Benito Mussolini, 133 anni di storia e di onore
Predappio e il forlivese, passioni e pulsioni: i giorni romagnoli, così come li abbiamo vissuti
Da San Cassiano al Museo di Villa Carpena, dalla Casa Natale a Palazzo Varano: storia di un Uomo e della sua terra
"Chi ama Colui
che di là mosse, ama Predappio, come un po' di se stesso, perché
Predappio è il Paese di tutti gli Italiani: è un po' come la Galilea di
tutti noi, perché di là cominciò una nuova nostra Storia".
Estrapolo questo breve passo da un
libretto che porta, come data di pubblicazione, il 21 aprile 1940. L'ho
preso in prestito da una scrivania di Palazzo Varano, una scrivania che
reca un Fascio littorio e che è sistemata nella stanza in cui il giovane
Benito dormiva, leggeva, sognava la Rivoluzione Socialista. Oggi, su
quella scrivania, lavora il Primo Cittadino di Predappio. Lo restituirò,
quel libretto: l'ho promesso e lo farò. Ora però è qui, tra le mie
mani: lo posso toccare, posso sentire l'odore delle paginette ingiallite
che profumano di storia. Qui tutto profuma di storia. E se abbiamo
cinque sensi, qui si riesce a utilizzarli tutti al massimo delle
potenzialità. Di più: c'è un sesto senso che aggiunge qualcosa di
importante ai cinque che solitamente utilizziamo. È qualcosa di
straordinario e di potente, una dimensione non materiale ma
profondamente spirituale, direi mistica.
La terra di Romagna pulsa e racconta,
stimola e scalda, suscita emozioni e incide la volontà. Meglio: incide,
nella volontà, la determinazione di poter fare ogni cosa. Energia pura,
che sembra trasudare dalla terra, che sembra permeare l'atmosfera, che
scende dal cielo insieme alla pioggia e avvolge insieme al vento.
I miei passi sulla ghiaia di San
Cassiano, le mani sul pesante sarcofago in cui riposa, gli occhi che
sfiorano nomi, volti... Bruno, Rachele, Anna Maria, Vittorio, Romano...
ora anche Martina. E una lacrima si ferma sul ciglio e poi cade giù,
inutilmente forse. O forse no.
Qualche chilometro ed ecco Villa
Carpena, assolata, raggiante nel giorno del genetliaco di Benito, mentre
le persone passano di qua, numerosissime: fame e sete di storia, voglia
di sapere, di vedere con i loro occhi. C'è di che essere orgogliosi:
raccontare loro questo luogo, calpestare lo stesso suolo su cui questa
famiglia ha camminato, respirare queste mura in cui visse, sfiorare la
divisa di Benito adagiata sul suo letto, vicina a un mazzolino di fiori
tricolore, sentire sotto le dita la sua ruvidezza, riempirsi le narici
di quell'odore che è l'odore del tempo passato e del passato mai morto. E
quel ritratto a pastello che ci rimanda il bel volto di Bruno, nello
studio del Duce, e i suoi oggetti, le sue carte... e, fuori, le persone
in fila, che aspettano di entrare, di vedere, di ascoltare, di capire.
Ciascuno di noi, qui al Museo Villa Mussolini, in Via Crocetta 24 a
Forlì, ha un compito. Poi, ciascuno fa quel che serve, e volentieri, con
il cuore. Centinaia di persone nella sola giornata di domenica 31
luglio, decine di volontari, tanti giovani ma anche tante persone
mature, donne e uomini, di ogni estrazione sociale, curiosi, gente che
vuole sapere, che non si accontenta delle banalità diffuse, che sente
profondamente il bisogno di conoscere tante verità nascoste. Raccontarle
è una missione e un privilegio, un onore.
