Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico, coordinato dall' avvocato Edoardo Longo.
LA LUNGA LOTTA DI VENEZIA CONTRO I TURCHI
Le tre battaglie di Lepanto - la Lunga guerra della Repubblica di Venezia contro i Turchi.
Prima Battaglia di Lepanto (1499).
La Battaglia di Zonchio
(nota anche come la battaglia della sapienza o lla prima battaglia di Lepanto)
ebbe luogo in quattro giorni diversi: 12, 20, 22, 25 agosto 1499. Fu la prima
battaglia navale della storia con cannoni a bordo di navi.
Nel gennaio 1499 Kemal
Reis partì da Istanbul con una forza di dieci galere ed altri quattro tipi di
navi e nel luglio del 1499 si congiunse con il grosso della flotta ottomana
inviatagli da Davud Pasha, assumendone il comando per una guerra su larga scala
con Venezia. La flotta ottomana era composta da 67 galere, 20 galeoni e 200
vascelli di dimensioni minori.
Dopo aver raggiunto il
capo Zonchio nel mar Ionio nell'agosto 1499, Kemal Reis sconfisse la flotta di
Venezia di 47 galere, 17 galeoni e 100 vascelli minori al comando di Antonio
Grimani; fu questo un evento delle guerre ottomane-veneziane. Durante la
battaglia si distinsero Andrea Loredan e Alban d'Armer. Grimani venne arrestato
il 29 settembre e successivamente rilasciato (sarebbe diventato doge nel 1521).
Turchi e Veneziani si sarebbero affrontati un'altra volta presso Lepanto nella
battaglia di Modone nel 1500, con gli ottomani ancora vincitori con
l'ammiraglio Kemal Reis.
Seconda Battaglia di Lepanto (1500).
La seconda battaglia di
Lepanto, nota anche come Battaglia di Modone si svolse nel 1500, come parte
della guerra turco-veneziana del 1499-1503, tra l'Impero Ottomano e la
Repubblica di Venezia. Gli ottomani, che avevano vinto la prima battaglia di
Lepanto, furono nuovamente vittoriosi, guidati dall'ammiraglio Kemal Re'is.
La terza e finale Battaglia di Lepanto (1571).
La battaglia di Lepanto - detta anche delle
Echinadi o delle Curzolari (in turco İnebahtı, corruzione di Naupakatos,
località sul Golfo di Corinto dove essa avvenne, chiamata Epaktos dagli
abitanti e Lepanto dai veneziani) - è uno storico scontro avvenuto il 7 ottobre
1571 tra le flotte dell'Impero Ottomano e della cristiana Lega Santa: che
riuniva forze navali di Venezia, della Spagna, del Papato, di Genova, dei
Cavalieri di Malta e di Savoia.
La battaglia, terza in
ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto, si concluse con una
schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d'Austria,
su quelle ottomane di Mehmet Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.
Prodromi.
La coalizione cristiana
era stata promossa da Papa Pio V per soccorrere la veneziana città di Famagosta
(in turco Famagusta; in greco Ammocosthos), sull'isola di Cipro, assediata dai
Turchi e strenuamente difesa dalla guarnigione locale.
La flotta della lega
aveva lasciato Messina, riunendo 150 navi veneziane tra galee, navi da carico,
imbarcazioni minori e 6 potenti galeazze), 79 galee della Spagna, compresi i
domini di Napoli e Sicilia e l'aiuto dei Savoia, appartenenti all'impero, 12
galee toscane noleggiate dal Papa, 28 galee genovesi e le forze maltesi degli
Ospitalieri.
Il 5 ottobre, giungendo
in cerca di riparo dalla nebbia e dal forte vento nel porto di Viscando, non
lontano dal luogo della battaglia di Azio, la flotta cristiana fu raggiunta
dalla notizia della caduta di Famagosta e dell'orribile fine inflitta dai
musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza.
Il 1° agosto i veneziani si erano arresi con l'assicurazione di poter lasciare
indenni l'isola di Cipro, ma Mustafà Lala Pascià, il comandante turco che aveva
perso più di 52.000 uomini nell'assedio, non aveva mantenuto la parola e i
veneziani erano stati imprigionati e incatenati ai banchi delle galee turche.
Venerdì 17 agosto Bragadin era stato scorticato vivo di fronte ad una folla di
musulmani esultanti e la sua pelle, conciata e riempita di paglia, era stata
innalzata come un manichino sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle
teste di Alvise Martinengo e Gianantonio Querini. I macabri trofei erano poi
stati inviati a Costantinopoli, esposti nelle strade della capitale ottomana ed
infine portati nella prigione degli schiavi. C'era nebbia e un forte vento. Le
galee non potevano prendere il mare.
