Deduzioni da una
“guerra dimenticata”
QUANTO ERANO CATTIVI I NAZISTI: INVECE…
Uno
sguardo retrospettivo sull’”invenzione
dei campi di sterminio”
di Filippo Giannini
Anni fa già trattai questo argomento,
ma dato che (almeno ritengo) questo è poco noto, e la non conoscenza è
dovuta al persistere del “lavaggio del cervello” voluta dai
“liberatori”, per indirizzare, così, l’opinione pubblica su una
unica direzione, propongo, quindi, un’analisi storica su come nacquero i
“campi di sterminio”. Molti risponderebbero, e ne sono certo: <In
Germania nelle menti nefaste dei gerarchi nazisti!>; e invece no! Ed
ecco la storia.
<Noi siamo il più grande popolo del
mondo. Più territori colonizzeremo, meglio sarà per l’umanità. Se la
maggior parte del mondo passasse sotto la nostra amministrazione,
sarebbe la fine di tutte le guerre>. Così sentenziava Cecil John
Rhodes, uomo d’affari e colonizzatore inglese, nominato ministro della
Colonia del Capo nel 1890.
Dopo un primo, fallito tentativo di
colonizzazione inglese nel 1620, furono gli olandesi a stabilire nel
1652 una base di rifornimento per le navi della Compagnia olandese delle
Indie orientali nella baia della Tavola, primo nucleo di Città del Capo.
La spedizione comandata dal medico e navigatore Jan van Rieebeck,
comprendeva – oltre agli olandesi – anche tedeschi e danesi e
rappresentò il primo nucleo di colonizzatori europei destinato ad
insediarsi in quelle terre ribattezzate Transvaal, Orange e Natal.
Questo primo nucleo di bianchi chiamati
boeren, cioè contadini, nel corso della sua penetrazione verso
l’interno entrò in contatto e in conflitto con le popolazioni autoctone,
fra le quali boscimani, ottentotti, bantu.
Nel 1975, al momento delle guerre per la
rivoluzione francese, gli inglesi occuparono il Capo, sottraendolo al
controllo degli olandesi e mostrarono di voler estendere il loro dominio
in tutta l’area. I boeri sopportarono inizialmente la dominazione
britannica ma con il tempo affiorarono i primi contrasti. La minaccia
provocata dell’instabilità di zulu e bantu, tribù guerriere in costante
stato di guerra fra loro e con i nuovi arrivati, trattennero sia i boeri
che gli inglesi dallo scontro aperto. A partire dal 1834 il Grande Trek,
“la grande migrazione”, portò le famiglie dei contadini boeri a
stabilirsi sempre più nell’interno. Nel dicembre 1838, sulle rive del
fiume Ncome, nella battaglia del Blood River, i boeri sconfissero gli
zulu e costituirono la Repubblica del Natal, poi annessa dagli inglesi
nel 1843 con il pretesto di difendere i propri coloni dagli zulu. Altri
gruppi di boeri fondarono le altre due repubbliche del Transvaal e
dell’Orange, e con due diversi trattati, nel 1853 e nel 1852,
l’Inghilterra riconobbe formalmente l’indipendenza d entrambi gli Stati.
La già difficile convivenza divenne
tempestosa quando la scoperta di giacimenti di diamanti a Kymberley e
d’oro nei fiumi Orange e Vaal spinse gli inglesi ad assicurarsi il
controllo dei giacimenti, arrivando fino all’annessione del Transvaal.
E’ a questo punto che i boeri si ribellarono e sotto la guida del
presidente del Transeat Paulus Krüger, nel 1881 sconfissero gli inglesi
a Majuba Hill, assicurandosi il riconoscimento dell’indipendenza della
repubblica.
La scoperta dell’oro nel Transvaal
segnò comunque l’inizio di un massiccio afflusso di stranieri (uitlanders),
in particolare inglesi: nel 1895 questi superavano ormai di numero i
membri delle antiche famiglie boere.
Krüger avvertì il pericolo
rappresentato dall’immigrazione e nell’intento di mantenere il controllo
boero sul suo territorio impose restrizioni agli uitlanders, fra
le quali il rifiuto di concedere loro il diritto di voto.