Dalla nostra Redazione siamo partiti in
gruppo, al Giornale d'Italia la storia si racconta così, vivendola in
prima persona, toccando le carte, assaporando gli umori, percependo le
atmosfere nei luoghi. Da Roma siamo partiti in quattro, il quinto del
gruppo ci raggiunge da Como. E poi ci sono gli amici, studiosi,
appassionati, che sono partiti da ogni parte d'Italia per arrivare qui,
ciascuno di noi si sente come una verga che, insieme alle altre, compone
quel Fascio simbolo di unità e di forza, insieme ci sentiamo
invincibili. C'è chi si siede a scrivere sotto il gazebo dove Benito
leggeva, rifletteva, si riposava. C'è chi si apparta al secondo piano,
dentro il Centro Studi, immerso tra le carte raccolte amorevolmente da
Romano negli anni, fino alla sua morte. C'è chi passeggia lungo i
vialetti che quest'anno portano, ciascuno, un nome. Il viale d'accesso è
intitolato a Benito Mussolini. Fa un certo effetto, quella targa lungo
la via. Altre stradine sono intitolate a membri della famiglia e a nomi
importanti del Ventennio fascista. Scorrono, uno dietro l'altro, i nomi
di Mezzasoma, Starace, Pavolini, Borsani... sono molti, ventuno in
tutto. Io mi fermo su Via Domenico Leccisi, e penso a quella notte di
amore e di coraggio in cui quest'uomo prese con sé quelle povere spoglie
oltraggiate di Benito, e rifletto - ancora una volta - sul fatto che se
posso andare a San Cassiano a posare le mani su quel sarcofago e a
sorridere, vedendo un fiume di uomini e donne che viene a rendere
omaggio al Duce, lo devo a Lui.
Il sole picchia forte, a Villa
Mussolini. Quando scende la sera l'aria è più fresca, i visitatori sono
andati via, e noi ci sediamo un momento a pensare. Siamo stanchi, e
siamo felici. Fiorenza, la nostra soldatessa del SAF, è stata la prima a
mettersi al lavoro questa mattina, e ora è l'ultima a mettersi seduta.
Che coraggio, e che forza, in questo piccolo corpo... me ne stupisco
ogni volta, poi penso che lei è una soldatessa di Mussolini, e che
dunque non potrebbe essere diversamente. I ragazzi di Vestone Tricolore
ancora non cedono alla stanchezza, del resto sono guidati da Mauro, e
questo dice tutto: non si cede di un millimetro, è una parola d'ordine e
non si sfugge. Poi però il sole tramonta, e, nella notte, la luna nel
cielo sembra sia lì solo per illuminare lei: la Villa. E noi, in
silenzio, la guardiamo e pensiamo che siamo orgogliosi di aver fatto
ancora una volta bene il nostro dovere.
Emma MoriconiA tu per tu con Donna Rachele
"Amor vincit omnia"
Resoconto delle emozioni di un pomeriggio d'estate, sotto il gazebo del Duce
Un viale alberato. Un gazebo con sotto
un tavolino e due panchine di marmo. Intorno il verde. E l'aria che
soffia leggera. E porta voci di tanti anni fa. Voci che raccontano di un
Uomo che si sedeva in questi stessi luoghi a leggere e a riflettere. E
di una Donna che, poco distante, si occupava della sua famiglia.
Atmosfere di vita quotidiana a Villa Carpena.
Ho sempre pensato che la Storia bisogna
conoscerla, leggerla, studiarla. Tutta. Perché è l'unico modo per capire
non solo e non tanto il passato (che ormai è passato e quindi non
tornerà più) ma anche e soprattutto il futuro. Che non può esistere se
non si hanno radici solide. Ecco, le mie radici passano per questo
giardino, per questa Casa in cui si è tanto sofferto ma anche tanto
amato.
Il presente si confonde con il passato.
Vedo gli occhi azzurri di Donna Rachele. Come se fosse seduta qui
accanto a me. Incrocio il suo sguardo. E in uno strano dialogo senza
parole, Le faccio tante domande. Le chiedo di raccontarmi di quando era
felice, dei suoi figli, dell'Uomo della sua vita. Sorride. E le rughe
sul suo viso vanno a comporre un mosaico di orgoglio e fierezza.