Nonostante il maltempo
le navi della Lega presero il mare verso Cefalonia, sostandovi brevemente, e
giungendo, il 6 ottobre davanti al golfo di Patrasso, nella speranza di
intercettare la potente flotta che i cristiani sapevano essergli stata parata
davanti dagli Ottomani.
Il 7 ottobre, Domenica,
Don Giovanni d'Austria fece schierare le proprie navi in formazione
serrata,deciso a dar battaglia: non più di 150 metri separavano le galee.
La Battaglia.
Il centro dello schieramento
cristiano si componeva di 28 galee e 2 galeazze veneziane, 16 galee spagnole e
napoletane, 8 galee genovesi, 7 pontificie, 3 maltesi, per un totale di 62
galee e 2 galeazze. Lo comandava Don Giovanni d'Austria comandante generale
dell'imponente flotta cristiana: ventiseienne figlio illegittimo del defunto
Imperatore Carlo V e fratellastro del regnante Filippo II era tra i più abili
condottieri dell'epoca. Affiancavano per ragioni di prestigio la sua galea Real
spagnola: la capitana di Sebastiano Venier, settantacinquenne Capitano Generale
veneziano, la Capitana di Sua Santità di Marcantonio Colonna, trentaseienne
ammiraglio pontificio, la capitana di Ettore Spinola, Capitano Generale
genovese, la capitana di Andrea Provana di Leyni, Capitano Generale piemontese,
l'ammiraglia Vittoria del priore Piero Giustiniani, Capitano Generale dei
Cavalieri di Malta.
Il corno sinistro si
componeva di 40 galee e 2 galeazze veneziane, 10 galee spagnole e napoletane, 2
pontificie e 1 genovese, per un totale di 53 galee e 2 galeazze al comando del
provveditore generale Agostino Barbarigo, ammiraglio veneziano.
Il corno destro era
invece composto di 25 galee e 2 galeazze veneziane, 14 galee genovesi, 10 galee
spagnole e siciliane e 2 pontificie, 2 sabaude, per un totale di 53 galee e 2
galeazze, tenute dal genovese Gianandrea Doria.
Le spalle dello
schieramento erano coperte dalle 30 galee di Alvaro de Bazan di Santa Cruz: 13
spagnole e napoletane, 12 veneziane, 3 pontificie, 2 genovesi. L'avanguardia,
guidata da Juan de Cardona si componeva di 8 galee: 4 siciliane e 4 veneziane.
In totale la flotta
cristiana si componeva di 6 galeazze, 206 galee, 30 navi da carico, circa 13000
marinai, circa 44000 rematori, circa 28000 soldati con circa 1800 cannoni.
La flotta ottomana.
I Turchi schieravano
l'ammiraglio Mehmet Shoraq (detto Scirocco) all'ala destra con 55 galee, il
comandante supremo Mehmet Alì Pascià (detto il Sultano) al centro con 90 galee
conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il
vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il
nome di Allah. In fine l'ammiraglio, considerato il migliore comandante
ottomano, Uluč Alì (Giovanni Dionigi Galeni), un abiurato di origini calabresi
convertito all'Islam (detto Occhiali), presiedeva all'ala sinistra con 90
galee; nelle retrovie schieravano 10 galee e 60 navi minori comandate da Amurat
Dragut (figlio di un noto e temutissimo corsaro).
L'Esca.
Per cominciare Don
Giovanni decide di lasciare isolate come esca le poche ma fortissime galeazze
veneziane al comando di Antonio e Ambrogio Bragadin, parenti del senatore
scorticato vivo, camuffandole da navi da carico, le quali all'avvicinarsi dei
Turchi ignari, gli scaricano cannonate con una potenza di fuoco probabilmente
mai vista prima al mondo fino a quel giorno. Le linee ottomane subiscono molte
perdite ma Alì Pascià in preda a furore bellico supera di slancio le galeazze
senza impegnarle in battaglia e scaglia tutta la sua flotta in uno scontro
frontale; mirano unicamente all'abbordaggio della nave di Don Giovanni per
provare ad ucciderlo subito, ed essendo in superiorità numerica (167-235)
tentano di circondarla utilizzando la tattica navale classica; pur se
nell'ambito di diversi comandanti turchi non poche voci si erano espresse in
senso contrario, il temperamento ed il carisma del Sultano Alì Pascià spinge i
Turchi, in favore di vento, a scatenare la battaglia.
Lo Scontro.
Per i cristiani gli
scontri all'inizio coinvolgono pesantemente il veneziano Barbarigo, che è alla
guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa; deve parare il colpo di
Scirocco, impedire che il nemico possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia
per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ha solo un parziale successo e
lo scontro si accende subito violento. La stessa galea di Barbarigo diventa
teatro di un epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di
fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono
correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: con l'arrivo
della riserva del Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrano ed anche
Scirocco viene catturato, ucciso e decapitato.