Appena assunto il titolo di ministro
della Colonia del Capo, Cecil Rhodes cercò di approfittare del malessere
covato dagli immigrati nel Transvaal a favore della sua British South
Africa Company, interessata alle miniere d’oro. Affidò al dottor Leander
Starr Jameson il comando di un gruppo di gendarmi della compagnia, che
doveva penetrare in Transvaal e promuovere un colpo di Stato,
confidando nell’appoggio degli uitlanders. Il 29 dicembre 1895
Jameson e 500 uomini varcarono il confine con il Transvaal, andando
incontro ad uno smacco totale. Già il 2 gennaio i boeri disperdevano il
“Jameson Raid”, Rhodes, di conseguenza, dovette dimettersi dal
suo incarico, mentre i suo impero privato veniva rilevato dalla Corona e
Jameson era condannato da un tribunale di Londra a due anni di
prigione, poi condonati per motivi di salute.
All’indomani della vittoria, Krüger
ricevette questo telegramma: <Mi congratulo cordialmente con voi e
con il vostro popolo per avere, senza l’aiuto di potenze amiche,
respinto le bande armate che invadevano il vostro territorio e aver
ristabilito da soli la pace e l’indipendenza del vostro Paese.
Guglielmo>. Era Guglielmo II, l’imperatore tedesco che si faceva
paladino di Krüger.
Forte del non del tutto insperato
appoggio tedesco e sentendo minacciata l’indipendenza del Transvaal,
Krüger iniziò ad importare armi, principalmente dalla Germania, ma anche
dall’Olanda e dalla Francia, predisponendo la costruzione di ampi campi
fortificati.
Il governo britannico inviò in Africa,
con la carica di alto commissario, sir Alfred Milner, che intavolò
subito trattative con i boeri. La sua arroganza fu tuttavia tale che
Krüger si vide costretto ad inviare il 10 ottobre 1899 un ultimatum, con
il quale chiedeva alla Gran Bretagna di abbandonare ogni pretesa sul
territorio da lui governato e di rispettare i trattati che riconoscevano
l’indipendenza del Transvaal e dell’Orange, e allontanare l’esercito
dalle frontiere.
<Mi adoperai per far precipitare una
crisi prima che fosse del tutto troppo tardi> avrebbe confessato
Milner al capo delle forze inglesi Buller.
L’ultimatum dei boeri scadeva il 12
ottobre: il governo di Salisbury respinse tutte le richieste e fu la
guerra.
Le stragi delle due guerre mondiali
hanno steso un voluto velo d’oblio sugli assedi, sulle battaglie, sulle
atrocità commesse a Ladysmith, Jagerfontein, Spion Kop, Colenzo,
Mafeking e nelle immensità del territorio sudafricano. I boeri si
batterono con coraggio perché consapevoli di non avere alternativa se
volevano mantenere la loro indipendenza; gli inglesi spinsero i boeri
alla guerra, oltre che per la ricchezza delle miniere, anche perché
convinti che il nazionalismo afrikaaner poteva rappresentare un
pericolo per le posizioni britanniche in Sudafrica.
Fino alla fine dell’anno l’iniziativa
rimase costantemente in mano ai boeri che invasero il Natal, assediando
Mafeking, Kimberley, e Ladysmith. I boeri sfruttavano la solidità dei
loro campi fortificati, la superiorità dei loro fucilieri a cavallo e,
soprattutto la maggiore mobilità dei loro reparti che mise in crisi la
già carente fantasia strategica e tattica dello stato maggiore inglese.
Il futuro primo ministro Asquith, dopo aver letto uno dei dispacci
provenienti dal comandante in capo delle forze britanniche, sir Redvers
Buller, esclamò: <Sembra che non sia in grado di darci una vittoria
né di fornire convincenti ragioni per le sue disfatte>.
Nelle prime tre settimane di guerra gli
inglesi erano in inferiorità numerica, potendo contare su 13.000
regolari, la maggior parte dei quali bloccata nelle tre città assediate.
L’arrivo del I° Corpo d’Armata inglese alla fine di ottobre cambiò gli
equilibri, ma non i risultati.
Buller, nell’intento di liberare le
forze assediate a Kimberley, a Mafeking e a Ladysmith divise il suo
esercito in tre colonne che furono duramente battute nello spazio di una
settimana, quella che gli inglesi chiamarono “black week”: il 10
dicembre il generale William Gatacre era battuto a Stormberg, mentre due
giorni dopo toccava a lord Methuen essere sconfitto nella battaglia di
Magersfontein, il 15 dicembre, a Colenso, i boeri guidati dal generale
Louis Botha infliggevano allo stesso Buller, che cercava di forzare il
blocco boero a Ladysmith, una pesante sconfitta in cui oltre mille
inglesi rimasero sul terreno. Dopo Colenso, Buller perse il controllo
della situazione (oltre che dei suoi nervi) e ordinò al comandante della
piazza di Ladysmith, George White, di cessare la lotta, distruggere armi
e munizioni e arrendersi. White non obbedì.