Per un attimo abbasso gli occhi e penso
al volto di marmo bianchissimo che, poco lontano da qui, veglia sulle
spoglie mortali del suo Benito al cimitero di San Cassiano. Lei capisce.
Perché quando la guardo di nuovo sul suo sorriso - perché lei ora
sorride - è calato un velo di tristezza.
Capisce. E mi dice che la sofferenza che
ha dovuto sopportare, seppure immensa, è solo una parte della sua
esistenza. Che l'amore per i suoi figli, per la sua terra e per
quell'Uomo al quale ha dedicato tutta se stessa vince su tutto. Anche
sull'astio rancoroso di tutti quelli che l'hanno ucciso e sull'odio di
chi, ancora oggi, ne offende la memoria. "Amor vincit omnia. E' questa
la risposta" mi dice Donna Rachele.
La ringrazio e le sorrido. Poi la
saluto. E' venuto il momento di tornare al presente. "Vieni ancora a
trovarmi" sussurra mentre mi allontano. E le prometto che lo farò. Anche
solo per dirle ancora una volta - pure se lo sa già - che siamo ancora
in tanti a rispettare ed ammirare una Famiglia come la sua.
Cristina Di Giorgi
Giornalisti, scrittori, studiosi, e poi tanti libri, per raccontare la nostra storia più bella
La Rivoluzione Culturale in terra di Romagna
A Villa Mussolini a Forlì, tutti insieme, perché è l'unione che rende forti: per la Memoria, per la Verità
L'anniversario della nascita di Benito
Mussolini, quest'anno, è stato contrassegnato da un'alta presenza di
gente di cultura, nel senso più vasto del termine. La ricorrenza è
importantissima, per ciascuno di noi. E ciascuno di noi la celebra come
vuole, come meglio sente dentro di sé di voler reclamare il giusto
posto, sul calendario della storia, per questa data: il 29 luglio del
1883, il giorno in cui nacque Benito Mussolini. E così, mentre Padre
Giulio Tam ci riporta ai valori spirituali e alla Fede in Dio, mentre i
ragazzi di Vestone Tricolore si danno da fare senza tregua per fornire a
chi viene a visitare Villa Mussolini la massima collaborazione, mentre
il ragù bolle in pentola da ore, mentre l'instancabile Fiorenza accoglie
i visitatori, saluto il gruppo che ho appena accompagnato a visitare le
stanze della Villa e mi dirigo verso Predappio. Lungo il tragitto che
mi separa dal cancello della Villa ho modo di vedermi scorrere davanti
agli occhi una serie di pubblicazioni, libri che raccontano pezzi di
questo tratto di storia nostra. "Fascismo, Stato sociale o dittatura?", e
penso allo Stato che volle Mussolini, e che la sua pronipote Martina,
insieme ai nostri Edoardo Fantini e Andrea Piazzesi, ci raccontano in
queste pagine.
E poi "Donna Rachele mia nonna, la
moglie di Benito Mussolini", che ho scritto con sua nipote Edda e che
racconta di una donna coraggiosa e speciale.
E a seguire tre o quattro lavori di
Pietro Cappellari, l'occhio mi cade sul tomo che racconta la RSI nel
reatino, ma ve ne sono molti a firma di questo studioso che - lo so bene
- non le manda certo a dire. Pietro non è con noi fisicamente, oggi, ma
è come se fosse qui.
Vedo anche il libro di Mariantoni, "Le
storture del male assoluto"... eh si, quanti "danni", ha fatto il
Fascismo, penso tra me. Danni come la bonifica delle paludi pontine, per
esempio, o come le riforme sociali e popolari, infinite, insuperate. E
penso che all'epoca si, eravamo un popolo fiero.