Al centro degli
schieramenti Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Giovanni d'Austria la cui
cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Contemporaneamente altre galee
impegnano Venier e Marcantonio Colonna. Molti sono gli episodi di eroismo:
l'equipaggio della galera Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano viene tutto
ucciso salvo il suo comandante Tommaso de' Medici con quindici uomini. Sulla
galea di Don Giovanni invece si ripete lo scontro a cui ha partecipato
Barbarigo, e la battaglia frontale si fa' cruenta. Con un rumore assordante i
Turchi iniziano l'assalto alle navi di Don Giovanni suonando timpani, tamburi,
flauti. Il vento è a loro favore. La flotta di Don Giovanni è nel più assoluto
silenzio. Quando i legni giungono a tiro di cannone i cristiani ammainano tutte
le loro bandiere e Don Giovanni innalza lo Stendardo di Lepanto con l'immagine
del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti
ricevono l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata.
Il vento improvvisamente cambia direzione. Le vele dei Turchi si afflosciano e
quelle dei cristiani si gonfiano. Don Giovanni d'Austria punta diritto contro
la Sultana. Il reggimento di Sardegna dà l'arrembaggio alla nave turca che
diviene il campo di battaglia. I musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al
terzo assalto i sardi arrivano a poppa. Don Giovanni viene ferito ad una gamba.
Più volte le navi avanzano e si ritirano, Venier e Colonna devono disimpegnarsi
per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembra avere la peggio assieme
all'onnipresente Marchese di Santa Cruz.
A sinistra, al largo,
la situazione è meno cruenta ma un po' più complicata. Giovanni Andrea Doria
disponeva dello stesso numero di galee del Barbarigo ma davanti a sé trova 90
galee, quasi il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani ed oltretutto in
un'area molto più ampia di mare aperto; per questo pensa ad una soluzione
diversa dallo, scontato negli esiti, scontro diretto. Giovanni Andrea Doria
infatti, ad un certo momento della battaglia si sgancia con le sue navi
genovesi facendo vela apparentemente verso il mare aperto. Non è chiaro il
motivo di questa manovra, fatto sta che, tornato sui suoi passi, egli piomba
alle spalle dello schieramento ottomano e pur trovandosi di fronte ad un numero
doppio di navi avversarie le dissesta totalmente.
Gli eventi del corno destro.
Il ruolo di Gianandrea
Doria è sempre stato oggetto di disputa da parte degli storici veneziani: gli
antagonisti dei genovesi insinuarono che lui si fosse defilato per preservare
il proprio naviglio ma, rientrando prepotentemente in battaglia, colpendo, del
tutto inatteso, un fianco della flotta ottomana e decidendone le sorti, i suoi
difensori ne affermano l'intenzione studiata e attuata: in realtà nonostante
avesse avuto l'ordine, ugualmente al Barbarigo, di difendere e proteggere il
fianco della flotta di Don Giovanni per impedire l'accerchiamento delle sue
navi che si trovavano sotto un violento attacco frontale, inaspettatamente
spaccò il lato destro dello schieramento cristiano anche se alcune galee
veneziane sotto il suo comando si sarebbero rifiutate di seguirlo preferendo
puntare sul centro della battaglia; a quel punto Uluc Ali si insinua tra la
flottiglia genovese pensando fosse in fuga attaccando il fianco destro dello
schieramento di Don Giovanni e procurandogli forti perdite; Uluc Alì, con il vento
in poppa, aggredisce da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di
Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine. La Capitana
viene circondata da sette galee. Uluc Alì cattura il vessillo dei Cavalieri di
Malta, fà prigioniero Giustiniani, che era stato eroicamente ferito sette
volte, e prende a rimorchio la Capitana. a quel punto Doria con un'abile
manovra, aggirando lo schieramento ottomano, si contrappone all'incredulo Uluc
Ali. Dopo un'ora di cruenta battaglia, Uluc con le poche galee rimastegli è in
fuga verso Costantinopoli.
L'Epilogo.
Al centro, il
comandante in capo ottomano Alì Pascià, già ferito, cade (forse ucciso da una
rivolta di rematori cristiani o abbattuto da un'archibugiata) o forse si
suicida per evitare l'umiliante cattura. La nave ammiraglia ottomana è
abbordata e, contro il volere di Don Giovanni, il cadavere dell'ammiraglio
ottomano Alì Pascià è decollato e la testa esposta sull'albero maestro
dell'ammiraglia spagnola. La visione del condottiero Ottomano decapitato
contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti,
alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste, abbandonavano il campo,
ritirandosi definitivamente. Il teatro della battaglia si presenta come uno spettacolo
apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini
agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando la battaglia ebbe termine
con la vittoria cristiana.
