di Claudio
Moffa
Turchia,
NATO, golpisti. Non è l’unico caso di omissioni cruciali, di silenzi
abnormi, che di professionale non hanno nulla, e di utile per l’operare
concreto della Politica e degli operatori per la sicurezza, hanno molto
poco. Due esempi recenti: primo, le sacrosante accuse a Blair per l’entrata
in guerra dell’Inghilterra contro l’Iraq di Saddam Hussein, prive però di un
particolare importante, e cioè che l’ex premier inglese ebbe a confessare
nel dicembre 2010 che lo scatenamento dell’assalto finale a Saddam Hussein
era stato discusso e concordato dalla superpotenza britannica con alcuni
ufficiali israeliani.
Secondo, il
braccio e mano tesa del furbo criminale Breivik, da cui la sua immagine di
nazista, quando nazista non era mai stato e non è, ma un ‘cristiano
sionista’, sedicente “templare”, comunque adoratore di Israele. Nero su
bianco, nel suo documento programmatico: verità indubitabile dunque, e
utilissima a essere ricordata per verificare anche l’attentato di Nizza,
visto che Breivik avrebbe ispirato il 17nne disadattato irano-tedesco autore
della folle strage.
Ma sempre
sempre e sempre, a destra e sinistra domina il political correct, purché si
parli di certuni solo per decantare le indubbie lodi cinematografiche di
Paul Newman, o la genialità attribuita in esclusiva a Albert Einstein.
Un deja vu,
dunque, quello sul golpe e il dopo golpe turco: eppure le dimensioni dei
silenzi sul caso Erdogan hanno raggiunto un apice forse mai registrato prima
d’ora, vista l’eco planetaria del fallito colpo di stato e degli arresti di
massa in corso in tutta la Turchia.
Del
silenzio sul collegamento tra il plurimiliardario e magnate delle
comunicazioni multimediali Gulen e il clan dei Clinton ho già detto: ancora
non se ne discute, almeno nelle forme e dimensioni dovute, e almeno su
quanto filtrato dalle strisce google. Ma oltre a questo particolare, ecco
due nuovi temi chiave i cui veri profili e contenuti sono sommersi dal
political correct di chi continua a voler occultare la Cronaca e la Storia.
Il primo
tema è di natura geopolitica. il secondo di carattere storico. Dal punto di
vista geopolitico tutto può accadere in futuro, ma è un dato certo che
l’avvenuta pacificazione dei rapporti tra Ankara e Mosca rappresenta una
svolta di enorme portata. La Russia ha infatti acquisito dentro la NATO un
alleato di ferro, e questo mentre l’oltranzismo occidentale va sfogandosi in
modo pericoloso spedendo altre truppe in Polonia e nei Paesi baltici. A
questo punto a Putin converrà che la Turchia non solo resti nella NATO, ma
anche che entri nell’Unione europea, nei cui vertici si annidano i peggiori
‘falchi’ anti Mosca, impegnati a contrastare persino Obama, Hollande, Renzi,
Merkel. Comunque quel che emerge dalla pace Putin-Erdogan, è una situazione
nuova, originale rispetto a tutto l’ultimo quarto di secolo, e foriera di
speranze di stabilizzazione delle relazioni internazionali.
C’è poi
l’altro silenzio, che riguarda la Storia. Non si può non essere preoccupati
per le migliaia di arresti in tutta la Turchia e per la dilatazione abnorme
dello stato di fermo, senza il previo controllo dell’autorità giudiziaria da
parte dei sopravvissuti al golpe. La difesa legittima dello Stato di diritto
rischia di trasformarsi nel suo contrario …
Ma quel che
va ricordato per ben contestualizzare la fase emergenziale prima subita e
poi imposta da Erdogan è la svolta profonda che sta vivendo il popolo turco
dopo più di un secolo di sostanziale dittatura laicista, anticristiana e
antimusulmana, a sua volta prodotto di due o tre cruciali eventi storici del
primo Novecento: il colpo di stato dei Giovani Turchi del 1908, le orribili
stragi e deportazioni di armeni durante la prima guerra mondiale, e
l’avvento del regime kemalista nel 1923. Di tutto questo nemmeno il Papa e
Erdogan hanno parlato nel loro confronto sulla questione armena, tutta
centrata sul genocidio sì o genocidio no, senza ricordare chi fossero i
nuovi padroni della Turchia dopo il rovesciamento del sultano Abdul Hamid.