E poi il libro del nostro Alessandro
Russo, "Giovinezza tradita", appena uscito: e penso a quando l'ho preso
in mano per la prima volta, e quanto mi prese la lettura di quelle
pagine che sono, in ultima analisi, una profonda riflessione su una
generazione che fu, si, fatta di eroi, ma anche di biechi personaggi.
Perché le cose bisogna dirle, tutte.
E poi ... eccoli lì, i miei due piccoli
"tesori": "Gli Uomini di Mussolini" e "Mussolini, sangue a piazzale
Loreto". Anni di lavoro, per mettere insieme le storie di questi uomini e
di queste donne che tanto hanno dato alla nostra Italia, e dei quali
volevo, nel mio piccolo, tentare di riscattare la Memoria. Cosa saremmo,
noi, se non avessimo avuto costoro?
Penso alle case editrici che in questo
tempo mi hanno dato la loro fiducia, la Minerva prima e la Herald poi,
penso al mio Giornale d'Italia e al mio Direttore Storace, penso ai
tanti che mi hanno raccontato le loro storie, e ai tanti che hanno letto
e leggono le mie parole ogni giorno su queste colonne e su quei volumi.
Mi guardo intorno, vedo Edoardo Fantini
che passeggia con il suo cane per i vialetti della Villa, Alessandro
Russo che parla con le persone e racconta la sua esperienza su queste
colonne e negli archivi, Cristina Di Giorgi che ha al suo attivo bei
lavori editoriali eppure oggi è qui, sotto il nostro gazebo, per aiutare
i colleghi che presentano i loro sforzi, e sorride a tutti, anche se fa
un caldo boia, sotto il tendone. E vedo Luciano Garibaldi: ha otto
decenni sulle spalle, Luciano, eppure è qui, perché il libro sull'orrore
di Piazzale Loreto l'ho scritto con lui, e ne vado fierissima. Luciano è
un'icona per la mia generazione e non solo. Tutti vogliono conoscerlo,
stringergli la mano, fare foto con lui, davanti alla Villa. Sorrido, ne
sono orgogliosa. Profondamente. Prendo la mia auto e vado a San
Cassiano, Edda è lì, per la Messa di famiglia. La abbraccio e penso che
sono fiera di esserle amica, perché è stata capace di far comprendere
che quello è un luogo sacro, e va rispettato. Poi torniamo a Villa
Carpena, ed ecco le telecamere, i giornalisti, le persone che la
aspettano per conoscerla, per abbracciarla, per vederla di persona.
Firmiamo un po' di libri, parliamo con tante persone, tutti noi.
Discorsi importanti, non banalità, non frasi fatte o motti inflazionati.
Ci poniamo domande, interrogativi, mettiamo a confronto i nostri studi,
strutturiamo il lavoro futuro, pensiamo a quanto abbiamo appreso e ci
rendiamo conto, tutti, che è proprio vero che di imparare non si finisce
mai. Guardo due giovanissimi che ho portato con me da Roma. Uno è mio
figlio, 18 anni appena compiuti, e qui ormai è di casa. L'altro è un suo
amico, appena 19 anni, che è qui per la prima volta. Entrambi domani vi
racconteranno le loro esperienze di questi giorni, in questa terra. Nel
frattempo si danno da fare, fanno ciò che serve, come tutti. Questo
clima è straordinario, e non parlo di quello meteorologico. Il clima che
c'è tra noi, l'atmosfera, questa volontà di affermare la verità storica
ad ogni costo e contro ogni avversità, et ventis adversis. La
Rivoluzione Culturale, ecco a cosa aneliamo, tutti. E penso a chi non è
qui con noi fisicamente ma di certo con il pensiero, con lo spirito, e
che condivide questa volontà, e che si batterà ogni giorno, fino
all'ultimo respiro. Perché la nostra vita, così come è iniziata, avrà
una fine. Ma ciò che lasceremo resterà per chi verrà dopo, di
generazione in generazione. E vinceremo. Insieme.
