era accaduto, più volte, in precedenza. E questa certezza si
riteneva di poterla raggiungere solo stipulando con la Germania un patto
formale. A questo punto, confidando su quelle assicurazioni e
considerando che, a seguito dell'alleanza e protezione offerta alla
Polonia da Francia e Inghilterra, l'Italia non poteva rimanere isolata
nel contesto europeo, Mussolini autorizzò il genero ad accettare la
proposta tedesca di un'alleanza militare tante volte ventilata e mai
concretizzata.
Il “Patto d'Acciaio” (ufficialmente denominato “Patto di amicizia e di alleanza fra l'Italia e la Germania” )
venne firmato a Berlino il 22 maggio 1939. Vittorio Emanuele III in
quell'occasione fece consegnare a Ribbentrop, per mezzo di Ciano, il “Collare dell'Annunziata” , la più alta onorificenza di Casa Savoia e, in risposta ad un messaggio di Hitler, così si espresse: <Adolfo
Hitler, Führer e Cancelliere del Reich – Berlino. In occasione della
firma del Patto che viene oggi concluso dai nostri due Governi, mi è
grato inviarVi le espressioni dei miei cordiali sentimenti di alleato e
di amico, insieme ai voti più sinceri per la Vostra persona e per la
prosperità e grandezza del Vostro Paese legato all'Italia dal saldo
vincolo, da una profonda comunanza di interessi e di propositi.
Vittorio Emanuele> .
Ha scritto Amedeo Tosti nella sua “Storia della Seconda Guerra Mondiale” , pag. 45: <Il 23 maggio (in pratica il giorno seguente la firma del “Patto d'Acciaio” ,
nda) Hitler riunì i capi militari a Berlino, nello studio della
Cancelleria e disse loro bruscamente che nuovi successi erano
impossibili senza spargimento di sangue: la guerra era perciò
inevitabile>. Alla riunione erano presenti i più alti gradi
delle forze armate germaniche e, stando alla testimonianza del
colonnello Rudolf Schmundt, presente alla riunione, il Führer ordinò che
il motivo e le risoluzioni della riunione dovevano rimanere
assolutamente segreti. L'ordine dell'assoluta segretezza valeva anche
nei confronti degli alleati della Germania: l'Italia e il Giappone.
Prime considerazioni:
Si trattò di un inganno (parente stretto del tradimento) che portò l'Italia alla rovina e nella sua rovina trascinò anche “l'altra Parte Contraente”.
Erich Kuby a pag. 72 del volume già citato, attesta: <Nel
testo siglato a Milano (incontro Ciano-Ribbentrop del 6 maggio
precedente, nda) era chiaramente specificato: l'intervento armato del
partner era previsto unicamente nel caso che l'Italia o la Germania
fossero state aggredite>.
A seguito di altri
allarmanti rapporti provenienti da Berlino, il Governo italiano, per
evitare nuovi colpi di testa di Hitler, incaricò il Maresciallo
Cavallero di recarsi dal Führer per consegnargli un memoriale nel quale
venivano ribadite l'impreparazione militare dell'Italia e l'assoluta
necessità di mantener fede alla data stabilita per l'inizio di qualsiasi
attività bellica. Hitler si mostrò comprensivo e si disse d'accordo
sulle considerazioni dell'alleato.
Per volontà di
Mussolini il 10 agosto Ciano partì per Salisburgo per incontrarsi con
Ribbentrop. Prima di congedarsi dal genero, il Duce gli
raccomandò ancora di far presente ai tedeschi che l'Italia era
nell'impossibilità materiale di intraprendere un conflitto e che un
attacco alla Polonia avrebbe causato una guerra generale disastrosa per
tutti. <Ciano lo guarda con commozione: mai come quel giorno
il Duce ha parlato con tanto calore e senza riserve della necessità
della pace. Il genero è del tutto d'accordo: si batterà con coraggio, ma
dubita dei risultati> ( “Diario” , G. Ciano, 10 agosto 1939).
Il 13 agosto Ciano annotò nel suo “Diario” : <Torno
a Roma disgustato della Germania, dei suoi capi, del loro modo d'agire.
Ci hanno ingannato e mentito. E oggi stanno per tirarci in un'avventura
che non abbiamo voluto e che può compromettere il Regime e il
Paese>.
Nei giorni successivi si verificò in Mussolini un alternarsi di posizioni antitetiche e Ciano così scrive nel suo “Diario” in data 18 agosto: <Se
l'Italia dovesse denunciare il Patto, quali assicurazioni avremmo che
Hitler non accantonerebbe la questione polacca per saldare il conto con
l'Italia?>.