Il governo di Londra colse l’occasione
per rimuovere Buller dal comando e sostituirlo, dal gennaio 1900,
nominando lord Roberts quale comandante in capo e lord Kitchener capo di
Stato maggiore generale.
Fra il 20 e il 24 gennaio Buller, cui
era stato lasciato il comando delle operazioni nel Natal, si scontrò
nuovamente con i boeri di Louis Botha a Spion Kop, uno sperone roccioso
che dette il nome a una delle più sanguinose battaglie di tutta la
guerra: quando inglesi e boeri si ritirarono dalla collina, erano
entrambi convinti di essere battuti. Furono i boeri ad accorgersi per
primi che il nemico si stava ritirando; Buller rinunciò a spezzare
l’assedio di Ladysmith.
La fantasia di Roberts e l’inesauribile
energia di Kitchener portarono subito i primi, brillanti risultati. Come
prima cosa, Kitchener si preoccupò di assicurarsi le linee di
rifornimento, creando una rete ferroviaria che si estendeva sin nel
cuore del territorio boero. Quindi inviò il generale French e la sua
cavalleria, con un memorabile affondo, in soccorso della piazza di
Kimberley, assediata dal generale boero Arnaldus Cronje. L’operazione
riuscì perfettamente: i boeri rimasero intrappolati nella gola del fiume
Modder a Paardeberg. Nonostante una strenua resistenza, il 27 febbraio
1900, diciannovesimo anniversario della vittoria sugli inglesi a Majuba
Hill, Cronje e i suoi quattromila uomini dovettero arrendersi. Cronje fu
inviato prigioniero nell’isola di Sant’Elena, dove rimase fino alla fine
della guerra.
I boeri dovettero abbandonare l’assedio
di Ladysmith, mentre gli inglesi continuavano ad avanzare occupando
Bloemfontein e il Natal. Nonostante un’epidemia avesse fermato gli
inglesi per tre settimane, lord Roberts arrivò nell’estate del 1900 a
occupare Joannesburg e Pretoria, piegando verso est e tagliando la linea
ferroviaria che collegava il Transvaal con la colonia portoghese del
Mozambico, mentre i generali boeri si ritiravano a nord, verso le
montagne del Basutoland.
I successi nel Transvaal e la resa dei
principali capi boeri sembrarono chiudere le ostilità. In realtà si
apriva una nuova fase della guerra che avrebbe insanguinato la regione
per altri diciotto mesi.
Il vecchio Krüger lasciò il Sudafrica
trasferendo tutte le prerogative presidenziali a Shalk-Burger,
vicepresidente della repubblica, il comando militare venne affidato a
Louis Botha, che operava nel Transvaal orientale, mentre nel Transvaal
occidentale era il generale De La Rey a mantenere il comando di buona
parte degli uomini.
Questa fase della guerra si
caratterizzò per i rapidi colpi di mano eseguiti da gruppi di boeri che
tenevano sotto continua pressione l’esercito inglese, costretto a
sparpagliarsi per controllare una grande estensione del territorio.
Mantenendo aperta la lotta, i boeri coltivavano la speranza che qualche
nazione europea si muovesse in loro soccorso. Il viaggio di Krüger in
Europa aveva anche lo scopo di perorare la causa boera. Ma nessun Paese
volle gettarsi nell’avventura sudafricana.
Intanto, nel tentativo di pacificare la
regione, molti prigionieri boeri vennero rimessi in libertà dagli
inglesi, dietro la promessa di non prendere più parte alla guerra. Il
giuramento venne tuttavia dichiarato nullo dal governo di Shalk-Burger,
che non aveva riconosciuto la cessazione delle ostilità. I boeri che
tornarono a casa si videro così piombare addosso i commandos di
Botha con l’accusa di tradimento e diserzione. Dal canto suo, Roberts
ordinò che venissero bruciate le fattorie di quanti infrangevano il
giuramento fatto di non riprendere le armi.
