QUANDO MR OBOMBA VA IN GIAPPONE
Non avranno di certo la
forza distruttiva che hanno due bombe atomiche lanciate a distanza di tre
giorni sul suolo della medesima nazione, ma certe frasi non dette, colpe non
ammesse, moralmente uccidono per la seconda volta: dopo aver deciso di andare a
visitare Hiroshima, il luogo che fu teatro di tanta morte, il Presidente degli
Stati Uniti Obama non ha utilizzato alcun termine finalizzato a chiedere scusa
al popolo giapponese, che da decenni convive con questa macchia indelebile.
Solo il Giappone infatti ha sperimentato gli effetti dell'atomica, e questo non
per una necessità bellica che ne giustificasse l'uso da parte dei suoi
avversari, ma per la necessità, da parte degli americani, di dar luogo ad una
sorta di esperimento conoscitivo, e, allo stesso tempo, di incutere timore ai
russi, che sarebbero stati, una volta sconfitti definitivamente i fascismi
europei, i futuri avversari da battere.
Gli Stati Uniti
infatti, che si erano dotati di ordigni cosi potenti tramite il Progetto
Manhattan, messo in piedi al fine di anticipare i tedeschi nella costruzione di
mezzi di tale portata, avevano bisogno di sperimentarne gli effetti potenziali
e verificarne il grado di forza. L'idea iniziale era quella di sganciare
l'atomica su Berlino, per umiliare definitivamente il Nazionalsocialismo e
“punire” i tedeschi. Poi però si ragionò in altro modo: la guerra stava per
finire in maniera vittoriosa per le potenze plutocratiche, e una Berlino
distrutta non avrebbe giovato a nessuno, prima di tutto per la posizione geografica
che occupa la capitale tedesca, e inoltre perché era già deciso nei piani che
proprio Berlino dovesse essere la città simbolo della divisione ideologica del
mondo tra comunismo e capitalismo.
Per questa ragione si
decise di optare per un terreno meno strategico, e da un certo punto di vista
meno “politicamente importante”. L'entrata del Giappone nella contesa avvenuta
nel 1941, e la tenacia con la quale
questo popolo orgoglioso combatteva, indirizzarono definitivamente le mire di coloro
che volevano sapere quale potesse essere davvero il livello distruttivo di
simili bombe. Nel mese di luglio del 1945 le forze capitaliste conquistarono
Okinawa, provocando tra i giapponesi centocinquantamila morti, molti dei quali
civili. Era il colpo di grazia per gli asiatici, che ormai, insieme all'asse,
non avevano più alcuna speranza di rovesciare le sorti del confronto a loro
favore. Ma come fecero a Norimberga con i tedeschi, allo stesso modo con i
giapponesi gli usurai padroni del mondo non si accontentarono di conseguire un
successo, ma vollero umiliare il proprio nemico, calpestando la sua dignità.
Proprio questo era il fine del documento redatto a Potsdam da rappresentanti
delle democrazie reazionarie che si apprestavano da li a poco a dirigere le
sorti del mondo: si trattava di una dichiarazione di resa che il Giappone
avrebbe dovuto siglare, i cui termini politici e militari erano a dir poco
offensivi. Ravvisatone il carattere teso a mortificare la dignità della propria
nazione, a questa proposta di resa segui un netto rifiuto, che fu usato come
pretesto da parte statunitense per attuare un piano criminale, che sarebbe
culminato con l'atto più atroce che il mondo abbia mai visto.
La mattina del sei agosto
1945 l'ordigno nominato Little Boy viene sganciato sulla città di Hiroshima, provocando centinaia
di migliaia di morti ed effetti di vario tipo di cui in piccola parte ancora
oggi vediamo purtroppo le conseguenze. Lo scalpore fu totale: era la prima
volta che una bomba simile veniva utilizzata, peraltro per risolvere
definitivamente un conflitto il cui esito in quel periodo era già scontato. Una
nazione dotata di un minimo di umanità e rispetto dopo aver provocato un
disastro dalle proporzioni tanto immani si sarebbe fermata li, ma gli Stati
Uniti, come la storia ha dimostrato più volte e anche il presente conferma,
queste caratteristiche non le annoverano tra i loro requisiti. Per questo nei
due giorni successivi a quel tragico sei agosto pensarono solamente a speculare
sulla paura per costringere i giapponesi ad accettare la resa nei termini
delineati a Potsnam.
Il popolo asiatico,
ancora incredulo davanti a ciò che aveva visto solo poche ore prima, non
rispose in maniera affermativa a tale richiesta, e subì ancora l'ira degli
americani, che intanto erano compiaciuti dall'aver potuto verificare la potenza
di cui è portatrice l'atomica. Con assoluta leggerezza e disinteresse per
quella che sarebbe stata la sorte di un popolo che si andava a colpire in modo
tanto violento e spregiudicato si decise, davanti all'eroica e fiera resistenza
giapponese, di dare l'assenso al lancio di una seconda bomba atomica. Il nove
agosto pertanto fu lanciato sul suolo giapponese un secondo ordigno nucleare
chiamato “Fat Man”, che colpi Nagasaki.