Don Giovanni d'Austria
riorganizzò la flotta per proteggerla dalla tempesta che minacciava la zona e
inviò galee in tutte le capitali della lega per annunciare la clamorosa
vittoria: i Turchi avevano perso 80 galee affondate, 117 catturate, 27 galeotte
affondate e 13 catturate, 30.000 uomini tra morti e feriti, altri 8.000 prigionieri
e 15.000 cristiani liberati dalla schiavitù ai banchi dei remi. Gli Ottomani
avevano a stento salvato un terzo (circa 80) delle loro navi e se tatticamente
si trattò di una decisiva vittoria cristiana, la vittoria strategica lo fu
ancor di più perché segnò l'inizio del declino della potenza navale ottomana
nel Mediterraneo.
Nelle città d'occidente
la notizia venne accolta in un tripudio di feste e gioia popolare che durarono
giorni; a Roma e Venezia vennero innalzati solenni Te Deum di ringraziamento.
Ancora oggi non sono
chiari e probabilmente mai lo saranno, i meccanismi che hanno condotto alla
vittoria della flotta cristiana, e i meriti, o le colpe, o le casualità, o le
provvidenze (l’intervento della Beata Vergine Maria, ndr). Ma la bandiera della
nave ammiraglia Turca di Mehmet Alì Pascià, presa da due navi Pisane, la
"Capitana" e la "Grifona", si trova, e ognuno può vederla,
a Pisa, nella chiesa dei Cavalieri dell'Ordine Cavalleresco Sacro Militare
Marittimo di Santo Stefano Papa e Martire, fondato da Cosimo I de' Medici
granduca di Toscana.
[
Sebastiano veniero, il duce delle navi della Repubblica Serenissima,
acclamato come eroe dal Doge al ritorno vittorioso a Venezia ]
Armamenti.
Sicuramente lo
schieramento cristiano vinse anche grazie alla superiorità schiacciante delle
inabbordabili e potentemente armate galeazze e al superiore armamento
individuale: infatti i suoi soldati potevano contare sugli archibugi, mentre
quelli turchi erano ancora armati con archi e dardi. Il vascello più importante
dello schieramento cristiano, era la galeazza veneziana. Al contrario della
galea comune, questa è sovradimensionata, con ponte a coprire i banchi dei
rematori, parzialmente corazzata e pesantemente armata non solo a prua e a
poppa ma anche sulle fiancate. Le linee in realtà possono trarre in inganno chi
non le conosce confondendole con vascelli da carico, cosa che tra l'altro accadde
ai turchi. Solo sei di queste unità rinforzano lo schieramento cristiano ma
saranno tanto devastanti sulle galee nemiche quanto sul morale dei loro
equipaggi. Per assurdo, con la galeazza si raggiunge l'apice dell'evoluzione
della galea, ma nel contempo rappresenta il canto del cigno. Le galee con la
loro propulsione a remi verranno progressivamente sostituite da velieri e
quindi abbandonate. Le artiglierie pesanti utilizzate all'epoca sui vascelli
possedevano un buon rapporto gittata-efficacia fin quasi al chilometro se
puntate su schieramenti compatti. Naturalmente quel rapporto peggiorava
notevolmente puntando il pezzo su singole galee con ampia libertà di manovra.
Per quel che riguarda le armi di piccolo calibro, all'importanza della gittata
è lecito pensare che si debba sostituire la capacità di penetrazione delle
protezioni individuali nemiche, l'abilità nella mira e la velocità di ricarica
del soldato.
I cristiani
naturalmente attribuirono la loro vittoria soprattutto alla protezione della
Vergine Maria, tanto che nell'anniversario della battaglia fu fissata la festa
della Madonna del Rosario.
Conseguenze.
Questa battaglia fu la
prima grande vittoria di un'armata o flotta cristiana occidentale contro
l'Impero Ottomano e, quindi, ebbe anche un'importanza psicologica dato che fino
a quel momento i Turchi avevano vinto tutte le 8 principali precedenti
battaglie contro i cristiani. Nonostante la devastante sconfitta turca, la
scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno
la loro vittoria ed ottenere una supremazia duratura sugli Ottomani.
L'Impero
Ottomano, infatti (che pure aveva risentito duramente del colpo, tanto da far
perdere il sonno per tre interi giorni al Sultano quando fu informato della
disfatta), iniziò subito una poderosa opera di ricostruzione della flotta, che
si concluse in 6 mesi e a seguito della quale, pur riacquistando la supremazia
numerica nei confronti della coalizione cristiana, perse comunque il controllo
completo dei mari, specialmente del Mediterraneo occidentale. La sconfitta,
però, non permise all'esercito cristiano di riconquistare l'isola di Cipro che
era caduta da appena due mesi in possesso ottomano.
Reporter
Nessun commento:
Posta un commento