Emma Moriconi
Ci sono vicende che resistono ai secoli, nonostante la vita, nonostante la morte
Memoria e radici. Nemmeno il sangue le può spezzare
In
questi luoghi la verità resiste nei muri, nelle stanze, ascoltando la
campagna che entra dalle finestre, lasciate appena aperte
Nelle ore più calde la
terra di Romagna ha un respiro profondo. La vita le scorre sotto quella
scorza dura, sotto quella pelle lasciata alla fame del sole.
Le strade si allungano
veloci, una linea dritta che divide lo sguardo. E tanto lo puoi
comprendere solo raggiungendo queste campagne: che sotto può essere
dolce. Devi poterla capire, perché non si rivela mai al primo venuto, ad
uno solo dei tuoi sguardi.
Di tanta stagione non
rimane che la mano del vento. E nel silenzio della campagna romagnola,
quest'aria smuove le fronde degli alberi, come fosse un saluto, una voce
covata dove preme il ricordo.
Ed è esattamente in uno
di questi momenti che, l'abbraccio con Emma Moriconi e Cristina Di
Giorgi, si rivela come l'unione di intenti che solo un'amicizia può
saldare. Come un patto di sangue. E mentre accade tutto questo, attorno,
nei giardini di Villa Carpena, le mura della casa di Rachele e Benito
Mussolini si sollevano verso il cielo.
Quel silenzio ci
insegna qualcosa. Basta anche solo un'occhiata, oppure muovere due passi
verso l'angolo del giardino dove il Duce era solito leggere i giornali.
La pietra ci accoglie come un tempo, resiste nei secoli nonostante la
vita e la morte.
Emma, Cristina. Non
abbiamo neppure bisogno di parlare. La si legge negli occhi quella
domanda che brucia e che vuole dare un senso a tutto quello che ci
circonda.
Che senso ha l'uomo
senza memoria, senza radici, senza lavoro culturale? E allora si ritorna
dove tutto ha avuto inizio. Che Villa Carpena non è solo il luogo della
Storia, ma è luogo del cuore, di un amore che vuole essere corrisposto.
Disinteressato, per questo ancora più forte.
Non lo chiede nessuno,
lo senti nel sangue: ritornare a guardare dove cresce radice per non
farla seccare. Per non dimenticare. Che in questi luoghi anche la verità
resiste nei muri, nelle stanze, seguendo le scale, ascoltando la
campagna che entra dalle finestre, lasciate appena aperte.
Per un attimo, mentre
Emma si prende cura dei visitatori della Villa, io e Cristina volgiamo
lo sguardo nello stesso punto: la campagna ti acceca mentre la osservi
dalla finestra socchiusa. E la voce di Emma ci lega stretti, ad un passo
da quegli oggetti che spiegano la consuetudine di una vita semplice.
Emma scandisce il tempo, attraversa la Storia che ancora una volta
chiede solo di essere condivisa. Dovreste ascoltarla mentre parla di
cultura e radici che neppure il sangue è in grado di recidere.
Ma è quando carico la
pipa e mi concedo del tempo fumando, le mani dietro la schiena, il passo
lento che accompagna la zolla rivoltata e dura, odorosa e secca, che
accade qualcosa. Proprio nel momento in cui sono più solo mi accorgo
come la terra di Romagna sia capace di rivelarsi, concedendoti una
nuova consapevolezza. Può capitare davvero, che in Romagna tutto può
accadere, di tornare a casa migliori. Perché la Romagna può celare
gelosa i suoi frutti. Ma se ti abbraccia, allora, il viaggio in questa
terra può diventare un'educazione alla vita.
Chiunque ascolti i
suoni, le voci, i silenzi del suolo romagnolo, ne raccolga la
testimonianza perché, quello che è stato, deve essere detto anche a chi
non vuole ascoltare.
Alessandro Russo
Emma Moriconi - Cristina Di Giorgi - Alessandro Russo -DA GIORNALE D'ITALIA-
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