Una nuova mazzata fu
inferta ad uno stato che ancora era stordito dalla prima, e che il quindici
agosto decise, vista l’insostenibilità della situazione e il caos che ormai
regnava all’interno dei propri confini nazionali, di arrendersi al nemico.
Il bilancio finale,
anche se mitigato dalle fonti di informazione da sempre prone al potere usuraio
e capitalista, è spaventoso: si parla di circa duecentomila morti, anche se è
impossibile stabilire la cifra esatta. Oltre i morti ci furono migliaia di
feriti, menomati, invalidi permanenti. E’ da considerare poi il fatto che alle
morti dirette, ovvero quelle causate concretamente dalle esplosioni, vanno
sommate le tante negli anni, che non fanno parte del bilancio ufficiale delle vittime
ma devono essere assolutamente ascritte agli eventi in questione. Le esplosioni
infatti lasciarono radiazioni residue nel suolo per un lungo periodo.
Perciò, molti tra
quelli che entrarono nelle città colpite alla ricerca di un parente o anche per
aiutare chi era riuscito a salvarsi di fatto andarono incontro alla morte.
Negli anni successivi aumentarono a dismisura i casi di leucemia, cancro al
seno e ai polmoni, che condussero tante altre vite umane verso l’epilogo. Come
se non bastasse, le donne che al momento dei fatti vivevano una gravidanza
misero al mondo bambini con problemi fisici e/o mentali di vario tipo e molti
uomini rimasero sterili. Bambini malformati ne continuarono a nascere per
decenni, considerando il fatto che anche al genitore più sano, bastava bere
dell’acqua che era diventata contaminata per contrarre una malattia. A
tutt’oggi nascono bambini non sani, segno evidente del fatto che a settantuno
anni di distanza ancora sono palpabili gli effetti di un evento tanto
drammatico. Dal canto loro gli Stati Uniti, per evitare il diffondersi dei
risultati della loro azione criminale, si offrirono di aiutare i giapponesi
nella ricerca e analisi sugli effetti sul corpo umano delle radiazioni.
In realtà non era altro
che un modo per evitare che il governo giapponese potesse condurre proprie
ricerche indipendenti e arrivare a determinate conclusioni, per poi svelarle e
porre gli Stati Uniti in una condizione di estremo imbarazzo. Per far si che
tutto ciò non accadesse, i ritrovamenti sugli effetti delle radiazioni furono
classificati segreti atomici, e gli scienziati americani, che addirittura
dirigevano tali enti di ricerca, nascondevano sistematicamente preziose
informazioni ai colleghi asiatici, informazioni che magari, se rivelate, avrebbero
potuto salvare numerose vite, in quanto lo scopo di queste ricerche non era
solo capire il perché delle morti, ma anche se c’era un modo per evitarne
altre. Venivano sequestrati rapporti su autopsie, esemplari di organi e altri
dati biologici ricavati dai corpi dei
giapponesi deceduti, e venivano inviati negli Stati Uniti al fine di essere
analizzati. Ai giapponesi era preclusa la possibilità di pubblicare o discutere
i risultati delle analisi da loro effettuate. Imporre questo divieto era possibile grazie al fatto che il Giappone
si trovava dopo la guerra in uno stato di occupazione, e, come detto, gli Stati
Uniti avevano preso di fatto in mano ogni possibile ricerca inerente agli
effetti provocati dai bombardamenti. Proprio la sudditanza che lo stato orientale
ha mostrato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nei confronti della
nazione americana ha impedito la possibilità di rivendicare quello che a tutti
gli effetti si configura come un crimine di guerra, il più brutale che il mondo
abbia mai visto. Con il passare dei decenni nessun governo nipponico ha
riproposto la questione a livello internazionale, chiedendo magari un
risarcimento agli Stati Uniti, che di certo sarebbe stato difficilmente
quantificabile viste le proporzioni degli eventi in questione, ma sarebbe stato
sicuramente un atto dovuto nei confronti non solo di un popolo, ma, più in
generale, della storia.
La superbia
statunitense, l’omertà dei maggiori mezzi di informazione e infine l’assenza di
pressione da parte giapponese sono stati i tre elementi chiave che hanno
contribuito a far entrare quanto accaduto il sei e il nove agosto 1945 in un ingiustificabile dimenticatoio, e ha
contribuito a porre nella memoria storica collettiva il doppio attacco atomico
sulla stessa lunghezza d’onda di altre azioni di guerra, spogliandolo quindi
del suo carattere altamente criminale. Proprio il clima disteso
instauratosi dopo la fine della guerra e
consolidatosi nel corso dei decenni tra
i due stati una volta belligeranti ha permesso dopo oltre settant’anni al
Presidente degli Stati Uniti Obama di visitare la città di Hiroshima, mettendo
piede, accompagnato dal premier giapponese Shinzo Abe, all’interno del
Memoriale della Pace, che oggi risulta
essere a tutti gli effetti un sito appartenente alla lista dei Patrimoni
dell’umanità dell’Unesco, nonostante nel 1996, si registrarono resistenze ad
inserire questo luogo nella lista in questione sia da parte della Cina,
storicamente nemica del Giappone, sia anche dagli stessi Stati Uniti, e questo
conferma ancora una volta come, alle soglie del terzo millennio, la volontà da
parte statunitense fosse, cosi come oggi, quella di cancellare dalla storia la
morte di centinaia di migliaia di persone.