Mussolini nei
giorni immediatamente precedenti l'esplosione del conflitto visse
momenti drammatici, e i tentativi che si succedevano per evitare che
l'Europa precipitasse in una guerra si fecero ancor più febbrili. Il 26
agosto compì un ulteriore tentativo per dissuadere Hitler dall'iniziare
un conflitto. Spedì un nuovo messaggio nel quale, fra l'altro attestava:
<Oso insistere nuovamente sull'opportunità di venire a una
soluzione di carattere politico che io ritengo ancora possibile:
soluzione, naturalmente tale da garantire alla Germania piena
soddisfazione, morale e materiale>.
Ma la pazzia e
l'incoscienza avevano contagiato tutti: anche i polacchi che sentendosi
garantiti dalle promesse d'intervento anglo-francese, rinvigorirono la
propria intransigenza. Anche da oltreoceano, dal Presidente americano
giungevano al Governo polacco incitamenti a non cedere.
Alle 9 del mattino del 31 Attolico comunicò che <la situazione era disperata e che se non si fosse verificato un fatto nuovo, di lì a poche ore, ci sarà la guerra>.
Quello stesso giorno il Duce telefonò a Londra proponendo di
predisporre per il 5 settembre successivo, una conferenza con lo scopo
di rivedere nell'insieme il Trattato di Versailles. Fu l'estremo
tentativo per fermare la guerra. Alle 20,20 di quel 31 agosto l'ufficio
telefonico informò che Londra aveva tagliato le comunicazioni con
l'Italia. Inaudito! Forse calcolo politico? A questo punto non è più
possibile parlare di errori, ma di una precisa volontà, da ogni parte,
di volere la guerra.
Il diplomatico Pietro Gerbore, in un'intervista rilasciata a Piero Buscaroli nell'aprile 1973, disse: <C'è
un documento unico. Di rado, nella storia della diplomazia, una
decisione come quella del 10 giugno 1940 è illuminata da un retroterra
altrettanto minuzioso e coerente. Non è sconosciuto: i pochi intenditori
lo chiamano, dal nome del suo autore, “Il Rapporto Pietromarchi”> . Sempre Gerbere, con il solito intervistatore, ma in data 9 giugno 1996, ritornò sull'argomento: <Chi,
come il sottoscritto, visse nelle adiacenze di Gibilterra e udì i
resoconti dei capitani delle nostre navi, conferma l'esattezza di quel
documento che prova la tenace volontà britannica di ridurre l'Italia
all'esasperazione> .
In effetti il “Rapporto Pietromarchi”
non fu uno, ma due: il primo presentato a Mussolini l'11 maggio 1940 e
l'altro l'8 giugno successivo. Entrambi sono riportati per intero e per
la prima volta nel volume “Da Versailles al 10 giugno 1940” della collana “Benito Mussolini – l'uomo della pace” .
Per ovvii motivi di spazio, in questa sede possiamo solo accennarne il
contenuto. Luca Pietromarchi era il capo dell'Ufficio Guerra Economica e
i suoi rapporti al Capo del Governo annoverano una serie infinita di
atti di pirateria compiuti dalla Marina di Sua Maestà Britannica in
danno della nostra Marina mercantile e di linea. Nei “Rapporti” , citati nel testo “La Marina, gli armistizi, e il Trattato di Pace – Ufficio Storico della Marina Militare” , a pag. 346 si legge: <Dal
1° settembre 1939 al 25 maggio 1940, inglesi e francesi procedettero al
fermo e al dirottamento di 1347 mercantili e navi di linea italiana,
con la perdita di un miliardo di lire, pari a molto più di mille
miliardi di lire di oggi>. Ogni dirottamento o fermo
avvenuto in acque internazionali corrispondeva ad un vero atto di
guerra. L'arroganza inglese arrivò a sequestrare (contro ogni
convenzione internazionale) oltre 200 sacchi di posta diretta a città
italiane, con la pretesa di un'arbitraria censura.
Al termine della guerra Luca Pietromarchi fu incolpato di aver posto in rilevo nei suoi “Rapporti” gli atteggiamenti “sgradevoli e vessatori” degli anglo-francesi e, quindi, di aver evidenziato “la materiale impossibilità per l'Italia di continuare a tollerare un tale atto di fatto”. Nell'impossibilità di provare che i “Rapporti Pietromarchi” erano frutto di doppiezza, Luca Pietromarchi fu riammesso nella carriera diplomatica.
Cosa che conferma l'autenticità di quanto Luca Pietromarchi aveva testimoniato.
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