La richiesta da parte di Milner di una
resa incondizionata da parte dei boeri, irrigidì le posizioni, facendo
naufragare i tentativi di intavolare trattative di pace. Alla fine del
1900 i generali boeri Kritzinger e Herzog invasero una seconda volta la
Colonia del Capo, mentre nel 1901 l’avvocato Jan Christian Smuts
conduceva una spettacolare operazione nel cuore della Colonia giungendo
con i suoi uomini fino ai dintorni di Cape Town. Questa precaria
situazione spinse le autorità inglesi a instaurare la legge marziale su
buona parte del territorio. Kitchener decise di chiudere brutalmente la
partita, creando un vuoto intorno ai boeri in armi. Colonne di truppe in
uniforme cachi passarono al setaccio il veldt, cacciando e
confiscando mandrie di bestiame, bruciando raccolti, case e fattorie.
Donne, vecchi e bambini venivano rinchiusi in quelli che dopo di allora
si sarebbero chiamati “campi di concentramento”, dove presto
esplosero epidemie che falcidiarono gli internati.
Un documento, custodito nell’archivio
storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri a Roma, contiene
una relazione del Console italiano a Pretoria, Morpurgo. Questi
informava che il numero dei morti, fra donne e bambini rinchiusi dagli
inglesi nei campi, era di 20.000. I boeri, continua Morpurgo, furono
costretti alla resa perché, se le ostilità fossero continuate, “la
nazione intera avrebbe cessato di esistere”.
L’entità e i metodi di questa ecatombe
non poterono essere celati e un nuovo fremito di sdegno percorse il
mondo. A Londra sir Henry Campbell-Bennerman, leader dell’opposizione,
ricevuta una relazione dei fatti, li illustrò alla Camera, parlando di
“metodi barbari”. Tutto ciò, tuttavia, non frenò le iniziative di
Kitchener.
In realtà, da entrambi le parti, per
motivi diversi, traspariva la stanchezza. Il governo inglese era
sfiancato da una guerra che aveva costi altissimi e che aveva proiettato
un’ombra negativa sull’immagine di Londra nell’opinione pubblica
europea. I boeri erano divisi: se il governo dell’Orange non ammetteva
la possibilità di intavolare trattative di pace senza la garanzia
d’indipendenza, quello del Transvaal era più possibilista, anche perché
giungevano orribili notizie dai “campi di concentramento”, e di
conseguenza, chiese di aprire trattative. I negoziati furono, in
effetti, iniziati dai rappresentanti del Transvaal, lasciando aperta la
minaccia militare dello Stato dell’Orange, che reiterava il proprio
rifiuto della resa e la determinazione di continuare il conflitto
“sino alle estreme conseguenze”. Le trattative furono complesse: a
Klerksdorp si incontrarono dapprima i boeri tra di loro: poi a Pretoria
i boeri con Milner e Kitchener; a Vereeniging si riunirono in assemblea
le rappresentanze boere. Il trattato di pace con il Transvaal e
l’Orange venne siglato nel maggio 1902 a Vereeniging e fu una pace
onorevole per i boeri.
*********
Ho voluto ricordare questa “guerra
dimenticata” per trarre alcune considerazioni che riguardano il
mondo e la storia di oggi.
Abbiamo due punti fissi: la guerra
anglo-boera che terminò nel 1902 e l’inizio del Secondo conflitto
mondiale che esplose nel 1939 e con questo iniziò anche la
“persecuzione” nazista contro varie etnie. Ma abbiamo ancora un
altro punto fisso: i giorni che stiamo vivendo.
E allora; tra la guerra anglo-boera e
l’inizio del Secondo conflitto mondiale c’è uno spazio di 37 anni, vale
a dire poco più di una generazione. Come abbiamo visto, il generale
Kitchener per avere ragione dei boeri mise in atto una persecuzione
contro “donne, bambini e vecchi” che causò alcune decine di
migliaia di morti: in pratica un “genocidio”. E ancora:
“bestiame razziato, fattorie e case date alle fiamme”. Ebbene nel
corso di quella generazione (o poco più) la memoria andò man-mano
scemando fino a che non se ne parlò più. Tra la fine dell’ultimo
conflitto e i giorni di oggi, invece, dopo ben 73 anni, quindi lungo tre
generazioni, non c’è giorno che non si rievochi l’altro “genocidio”.
Se la malefica azione di Kitchener può essere paragonabile a quella di
Himmler (ad esempio), perché il primo è completamente obliato? Eppure il
primo può ben considerarsi “il maestro delle atrocità commesse dal
nazionalsocialismo”.
Il fatto è che Kitchener, bene o male,
vinse la guerra, Himmler la perse.
La morale è tutta qui.
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