Durante la propria
visita Obama non ha chiesto minimamente scusa per conto della nazione che
rappresenta, anzi, ha rivendicato la scelta operata dall’allora Presidente
Truman definendola necessaria al fine di conseguire la vittoria nella guerra,
un successo che, come si è detto in precedenza, nell’agosto del 1945 era, purtroppo, già deciso. A colpire di più,
oltre alla sfrontatezza con la quale il
capo degli Usa si è recato nel luogo simbolo di quella che è la violenza
guerrafondaia di cui dalla loro nascita sono portatori gli Stati Uniti
d’America è inoltre l’atteggiamento
benevolo non solo del governo, ma anche del popolo, o almeno di larga parte del
popolo giapponese nei suoi confronti. Basti pensare che il Presidente
dell’Associazione dei Sopravvissuti di Hiroshima Sunao Tsuboi ha esplicitamente
dichiarato: ”non voglio le scuse di Obama, solo stringergli la mano, senza
odio”, mentre un dirigente di un importante azienda automobilistica giapponese
ha detto:” E’ un giorno storico non solo per Hiroshima, ma per tutto il
Giappone. Siamo felici che Obama sia qui, siamo la nuova generazione e vogliamo
guardare al futuro”. Le frasi riportate sono emblematiche di come quel processo
iniziato alla fine della guerra volto a cancellare ogni residuo di patriottismo
nei popoli abbia raggiunto i propri scopi.
Non è un caso che,
secondo un’indagine recente, siano proprio le nazioni uscite sconfitte dal
secondo conflitto mondiale quelle in cui l’identitarismo risulta essere più
sopito. Questo è perché tali stati, dove erano sorti dei movimenti nazionalisti
che richiamavano le radici dei popoli, come il Nazionalsocialismo in Germania,
e il Fascismo in Italia, hanno costituito
la prova di come un sentimento comunitario sia la chiave di volta giusta
per scardinare il sistema capitalista e usuraio e hanno perciò rappresentato
una seria minaccia. Proprio per tale ragione per primi i popoli in questione
subirono gli effetti della dittatura
mondialista. Il Giappone e la Germania all’indomani della sconfitta militare
subita vennero fisicamente occupate per
anni, l’Italia venne occupata di fatto.
Obama a Hiroshima ha
dichiarato di volere un mondo senza nucleare, di auspicare la pace, ma è ben
consapevole che lo stato che rappresenta è il primo a non desiderare il
persistere di una situazione pacifica, in quanto è da sempre dedito a minare la
sovranità nazionale altrui per assecondare lo svilupparsi di quel progetto
mondialista di cui si diceva prima. Siamo sicuri che Obama, come qualsiasi
altro Presidente degli Stati Uniti prima e dopo di lui, non si farebbe scrupoli
a dare la stessa autorizzazione che diede decenni fa Truman se qualcuno gli
dicesse che la sua nazione potesse trarre il minimo beneficio da ciò, e siamo
altrettanto certi che settant’anni dopo
nessuno chiederebbe scusa. Pur vivendo in un sistema che dal 1945 ha tentato a più riprese, attraverso
l'oscurantismo mediatico, di sminuire quanto accaduto in Giappone, oppure di
giustificarlo agli occhi dei popoli come un atto necessario ad affermare la
libertà facendo diventare quindi i carnefici vittime e viceversa, il compito di
chi si prefigge lo scopo di raccontare la storia in maniera oggettiva rimane
quello di attenersi strettamente ai fatti.
Occorre perciò ricordare ognuna delle
centinaia di migliaia di vittime che macchiarono con il loro sangue la terra
giapponese sia in quei giorni di agosto sia, colte degli effetti causati dalle
esplosioni, negli anni successivi. Bisogna collocare avvenimenti tanto
catastrofici come quelli di Hiroshima e Nagasaki nel contesto storico in cui si
sono verificati al fine di constatare l'assoluta inutilità di tali gesti. La
consapevolezza della malvagità con cui si è affermato il dominio capitalista e
usuraio sul mondo rende se possibile ancora più convinta la nostra collocazione
morale, politica e spirituale in quella che per molti, ma non per tutti,
rappresenta la parte sbagliata, ben consci del fatto che da quell’infausto 1945
il mondo per molti aspetti è cambiato, ma le fonti dei mali che lo affliggono
sono sempre le stesse, e contro quelle bisogna combattere.
Aquila Nera
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