Chi erano
infatti i Giovani Turchi? Erano, non musulmani, ma ebrei, ebrei massoni
legati alle logge europee, in particolare quelle italiane. Questo dato di
fatto emerge non solo da molta letteratura ‘ortodossa’, come la Storia del
Medio Oriente di William Yale, pubblicato in Italia da Feltrinelli nel
lontano 1962, il libro di Johnson sull’accordo segreto Sykes Picot del 1916,
in parte pubblicato a puntate anche dal quotidiano Rinascita, o un
saggio recente sulla Rassegna mensile di Israel di un docente
dell’Università di Trieste, che descrive la composizione demografica di
Salonicco, la città originaria dei Giovani Turchi, e le origini ebraiche
della maggioranza della sua popolazione agli inizi del Novecento.
Oltre a
questa saggistica accessibile in modo relativamente facile da chiunque, ci
sono infatti anche le memorie diplomatiche e le fonti a stampa dell’epoca,
sepolte nell’oblio dagli stessi manuali di storia, anche universitari.
L’ambasciatore inglese Sir Gherard Lowether non ha peli sulla lingua nel
descrivere nei suoi rapporti al Foreign Office di inizio 900, gli emuli
turchi della Giovine Italia di Mazzini:
“Salonicco
ha una popolazione di circa 140mila ebrei spagnoli (emigrati nel 1492,
ndr), compresi 20mila seguaci della setta di Sabbatai Zevi, un
cripto-giudeo che esternamente professa la religione islamica. Molti di essi
hanno acquisito in parte una nazionalità italiana e sono Liberi Massoni
affiliati alle logge Italiane. Nathan. Il sindaco di Roma, è ai vertici
della Massoneria, e i primi ministri Luzzati e Sonnino, e altri senatori e
deputati sono anch’essi, pare, massoni …”
L’ambasciatore americano dello stesso periodo, Morghentau, descrive a sua
volta nel suo Ambassador Morghentau Story fatti precisi e disvelatori
dell’identità e degli intenti nascosti dei Giovani Turchi: erano non
islamici, scrive, ma ‘atheists’, e furono loro “gli uomini che
concepirono il crimine contro gli armeni” (p. 323) scatenandogli addosso
i musulmani turchi e curdi; il loro programma segreto – al di la dell’auto
rappresentazione di liberatori dei popoli sottoposti al regime del Sultano
di Istanbul – emergeva da un comizio di Enver Pascià de 1909, nel quale il
leader dei golpisti annunciava che tutti i popoli e tutte le religioni della
nuova Turchia sarebbero stati liberati dal nuovo regime, scordandosi pero,
nella lunga lista (“Turkey Bulgarians, Greeks, Servians, Roumanians,
Musulmans, Jews.” pp. 12-13) i seguaci del cristianesimo tra le prime, e gli
armeni tra i secondi. Una sorta di preannuncio dei futuri massacri e
deportazioni di armeni durante la prima guerra mondiale, i cristiani vittime
di una comunità religiosa sua concorrente nella rete dei traffici
commerciali della Turchia europea e anatolica.
Dopo di
allora, a guerra conclusa, nella nuova capitale Ankara si insedia Kemal
Ataturk, il ‘padre’ della Turchia moderna, antimusulmano, sostenitore di un
laicismo durato fino alle elezioni del 2003, che avrebbe favorito – dopo la
sua morte e la fine della seconda guerra mondiale - una alleanza della
Turchia con Israele, due paesi “assediati” dal mare islamico. Una intesa
durata fino alla svolta del nuovo secolo, con l’episodio dei Mavi Marmara
come evento simbolo di una svolta in fieri.
Ed ecco
allora il punto su cui riflettere per capire la fase emergenziale e attuale;
le due elezioni di Erdogan in questo scorcio del XXI secolo, la prima a capo
del governo, la seconda a Presidente, non sono state certo in grado di
intaccare la struttura profonda, massonista, della Turchia. Da qui tutto
quel che sta accadendo. Giustificare potrebbe essere altra cosa, ma
comprendere è dunque necessario, sia pure con le incognite di un futuro
ancora incerto, in Turchia e in uno scacchiere mediorientale che non conosce
pace dalla Dichiarazione Balfour del 1917 e più tardi dalla fondazione dello
Stato d’Israele a spese degli autoctoni palestinesi.
Nessun commento:
Posta un commento